Fortezza Schengen: come cambieranno le nostre vite – État d’urgence ; quanto costerà a livello economico?

IN MERITO ALLA DOMANDA NEL TITOLO NON ANCORA DISPONIBILI DATI; DI CERTO BISOGNERA’ RIVEDERE I CONTI PER LA PRESUNTA “RIPRESA ECONOMICA”

Fortezza Schengen: ecco come cambieranno le nostre vite
Per l’Europol altri attentati sono probabili. La Ue vuole misure ad hoc sulla sicurezza Quali sono? E cambieranno le nostre vite?
marco zatterin
corrispondente da bruxelles

L’Europol dice che non è finita. «È ragionevole supporre che altri attacchi siano probabili», avverte il direttore Rob Wainright, per il quale «abbiamo a che fare con un’organizzazione terroristica determinata, seria, con ampie risorse e attiva nelle nostre strade». È un modo per dire che non bisogna abbassare la guardia, invito che l’Unione europea giura di voler mettere in pratica nella riunione dei ministri degli Interni e della Giustizia di oggi. Si attendono decisioni concrete, almeno più del solito, anche perché il dopo Charlie Hebdo è stato deludente. Primi due passi: giro di vite ai controlli sulla frontiera esterna e schedatura dal 2016 per i passeggeri dei voli anche intracomunitari. È la «fortezza Schengen». Meno male e purtroppo.

Il rafforzamento della vigilanza dovrebbe aumentare la sicurezza dei cittadini che, però, pagheranno la rinvigorita tutela con una perdita di libertà. Un arretramento necessario, forse, evitabile se in altre occasioni non si fosse pensato agli interessi nazionali, ma al bene comune. Invece i passi sono stati deludenti. «Dobbiamo dimostrare la capacità di azione ed essere credibili – dice Étienne Schneider, vicepremier del Lussemburgo, guida di turno Ue – e non continuare a palleggiare le decisioni fra Commissione, Parlamento e Consiglio».

Ottimi auspici. Implicano che, se va bene, l’Europa agirà e riscriverà alcune abitudini dei suoi cittadini. Cosa che, a livello locale, molti governi hanno già fatto, in Francia come in Belgio. Ecco come. E cosa comporta per gli europei.

Più vincoli

LA LIBERA CIRCOLAZIONE SARÀ LIMITATA

Se ne parla da tempo, ma solo ora, nel momento del dramma, i governi son compatti. Troppi miliziani del Califfato, nati fra noi e con un passaporto europeo, hanno attraversato con facilità la frontiera esterna dello spazio Schengen. Sfruttano la più bella delle libertà, quella di circolazione, per seminare il terrore. Così ora i ventotto fanno un passo indietro e decidono di «attuare immediatamente i necessari controlli sistematici e coordinati, anche sugli individui che beneficano della libera circolazione».

Fuori il passaporto

CONTROLLI IN TEMPO REALE E PIÙ FILE

Ci saranno più uomini nei gabbiotti delle dogane, più computer efficienti e in linea a tempo pieno. La bozza di conclusioni del vertice odierno afferma che i Ventotto rilanceranno il sistema di controlli «entro

il marzo 2016», con un «collegamento in tempo reale a Europol e a tutti i posti di frontiera dove avvengono le verifiche elettroniche dei documenti». I dati saranno immagazzinati e resi disponibili per tutte le polizie dell’Unione. Vuol dire più code e più attese, negli aeroporti, sui treni e lungo autostrade. Fra Roma e Bruxelles non cambia nulla. Ma se si rientra da Londra o New York bisognerà fare la fila. Un pezzo di autonomia persa. Temporaneamente, si spera.

L’emergenza e noi

MENO LIBERI MA PIÙ PROTETTI?

Meno liberi, più protetti? In Francia «l’état d’urgence» consente alle autorità di vietare all’istante la libertà di circolazione, limitare il soggiorno, vietare manifestazioni e autorizzare perquisizioni più facilmente. Il Belgio rafforza i controlli alle frontiere, spedisce altri 520 militari a pattugliare le strade delle città, userà il braccialetto elettronico per le persone sospette, mentre non si potrà più avere un telefono senza legare la carta Sim all’identità. Era in effetti una pratica piuttosto curiosa.

Anche per i voli interni

VIA LIBERA ENTRO L’ANNO AL REGISTRO DEI PASSEGGERI

Se ne parla da anni. È il registro europeo dei nomi dei passeggeri. I governi Ue sono d’accordo, ma il dossier è frenato all’Europarlamento, dove parte dei socialisti, liberali e verdi, vogliono essere certi che non ci siano limitazioni per il diritto alla tutela dei dati personali. La bozza sul tavolo del Consiglio stamane propone l’adozione entro l’anno del Pnr, con l’inclusione della schedatura dei voli interni e per «un periodo di tempo sufficientemente lungo».

