Arsenij Tarkovskij Poesie tradotte da Donata De Bartolomeo – Andrei Tarkovsky : Sculpting In Time – Internet Archive

Arsenij Tarkovskij – Poesie Inedite, traduzione di Donata De Bartolomeo

arsenij nostalgia fil di andrej tarkovskij

Arsenij Aleksandrovic Tarkovskij nasce nel 1907 a Elizavetgrad, oggi Kirovograd, in Ucraina. È all’ambiente familiare che Arsenij deve l’amore per la letteratura e le lingue – il padre è poliglotta e autore di racconti e saggi – come anche la conoscenza del pensiero di Grigorij Skovoroda. Nella seconda metà degli anni Venti frequenta i Corsi Superiori Statali di Letteratura e scrive corsivi su «Il fischio», rivista dei ferrovieri, a cui collaborano anche Bulgakov, Olesa, Kataev, Il’f e Petrov. Tra il ’29 e il ’30 inizia a scrivere poesie e drammi in versi per la radio sovietica, ma nel ’32, accusato di misticismo, è costretto ad interrompere la sua collaborazione. Nello stesso anno nasce il figlio Andrej. Inizia a tradurre poesie dal turkmeno, ebraico, arabo, georgiano, armeno. Nel dicembre ’43, dopo essere stato insignito dell’Ordine della Stella Rossa per il suo eroismo in guerra, è ferito gravemente e gli viene amputata una gamba. Nel ’46 viene rifiutata l’edizione del suo primo libro in quanto i suoi versi vengono ritenuti ‘nocivi e pericolosi’. Solo nel ’62 esce il primo volume di poesie:Neve imminente, cui seguiranno nel ’66 Alla terra ciò che è terreno, nel ’69 Il messaggero, nel ’74 Poesie, nel ’78Le montagne incantate, nel 1980 Giornata d’inverno, nel 1982 Opere scelte. Poesie. Poemi. Traduzioni. (1929-1979), nel 1983 Poesie di vari anni. Nel 1986 muore in Francia il figlio Andrej. Nel 1987 esce Dalla giovinezza alla vecchiaia, titolo deciso dalla casa editrice contro il volere dell’autore, e Essere se stesso. Muore a Mosca il 27 maggio ’89.
Le sue opere pubblicate finora in Italia in volume sono: Poesie scelte, Milano, Scheiwiller, ’89. Poesie e racconti, Pescara, Edizioni Tracce, ’91. Poesie scelte, Roma, Edizioni Scettro del Re, ’92. Costantinopoli. Prose varie. Lettere, Milano, Scheiwiller, ’93.

E il buio e la vanità non sfioriranno
la rosa di giugno sulla finestra
e la via sarà luminosa
e il mondo sarà benedetto
e benedetta la mia vita
come lo fu tanti anni fa.

Come tanti anni fa – quando
gli occhi appena aperti
non capivano come fare,
l’acqua piombò sull’erba
e, con essa, il primo temporale
già imparava a parlare.

In questo giorno io vidi la luce,
l’erba rumoreggiava al di là della finestra,
oscillando nelle boccette di vetro
e si fermò sulla soglia degli anni
con le ceste nelle mani ed in casa,
ridendo, entrò la fioraia…

La pioggia perpendicolare lavò l’erba
e dal basso la rondine prese il volo
e questo giorno fu il primo
tra quelli che, come per miracolo, in realtà
brillavano, come sfere, frantumandosi
nella rugiada su un petalo qualunque.

(1933)

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La culla

Ad Andrej T.*

Lei:

Passante, perché non dormi per tutta la notte,
perché ti trascini e ti trascini,
dici sempre le stesse cose
e non fai dormire il bambino?
Chi ti ascolta ancora?
Cosa hai da dividere con me?
Lui, come un bianco colombo, respira
nella culla fatta di corteccia di tiglio.

Lui:

Scende la sera, i campi diventano azzurri, la terra orfana.
Chi mi aiuta ad attingere l’acqua dal pozzo
profondo?
Non ho nulla, ho perduto tutto lungo il cammino.
Dico addio al giorno, incontro la stella. Dammi da bere.

