Dialoghi di profughi I- II- III* – Bertolt Brecht

lunedì 29 febbraio 2016

Dialoghi di profughi III* – Bertolt Brecht

DELL’ESSERE INUMANO. – MODESTE ESIGENZE. – DELLA SCUOLA. – HERRNREITTER.

Ziffel andava quasi ogni giorno al ristorante della stazione, perché nel vasto locale c’era un piccolo chiosco di tabacchi, e ogni tanto, a periodi irregolari, compariva una ragazza, con un paio di scatole sotto il braccio, apriva e poi per dieci minuti vendeva sigari e sigarette. Ziffel aveva già in tasca un capitolo delle sue memorie e spiava l’arrivo di Kalle. Poiché questi per una settimana non venne, Ziffel già cominciava a pensare di avere scritto quel capitolo inutilmente, e abbandonò il lavoro. A H. non conosceva nessuno, tranne Kalle, che parlasse tedesco. Ma al decimo o undicesimo giorno Kalle ricomparve e non mostrò alcun segno particolare di spavento quando Ziffel tirò fuori il suo manoscritto.
ZIFFEL          Incomincio con una introduzione nella quale faccio presente, in tono dimesso, che le opinioni ch’io intendo esporre erano ancora, almeno fino a poco tempo fa, le opinioni di milioni di uomini, sicché è impossibile che siano proprio del tutto prive di interesse. Salto l’introduzione, e anche un altro pezzetto, e passo subito all’analisi dell’educazione di cui ho goduto. Questa analisi, infatti, mi sembra assai istruttiva, e qua e là veramente eccellente. Si chini un po’ verso di me, in modo da non essere disturbato dal baccano che c’è qui. (Legge) “So che la bontà delle nostre scuole viene spesso messa in dubbio. Il mirabile principio su cui si fondano non viene riconosciuto o apprezzato. Esso consiste nell’introdurre immediatamente il giovane, in tenerissima età, nel mondo così com’è. Senza tanti preamboli, senza fargli molti discorsi, viene gettato in un sudicio stagno: nuota o ingoia fango!

“ I maestri hanno il compito, che richiede la massima abnegazione, di personificare alcuni tipi base dell’umanità con i quali il giovane avrà a che fare più tardi nella vita. Gli si dà l’occasione di studiare, per quattro, sei ore al giorno, brutalità, cattiveria e ingiustizia. Per un tale insegnamento nessuna tassa scolastica sarebbe troppo alta, ma esso viene persino fornito gratis, a spese dello Stato. L’Essere Inumano appare dinanzi al giovane, nella scuola, in forme gigantesche e indimenticabili. Esso detiene un potere quasi senza limiti. Fornito di cognizioni pedagogiche e di una esperienza pluriennale, esso educa lo scolaro a sua immagine e somiglianza.