Un anno, sarà. Senza un limite ai crimini di natura transnazionale. Controlli su cittadini anche europei e per ogni tipo di reato, il che non guasta.

Il club degli 007

NASCE IL COORDINAMENTO TRA SERVIZI SEGRETI

Li hanno presi, ma se li sono fatti anche passare sotto il naso. Meglio ragionare su come integrare e coordinare l’Intelligence.

Dal gennaio Europol lancerà l’Ectc, il Centro europeo antiterrorismo, nel quale «gli Stati potranno aumentare scambio di informazioni

e coordinamento operativo sul monitoraggio antiterrorismo». Le capitali faranno confluire nella cellula gli esperti nazionali, creando un’unità di vigilanza transfrontaliera.

«Faremo il massimo uso di queste capacità», assicurano. Sinora, non è successo.

Solo cinque governi informano regolarmente Europol sui dossier antiterrorismo.

IL TRATTATO DI SCHENGEN

Lo spazio Schengen è un’area di libera circolazione nell’Unione Europea, all’interno della quale sono stati aboliti i controlli alle frontiere, salvo circostanze eccezionali. È attualmente composto da 26 Paesi, di cui 22 membri dell’Unione europea e quattro non membri (Islanda, Liechtenstein, Norvegia e Svizzera). Il trattato non include Bulgaria, Cipro, Croazia, Romania (perchè non ancora in vigore) e Irlanda e Regno Unito, che non hanno aderito alla convenzione. Gli Stati non Ue che partecipano a Schengen sono Islanda, Norvegia, Svizzera e Liechtenstein. Oggetto del trattato è il controllo delle persone, che non va confuso con i controlli doganali sulle merci, aboliti tra gli Stati Membri della Ue dal 1º gennaio 1993 (caduta delle frontiere). L’area di libera circolazione è entrata progressivamente in vigore a partire dal 1985, con un accordo di massima concluso da un gruppo di governi europei nella località lussemburghese di Schengen.

http://www.lastampa.it/2015/11/20/esteri/fortezza-schengen-ecco-come-cambieranno-le-nostre-vite-yOE1E4jJ1QuFRNpGfrbM7J/pagina.html

Etat d’urgence

Les sept mesures sécuritaires qui interpellent

Par Sylvain Mouillard , Lilian Alemagna et Amaelle Guiton

 

Les députés ont adopté ce jeudi le projet de loi renforçant l’état d’urgence, les sénateurs devant se prononcer vendredi. Passage en revue des dispositions votées et envisagées par l’exécutif, et des éventuelles menaces qu’elles représentent pour les libertés publiques.

  • Les sept mesures sécuritaires qui interpellent

Les policiers armés

Les policiers peuvent désormais porter leur arme en dehors de leurs heures de service. La mesure a été décidée par le ministre de l’Intérieur et communiquée aux fonctionnaires jeudi matin. D’ordre réglementaire, elle ne s’appliquera que pendant l’état d’urgence, sur une base de volontariat. Il s’agit en fait d’une extension des conditions jusque-là en vigueur, qui permettaient aux agents d’être munis de leurs armes lors de leurs trajets domicile-travail.

Désormais, il pourra en être ainsi même lors des congés, sur «l’ensemble du territoire national». Les policiers volontaires devront avertir leur hiérarchie et être en possession de leur brassard, afin de pouvoir s’identifier rapidement. L’objectif est de permettre à des agents en repos de pouvoir intervenir rapidement s’ils se retrouvent confrontés à des opposants armés. «En voulant faire trop bien, on risque de mettre en difficulté les policiers», a averti le député PS Daniel Vaillant, pointant les risques de vol de ces armes et le nombre de suicides dans la profession. Un risque balayé par Luc Poignant, du syndicat Unité-SGP FO : «Les policiers sont formés et aguerris au tir et à l’autodéfense.» «Très satisfait» de la mesure, il espère que les responsables politiques vont aussi revoir les conditions de la légitime défense. «Aujourd’hui, il faut quasiment se faire tirer dessus pour pouvoir riposter.» En revanche, l’amendement du LR Christian Estrosi pour que la police municipale puisse avoir les mêmes armes que la police nationale a été rejeté.

