buon compleanno i2 = j2 = k2 = ijk = -1 ! e a William Hamilton by Mauro Comoglio e Maurizio Codogno

H come Hamilton! Parliamo di quaternioni

Il Royal Canal di Dublino è, oggi, un placido corso d’acqua alla periferia della città. Le sue acque scorrono tranquille tra cespugli di giunchi, radi pontili e casette di pescatori. I germani reali e le anatre lo hanno eletto quale domicilio favorito. Un posto bucolico e ameno, che nessuno potrebbe sospettare sede di eventi drammatici o epocali.

Eppure uno dei suoi ponti più noti -il Broome Bridge- è meta, da alcuni decenni, di un discreto ma continuo flusso di turisti. Turisti che sono alla ricerca di una lapide commemorativa, posta nel 1958 e che riporta una curiosa iscrizione.

La lapide è una viva testimonianza di una celebre passeggiata, destinata a lasciare una forte impronta nella storia della Matematica e nelle scienze applicate.

Un piovoso lunedì di ottobre -il 16 per la precisione- del 1843 un trentottenne, celebre e affermato fisico-matematico irlandese, William Rowan Hamilton e sua moglie Helen si stanno, infatti, recando ad un congresso della Royal Irish Academy e, malgrado l’insistente chiacchiericcio della moglie, il giovane scienziato è completamente assorto nei suoi pensieri.

Sono anni che Hamilton si arrovella su un problema apparentemente insolubile: come estendere in R3 il concetto di numero complesso. Evidentemente, le parole di Helen non devono disturbarlo più di tanto perché -improvvisa e folgorante- ecco arrivare l’intuizione geniale. Il momento richiede tutta l’urgenza del caso e Hamilton si precipita a incidere sulle pietre del ponte la celebre formula:

i2 = j2 = k2 = ijk = – 1

che segna, in modo forse … un tantino romanzesco e romantico, la nascita del concetto di quaternione.
La Matematica contemporanea riconosce i quaternioni come una estensione del campo dei complessi. In generale, un quaternione è una combinazione lineare delle unità dei quaternioni 1, i, j, k, esprimibile in modo unico come:

a+bi+cj+dk 

con a, b, c, d coefficienti reali; a è definito scalare, mentre gli altri coefficienti costituiscono il vettore.

Nell’insieme H dei quaternioni -ancora oggi i quaternioni sono sostanzialmente indicati con questa lettera in onore di Hamilton- su cui definiamo due operazioni: la somma e il prodotto. La somma, come avviene per i complessi, si realizza attraverso la somma dei coefficienti:

q+q’ = (a, b, c, d,) + (a’, b’, c’, d’)=(a+a’, b+b’, c+c’, d+d’)

Il prodotto è, invece, definito dalla seguente tabella moltiplicativa (per le unità dei quaternioni):

* 1 i j k
1 1 i j k
i i −1 k −j
j j −k −1 i
k k j −i −1

quindi:

qxq’=(a, b, c, d,) x (a’, b’, c’, d’)=
=(aa’-bb’-cc’-dd’, ab’+ba’+cd’-dc’, ac’+ca’-ba’+db’, da’+ad’+bc’-cb’)

La prima osservazione che sorge spontanea è che il prodotto, così definito, non gode della proprietà commutativa e che quindi su H può essere definita, per mezzo delle operazioni predette, solo una struttura algebrica non commutativa.
Con la sola moltiplicazione, H assume la struttura di gruppo non abeliano, di cui rappresenta storicamente uno dei primi esempi.
La mancanza di questa proprietà fu un argomento assai duro da digerire per i coevi di Hamilton, poiché rappresentava una novità assoluta e, per molti, sconcertante nella storia della Matematica.
Il prodotto tra quaternioni, così definito, porta ad una seconda sorprendente proprietà: i polinomi definiti in H possono avere un numero di zeri superiore al loro grado!

L’insieme H, con la precedente operazione di somma e con la consueta operazione di prodotto con un numero naturale diviene invece uno spazio vettoriale in R4, con 1=(1,0,0,0); i(0,1,0,0); j(0,0,1,0); k(0,0,0,1) base canonica.