“Lo scolaro impara tutto ciò che è necessario per andare avanti nella vita. E’ lo stesso di ciò che è necessario per andare avanti nella scuola. Si tratta di appropriazione indebita, di simulare di sapere quel che non si sa, di capacità di vendicarsi impunemente, di rapida assimilazione di luoghi comuni, adulazione, servilismo, prontezza a tradire i propri simili con i superiori, ecc., ecc.
“Ma la cosa principale è la conoscenza degli uomini. La si conquista sotto forma di conoscenza dei maestri. Lo scolaro deve saper riconoscere e sfruttare le debolezze del maestro, altrimenti non potrà mai impedire che lo si imbottisca di quel guazzabuglio assolutamente privo di valore che si chiama patrimonio cerebrale. Il nostro miglior maestro era un uomo alto, sorprendentemente brutto, il quale in gioventù, si diceva, aveva aspirato a una cattedra universitaria, ma non c’era riuscito- Questa delusione provocò il pieno sviluppo di tutte le forze sonnecchianti in lui. Si compiaceva di sottoporci, senza preavviso, ad un esame, ed emetteva gridolini di voluttà quando noi non sapevamo rispondere. Quasi ancora più odioso lo rendeva l’abitudine di andare, due o tre volte in un’ora, dietro la lavagna per pescare dalla tasca della giacca un pezzo di formaggio non incartato, che poi masticava continuando a insegnare. Insegnava chimica, ma non avrebbe fatto alcuna differenza se si fosse trattato dell’arte di dipanare un gomitolo. Aveva bisogno della materia di insegnamento per mettere in mostra se stesso, come gli attori hanno bisogno di un intreccio. Il suo compito era di fare di noi degli uomini. E questo non gli riusciva male. Da lui non imparammo la chimica, ma come ci si vendica. Ogni anno veniva un ispettore scolastico che, si diceva, voleva vedere come apprendevamo. Ma noi sapevamo che voleva vedere come insegnavano i maestri. Una volta cogliemmo l’occasione per rovinare il nostro maestro. Non rispondemmo a una sola domanda e restammo seduti come idioti. Quel giorno egli non mostrò nessuna gioia per il nostro fiasco. Gli venne l’itterizia, giacque molto ammalato, e una volta ritornato non fu più il vecchio voluttuoso ruminatore di formaggio.
“L’insegnante di lingua francese aveva un’altra debolezza. Rendeva omaggio a una malvagia dea che esige terribili sacrifici: la Giustizia. Il mio compagno B. ne traeva vantaggio nel modo più intelligente. Nella correzione dei compiti scritti, dalla cui bontà dipendeva la promozione, l’insegnante usava segnare su un foglio a parte, accanto a ogni nome, il numero degli errori. A destra di questo numero scriveva il voto, in modo da avere insieme tutti gli elementi. Diciamo: zero errori davano dieci, il voto più alto; dieci errori, sei, ecc. Dei compiti stessi gli errori erano sottolineati in rosso. Ora qualche volta i somari tentavano di grattare con un temperino un paio di segni rossi, si alzavano e andavano dal maestro a fargli notare che aveva sbagliato in eccesso nel fare la somma degli errori. Allora il maestro metteva il foglio contro luce e individuava i punti lisci rimasti là dove il ragazzo aveva ripassato con l’unghia del pollice la parte grattata. B. procedeva diversamente. Sul suo compito già corretto egli sottolineava con inchiostro rosso qualche punto del tutto esatto e andava alla cattedra con aria offesa a chiedere che cosa mai ci fosse di sbagliato. Il maestro doveva riconoscere che non c’era niente di sbagliato, cancellare i segnacci rossi, rettificare il numero degli errori e, naturalmente, anche il voto. Si ammetterà che questo scolaro a scuola ha imparato a pensare.
“Lo Stato assicurava la vivacità dell’insegnamento in un modo molto semplice. Costretto ad esporre solo una determinata porzione di sapere, anno per anno sempre la stessa, l’insegnante diveniva del tutto indifferente alla materia d’insegnamento, né veniva più distratto dal suo scopo principale, che era quello di sfogarsi davanti agli scolari. Tutte le sue delusioni provate, preoccupazioni finanziarie, disgrazie familiari, egli le liquidava durante le ore di insegnamento facendone così partecipi gli alunni. Non essendo traviato da alcun interesse per la materia, poteva concentrarsi sulla formazione delle anime dei giovani e insegnar