Il gatto con gli stivali in un’incisione ottocentesca di Gustave Doré.
ONDIVAGO 11: Napoleone e il gatto con gli stivali : Max Ponte
Analisi e varianti
La fiaba ha di certo alle spalle una lunghissima tradizione orale, e di conseguenza mette in luce alcuni topoi di antichissima memoria; ad esempio, la scalata sociale compiuta dal protagonista che da povero si ritrova ricco è riscontrabile in altre fiabe di tradizione secolare, come ad esempio Cenerentola. Allo stesso modo è di antico retaggio l’animale “umanizzato” che con la sua astuzia aiuta il protagonista in difficoltà: il fatto che si tratti di un gatto può essere fatto risalire all’epoca in cui il felino era d’ausilio agli uomini contro i topi e altre calamità[2].
Le versioni attualmente più note della fiaba discendono dalla codificazione di Perrault, risalente al XVII secolo: è l’autore francese a introdurre alcuni elementi che oggi rendono la fiaba riconoscibile, quali gli stivali (ulteriore simbolo dell’umanizzazione del Gatto) e l’orco (elemento “magico” mancante nelle versioni precedenti). Nelle codificazioni precedenti sussitono numerose differenze: sia in quella di Straparola che in quella di Basile il Gatto è di sesso femminile e non ha altri attributi antropomorfi se non quello della parola. Da notare come la versione di Basile abbia un finale decisamente più amaro: dopo il matrimonio del padrone con la figlia del re la Gatta si finge morta per mettere alla prova il sentimento del ragazzo nei suoi confronti; quando questi, invece di onorarla, decide di buttare via il suo cadavere, la Gatta smette di fingersi morta e scappa via offesa, nonostante il rimorso del padrone e non prima di aver svelato alla moglie le sue umili origini.
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