DE VENERE ET VULCANO Eneide , Giorgio Caproni: Il passaggio di Enea

DE VENERE ET VULCANO (8.370-406)
At Venus haud animo nequiquam exterrita mater 8.370
Laurentumque minis et duro mota tumultu
Volcanum adloquitur, thalamoque haec coniugis aureo
incipit et dictis divinum aspirat amorem:
‘dum bello Argolici vastabant Pergama reges
debita casurasque inimicis ignibus arces, 375
non ullum auxilium miseris, non arma rogavi
artis opisque tuae, nec te, carissime coniunx,
incassumve tuos volui exercere labores,
quamvis et Priami deberem plurima natis,
et durum Aeneae flevissem saepe laborem. 8.380
nunc Iovis imperiis Rutulorum constitit oris:
ergo eadem supplex venio et sanctum mihi numen
arma rogo, genetrix nato. te filia Nerei,
te potuit lacrimis Tithonia flectere coniunx.
aspice qui coeant populi, quae moenia clausis 385
ferrum acuant portis in me excidiumque meorum.’
dixerat et niveis hinc atque hinc diva lacertis
cunctantem amplexu molli fovet. ille repente
accepit solitam flammam, notusque medullas
intravit calor et labefacta per ossa cucurrit, 390
non secus atque olim tonitru cum rupta corusco
ignea rima micans percurrit lumine nimbos;
sensit laeta dolis et formae conscia coniunx.
tum pater aeterno fatur devinctus amore:
‘quid causas petis ex alto? fiducia cessit 395
quo tibi, diva, mei? similis si cura fuisset,
tum quoque fas nobis Teucros armare fuisset;
nec pater omnipotens Troiam nec fata vetabant
stare decemque alios Priamum superesse per annos.
et nunc, si bellare paras atque haec tibi mens est, 8.400
quidquid in arte mea possum promittere curae,
quod fieri ferro liquidove potest electro,
quantum ignes animaeque valent, absiste precando
viribus indubitare tuis.’ ea verba locutus
optatos dedit amplexus placidumque petivit 405
coniugis infusus gremio per membra soporem.

VENERE E VULCANO (8.370-406)
Ma Venere, madre non invano sgomenta nel cuore 370
sconvolta dalle minacce di Laurento e dal duro tumulto
parla a Vulcano, e così inizia nell’aureo letto
del coniuge e con le parole ispira un amore divino:
“Mentre i re argolici con la guerra devastavano la dovuta
Pergamo e le rocche destinate a cadere per i fuochi nemici, 375
non chiesi nessun aiuto per i miseri, non le armi
della tua arte e potenza, né volli, carissimo coniuge,
che tu facessi le tue opere invano,
benchè moltissimo dovessi ai figli di Priamo,
e spesso avessi pianto la dura fatica di Enea. 380
Ora per gli ordini di Giove si fermò nelle terre dei Rutuli:
dunque io stessa vengo supplice e chiedo alla (tua) potenza
per me sacra le armi, una madre per il figlio. Te la figlia di Nereo,
te la sposa titonia potè piegare con lacrime.
Guarda quali popoli si radunano, quali mura, chiuse òle porte, 385
affilano il ferro contro di me e la morte dei miei.”
Aveva detto e qua e là la divina con le nivee braccia
lo scalda, lui esitante, con un morbido amplesso, Egli subito
accoglie la solita fiamma, ed il noto calore penetrò
nelle midolla e corse per le ossa crollate, 390
non diversamente da quando a volte rotta da risplendente
tuono una igne fenditura brillante percorre di luce le nubi;
S’accorse la moglie lieta dei tranelli e conscia della bellezza.
Allora il padre stravinto dall’eterno amore dice:
“Perché cerchi motivi da lontano? La fiducia di me per te 395
dove andò, divina? Se ci fosse stato simile affanno,
anche allora sarebbe stato lecito per noi armare i Teucri;
né il padre onnipotente né i fati vietavano che Troia
durasse per altri dieci anni e Priamo soprvvivesse.
E adesso se ti prepari a combattere e questo è per te il disegno, 400
checchè di prmura posso promettere nella mia arte,
ciò che si può fare col ferro o col limpido elettro,
quanto valgono fuochi e mantici, smetti, pregando,
di dubitare delle tue forze.”. Dette quelle parole
diede gli amplessi desiderati e cercò, riversatosi nel grambo 405
della moglie il placido sopore nelle membra.

 

DE VULCANI ARMIS (8.608-625)
At Venus aetherios inter dea candida nimbos 8.608
dona ferens aderat; natumque in valle reducta
ut procul egelido secretum flumine vidit, 610
talibus adfata est dictis seque obtulit ultro:
‘en perfecta mei promissa coniugis arte
munera, ne mox aut Laurentis, nate, superbos
aut acrem dubites in proelia poscere Turnum.’
dixit, et amplexus nati Cytherea petivit, 615
arma sub adversa posuit radiantia quercu.
ille deae donis et tanto laetus honore
expleri nequit atque oculos per singula volvit,
miraturque interque manus et bracchia versat
terribilem cristis galeam flammasque vomentem, 8.620
fatiferumque ensem, loricam ex aere rigentem,
sanguineam, ingentem, qualis cum caerula nubes
solis inardescit radiis longeque refulget;
tum levis ocreas electro auroque recocto,
hastamque et clipei non enarrabile textum. 625