Lei:

Dove c’è il pozzo, c’è l’acqua
ma il pozzo è lungo la strada.
Non posso darti da bere
ed abbandonare il bambino.
Ecco solleva le palpebre
ed il serale, latteo luppolo
avvolge, lambisce
e fa dondolare la culla.

Lui:

Aprimi la porta, fammi entrare, prendi da me quello che vuoi –
la luce della sera, un mestolo di acero, la piantaggine.

(1933)

* Poesia dedicata al figlio Andrej

Arsenij

Avevo appuntato il lungo indirizzo su un brandello di carta
non riuscivo in alcun modo a congedarmi e tenevo il foglietto in mano.

La luce si spense sul lastricato. Sulle ciglia, sulla pelliccia
E sui guanti grigi cominciava a cadere una neve molle.

Andava il lampionista, si voltò, vicino a noi accese un lampione,
si mise a fischiare, il lampione balbettò come il corno di un pastore

e aleggiò una goffa, inconcludente conversazione
più leggera di una piuma, più minuta di una frazione…
Dieci anni sono passati da allora.

Persino l’indirizzo ho perduto, persino il nome ho dimenticato.
E dopo un’altra ho amato, quella che più appassionatamente di tutte ho amato.

Ma tu vai – e cade una goccia dal tetto: una casa e una nicchia alla porta,
una palla bianca sulla nicchia rotonda e leggi: chi abita?

Ci sono porte speciali e case speciali,
c’è un indirizzo speciale, di preciso la giovinezza stessa.

(1935)

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Dedica

I
In me vive la profonda inquietudine
delle chiome di legno, che non dormono di notte,
io, come i versi, predico la peculiarità
conferite alle persone e alle cose.

Per il fatto che respiravo, come respira la parola,
io ero l’eco tra gli alunni,
ero la risonanza della voce altrui,
smarrita nel coro delle voci.

Il mondo, come un bambino di sette anni, è agile;
la tempesta fioriva – il mondo, come un fanciullo, si placava
ma cumuli di errori ereditati
giacevano in quei giorni nelle mie mani.

Tutta la mia vita arrivò e mi stava accanto,
come se davvero fossero passati tanti anni
e con estraneo, verdastro sguardo
mi rispose lo specchio.

Io sobbalzavo ad ogni suono bugiardo,
pensavo: fammi vuotare le mani.
E, dormendo, liberavo le mani
per imparare di nuovo a parlare.

Spaventandomi, tastavo gli oggetti –
I corpi delle meduse nel mare scintillante,
la radice degli alberi, rianimata dalla musica
e il marmo, riverso verso la stella.

Ed io imparai a parlare, come nell’infanzia
col mio libro balbuziente.
Ma se i figli serberanno memoria dell’eredità
tutto quello che posseggo, a loro lascerò.

II

E ciascuno ricorda la luminosa città dell’infanzia,
l’aula sulle montagne, la stanitsa sul fiume,
dove dai padri abbiamo preso in eredità
l’amore per la terra, per sempre cara.

Dove le madri accanto alle nostre culle
Non dormivano di notte, dove abbiamo imparato,
dove per la prima ispirazione fremevano
sul libro le nostre giovani menti.

Dove per la prima volta abbiamo amato, senza temere
di ammettere che eravamo cresciuti nella lotta,
dove abbiamo giurato davanti alla nostra coscienza
eterno amore a te…

Rumoreggiano gli alberi del viale cittadino,
come fiaccole di verde fuoco.
Io te li darò, sono più necessari a te,
vieni, prendi da me gli alberi.

Vieni, prendi tutta la mia città, sarà
tua – e tu ti addormenterai nella mia erba.
Il sibilo delle mie rondini ti sveglierà,
io te le darò, sono più necessarie a te.

Tutto quello che ho vissuto per tanti anni da allora,
per tante verste dal tuo ricordo,
tu lo evocherai, senza compiere il miracolo,
senza troncare il complotto delle ombre.