All’epoca della passeggiata sul fatidico ponte, Hamilton era un famoso e affermato matematico, così stimato da essere stato nominato docente di Astronomia, al prestigioso Trinity College, all’età di soli 22 anni.

Bambino prodigio nello studio delle lingue, si era precocemente segnalato -all’età di 13 anni- per aver scoperto un errore nella celeberrima Mécanique céleste di Laplace. L’impressione destata da tale scoperta fu tale da spingere l’Astronomo Reale d’Irlanda, John Brinkley, ad affermare:
This young man, I do not say will be, but is, the first mathematician of his age.

Hamilton si occupò della formalizzazione matematica delle leggi della Meccanica, in un continuo tentativo di generalizzare risultati precedentemente acquisiti. A lui è dovuta la generalizzazione dei risultati della meccanica newtoniana, attraverso le celebri equazioni di Hamilton e la funzione hamiltoniana.
A partire dal 1843, Hamilton si dedicò tuttavia ai soli quaternioni, abbandonando ogni altro studio. Alcuni mesi dopo la morte, avvenuta il 2 settembre 1865 all’età di sessant’anni, fu pubblicato un suo poderoso volume di 800 pagine, dal titolo Elementi sui quaternioni, a riprova di un interesse mai sopito!

Ritornando allora ai quaternioni, essi possono essere scritti anche facendo ricorso alle matrici complesse 2 x 2:

dove 1, I, J, K rappresentano la base predetta (i caratteri maiuscoli sono stati utilizzati per evitare confusioni con i l’unità immaginaria; 1 rappresenta la matrice identità). È semplice verificare che:

I2=J2=K2=-1

e che, dunque, I, J, K sono le tre differenti soluzioni dell’equazione: X2=-1
Analogamente a quanto accade per i numeri complessi, anche tra i quaternioni è definito il concetto di coniugato. Dato il quaternione q= a+bi+cj+dk, si definisce coniugato di q il quaternione
q segnata=a-bi-cj-dk.
Vale la pena di ricordare che H contiene, come sottoinsiemi, sia i numeri complessi che quelli reali, i primi sono i quaternioni della forma (a, b, 0, 0), mentre i reali sono i quaternioni della forma(a, 0, 0, 0).

Uno degli aspetti della Matematica che la rendono affascinante, per lo meno agli occhi … dei matematici, è la possibilità di vedere così utilizzati nei più disparati ambiti applicativi oggetti e teorie matematiche nati per scopi meramente speculativi e assai distanti, anche nel tempo, da ogni apparente applicazione. I quaternioni non fanno eccezione. Di certo, Hamilton non avrebbe mai immaginato di vedere le proprie creature applicate nella computer graphic (si pensi alla rappresentazione frattale dell’insieme di Mandelbrot e dell’insieme di Jiulia, da cui deriva), nella teoria del controllo, piuttosto che nella meccanica orbitale o nella definizione di frattali (in particolare nella rappresentazione di rotazioni tridimensionali).

Chi ha dimestichezza, per esempio, con la Meccanica quantistica, avrà notato la notevole somiglianza delle matrici precedenti con le matrici di Pauli per la descrizione dello spin, generalmente indicate con σx, σy, σz e così definite:

Esse formano, con l’aggiunta della matrice identità, una base nello spazio delle matrici.

Quello che abbiamo appena festeggiato, il 16 ottobre, è quindi il compleanno di un “signore” anzianotto ma che gode di ottima salute e grande vitalità!

http://matematica.unibocconi.it/articoli/h-come-hamilton-parliamo-di-quaternioni

Rotazioni spaziali con i quaternioni – Wikipedia


Quaternioni e ottetti (per non parlar di sedenioni)

Se ricordate, quando avevo parlato dei numeri complessi avevo spiegato come fossimo arrivati alla fine della storia: partendo dai numeri naturali si erano aggiunti quelli frazionari per potere eseguire le divisioni, quelli negativi per poter eseguire le sottrazioni, quelli irrazionali per poter estrarre le radici o calcolare un logaritmo o banalmente per trovare un posto al pi greco, e quelli complessi per risolvere equazioni come x2+1=0. Però le soluzioni di una qualunque equazione a coefficienti complessi sono ancora numeri complessi, quindi non c’era più bisogno di aggiungere nulla; peggio ancora non si sapeva nemmeno cosa aggiungere.