loro tutte le forme della frode. Così li preparava all’ingresso in un mondo dove avrebbero incontrato persone fatte appunto come lui, storpiate, rovinate, rotte ad ogni malizia. Sento che le scuole, o almeno alcune di esse, sono fondate oggi su principi diversi da quelli dei miei tempi. I bambini verrebbero ora trattati in modo giusto e comprensivo. Se così fosse, lo deplorerei molto. Noi, per esempio, imparavamo a scuola cose come le differenze di classe, perché ciò faceva parte delle materie di studio. I figli di gente perbene venivano trattati meglio dei figli dei lavoratori. Tolta questa materia dagli odierni programmi scolastici, i giovani imparerebbero soltanto nella vita questa differenza di trattamento, che è infinitamente importante. Tutto ciò che imparerebbero a scuola, nel rapporto con gli insegnanti, li dovrebbe indurre nella vita extrascolastica, che è tanto diversa, alle azioni più ridicole. Verrebbero artificiosamente ingannati sul comportamento che il mondo assumerà nei loro confronti. Essi si attenderebbero fair play, benevolenza, interessamento, e verrebbero dati in pasto alla società assolutamente sprovveduti, impreparati, disarmati.
“Io fui preparato in modo ben diverso! Entrai nella vita ben fornito di solide cognizioni circa la natura degli uomini.
“Quando la mia educazione fu in qualche modo conclusa, avevo ragione di aspettarmi che, essendo fornito di alcuni mediocri vizi e in procinto di imparare ancora qualche non troppo grave mostruosità, sarei riuscito a cavarmela decentemente nella vita. Era un’illusione. Un bel giorno improvvisamente, si pretesero delle virtù”. E con ciò smetto per oggi, perché credo d’aver destato la sua curiosità.
KALLE          Il suo indulgente giudizio sulla scuola è insolito e rivela un enorme distacco. Comunque mi accorgo solo ora che anch’io ho imparato qualcosa. Mi ricordo che subito, il primo giorno di scuola, ricevemmo una buona lezione. Quando arrivammo in aula, ben lavati e muniti di zaino, e i genitori furono mandati via, fummo allineati contro il muro, e poi il maestro comandò: “Ognuno si cerchi un posto”, e noi via, ai banchi! Siccome c’era un posto in meno, uno scolaro rimase senza, in piedi tra i banchi; ed il maestro gli appioppò un bel ceffone. Questo fu per noi un ottimo insegnamento: non è ammesso aver scalogna.
ZIFFEL          Quel maestro era un genio. Come si chiamava?
KALLE          Herrnreitter.
ZIFFEL          Mi meraviglio che sia rimasto un semplice maestro elementare. Doveva avere un nemico al Provveditorato.
KALLE          Abbastanza buona era anche un’usanza introdotta da un altro maestro. Voleva suscitare il senso del decoro, diceva. Quando uno…
ZIFFEL          Mi scusi, ma sto pensando a Herrnreitter. Con mezzi tanto semplici, una comune aula con troppo pochi banchi, vi ha fornito un ottimo modello in scala ridotta, sicché avete avuto subito chiaro davanti agli occhi il mondo che vi attendeva. Per delinearlo gli bastarono un paio di tratti arditi, eppure esso si dispiegò plasticamente davanti ai vostri occhi, evocato da un grande artista! E ci scommetto che ci arrivò istintivamente, per pura intuizione! Un semplice maestro elementare!
KALLE          In ogni modo egli ottiene così un tardivo riconoscimento. L’altro era molto più comune. Era per la pulizia. Quando uno usava un fazzoletto sporco, perché la sua mamma non ne aveva un altro pulito, doveva alzarsi, sventolare il fazzoletto e dire: “Ho un moccichino che fa schifo!”
ZIFFEL          Anche questa è buona, ma non superiore alla media. Lei stesso dice che quello voleva suscitare il senso del decoro. Era un ingegno comune. Herrnreitter aveva la scintilla. Non dava soluzioni. Si limitava soltanto a porre in bella vista il problema, a rispecchiare la realtà. Le conseguenze le lasciava trarre tutte a voi! Un simile procedimento dà ben altri frutti. Le sono profondamente grato di avermi fatto conoscere questo notevole ingegno.
KALLE            Ma le pare!

Poco dopo i due si separarono e se ne andarono, ciascuno per la propria strada.

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Quando si parla di umorismo, io penso sempre al filosofo .

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