Proverbs, chiefly taken from the Adagia of Erasmus, internet archive

Proverbs, chiefly taken from the Adagia of Erasmus, with …

IV. Quomodo paroemia differat ab iis, quae videntur illi confinia
Sunt autem quaed
am affinia paroemiis, puta
γνὦμαι
, quae nostri sententias
appellant; ad haec
αἴνοι, qui a nostris apologi vocantur. Tum
ἀποφθέγματα, quae
Latine breviter ac scite dicta vertere licebit. Praeterea
σκώμματα, id est salse dicta.

Denique quicquid allegoriam aut aliam quampiam figuram proverbialem ceu
personam prae se gerit. Ea tametsi difficile non sit ab adagiorum genere secernere, si
quis ad finitionem tanquam ad gnomonem et regulam unumquodque norit
applicare, tamen quo faciam satis imperitioribus, haud gravabor rudius et pinguiore,
quod aiunt, Minerva rem explicare, ut plane constet, quid in hoc opere sim secutus.
Primum inter sententiam et paroemiam ejusmodi ratio est, ut utraque cum
altera conjungi, utraque rursus ab altera queat sejungi non aliter quam album ab
homine. Ut enim non statim album quod homo, neque protinus homo quod album,
nihil tamen vetat id album esse, quod sit homo. Ita non raro fit, ut sententia
paroemiam complectatur; at non statim quod paroemia fuerit, idem erit et sententia,
neque contra velut
Avaro tam deest
quod habet, quam quod non habet,et
Pascitur in vivis livor, post fata quiescit,
Non ut sententiae sunt, ita sunt et adagia. E diverso, Ego in portu navigo, ut est
proverbium, ita sententia non est. Rursum,
Μὴ παιδὶ τὴν μάχαιραν, id est Ne puero
gladium, pariter et paroemiae sententiaeque rationem complectitur, denique et
allegoriae. Neque defuere tamen, potissimum apud Graecos, qui gravati non sunt
operam in hoc genere sumere
γνωμολογίαν, id est sententiarum
collectionem,conscribentes, inter quos praecipuus Joannes Stobaeus; quorum ego certe laborem
probarim libentius quam aemulari velim.
Sed ad reliqua:
αἷνον
Aphthonius in Progymnasmatis simpliciter
μῦθον, idest fabulam, vocat. Huic sunt, ut ait, varia e
x inventoribus cognomina:
΢υβαρίτης,
Κίλιξ, Κύπριος, Αἰσώπειος . Quintilianus αἷνον ait a Graecis appellatum
λόγον
μυθικὸν αἰσωποποιήτον, a Latinorum nonnullis apologationem, non satis in usum
recepto nomine. Neque negat
αἷνον
paroemiae confinem esse, veru
m ita distingui ut
αἷνος
totus sit apologus, paroemia veluti fabella brevior. Exempli loco posuit: Non

nostrum onus, bos clitellas. Ad hunc quidem modum usurpavit Hesiodus:
Νῦν δ’ αἷνον βασιλεῦσ’ ἐρέω, νοέουσι καὶ αὐτοἶς.
Ὦδ’ ἴρηξ προσέειπεν ἀηδόνα ποικι
λόδειρον, id est
Aenon principibus referam, norint licet ipsi.
Vocalem accipiter sic affatus philomenam est.
Utitur eundem ad modum Archilochus et Callimachus. Etiamsi Theocritus
ἐν Κύνισκαις, aýnon pro paroemia videtur usurpasse:
Αἷνος θην λέγεταί τις ἔβ
α καὶ ταῦρος ἀν’ ὕλαν.
Jam vero apophthegmata non alio discrimine dissident a paroemiis quam sententiae.
Quemadmodum enim illud:
Ὅς αὐτὸς αὑτὸν οὐκ ἔχει, ΢άμον θέλει, simul et
adagium est et apophthegma, ita illud Simonidis ad quendam in convivio tacentem:
Εἰ μὲν ἠλίθιος εἷ, σοφὸν πρ᾵γμα ποιεἶς·εἰ δὲ σοφός, ἠλίθιον
, id est Si quidem
stultus es, sapientem rem facis, si vero sapiens, stultam, item illud
: Decet Caesaris
uxorem non solum crimine, verumetiam criminis suspicione vacare, apophthegma
quidem est,
at non item paroemia. Item Soles duabus sedere sellis simul et
proverbium et
λοιδόρον
est
; contra Mater numquam, pater persaepe, item illud
Turonii
: Ad molas sunt,
σκὦμμα
quidem est, at non item adagium. Quanquam sunt
in hoc genere quaedam adeo commode
dicta, ut facile possint in adagiorum ordinem
ascisci velut illud:
μέχρι βωμὦν φιλός εἰμί
, id est Usque ad aras sum amicus. Adest
enim simul et brevitas et sententia et figura. Haec Paulo verbosius inculcavimus, ne
quid a nobis in hoc expectetur opera, ni
si quod sub paroemiae cadit appellationem,
neve quis per negligentiam praeteritum existimet, quod prudentes consultoque
tanquam ab argumento alienum praetermisimus.