Ma da quando in qua un matematico si lascia distrarre da simili quisquilie? Ecco. Sir William Rowan Hamilton decise che qualcosa doveva pur esserci. In fin dei conti Argand, e poi Gauss, avevano mostrato che il piano dei numeri complessi permetteva di visualizzare le operazioni di traslazione (addizione) e rotazione (moltiplicazione, a meno di un fattore Enlarge Your Vector dato dal modulo del secondo vettore). Perché non si potrebbe fare lo stesso con le rototraslazioni nello spazio? Basta aggiungere a 1 e i una terza unità j, e trovare le giuste relazioni. Peccato che queste giuste relazioni non si trovassero, e l’ex bambino prodigio cominciava a perdere la speranza… fino al 16 ottobre 1843.

Quel giorno Hamilton stava passeggiando per le vie della sua Dublino insieme alla moglie. Invece che stare a sentire quello che lei le diceva, probabilmente il suo subconscio continuava a pensare al problema, e a un tratto la soluzione gli balzò in testa. Occorreva aggiungere una quarta unità k! Da qui il nome di quaternioni assegnato a questi nuovi numeri, e la lettera H scritta col font buffo che li contraddistigue: la Q era già stata assegnata ai numeri razionali e così si è presa l’iniziale di Hamilton. Naturalmente le unità immaginarie i, j e k dovevano essere tra loro correlate, visto che il nostro spazio di dimensioni ne ha solo tre: le relazioni sono date dalle uguaglianze

 i2 = j2 = k2 = ijk = −1

Hamilton fu così felice della sua scoperta che si mise a incidere quelle formule come un graffitaro qualunque sulla sponda del Broom Bridge, il ponte sul Royal Canal che stava percorrendo. Non doveva però essere molto bravo a incidere sulla pietra, oppure i dublinesi avevano un ottimo servizio di ripulitura, perché il testo non esiste più: in compenso hanno messo una targa commemorativa.

Occhei, mi chiederete: qual è il trucco? Non tanto perché serve una terza unità immaginaria, visto che a posteriori le si possono associare alle rotazioni rispetto ai tre assi; quanto piuttosto perché non riuscivamo ad ampliare la struttura dei numeri complessi. La ragione è semplice, una volta che qualcuno la spiega. Quanto vale ij? Se postuliamo che sia x, possiamo moltiplicare i due membri dell’equazione ij=x per k e ottenere ijk=xk; ma il membro a sinistra vale −1, pertanto x deve essere uguale a k. Quanto vale invece ji? Avete detto k? Sbagliato! Se così fosse, allora ijji sarebbe uguale a ijk; peccato che quest’ultimo prodotto valga −1, mentre il primo vale i(-1)i = −i2 = 1. Insomma, ji = −k, o se preferite ji=−ij. Colpo di scena!

Beh, confesso di avere un po’ barato quando ho fatto questi passaggi algebrici, perché sapevo già dove volevo arrivare; però garantisco che sono tutti validi. Quella che non è appunto valida è la proprietà commutativa della moltiplicazione: mentre 6×7 è sicuramente identico a 7×6, questo non è più vero quando si moltiplicano due di questi numeri più che immaginari, e si può ottenere il risultato opposto. Con il senno di poi, la cosa non è così strana: se si prende un segmento sull’asse x di uno spazio tridimensionale e lo si ruota di novanta gradi prima rispetto all’asse y e poi a quello z, il risultato è l’opposto di quello che si otterrebbe invertendo l’ordine delle rotazioni. Insomma, la geometria tridimensionale (o meglio le trasformazioni dello spazio tridimensionale) è intrinsecamente non commutativa, e pertanto anche la definizione di una struttura matematica che la rappresenti deve avere una moltiplicazione non commutativa.

