Bed Among the Lentils , UN LETTO FRA LE LENTICCHIE Alan Bennet leggi e ascolta

Sagarana UN LETTO FRA LE LENTICCHIE

Alan Bennett

(…) NERO
Susan sta fumando una sigaretta in sagrestia. Pomeriggio.
Avete mai visto un’immagine di Gesù che sorride? Una volta l’ho detto a Geoffrey. “Giusta osservazione, Susan” mi ha risposto, facendomi pentire di avere toccato quel tasto. Mi ha suggerito di pensare a Nostro Signore come a qualcuno che sorride interiormente, infatti la visione dottrinaria di Geoffrey è che Gesù si fece uomo per poter sorridere, ridere e comportarsi proprio come noialtri. Ho chiesto: “Secondo te ha mai fatto un sorriso beffardo?”, ma Geoffrey si è improvvisamente ricordato che doveva seppellire un tizio entro cinque minuti, e ha tagliato la corda.
Se è così vorrei che l’umanità di Gesù si vedesse un po’ di più anche nelle illustrazioni. Proprio ieri, seduta su una panca della chiesa, almanaccavo su questo aspetto teologico quando mi accorgo che deve essere successo qualcosa a Geoffrey. L’ora della funzione è passata da un bel pezzo, ma lui è ancora in sagrestia. Mr Bland colma l’attesa suonando all’organo qualcosa di esaltante, e Miss Frobisher, fedele alla linea ogni lasciata è persa, si è genuflessa per un fuori programma di preghiera a bocca chiusa. Mrs Shrubsole è assorta nella contemplazione dell’altare, sempre adorno dei “Mormorii nella foresta”, con l’ispirato tocco finale di un festoncino di agrifoglio intorno alla croce. Adesso Mr Bland aumenta il volume, ma Geoff ancora non si vede. “Arnold,” dice Mrs Belcher “si direbbe che c’è un ritardo nella funzione”, e d’un tratto il fan club è in allarme rosso. Lei fa scattare in piedi Mr Bland, ma io li precedo e schizzo a indagare in sagrestia.
Il reverendo è lì, cereo, tutti gli armadi spalancati, e praticamente in lacrime. “L’hai visto?” ha detto. “Che cosa?”. “Il vino. Il vino per la comunione. È sparito”. “Non è una tragedia” ho detto, e mi offro di fare una corsa a prenderne un po’ di quello profano. “È tutto chiuso. E poi sai cosa significa questo?”. “Significa che abbiamo finito il vino per la comunione”. “Non l’abbiamo finito. Venerdì ce n’era una bottiglia intera. Qualcuno l’ha bevuta”.
Sto per dirgli vediamo un po’ se Gesù è proprio ‘sto fenomeno, vediamo se riesce a farlo anche con l’acqua del rubinetto, quando improvvisamente mi ricordo che Mr Bland tiene nel suo armadietto un flacone di sciroppo per la tosse in caso di raucedine dei coristi. Al pensiero di celebrare la Comunione del Signore con il Benylin, Geoffrey adesso ha un crollo nervoso totale, eppure, faccio notare, lo sciroppo è rosso, è dolce, e non se ne accorgerà nessuno. Nemmeno quelli là. Vedo Mr Belcher leccarsi le labbra un po’ perplesso mentre risale la navata, ma questo è tutto. “Perché in ritardo?” chiede Mrs Shrubsole. “Niente,” dico “un piccolo inciampo”.
Siccome per una volta ne ho fatta una giusta, mi sento piuttosto compiaciuta, ma naturalmente Geoffrey non lo è, e non mi rivolge la parola per tutto il pomeriggio, sicché bigio il Vespro e vado a Leeds.