Io sono il primo ospite nel giorno della tua nascita
E mi è stato concesso di vivere in due assieme a te,
di entrare nei tuoi sogni notturni
e di riflettermi nel tuo specchio.

III

Come ragnatela si tende il residuo
di tutto quello che mi sembrava caro
ed è per me strano che una fittizia impronta
lascerò ai miei eredi.

E forse, i figli che giocano,
pur ricordandosi di me in estate,
non distingueranno le sconnesse interiezioni
dalle parole che indicano la cecità.

Io non ero cieco. Vedevo tutto quello che era,
che diveniva la vita dei miei coetanei
che il tempo con la sua firma convalidò
e portò dinanzi agli occhi sonnolenti dei ciechi.

Io vedevo tutto quello che era visibile ai vedenti
come la luce dell’alba attraverso il telaio dei rami.
Prendi anche l’amaro, che ingiustamente nascondiamo
ai nostri figli e alle nostre figlie.

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IV

Così io imparai di nuovo a parlare
e ricevetti il difficile dono nell’anno terribile
in cui l’amore bruciava le mie gote
e stringeva al cuore il ghiaccio mortale.

E la gelosia si stringeva al capezzale
E mi sussurrava all’orecchio:
– Guarda,
mentre tu dormi, torturato dall’amore,
hanno spento i lampioni della città.

Io, fedele, ti aprirò gli occhi:
liberata per sempre per te,
tra le lenzuola, sul far dell’alba rosata,
giace la tua ultima stella…

Ed io correvo dalla mia soglia
là, dove la luce dà una sventola sul viso,
lungo la città mi incalzava l’inquietudine –
ed io vidi il telaio dei fulmini.

Volavano come uno stormo di cigni,
non li contai, erano più di cento,
volavano lontano sulla piazza deserta
e l’altezza faceva dondolare i loro becchi.

Volavano così lentamente che sembrava –
arda pure davanti agli occhi stessi il nuovo giorno –
come se questa amarezza si fermasse per sempre,
i loro riflessi resteranno vicino a noi.

Prendi anche loro, sono più necessari a te
che li tocchi la mano infantile
e sfiora la gelosia ancora più delicatamente
perché l’amore ti sia lieve.

arsenij nostalghia

V

Ed il cielo si fece azzurro, rinascendo,
e l’altezza cominciò ad abbassarsi
e sotto le ruote del primo tram
si stendeva il selciato dell’alto ponte.

E nell’ora in cui la tua gigantesca città
tutta in verde si spande all’alba –
tu giaci, figlio, nel grembo materno
nella semitrasparente delicata bolla.

E, forse, tu non vedi nulla
ma il sole nuota sopra di te…

(1934-1937)

https://lombradelleparole.wordpress.com/2014/04/05/arsenij-tarkovskij-poesie-inedite-traduzione-di-donata-de-bartolomeo/

Vita, vita

I

Non credo nei presentimenti e dei segni
non ho paura. Né la calunnia né il sarcasmo
io fuggo. Nel mondo non c’è la morte.
Tutti sono immortali. Tutto è immortale.
Non bisogna temere la morte né a diciassette anni
Né a settanta. Esistono solo la realtà e la luce,
in questo mondo non ci sono né buio né morte.
Noi tutti siamo già sulla riva del mare
ed io sono tra quelli che tirano le reti
mentre passa a branchi l’immortalità.

II

Vivete in casa – e casa non crollerà.
Io evocherò uno qualunque dei secoli,
entrerò in esso ed in esso una casa costruirò.
Ecco perché sono con me ad un unico tavolo
i vostri figli e le vostre mogli.
Ma c’è un unico tavolo per il bisnonno e per il nipote.
Il futuro si compie ora
e se io sollevo la mano
tutti e cinque i raggi rimarranno presso di voi.
Io ogni giorno del passato, come una puntellatura,
con le mie clavicole ho sostenuto,
misurai il tempo con la catena dell’agrimensore
ed attraverso esso sono passato, come attraverso gli Urali.