Noticina collaterale: l’addizione non dà mai problemi nella creazione di questi tipi di numeri costituiti da più parti, come i complessi a+bi e i quaternioni a+bi+cj+dk. Basta sommare componente per componente, applicando cioè la cosiddetta “regola del parallelogramma” che funziona in tutti gli spazi vettoriali, vale a dire per tutte le n-uple di numeri. L’addizione è pertanto sempre commutativa (x+y = y+x) e associativa (x+(y+z) = (y+z)+z): però quello che serve davvero è la moltiplicazione, che rende più coesa la struttura stessa. Fino ai complessi potevamo applicare alla moltiplicazoine sia l’associatività che la commutatività; con i quaternioni perdiamo quest’ultima.

Se qualcuno ora mi viene a chiedere a che diavolo servono questi quaternioni, la risposta è semplice: tutti i videogiochi 3D, o più banalmente il software per visualizzare modelli tridimensionali, usano i quaternioni per le routine di trasformazione delle immagini. Spero che questo gli basti. Se invece qualcuno mi chiede se c’è un altro modo, anzi un altro modello, per vedere i quaternioni, la risposta è sì. Anzi ce ne sono tanti di modelli, come si può vedere nella voce su Wikipedia: ma ci ho pensato un po’ su e ho deciso che si può vivere felici anche senza conoscerli tutti (a meno che non siate matematici, si intende).

Dopo che Hamilton aveva rotto il ghiaccio e mostrato che si poteva superare il muro dei complessi, è inutile aggiungere che subito si cercò di trovare numeri ancora più generali dei quaternioni. Dovrebbe esservi chiaro che si deve ancora cedere qualcosa per continuare ad ampliare; e potete immaginare che la vittima successiva sarà l’associatività. E infatti è proprio così: nello stesso 1843 un amico di Hamilton, il giurista irlandese John T. Graves, immaginò quelle che lui chiamò “ottave”; due anni dopo Arthur Cayley definì formalmente gli ottetti (oppure “ottonioni”, se il nome vi piace di più). Le unità immaginarie sono sette, e per evitare di consumare tutto l’alfabeto vengono chiamate e1, e2, … e7; ciascuna di esse elevata al quadrato dà −1, e il prodotto di due di esse cambia segno se si cambia l’ordine dei fattori; se infine si prendono tre unità diverse e si calcola (eres)et ed er(eset), ogni tanto il risultato sarà identico e ogni tanto verranno due valori opposti. Se proprio volete vedere la tabellina di moltiplicazione completa, Wikipedia è la vostra amica: qui ho già scritto troppo. Tanto non ho mai scoperto un uso pratico degli ottetti che non sia scrivere un articolo, quindi potete dormire tranquilli.

Termino raccontando che esiste una costruzione (chiamata di Cayley–Dickson) che permette di continuare a raddoppiare ad infinitum le dimensioni della struttura algebrica. Ma che cosa si può perdere, ora che le due proprietà di base della moltipicazione sono già state buttate alle ortiche? Esiste ancora l’ultimo tabù: due numeri diversi da zero che moltiplicati tra loro danno zero. Non rabbrividite: funziona allo stesso modo con l’aritmetica modulare. Se lavoriamo modulo dodici, 3×4=0. L’unico di questi esempi a cui è stato dato un nome è quello dei sedenioni; il nome direi che è più che sufficiente per capire che è ora di lasciar perdere…

Post Scriptum: a dire il vero tre anni prima di Hamilton il matematico francese Olinde Rodrigues aveva già trattato dei quaternioni, o per la precisione dei gruppi di trasformazione dello spazio. Peccato che nessuno si era accorto della cosa, anche perché l’occupazione principale di Rodrigues era il bancario. E addirittura nel 1819 qualcuno aveva scritto, ma non pubblicato, un saggio sui quaternioni. Lascio all’assiduo mio lettore il facile compito di immaginare chi avesse pensato che la scoperta non fosse ancora sufficientemente matura.

http://www.ilpost.it/mauriziocodogno/2011/12/01/quaternioni-e-ottetti-per-non-parlar-di-sedenioni/

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