Evidentemente Mr Ramesh mi aspettava, perché c’è un letto preparato nel magazzino al piano di sopra. Salgo prima io ed entro. Quando sono nel letto, mi basta stendere la mano per sentire le lenticchie scorrermi tra le dita. Arriva lui, vestito per l’occasione. Camicia bianca lunga, fusciacca eccetera. Perizoma sotto. Tutto immacolato. Come Gesù. Ma diverso. Lo guardo mentre si spoglia, e penso a quelli là al Vespro e a Geoffrey che prega in quel suo modo pieno di pause, per darti il tempo di concentrarti su ogni frase. E il fan club che pende dalle sue labbra, convinti di amare Dio quando invece amano soltanto Geoffrey. Dio, t’imploriamo, illumina le nostre tenebre, e con la tua grande misericordia difendici da tutti i pericoli e mali di questa notte. Come Mr Ramesh, che ha ventisei anni e gambe bellissime, che va a nuotare tutte le mattine ai Merion Street Baths e gioca a hockey nell’Horsforth. Gli chiedo se anche loro offrono il sesso a Dio. L’argomento non lo interessa, ma mi sa proprio che per questi qua Dio e il sesso sono una cosa sola. E capisco anche perché. Per la prima volta riesco a comprendere come mai se ne parla con tanto entusiasmo. Là, in mezzo alle lenticchie, nella terza domenica dopo Pentecoste.
Ho appena fatto un salto in sagrestia. Ha messo un lucchetto all’armadio.
NERO
Susan è seduta nel salotto della canonica. Appare molto più elegante delle scene precedenti, è fresca di parrucchiere, sembra una donna diversa. Sera.
Mi alzo e dico: “Mi chiamo Susan. Sono la moglie di un vicario e sono alcolizzata”. Poi racconto la mia storia. Almeno in parte. “Non indorarci la pillola”, dice Clem, l’assistente socio-psicologico. “Nessuno si scandalizzerà, credimi cocca, ci siamo passati tutti”. Ma di Mr Ramesh non parlo perché da lì non ci sono passati. “Ascoltate, gente. Ero talmente ubriaca che andavo a letto con un droghiere asiatico. Sì e – voi non ci crederete – mi piaceva. Mi piaceva eccome”. Oh, mamma mia. Che razza di ubriacona.
Perciò stendo un velo su Mr Ramesh che una volta, nel giorno di san Simone e san Giuda (preghiera corale del Vespro alle sei, funzioni alle solite ore), si è messo il trucco sugli occhi, i campanelli alle caviglie, e vestito della sola cintura ha danzato nel retro del negozio con un tamburello.
“Come sei arrivata agli Alcolisti Anonimi?” domandano. “Mio marito” dico. “Il vicario. Mi ha convinta lui”. Ma è una bugia. Non è stato mio marito, è stato Mr Ramesh, lo squisito, delicato, gentile Mr Ramesh che una domenica sera mi ha guardato col viso sgomento, nel quale i baffi stentavano a crescere, e mi ha chiesto se poteva prendere il toro per le corna e domandare se l’ubriachezza era un requisito del rapporto sessuale, o se lo era solo quando andavo a letto con lui, il bel Mr Ramesh, ventisei anni, gambe meravigliose: se l’ebbrezza era riservata solo a lui. E forse, ha proseguito questa creatura esile, perfetta e sgomenta, forse era per il suo colore? Perché se no si permetteva di suggerire che magari senza bere sarebbe stato ancora più bello. Perciò la via di Damasco è merito di Mr Ramesh, il cui nome è risultato essere ancora Ramesh. Ramesh Ramesh, membro dell’associazione comunitaria e della camera di commercio di Leeds.
Ma non dico niente di tutto ciò. Anzi, non dico mai niente di niente. Solo quando Geoffrey si rende conto (e occorrono tre settimane buone) che la signora Vicaria si è finalmente staccata dalla bottiglia, a chi va il merito? Non a uno degli allegri piccoli dèi di Mr Ramesh che se ne fanno di cotte e di crude alla luce del sole, proprio come Mr Ramesh. Nossignori. Il dieci e lode va al compare di Geoffrey, la Divinità, che agisce in modo notoriamente misterioso.