Erasmo da Rotterdam

Adagia di guerra, pace, saggezza, follia

Ci sono bestie alla cui incolumità Dio ha provveduto donando loro la velocità,

come nel caso delle colombe; bestie a cui ha invece affidato l’arma del veleno.

Quasi tutti questi animali, inoltre, hanno ricevuto un aspetto tremendo e ferino,

occhi spaventosi, voci stridule; e poi Dio ha suscitato in essi un naturale odio

reciproco. Solo l’uomo è stato messo al mondo nudo, debole, indifeso, dotato

di tenere membra e di pelle sottile. Nel suo corpo nulla sembra essere stato

pensato per la battaglia o per la violenza. Per non dire che gli altri animali,

quasi appena nati, sono in grado di provvedere alla propria sopravvivenza:

solo l’uomo è stato concepito in modo da dipendere a lungo dal sostegno dei

genitori.

Quando nasce, non sa parlare, non sa camminare e non sa procurarsi il cibo:

sa solo chiedere aiuto con i vagiti, sicché se ne deduce che è il solo animale

nato esclusivamente per l’amicizia, che si fonda e si rinsalda a partire dai servigi reciproci. La natura ha voluto che l’uomo non le fosse debitore della vita: ha preferito che egli dovesse la vita alla benevolenza, affinché comprendesse di essere stato concepito per provare gratitudine e per sentirsi legato agli altri uomini.

Dunque gli ha dato un aspetto non tremendo e orribile, come alle altre bestie,

ma mite e placido, che dimostra a prima vista l’inclinazione all’amore e all’amicizia. Gli ha dato uno sguardo rassicurante, che è specchio della sua anima. Gli ha dato braccia per abbracciare e labbra per baciare, affinché con il bacio gli uomini, per così dire, si congiungessero gli uni agli altri anche con l’animo. L’uomo soltanto può ridere, segno di vivacità, e può piangere, segno di clemenza e di misericordia. E ha avuto in dono una voce diversa da quella degli animali, non minacciosa e feroce, ma amichevole e pacata. Non contenta di ciò, infine, la natura ha attribuito all’uomo la parola e la ragione, che più di ogni altra cosa ha il potere di suscitare e accrescere la benevolenza e di evitare che gli uomini usino la violenza.

Una monumentale opera di erudizione dove la cultura umanistica di Erasmo trova la più alta espressione che mette a frutto la lezione degli antichi e la consegna a noi in tutta la sua modernità. 

A cura di Davide Canfora

Traduzioni e commento di Nunzio Bianchi, Davide Canfora, Giuseppe Carlucci, Valentina Cuomo, Maria Evelina Malgieri, Claudio Schiano, Elisa Tinelli

Lingua originale: Latino
Titolo originale: Adagia

Per diversi decenni, Erasmo da Rotterdam (1466-1536) raccolse proverbi e detti provenienti dalla cultura classica, soprattutto greca. Ne individuava la fonte, gli autori che li avevano utilizzati, le variazioni registrate nel corso del tempo, la capacità di sopravvivenza; ne commentava infine il significato e le varie interpretazioni. Sono i celebri Adagia: un remoto preannuncio di enciclopedismo illuministico. In Erasmo l’esame filologico diventa critica dei motivi civili dei suoi tempi, e i suoi tempi diventano lo specchio di un’umanità universale da osservare con occhio tollerante e acuto. Così gli Adagia costituiscono i frammenti di una meditazione antropologica e morale di spessore filosofico, da contrapporre, come un muro di difesa, alla stupidità e alla crudeltà dei tempi.
«Gli Adagia – scrive il curatore – appaiono un arsenale della parola. La parola può appunto contrastare la brutalità e la guerra, può alleviare la pazzia diffusa e trasformarla in sapienza. Raccogliere motti, parole, frasi è lo strumento di difesa di cui l’umanista spera di potersi servire per illuminare il mondo. In questo, si può dire, gli Adagia sono un libro accostabile alla grande tradizione novellistica tardomedievale e umanistica, che a sua volta traeva ispirazione dalle raccolte aneddotiche del passato. Il lavoro di Erasmo è forse il più efficace anello di congiunzione tra tradizione e modernità. Una sintesi non ovvia e non facile, che appare assolutamente speculare allo spirito dei tempi in cui Erasmo visse e dei tempi che seguirono alla sua lezione: tempi di divisioni profonde e di spargimenti di sangue; tempi di proibizioni e censure, di guerra mossa dall’ortodossia ai libri cosiddetti nocivi e alla libera circolazione delle idee».
Degli oltre quattromila commenti che compongono l’opera erasmiana nella sua interezza, abbiamo rintracciato in questa antologia come filo conduttore gli aforismi che hanno come tema la guerra e la pace, la saggezza e la follia: in un accorpamento evidentemente improntato all’ispirazione di chi scrisse l’Elogio della Follia.

http://sellerio.it/it/catalogo/Adagia-Guerra-Pace-Saggezza-Follia/Rotterdam/5520

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