III

Io mi sceglievo il secolo secondo la grandezza.
Andavamo al sud, alzavamo la polvere sopra la steppa;
l’erbaccia fumava; il grillo campestre faceva il birichino,
toccava con i baffi i ferri dei cavalli e profetava
e, come un monaco, minacciava per me la rovina.
Io il mio destino alla sella allacciavo;
io, anche adesso, in epoche future,
come un bambino mi solleverò sulle staffe.
Sono soddisfatto della mia immortalità,
che il mio sangue scorra di secolo in secolo.
Per un angolo sicuro di costante calore
io avrei arbitrariamente pagato con la vita,
qualora il suo mobile ago
non mi avesse, come filo, condotto per il mondo.

(1965) È fuggita l’estate,
più nulla rimane.
Si sta bene al sole.
Eppur questo non basta.

Quel che poteva essere
una foglia dalle cinque punte
mi si è posata sulla mano.
Eppur questo non basta.

Ne’ il bene ne’ il male
sono passati invano,
tutto era chiaro e luminoso.
Eppur questo non basta.

La vita mi prendeva,
sotto l’ala mi proteggeva,
mi salvava, ero davvero fortunato.
Eppur questo non basta.

Non sono bruciate le foglie,
non si sono spezzati i rami…
Il giorno è terso come cristallo.
Eppur questo non basta.

Арсений Тарковский

Жизнь, жизнь

I

Предчувствиям не верю и примет
Я не боюсь. Ни клеветы, ни яда
Я не бегу. На свете смерти нет.
Бессмертны все. Бессмертно все. Не надо
Бояться смерти ни в семнадцать лет,
Ни в семьдесят. Есть только явь и свет,
Ни тьмы, ни смерти нет на этом свете.
Мы все уже на берегу морском,
И я из тех, кто выбирает сети,
Когда идет бессмертье косяком.

II

Живите в доме – и не рухнет дом.
Я вызову любое из столетий,
Войду в него и дом построю в нем.
Вот почему со мною ваши дети
И жены ваши за одним столом –
А стол один и прадеду и внуку:
Грядущее свершается сейчас,
И если я приподнимаю руку,
Все пять лучей останутся у вас.
Я каждый день минувшего, как крепью,
Ключицами своими подпирал,
Измерил время землемерной цепью
И сквозь него прошел, как сквозь Урал.

III

Я век себе по росту подбирал.
Мы шли на юг, держали пыль над степью;
Бурьян чадил; кузнечик баловал,
Подковы трогал усом, и пророчил,
И гибелью грозил мне, как монах.
Судьбу свою к седлу я приторочил;
Я и сейчас, в грядущих временах,
Как мальчик, привстаю на стременах.

Мне моего бессмертия довольно,
Чтоб кровь моя из века в век текла.
За верный угол ровного тепла
Я жизнью заплатил бы своевольно,
Когда б ее летучая игла
Меня, как нить, по свету не вела.

1965

http://ruthenia.ru/60s/tarkovskij/zhizn.htm

È fuggita l’estate,
più nulla rimane.
Si sta bene al sole.
Eppur questo non basta.

Quel che poteva essere
una foglia dalle cinque punte
mi si è posata sulla mano.
Eppur questo non basta.

Ne’ il bene ne’ il male
sono passati invano,
tutto era chiaro e luminoso.
Eppur questo non basta.

La vita mi prendeva,
sotto l’ala mi proteggeva,
mi salvava, ero davvero fortunato.
Eppur questo non basta.

Non sono bruciate le foglie,
non si sono spezzati i rami…
Il giorno è terso come cristallo.
Eppur questo non basta.

Il libro dimenticato: Scolpire il tempo

di Inside man

notizie

creato il 31 ottobre 2010

Il cinema è l’unica forma d’arte che, proprio perché operante all’interno del concetto e dimensione di tempo, è in grado di riprodurre l’effettiva consistenza del tempo, l’essenza della realtà, fissandolo e conservandolo per sempre.

(Scolpire il tempo – 1986 – Andrej Tarkovskij)

Volume fondamentale della teoria cinematografica moderna, l’opera letteraria del maestro russo Andrej Tarkovskij, edito in Italia da Ubulibri nel lontano 1988, è ormai da anni scandalosamente fuori catalogo, e risulta praticamente introvabile se non negli scaffali di qualche biblioteca a suo tempo particolarmente lungimirante.