Perciò adesso tutto è cambiato. Per ora sono un’altra donna, e Geoffrey è un altro uomo. E lo ricorda a ogni piè sospinto. “Sapete, mia moglie è un’alcolizzata. Sì. È un bel cimento per me e per quella sua famiglia allargata che è la nostra parrocchia”. Da spina nel fianco che ero, mi ritrovo trasformata nel fiore all’occhiello. Ne ha parlato nel suo sermone sulle Preghiere Esaudite; mi ha confidato che lui e il fan club si erano organizzati queste amene riunioncine in cui pregavano tutti insieme per quello che chiama “il mio problema”. Solo a pensarci mi veniva voglia di ributtarmi sul Tio Pepe. Naturalmente i fan sono furibondi, non si sarebbero mai sognati che le loro preghiere fossero esaudite. Pensano che la cosa ci abbia avvicinati. Anche Geoffrey lo pensa. La settimana scorsa siamo stati a una penosa sagra diocesana, e mentre io, impalata, stringevo nervosamente il mio succo di pompelmo, Geoffrey raccontava la storia a un ecclesiastico con la barba. A un tratto mi abbranca la mano: “L’amore ci ha fatto trionfare!” grida, come se l’amore fosse un antibiotico ad ampio spettro, e forse per Geoffrey lo è.
E va avanti inarrestabile: chilometraggio illimitato. Ho detto a Geoffrey che certe volte alla riunione degli AA raccontavo la storia dell’addobbo floreale. Risultato: ha cominciato a ripeterla in tutta la diocesi. La prima volta è stato a una conferenza sul tema “La parrocchia ti dà una mano”. Risate a crepapelle, scroscianti, schiette e affettuose. Adesso Geoffrey si è inventato un effetto nuovo: racconta la storia come se riguardasse una parrocchiana qualsiasi, e alla fine dice: “Amici, voglio dirvi una cosa. (Fiati sospesi). La donna ubriaca che non sapeva disporre i fiori è mia moglie”. Silenzio … e poi l’applauso, fragoroso. Ho sorpreso più volte gli altri giovani ecclesiastici in carriera guardarmi di sottecchi; si chiedevano perché non era stati abbastanza dritti da sposare un’alcolizzata o meglio ancora una tossicomane, mogli problematiche sulle quali fare un bel lavoro di redenzione, e a domicilio perdipiù. Infatti adesso Geoffrey è lanciatissimo. In pubblico mi afferra la mano, anzi, la brandisce. “Siamo una squadra!” grida. Pare proprio che diventerà arciprete, ed è solo l’inizio. Come dice il vescovo: “Proprio il tipo d’uomo di cui abbiamo bisogno nel nostro team … qualcuno con l’esperienza della compassione, qualcuno che ha guardato in faccia la vita. Qualcuno che è stato in prima linea”.
Mr Ramesh ha venduto il negozio. È tornato in India per prendersi la moglie. Si vede che è cresciuta abbastanza. Ci sono andata domenica. C’era un ragazzo che scriveva Nuova Gestione sulla vetrina. Sbagliando l’ortografia. E qualcos’altro sotto in hindi, con l’ortografia probabilmente giusta. Ha detto che Mr Ramesh avrebbe aperto un altro negozio, ma a Preston.
È tipico degli asiatici: avviano un’attività, vendono, realizzano e traslocano. È un buon sistema. Dovremmo diventare così anche noi, più intraprendenti.
Il mio gruppo si riunisce due volte alla settimana. Io ci vado. Religiosamente. Perché di questo si tratta, è ovvio. I nomi sono diversi: Frankie e Steve, Susie e Clem. Ma in realtà sono solo Miss Frobisher e Mrs Shrubsole che colpiscono ancora. Visto che non mi è mai piaciuto andare in chiesa, adesso vado addirittura in due. Geoffrey lo chiamerebbe il meraviglioso mistero di Dio. Io lo chiamo cattivo gusto. Nemmeno a un cane lo farei. Ma c’è una cosa su Dio che nessuno dice mai: Dio non ha un briciolo di gusto.
NERO. FINE

 

Brano tratto da Signore e Signori, titolo originale Talking Heads I. Adelphi editrice, Milano, 2009.Traduzione di Davide Tortorella.

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