LE ARMI DI VULCANO (8.608-625)
Ma la dea venere tra i candidi nembi
si presentava portando doni; come vide da lontano il figlio
in una valle appartata solitaria presso il gelido fiume, 610
parlò con tali parole e si offrì apertamente:
” Ecco i doni promessi fatti dall’arte del mio
coniuge, perché non esiti, figlio, ad assalire subito
in battaglia i superbi Laurenti ed il potente Turno.”
Disse, e la Citerea cercò gli abbracci del figlio, 615
pose le raggianti armi sotto una quercia di fronte.
Egli lieto non potè saziarsi dei doni e di sì grande
onore della dea e volse gli occhi su ogni particolare,
ammira e gira fra le mani e le braccia
il terribile elmo con le creste e vomitante fiamme, 620
la spada fatale, la corazza di bronzo, rigida,
color sangue, gigantesca, come quando una azzurra nube
arde ai raggi del sole e rifulge lontano;
poi i gambali lucenti di elettro e d’oro fuso,
l’asta e l’inenarrabile fattura dello scudo. 62

http://web.ltt.it/www-latino/virgilio/index-virgilio.htm

II – Versi

«A l’ accent familier

nous devinons le spectre»

La notte quali elastiche automobili

vagano nel profondo e con i fari

accesi, deragliando sulle mobili

curve sterzate a secco, di lunari

vampe fanno spettrali le ramaglie

e tramano di scheletri di luce

i soffitti imbiancati? Fra le maglie

fitte d’ un dormiveglia che conduce

il sangue a sabbie di verdi e fosforiche

prosciugazioni, ahi se colpisce l’ occhio

della mente quel transito, e a teoriche

lo spinge dissennate cui il malocchio

fa da deus ex machina!…Leggère

di metallo e di gas, le vive piume

celeri t’ aggrediscono – l’ acume

t’ aprono in petto, e il fruscio, delle vele.

T’ aprono in petto le folli falene

accecate di luce, e nel silenzio

mortale delle mobili cantilene

soffici delle gomme, entri nel denso

fantasma – entri nei lievi stritolii

lucidi del ghiaino che gremisce

le giunture dell’ ossa, e in pigolii

minimi penetrando ove finisce

sul suo orlo la vita, là Euridice

tocchi, cui nebulosa e sfatta casca

la palla morta di mano. E si dice

il sangue che c’ è amore ancora, e schianta

inutilmente la tempia, oh le leghe

lunghe che ti trascinano – il rumore

di tenebra, in cui il battito del cuore

ti ferma in petto il fruscio delle streghe!

Ti ferma in petto il richiamo d’ Averno

che dai banchi di scuola ti sovrasta

metallurgico, il senso è in quell’ eterno

rombo di fibre rotolanti a un’ asta

assurda di chilometri, sui lidi

nubescenti di latte trovi requie

nell’ assurdo delirio -Trovi i gridi

spenti in un’ acqua che appanna una quiete

senza umano riscontro, ed è nel raggio

d’ ombra che di qua penetra i pensieri

che là prendono corpo, che al paesaggio

di siero, lungo i campi dei Cimmeri

del tuo occhio disfatto, riconosci

il tuo lémure magro (il familiare

spettro della tua scienza) nel pulsare

di quei pistoni nel fitto dei boschi.

Nel pulsare del sangue del tuo Enea

solo nella catastrofe, cui sgalla

il piede ossuto la rossa fumea

bassa che arrazza il lido. Enea che in spalla

un passato che crolla tenta invano

di porre in salvo, e al rullo d’ un tamburo

ch’è uno schianto di mura, per la mano

ha ancora così gracile un futuro

da non reggersi ritto. Nell’ avvampa

funebre d’ una fuga su una rena

che scotta ancora di sangue, che scampo

può mai esserti il mare (la falena

verde dai fari bianchi) se con lui

senti di soprassalto che nel punto

d’ estrema solitudine, sei giunto

più esatto e incerto dei nostri anni bui?

Nel punto in cui, trascinando il fanale

rosso del suo calcagno, Enea un pontile

cerca che al lancinante occhio via mare

possa offrire altro suolo – possa offrire

al suo cuore di vedovo (di padre,

di figlio – al cuore dell’ ottenebrato

principe d’ Aquitania), oltre le magre

torri abolite l’ imbarco sperato

da chiunque non vuol piegarsi. E,

con l’ alba già spuntata a cancellare

sul soffitto quel transito, non è

certo un risveglio la luce che appare

timida sulla calce. Il tremolio

scialbo del giorno in erba, in cui già un sole

che stenta a alzarsi allontana anche in cuore

di quei motori il perduto ronzio.

Il passaggio di Enea: Giogio Caproni

SAN GIOVAMBATTISTA , GENERALIZZANDO……Il …

Ovidio : Tristia I, 3 : non aptae profugo uestis opisue fuit ; full test latino – English

Enea incontra Evandro – regia di Franco Rossi, LIBRO XI funerali e dolore per la morte di Pallante

foto e video 17-18/ agosto 2015 : Siria, Bangkok, Catania, Greek island ; Lezioni di epica

Erano 49 i morti sul barcone di migranti soccorso sabato; lezioni di epica

non haec sine numine divum eveniunt: Eneide libro 2

ENEIDE LIBRO III, – lezione di epica – controappuntoblog.org

Virgilio Eneide Libro sesto : Funerale di Miseno …

Le gare sportive nel quinto libro dell’Eneide

Felix qui potuit rerum cognoscere causas – ECLOGA I: Virgilio

Matteo Nucci, Le lacrime degli eroi – lezione di epica e dintorni …

Lacrimae rerum : vari autori – LA SOLITUDINE DELL’UOMO …

LA MORTE DI VIRGILIO di Hermann Broch ossia del DEL

ILIADE LIBRO OTTAVO | controappuntoblog.org

Le lacrime degli eroi – lezione di epica e ..Tucidide Storie III …

Astianatte ; Le Troiane di Eurìpide pdf e video edizione del …

Camilla (Eneide) Libro XI | controappuntoblog.org

Questa voce è stata pubblicata in cultura e contrassegnata con . Contrassegna il permalink.