Calamari Union regia di Aki Kaurismäki ; Chacun son cinéma….

Calamari Union regia di Aki Kaurismäki

«L’idea era quella di farli morire tutti, o di farli sposare, il che è lo stesso. Poi mi sono lasciato intenerire e alla fine ne ho lasciati in vita due o tre, almeno fisicamente. Non so dire altro».” (Peter von Bagh, Aki Kaurismäki. Dialogo sul cinema, la vita, la vodka, Isbn Edizioni, Milano 2007)

recensione di Alessandro Pascale

Un grup­po di amici vive al­l’e­stre­ma pe­ri­fe­ria di Hel­sin­ki. Sono così lon­ta­ni dal cen­tro della città, che per loro è come se vi­ves­se­ro in un altro mondo. Un gior­no de­ci­do­no di par­ti­re per an­da­re a vi­si­ta­re il cen­tro sto­ri­co, si ac­cor­go­no al­lo­ra che Hel­sin­ki in real­tà è un luogo molto pe­ri­co­lo­so, dove die­tro ogni an­go­lo è in ag­gua­to un’av­ven­tu­ra.

Si­gno­re e si­gno­ri, ben­ve­nu­ti nel me­ra­vi­glio­so mondo di Kau­ri­sma­ki, mae­stro nor­di­co del ci­ne­ma sur­real-mi­ni­ma­le. Ri­cor­da il re­gi­sta che dopo l’e­sor­dio “clas­si­ci­sta” di De­lit­to e Ca­sti­go (1983) tutti i cri­ti­ci fin­lan­de­si lo aspet­ta­va­no la varco per “pu­gna­lar­lo alla schie­na”. Lui se ne uscì quin­di con un film com­ple­ta­men­te di­ver­so che in­vi­ta­va tutti a non ve­de­re per­ché dav­ve­ro pes­si­mo.

Che Ca­la­ma­ri Union sia un’o­pe­ra del tutto fuori dalla norma è poco ma si­cu­ro, ma di pes­si­mo c’è dav­ve­ro poco, per non dire nulla. Di as­sur­do sem­mai, quel­lo sì, ce n’è dav­ve­ro tanto. Ed è un’as­sur­di­tà tre­men­da­men­te reale e cru­de­le, pur nella sua ir­rea­le e pa­ro­di­ca gof­fag­gi­ne. Una ven­ti­na scar­sa di per­so­ne di­sa­dat­ta­te, po­ve­re in canna e dal­l’a­spet­to stram­pa­la­to in stile Blues Bro­thers dei ghet­ti punk, si ri­tro­va­no in un sa­lo­ne per pia­ni­fi­ca­re la fuga dalla real­tà de­gra­dan­te del pro­prio quar­tie­re. Obiet­ti­vo: l’a­gia­ta zona ur­ba­na di Eira, luogo dove i no­stri spe­ra­no di poter tro­va­re mi­glio­ri con­di­zio­ni di vita.

Tutti gli uo­mi­ni por­ta­no oc­chia­li da sole e si chia­ma­no Frank. Tutti. Al di fuori di po­chis­si­mi lampi di lu­ci­di­tà (tra cui i primi il­lu­mi­nan­ti mi­nu­ti di in­tro­du­zio­ne) i dia­lo­ghi e i di­scor­si che se­guo­no ten­do­no al­l’ir­rea­le o al tea­tro del­l’as­sur­do di Io­ne­sco. Quel­lo che do­vreb­be es­se­re un viag­gio sem­pli­ce di­ven­ta un per­cor­so a vuoto, un’im­mer­sio­ne in una cit­tà-la­bi­rin­to che sem­bra aver­li tutti in­trap­po­la­ti come al­l’in­ter­no di una bolla di sa­po­ne. Il grup­po si di­sper­de e ini­zia ad es­se­re via via in­glo­ba­to o pu­ni­to dalla lu­ci­di­tà di una so­cie­tà che col­pi­sce spie­ta­ta­men­te il grup­pet­to so­cia­le emar­gi­na­to e “di­ver­so”.

Chi non si ar­ren­de e lotta in ma­nie­ra anche vio­len­ta e de­ci­sa viene eli­mi­na­to senza pos­si­bi­li­tà di ap­pel­lo, senza pro­ces­so, nel­l’in­dif­fe­ren­za (con­sen­so si­len­zio­so?) ge­ne­ra­le. Alla fine solo in due ar­ri­ve­ran­no alla meta ma in­cre­di­bil­men­te non vi tro­ve­ran­no mo­ti­vo di sod­di­sfa­zio­ne, anzi la fa­ti­di­ca Eira di­ven­te­rà il ponte di lan­cio per una nuova tappa più lon­ta­na, l’Esto­nia. Ma ormai il grup­po è ri­dot­to a due sole unità e la forza po­ten­zia­le delle prime scene la­scia il posto ad un’a­ma­ra e co­mi­ca scena in cui i due su­per­sti­ti cer­ca­no di at­tra­ver­sa­re il mare in barca a remi.