L’assignation à résidence

Elle aussi votée dans le cadre de la loi sur l’état d’urgence, l’assignation à résidence, décidée par le ministre de l’Intérieur sans intervention du juge, a vu ses conditions renforcées. «Elle ne doit pas viser uniquement les activités dangereuses avérées, c’est-à-dire quand il est trop tard, mais aussi les menaces fondées sur des présomptions sérieuses», a précisé Manuel Valls jeudi matin devant l’Assemblée. Un net durcissement de la loi de 1955 que regrette Virginie Duval, présidente de l’Union syndicale des magistrats (droite, majoritaire) : «La définition retenue aujourd’hui est trop large.» Elle pourrait en tout cas concerner les 10 000 personnes «fichées S».

L’assignation peut imposer à une personne des «horaires de couvre-feu obligatoires» ou des obligations de pointage au commissariat. L’assignation peut se faire à son domicile ou dans un autre lieu choisi par les autorités. Par amendements, les députés ont également permis qu’une personne soit contrainte à rester chez elle durant douze heures d’affilée. Ils ont ouvert la voie à la mise sous surveillance électronique pour certains individus ayant fini l’exécution de leur peine depuis moins de huit ans. «C’est très inquiétant, juge Virginie Duval. Cette mesure est attentatoire aux libertés et n’est aujourd’hui réservée qu’aux personnes déjà sous écrou.» La mise en œuvre pratique ne sera pas aisée. Aujourd’hui, c’est l’administration pénitentiaire qui est chargée du suivi – «très lourd» – des détenus munis d’un bracelet électronique.

L’ordre public

C’est une des premières conséquences de la sécurité post-attentats : les deux «marches pour le climat» prévues par les ONG environnementales durant la COP 21, à Paris, ont été annulées par le gouvernement. Les rassemblements en Ile-de-France sont toujours interdits jusqu’à dimanche. La possibilité d’empêcher toute manifestation sur la voie publique pour «raisons de sécurité» durant les trois mois d’état d’urgence inquiète notamment les organisations syndicales : «Ni l’ouverture des centres commerciaux où se concentrent de nombreux salariés et clients ni le maintien d’événements sportifs dans des stades accueillant des dizaines de milliers de personnes ne font l’objet de mesures similaires»,note la CGT Paris.

Par ailleurs, outre le renforcement des perquisitions administratives (lire page 7), le gouvernement a fait inscrire dans la loi sur l’état d’urgence la possibilité de «dissoudre les associations ou groupements de fait qui participent, facilitent ou incitent à la commission d’actes portant une atteinte grave à l’ordre public». Manuel Valls a été très clair sur ses intentions : cela «vise à fermer plus rapidement, en quelques jours, des mosquées salafistes radicales». Une «bonne mesure», selon Marion Maréchal-Le Pen, députée FN. Une source d’inquiétude pour Jeanne Sulzer, responsable juridique d’Amnesty International France, qui rappelle que la dissolution est déjà prévue «en cas d’urgence» par la législation. «Il est toujours préoccupant de prévoir des champs plus larges alors que le droit actuel est suffisant.»

Le cas des «fichés S» porté devant le Conseil d’Etat

Depuis l’arrestation en avril de Sid Ahmed Ghlam, jeune Algérien qui préparait un attentat contre des églises à Villejuif, la droite revient en permanence avec ses propositions d’incarcérations préventives des personnes avec une «fiche S» de la police («S» pour «sûreté»). Le député LR Laurent Wauquiez répète depuis une semaine vouloir la création de «centres d’internement» pour y enfermer plusieurs milliers de «fichés».

Nicolas Sarkozy souhaite, lui, les «assigner à résidence» avec un bracelet électronique. Jeudi, dans l’hémicycle, Bernard Cazeneuve, a rappelé que ces fiches S permettaient «de manière extrêmement discrète de neutraliser des acteurs». «Je ne voudrais pas que l’on prive les services de police et de renseignement d’outils pour prévenir des attentats», a-t-il souligné. Pour autant, la gauche ne repousse plus a priori les propositions de l’opposition sur le sujet.

Dans son discours devant le Congrès, lundi à Versailles, François Hollande a lancé à la droite que les «propositions» qu’elle suggère pour «accroître la surveillance de certains individus, fichés notamment», seront bientôt, «dans un esprit d’unité nationale», portées pour avis devant le Conseil d’Etat. Le Président compte ainsi faire «vérifier la conformité de ces propositions à nos règles fondamentales et à nos engagements internationaux» avant d’en tirer «toutes les conséquences». De quoi pouvoir dénoncer la «démagogie» de la droite en cas d’avis négatif de la plus haute juridiction administrative. Ou de se retrouver contraint de suivre la droite.

