ritornando su Las Hurdes – Tierra sin pan di Luis Buñuel

«Las Hurdes» di Luis Buñuel: il reale è surreale

by Diego Barboni

Unico documentario all’interno della lunga carriera cinematografica di Luis Buñuel, Las Hurdes – Tierra sin pan si presenta sotto vari aspetti come un caso del tutto particolare, mantenendo ciononostante caratteri di forte continuità con gli altri lavori del regista. Da una parte vi si possono riconoscere molte delle tematiche, delle immagini e delle ossessioni tipiche del cinema dell’aragonese, mentre dall’altra, e dovutamente alla sua stessa forma di documentario, queste si vengono a inserire nel film con modalità indubbiamente diverse che nei film di finzione.
España, cinema e realtà - «Las Hurdes» di Luis Buñuel: il reale è surreale - Un documentario sulla poverissima zona montagnosa di Las Hurdes comincia a essere nei progetti di Buñuel quando il regista, uscito dal gruppo parigino dei surrealisti e tornato in Spagna nei primi anni della Repubblica, legge la tesi di dottorato di Maurice Legendre (frutto di vent’anni di studio), direttore dell’Istituto Francese di Madrid, che trattava proprio di quella zona da tutti i punti di vista possibili: botanico, climatologico, zoologico, sociologico, eccetera.

Fu un colpo di fortuna, la vincita alla lotteria dell’amico Ramon Acìn (un anarchico della CNT che nel 1936 fu fucilato dai fascisti), a far sì che Buñuel potesse realizzare il progetto: le ventimila pesetas vinte costituirono il pur magro finanziamento che gli permise, con una troupe di quattro persone (lui, Pierre Unik, Eli Lotar e Rafaél Sanchez Ventura), di recarsi in automobile nella zona e, rimanendo lì per circa un mese, di girare le immagini che in seguito, montate a Madrid dallo stesso Buñuel e in modo estremamente rudimentale (con lente d’ingrandimento e forbici su un tavolo da cucina), vennero a costituire la prima versione del film.

Il commento fu scritto da Pierre Unik, che scrisse anche un reportage in tre puntate su Vogue, ma il sonoro fu aggiunto soltanto nel 1936, allo scoppio della guerra civile spagnola, quando il governo repubblicano fornì i fondi sufficienti per l’operazione. Allo stesso periodo risale anche la didascalia finale, che mette in rapporto il film ai recentissimi eventi storici e lo rende esplicitamente schierato a favore della repubblica e contro il fascismo di Hitler e Mussolini, direttamente citati.

In realtà, il film lasciava intuire, per il modo in cui era fatto, premesse etico–politiche chiare, e non a caso ottenne la totale disapprovazione dello studioso spagnolo dottor Marañon, autorevole scienziato che anni prima aveva accompagnato il re nel suo viaggio, e ancora non a caso fu proibito in Spagna per diversi anni in quanto denigratorio nei confronti dello stato spagnolo (anche la repubblica, come dice Buñuel in un’intervista del 1954 con Bazin e Doniol–Valcroze, proibì il film per lo stesso motivo).

La storia del film, d’altra parte, è costellata di difficoltà distributive, allo stesso modo dei precedenti Un Chien andalou e L’Âge d’or, dovute appunto alla crudezza delle immagini nonché alla totale negatività che lo caratterizzava: la pellicola non tenta di trovare aspetti eroici nella vita dei contadini né speranze o premesse di un futuro riscatto (se non con la didascalia filorepubblicana del 1936). Si pensi inoltre a come, nel quarantennio successivo alla sua sonorizzazione, la Spagna sia stata retta dall’infame dittatura fascista di Francisco Franco e si capirà ancora meglio la quasi nulla visibilità del film (“è stato visto nei cineclub […] ed è passato dai festival ai corsi universitari sull’evoluzione del documentario e del cinema etnografico e, per finire, dalle cineteche al museo”, dice Mercé Ibarz nel suo saggio “Surrealismo documentaristico e costruzione politica in Las Hurdes”.(1)

Las Hurdes è oltretutto uno di quei film dalle tante diverse versioni, e tra le quali difficilmente si saprebbe indicare quella originale, tanto è stato sottoposto a rimaneggiamenti a seconda delle esigenze (ad esempio, in Francia sono state tagliate alcune immagini introduttive in cui, con l’aiuto di una cartina geografica dell’Europa e della voce di commento, si presentava la miseria della zona come simile a quella di altre popolazioni europee, fra le quali alcune della Savoia). Data la molteplicità delle diverse versioni esistenti (di cui rende adeguatamente conto Mercé Ibarz nel saggio già citato, ma anche il recentemente scomparso Lino Miccichè in un saggio del 1999 sulla rivista La valle dell’Eden),2 converrà precisare che la versione a cui faccio riferimento è quella curata dalla Filmoteca Española in occasione del centenario della nascita del cinema, con il commento in spagnolo e la voce di Francisco Rabal.