Summa della sofferta riflessione estetica dell’autore, maturata fra il 1970 e il 1986 (anno della sua morte) in stretto connubio con le proprie vicende personali (poi confluite più ampiamente nei diari pubblicati con il titolo di “Martirologio” – Firenze, Edizioni della Meridiana – 2002), il libro si configura come una lucidissima ed appassionata dichiarazione/analisi sulle enormi potenzialità dell’arte (in special modo quella cinematografica, ma non solo), in cui l’elemento “Tempo” diviene il fulcro centrale di una concezione poetico-filosofica tra le più straordinarie ed originali di tutto il novecento (concretizzatasi sullo schermo in alcuni indimenticabili capolavori quali Andrej Rublev, Solaris e Stalker), capace di emanare la sua influenza fino a giorni nostri nelle opere di grandi autori contemporanei quali Sokurov in primis, Tarr, e Von Trier.

L’arte è, nella propria essenza, qualcosa di quasi religioso: una sacra coscienza di un elevato dovere spirituale. L’arte priva di spiritualità reca in se stessa la propria tragedia. Persino la constatazione della mancanza di spiritualità del tempo in cui vive richiede all’artista la più alta e determinata elevatezza spirituale.

L’artista autentico è sempre al servizio dell’immortalità, si sforza di rendere immortale il mondo e l’uomo in questo mondo. L’artista che non tenta di scoprire la verità assoluta, che trascura le finalità globali per quelle particolari, è soltanto una prostituta».

Il testo è suddiviso in capitoli riguardanti ciascuno dei film tarkovskiani, e fra i tanti vividi pensieri alcuni, profondissimi, sono dedicati all’esegesi della poesia giapponese Haiku, sua peculiare fonte d’ispirazione:

Un vecchio stagno.
Una rana è saltata nell’acqua.
Uno sciacquio nel silenzio.

La celebre poesia Haiku composta da Matsuo Basho (1644-1694) e variamente tradotta (viste le enormi difficoltà di comparazione fra i due alfabeti), è lo spunto per definire principi illuminanti sulla funzione del tempo in rapporto all’immagine:

“Questi versi sono stupendi per l’irripetibilità dell’istante afferrato e fermato che cade dall’eternità.”

“(…) Essi non si limitavano ad osservarla, ma senza agitazione e senza inquietudine ne ricercavano l’eterno significato. Quanto più esatta è l’osservazione tanto più essa è unica. E quanto più essa è unica, tanto è più vicina all’immagine”

“Chi legge una poesia haiku deve dissolversi in essa come ci si dissolve nella natura, sprofondarsi in essa, perdersi nelle sue profondità come nel cosmo dove non esistono né alto né basso.”

L’auspicio è che finalmente si provveda alla riedizione italiana di uno dei saggi di basilare importanza per la settima arte, rimasto troppo a lungo in un oblio incomprensibile (se si escludono le solite, implacabili, ragioni economiche).

http://www.filmtv.it/post/511/il-libro-dimenticato-scolpire-il-tempo/#rfr:none

http://www.unipa.it/~estetica/download/Scarlato.pdf

Andrei Tarkovsky – Sculpting In Time – Internet Archive

SACRIFICIO di Andrej Tarkovskij by Roger Ebert – Sofia Rondelli

Andrei Tarkovsky: Un poeta en el cine | controappuntoblog.org

Andrej Rublev di Tarkovskij Andrej Film Streaming, clip e recensioni

Music of Andrei Rublev – Full Official Soundtrack

“NOSTALGHIA” DI Andrej Tarkovskij: tra teoria e set .

15 tesi su un oggetto misterioso chiamato compassione ; Andrej Tarkovskij – Stalker

L’infanzia di Ivan (Ivanovo detstvo) di Andrej Tarkovskij

Solaris 1968 w/ Eng subs DI Andrej Tarkovskij ..

Hamlet’s Advice to the Players : SPEAK THE SPEECH : cultura


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