Le genou d’artemide (2008, de Jean-Marie Straub)

QLI –

Il primo film di J ean-Marie Straub dopo la morte Danielle Huillet, è una poesia d’amore per lei. Il ginocchio di Artemide si basa su i Dialoghi con Leucò di Cesare Pavese, che era stato già adattato in Ces Rencontres Avec Eux (2006), da Straub e Huillet

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CANNES 61 – “Le genou d’Artemide”, di Jean-Marie Straub e” Itinéraire de Jean Bricard” di Danièle Huillet e Jean-Marie Straub

di Rinaldo Censi

La Quinzaine des Réalisateurs omaggia in proiezione speciale Jean-Marie Straub e i suoi due ultimi film, realizzati dopo la scomparsa di Danièle Huillet, a cui un commosso Olivier Pére, direttore della selezione, dedica questa 40esima edizione. Eppure Danièle Huillet non poteva essere più presente: ogni fotogramma dei due film evoca la sua presenza.

Il ginocchio di Artemide – girato come al solito in Italia, a Buti (la Monument Valley della coppia) – è l’ultima costellazione, in ordine di tempo, inscritta su Cesare Pavese (La belva – da Dialoghi con Leucò); il film si dibatte tra un testo scandito dall’ossessiva ricerca di un’impalpabile figura assente, la dea Artemide, materia evanescente dei sogni di Endimione (la belva, i suoi occhi di ragazza), il desiderio di volerle appartenere definitivamente (di essere carne e sangue tra i suoi denti) e gli agenti atmosferici colti in un décor naturale: una vegetazione lussureggiante che agisce e incontra il testo recitato da due figure olimpiche, quasi scultoree. “Ciascuno ha il sonno che gli tocca, Endimione. E il tuo sonno è infinito di voci, di grida, di terra e di giorni. Dormilo con coraggio, non avete altro bene. La solitudine selvaggia è tua.”, scrive Pavese, e Straub sembra non essergli mai stato così prossimo.

E Straub – infine – sale sul monte, il monte del sonno perpetuo, tanto bramato da Endimione, mentre il verde della natura si dirada. Restano alberi spogli, colti in panoramica, una stele commemorativa. E’ davvero il canto della terra, colto in atto (non per nulla, il film si apre su un prolungato “nero” luttuoso su cui scorrono le note finali di Das Lied von der Erde, di Gustav Mahler).

Il secondo film presentato, Itinéraire de Jean Bricard, è invece firmato in coppia. Si tratta di un vecchio progetto imperniato su una zona del fiume Loira, che accoglie alcune isole nel suo letto. Bianco e nero che cattura le sfumature della rigidezza invernale, suono crudo in presa diretta, il racconto, la testimonianza dello stesso Bricard, fissata su nastro magnetico nel 1998, dal ricercatore Jean-Yves Petiteau. E’ un film che ci piace avvicinare a Trop tôt, trop tard, soprattutto per la magnifica panoramica circolare attorno all’isola, che apre il film: ne definisce le coordinate geografiche, determinando questo spazio come un sito archeologico, un luogo di sparizioni, dove ciò che viene narrato si trova ormai sepolto, dissolto, custodito in strati geologici, magari. Nondimeno il film possiede anche una dimensione intima, privata, che lo avvicina pure a Lothringen!.

Luogo di sparizioni, luogo di un passato ritrovato e ormai irriconoscibile, la Loira e le sue isole hanno infatti segnato l’infanzia di Danièle Huillet. Questo film ne traccia il percorso, attraverso i ricordi di questo vecchio abitante; le lotte della resistenza, la vita sull’isola: tutto appare inghiottito dal tempo, come il paesaggio stesso, modificato, eroso, devitalizzato dall’inquinamento. Resta la bellezza di un albero secolare. Perché qualcosa sembra resistere: mentre la macchina da presa solca i flutti del fiume su una barca, cogliendo un cielo finalmente limpido, sulla superficie acquatica si alza in volo un piccolo stormo di uccelli. Pur minata dall’uomo la natura resiste. Sarà ancora lì quando noi non ci saremo.

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