Ci az­zar­dia­mo a fare un’in­ter­pre­ta­zio­ne po­li­ti­ca di Ca­la­ma­ri Union, per cui il grup­pet­to di sban­da­ti ini­zia­li sim­bo­leg­ge­reb­be la clas­se pro­le­ta­ria: senza un soldo, tutti ugua­li (ugua­le nome), poco istrui­ti, dal­l’a­spet­to ap­pa­ren­te­men­te vol­ga­re e di­sa­dat­ta­to. Que­sta, te­nen­do ben saldo l’o­riz­zon­te co­mu­ni­sta (la fan­to­ma­ti­ca Eira) si tro­va­no a dover lot­ta­re du­ra­men­te con la so­cie­tà che gli pone osta­co­li in­sor­mon­ta­bi­li e den­tro la quale al­cu­ni sem­bra­no per­de­re la co­scien­za di clas­se (chi de­ci­de di ri­nun­cia­re al sogno per un la­vo­ret­to si­cu­ro come il por­tie­re di notte, chi si fa am­ma­lia­re da una bella donna su una bella mac­chi­na) altri per­do­no la vita senza ri­mor­so nel­l’a­zio­ne ri­vo­lu­zio­na­ria o nel ten­ta­ti­vo di pro­pa­gan­da verso un po­po­lo solo fin­ta­men­te tale (tale l’uc­ci­sio­ne fatta dalla “se­gre­ta­ria” che dopo monta in sella sul mac­chi­no­ne).

Alla fine i pochi che ar­ri­ve­ran­no a co­glie­re il so­cia­li­smo reale ca­dran­no nella gran­de de­lu­sio­ne, e ini­zie­ran­no a rin­cor­re­re altre ideo­lo­gie, altri sogni, con mezzi (chia­vi di let­tu­ra po­li­ti­che) sem­pre meno ade­gua­te e scar­se (la barca a remi…). Que­sta è una chia­ve di let­tu­ra, ma forse si può pen­sa­re che il “Frank” fisso per tutti i per­so­nag­gi te­sti­mo­ni piut­to­sto la per­di­ta d’i­den­ti­tà del­l’in­di­vi­duo po­st-mo­der­no, in­ca­pa­ce di ri­ta­gliar­si uno spa­zio in­di­vi­dua­le au­to­no­mo dalle ca­te­go­rie e clas­si so­cia­li cui è co­stret­to. Di qui la ri­bel­lio­ne in cerca di una so­cie­tà mi­glio­re, in grado di va­lo­riz­zar­lo dav­ve­ro.

Tante le al­le­go­rie e i sim­bo­li­smi del­l’o­pe­ra di Kau­ri­sma­ki. Sor­pren­den­te so­prat­tut­to il fatto che una si­mi­le ric­chez­za sot­to­te­stua­le sia stata rea­liz­za­ta con mezzi scar­sis­si­mi, una sce­neg­gia­tu­ra strin­ga­ta al­l’os­so nei dia­lo­ghi ed una vena sur­real-grot­te­sca degna del mi­glior Lynch. Il tutto con­di­to da una tec­ni­ca re­gi­sti­ca so­praf­fi­na che non la­scia nes­su­na in­qua­dra­tu­ra al caso, al­ter­nan­do ri­pre­se svo­laz­zan­ti a ca­me­re fisse fi­glie della Nou­vel­le Vague più estre­ma. La scel­ta del bian­co-ne­ro in­fi­ne non fa che ag­giun­ge­re un tocco di atem­po­ra­li­tà e clas­si­ci­tà ad un’o­pe­ra che an­dreb­be sen­z’al­tro ri­sco­per­ta per la sua de­men­zia­le ma­gni­fi­cen­za.

http://www.storiadeifilm.it/avanguardia/surrealismo/aki_kaurism_ki-calamari_union%28villealfa_filmproduction_oy-1985%29.html

CALAMARI UNION (Aki Kaurismäki, 1985)

By integrating both paintings and a comic book’s illustrations into its black-and-white world, writer-director Aki Kaurismäki’s second fictional work, Calamari Union, helps make that world all the more convincing as a means of grounding its absurdities. Finland’s greatest film artist ever applies his deadpan humor to this stark, scattered depiction of seventeen electric guitar- or keyboard-clad members of a rock band who decide to move from hard-luck, working-class Kallio to a more advantaged, and presumably advantageous, section of Helsinki. But these guys, long since stripped of their youth, will take their discontent with them, as prefigured in their hijacking a subway train—later, a couple of them steal a scooter—in order to migrate. The film is littered with gunshots and corpses, including theirs.
This slight work, more a flexing of style and tone than a film (Kaurismäki has expressed dissatisfaction with it), mixes the influence of Jean-Pierre Melville and early Godard with Kaurismäki’s wryness and bleak social analysis. The fact that the men are all named Frank is telling. Their social background has ground them down into a sameness—one of numerous depleted souls facing the same dead-end. It is also possible that they once decided to rechristen themselves Frank to enhance their solidarity and to relieve themselves of the everyday burden of remembering who is who and what’s what. Their eyes generally hide behind dark glasses, even indoors, even outside at night—this, a complex denial of their anonymity by their insistence on it, in effect an extension of their same-namedness. It is also Kaurismäki’s exquisite joke, an allusion to the “ink” that squids eject to defend themselves. These men are the “Calamari Union.”
Kaurismäki has famously said he was either drunk or heavily hung-over during the entire shoot. I don’t believe him

https://grunes.wordpress.com/2009/08/10/calamari-union-aki-kaurismaki-1985/




OMBRE NEL PARADISO – El mundo desencantado de Aki

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