Le centre de déradicalisation

Le site sera choisi «d’ici la fin de l’année», comme l’a annoncé Manuel Valls à l’Assemblée nationale. Ce centre de «déradicalisation» pourrait d’abord accueillir des «repentis» qui seront «mis à l’épreuve afin de mesurer leur volonté de réinsertion dans la durée». Les «financements» et le «projet pédagogique» sont «en voie de finalisation», a précisé le Premier ministre. Qui a exclu que des jihadistes français de retour de Syrie et d’Irak rejoignent de telles structures : «Leur place est en prison.» Outre les repentis, ce projet de centre – dont on ne sait s’il prévoit une quelconque privation de libertés – vise bien davantage les personnes, souvent jeunes, repérées pour leur radicalisation. Les autorités ont découvert sur le tard l’ampleur de la tâche et la nécessité d’entamer des actions de prévention, avant que les candidats au jihad ne prennent effectivement la direction du Moyen-Orient.

Le numéro vert lancé il y a un an et demi a permis à ce jour 3 800 signalements «pertinents», notamment de la part de proches désemparés. Ce travail de détection, coordonné par le préfet Pierre N’Gahane, s’appuie sur le réseau des préfectures. La déradicalisation à proprement parler est plus difficile. Les méthodes de Dounia Bouzar, du Centre de prévention contre les dérives sectaires liées à l’islam, sont contestées. Par ailleurs, une expérimentation a été lancée en prison, rassembler les détenus radicalisés pour limiter leurs actions de prosélytisme. Adeline Hazan, contrôleure générale des lieux de privation de liberté, avait fait état d’effets pervers, dont le risque de mêler des personnes aux degrés de radicalisation très disparates.

La déchéance de nationalité

La mesure est symbolique mais, issue de l’extrême droite, elle ferait tache à gauche. Comme il l’a annoncé lundi, François Hollande souhaite étendre les conditions permettant de déchoir un binational de sa nationalité française. Aujourd’hui, la mesure ne concerne que les personnes condamnées pour des actes de terrorisme ayant été naturalisées depuis quinze ans ou moins. Désormais, un Français binational, quel que soit le mode d’acquisition de sa nationalité (naissance ou naturalisation), pourra perdre sa citoyenneté française.

Pour Manuel Valls, il s’agit de viser ceux qui «rompent leur lien avec la République». Le sujet ne figure pas dans la loi sur l’état d’urgence, mais il est très présent dans le débat public. L’exécutif souhaite passer par une révision de la Constitution. Un choix que ne comprend pas le constitutionnaliste Dominique Rousseau : «Le Conseil constitutionnel ne s’opposerait absolument pas à une loi qui élargirait les conditions de la déchéance.»

De Matignon à Beauvau, en passant par la chancellerie, on se renvoie la balle pour expliquer cette volonté de constitutionnaliser une question de nationalité. Quant à l’efficacité de la mesure, elle reste douteuse : «On ne va pas faire peur à un type prêt à se faire sauter en le menaçant de lui retirer sa nationalité française», glisse Rousseau. Le gouvernement envisage de créer un «visa de retour» obligatoire pour les Français ou résidents en France partis faire le jihad. Ils seraient près d’un millier à avoir rejoint la Syrie et l’Irak. Mais certains, comme plusieurs terroristes du 13 novembre, sont revenus en France sans que les autorités ne s’en aperçoivent.

Le contrôle d’Internet

Régulièrement pointé du doigt depuis les attentats de janvier, Internet est à nouveau dans le collimateur, décrit ce jeudi par le radical de gauche Roger-Gérard Schwartzenberg comme l’«instrument principal de provocation au terrorisme». L’amendement conjoint PRG-UDI adopté par les députés permet au ministre de l’Intérieur, sous l’état d’urgence, de «prendre toute mesure pour assurer l’interruption de tout service de communication au public en ligne» – site internet, réseau social… – «provoquant à la commission d’actes de terrorisme ou en faisant l’apologie».

«Cette possibilité existe déjà !» tempête la chargée des campagnes de l’association la Quadrature du Net, Adrienne Charmet-Alix. Depuis la loi antiterroriste de novembre 2014, le blocage administratif, sans passer par le juge, de sites web faisant l’apologie du terrorisme est possible – une mesure à l’époque très critiquée, jugée inefficace et délicate à mettre en œuvre par de nombreux spécialistes -, via l’Office central de lutte contre la criminalité liée aux technologies de l’information et de la communication. Depuis février, 87 sites ont été bloqués. Hébergeurs internet et réseaux sociaux sont par ailleurs tenus de retirer les contenus «manifestement illicites» qui leur sont signalés. «On concentre encore plus les pouvoirs de censure dans les mains de l’exécutif», déplore Adrienne Charmet-Alix

http://www.liberation.fr/france/2015/11/19/les-policiers-armes_1414793

Questa voce è stata pubblicata in carcere repressione, EFFETTI COLLATERALI e contrassegnata con , . Contrassegna il permalink.