allo stesso modo che originariamente gli dèi non sono la causa, ma l’effetto dell’umano vaneggiamento. K MARX

Parimenti, il lavoro estraniato degradando a mezzo l’attività autonoma, l’attività libera, fa della vita dell’uomo come essere appartenente ad una specie un mezzo della sua esistenza fisica.
Per opera dell’alienazione, la coscienza, che l’uomo ha della sua specie, si trasforma quindi in ciò che la sua vita di essere che appartiene ad una specie diventa per lui un mezzo.
Il lavoro alienato fa dunque:
3) dell’essere dell’uomo, come essere appartenente ad una specie, tanto della natura quanto della sua specifica capacità spirituale, un essere a lui estraneo, un mezzo della sua esistenza individuale. Esso rende all’uomo estraneo il suo proprio corpo, tanto la natura esterna, quanto il suo essere spirituale, il suo essere umano.
4) Una conseguenza immediata del fatto che l’uomo è reso estraneo al prodotto del suo lavoro, della sua attività vitale, al suo essere generico, è l’ estraniazione dell’uomo dall’uomo. Se l’uomo si contrappone a se stesso, l’altro uomo si contrappone a lui. Quello che vale del rapporto dell’uomo col suo lavoro, col prodotto del suo lavoro e con se stesso, vale del rapporto dell’uomo con l’altro uomo, ed altresì col lavoro e con l’oggetto del lavoro dell’altro uomo.
In generale, la proposizione che all’uomo è reso estraneo il suo essere in quanto appartenente a una specie, significa che un uomo è reso estraneo all’altro uomo, e altresì che ciascuno di essi è reso estraneo all’essere dell’uomo.
L’estraniazione dell’uomo, in generale ogni rapporto in cui l’uomo è con se stesso, si attua e si esprime soltanto nel rapporto in cui l’uomo è con l’altro uomo.
Dunque nel rapporto del lavoro estraniato ogni uomo considera gli altri secondo il criterio e il rapporto in cui egli stesso si trova come lavoratore.
[XXV] Abbiamo preso le mosse da un fatto dell’economia politica, dall’estraniazione dell’operaio e della sua produzione. Abbiamo espresso il concetto di questo fatto: il lavoro estraniato, alienato. Abbiamo analizzato questo concetto e quindi abbiamo analizzato semplicemente un fatto dell’economia politica.
Ora, proseguendo, vediamo come il concetto del lavoro estraniato, alienato, debba esprimersi e rappresentarsi nella realtà.
Se il prodotto del lavoro mi è estraneo, mi sta di fronte come una potenza estranea, a chi mai appartiene ?
Se un’attività che è mia non appartiene a me, ed è un’attività altrui, un’attività coatta, a chi mai appartiene ?
Ad un essere diverso da me.
Ma chi è questo essere ?
Son forse gli dèi? Certamente, in antico non soltanto la produzione principale, come quella dei tempi, ecc., in Egitto, in India, nel Messico, appare eseguita al servizio degli dèi, ma agli dèi appartiene anche lo stesso prodotto. Soltanto che gli dèi non furono mai essi stessi i soli padroni. E neppure la natura. Quale contraddizione mai sarebbe se, quanto più col proprio lavoro l’uomo si assoggetta la natura, quanto più i miracoli divini diventano superflui a causa dei miracoli dell’industria, l’uomo dovesse per amore di queste forze rinunciare alla gioia della produzione e al godimento del prodotto.
L’essere estraneo, a cui appartengono il lavoro e il prodotto del lavoro, che si serve del lavoro e gode del prodotto del lavoro, non può essere che l’uomo.
Se il prodotto del lavoro non appartiene all’operaio, e un potere estraneo gli sta di fronte, ciò è possibile soltanto per il fatto che esso appartiene ad un altro uomo estraneo all’operaio. Se la sua attività è per lui un tormento, deve essere per un altro un godimento, deve essere la gioia della vita altrui. Non già gli dèi, non la natura, ma soltanto l’uomo stesso può essere questo potere estraneo al di sopra dell’uomo.
Si ripensi ancora alla tesi sopra esposta, che il rapporto dell’uomo con se stesso è per lui un rapporto oggettivo e reale soltanto attraverso il rapporto che egli ha con gli altri uomini.
Se quindi egli sta in rapporto al prodotto del suo lavoro, al suo lavoro oggettivato come in rapporto ad un oggetto estraneo, ostile, potente, indipendente da lui, sta in rapporto ad esso in modo che padrone di questo oggetto è un altro uomo, a lui estraneo, ostile, potente e indipendente da lui. Se si riferisce alla sua propria attività come a una attività non libera, si riferisce a essa come a un’attività che è al servizio e sotto il dominio, la coercizione e il giogo di un altro uomo.
Ogni autoestraniazione dell’uomo da sé e dalla natura si rivela nel rapporto che egli stabilisce tra sé e la natura da un lato e gli altri uomini, distinti da lui, dall’altro. Perciò l’autoestraniazione religiosa appare necessariamente nel rapporto del laico col prete, oppure – trattandosi qui del mondo intellettuale – con un mediatore, ecc. Nel mondo reale pratico l’autoestraniazione può presentarsi soltanto nel rapporto reale pratico con gli altri uomini. Il mezzo, con cui avviene l’estraniazione, è esso stesso un mezzo pratico. Col lavoro estraniato l’uomo costituisce quindi non soltanto il suo rapporto con l’oggetto e con l’atto della produzione come rapporto, con forze estranee ed. ostili; ma costituisce, pure il rapporto in cui altri uomini stanno con la sua produzione e col suo prodotto, e il rapporto in cui egli sta con questi altri uomini. Come l’uomo fa della propria produzione il proprio annientamento, la propria punizione, come pure fa del proprio prodotto una perdita, cioè un prodotto che non gli appartiene, cosi pone in essere la signoria di colui che non produce, sulla produzione e sul prodotto. Come egli rende a sé estranea la propria attività, cosi rende propria all’estraneo l’attività che non gli è propria.
Abbiamo sinora considerato il rapporto soltanto dal lato dell’operaio e lo considereremo più tardi anche dal lato del non-operaio.
Dunque, col lavoro estraniato, alienato, l’operaio pone in essere il rapporto di un uomo che è estraneo e al di fuori del lavoro, con questo stesso lavoro. Il rapporto dell’operaio col lavoro pone in essere il rapporto del capitalista – o come altrimenti si voglia chiamare il padrone del lavoro – col lavoro. La proprietà privata è quindi il prodotto, il risultato, la conseguenza necessaria del lavoro alienato, del rapporto di estraneità che si stabilisce tra l’operaio, da un lato, e la natura e lui stesso dall’altro.
La proprietà privata si ricava quindi mediante l’analisi del concetto del lavoro alienato, cioè dell’uomo alienato, del lavoro estraniato, della vita estraniata, dell’uomo estraniato.
Certamente abbiamo acquisito il concetto di lavoro alienato (di vita alienata) traendolo dall’economia politica come risultato del movimento della proprietà privata. Ma con un’analisi di questo concetto si mostra che, anche se la proprietà privata appare come il fondamento, la causa del lavoro alienato, essa ne è piuttosto la conseguenza; allo stesso modo che originariamente gli dèi non sono la causa, ma l’effetto dell’umano vaneggiamento. Successivamente questo rapporto si converte in un’azione reciproca.

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