Sin dai titoli di testa, il film è accompagnato dall’incedere eroico e tormentato della Sinfonia 4 di Brahms, che con il suo romanticismo fa da contrappunto tanto alla miseria mostrata nel film, quanto al commento, apparentemente freddo e di taglio giornalistico scritto da Unik. Ora, l’aspetto più interessante della pellicola risiede proprio nella dialettica tra l’apparente freddezza e impassibilità delle riprese e del commento, che sembrano tese a conferire al film uno sguardo distaccato (come d’altra parte è solito nei documentari), e l’inserimento di immagini anomale, assurde, deliranti, provenienti però dalla realtà fenomenica stessa, e non create dalla fantasia di Buñuel (come invece avviene solitamente nel resto della sua cinematografia, e in particolare nei due film precedenti). È questo aspetto che ha dato adito a una definizione controversa da parte di molti, quella di Las Hurdes come documentario surrealista, definizione che possiede a mio avviso pregi e difetti, e la cui rispondenza all’opera tenterò in seguito di analizzare.

La prima immagine anomala compare durante la prima serie di riprese ritraenti La Alberca, quasi tutti campi lunghi e campi medi, tendenti (si direbbe) a fornire un’immagine generale, quasi una cartolina, del paesino. Un’inquadratura della parte superiore della chiesa è commentata con un impassibile: “Ecco qui la chiesa de La Alberca”: l’inquadratura successiva è un primo piano di due nicchie contenenti due teschi, e la voce commenta: “Due teschi, dalle loro nicchie, sembrano presiedere i destini de La Alberca”.

Immediatamente, la vita nel paesino, ma anche il film stesso, sono posti sotto l’insegna della morte: la figura della morte, d’altra parte, non smetterà mai di essere centrale in questo film che ritrae uno dei luoghi più miseri al mondo. L’accostamento (sia pure per contiguità) della chiesa con la morte precede un altro accostamento irriverente, dissimulato ma presente (e sottolineato da Sanchez Vidàl), quando la macchina da presa ci mostra alcuni usci delle case di La Alberca (per metterne in luce la rudimentalità): vediamo una mucca uscire da uno di essi, e l’inquadratura successiva mostra un altro uscio recante la scritta: “Ave Maria purissima senza peccato concepita”. Questa volta il commento si premura di fornire una giustificazione all’accostamento: la voce, nel parlare di questi usci, dice che molti di questi recano un’iscrizione religiosa.

In seguito, quando da La Alberca si passerà a parlare del monastero di Las Batuecas, lo stesso procedimento, apparentemente neutrale, dell’accostamento per contiguità, verrà utilizzato di nuovo in modo intenzionale: nel mostrarci le rovine del monastero, ci si dice che un tempo era abitato dai carmelitani; poco dopo, la macchina da presa indugia sulla folta vegetazione e su alcuni rospi e vipere, mentre la voce ci informa che attualmente “rospi, vipere e lucertole frequentano queste rovine”. Durante questa parte del film, insomma, abbiamo a che fare con una serie di accostamenti potenzialmente blasfemi, ma che vengono sempre suggeriti più che resi espliciti (come d’altra parte è caratteristica di Buñuel), e potrebbero benissimo passare anche inosservati allo sguardo di uno spettatore poco attento o poco esperto dello stile di questo regista. Nondimeno, essi vengono a costituire, insieme ad altre numerose suggestioni che il testo ci presenta, un sottotesto ancora fortemente impregnato dell’immaginario surrealista. Ma, se in Un Chien andalou e in L’Âge d’or le immagini deliranti provenivano dalla mente di Buñuel e Dalì, qui è la stessa realtà a fornire a Buñuel continui spunti, è essa stessa che appare spesso surreale, e al regista non rimane che coglierne tale aspetto (compito d’altra parte quanto mai congeniale alle inclinazioni dell’aragonese).

La stessa passione del surrealismo e di Buñuel per la psicoanalisi freudiana, d’altra parte, trova in La Hurdas numerosi spunti di interesse, a cominciare dalla cerimonia in cui i novelli sposi del paese (ancora La Alberca) devono, in sella a un cavallo, strappare la testa di un gallo vivo tenuto sospeso in aria da una corda tesa. A proposito di tale festa, il commento recita: “Questa festa sanguinaria, nasconde senza dubbio molteplici simboli e complessi sessuali, che non andremo adesso ad analizzare”. Non è dunque interesse di Buñuel soffermarsi ad analizzare le implicazioni psicologiche di un evento che solo “un prurito di oggettività” (dal commento di Unik) lo spinge a mostrare, ma d’altra parte egli non può fare a meno di sottolinearlo.

La parte centrale del film descrive i diversi aspetti della vita dei paesini che compongono la zona di Las Hurdes vera e propria. Lo stesso Buñuel, in una conferenza sul film3 descrisse la situazione di Las Hurdes come molto diversa, e forse peggiore, di quella dei popoli primitivi: “Se c’è qualcosa a cui assomigliano poco, queste genti, sono le tribù dei selvaggi. Nella maggior parte di queste, la vita è paradisiaca. Allargando semplicemente il braccio, l’uomo raccoglie ciò che la natura gli offre. Non esiste conflitto spirituale tra il selvaggio e la realtà. A una civilizzazione primitiva corrisponde una cultura primitiva. Ma in Las Hurdes, a una civilizzazione primitiva corrisponde una cultura attuale. Possiedono i nostri stessi principi morali e religiosi. Possiedono la nostra lingua. Hanno le nostre stesse necessità ma i mezzi di cui dispongono per soddisfarle sono in certi aspetti quasi neolitici”.

La scena della scuola offre una lampante dimostrazione di quanto asserito da Buñuel nella citata conferenza: dei bambini, che avevamo visto bere nello stesso ruscello a cui si abbeveravano dei maiali, entrano in classe e il commento ci informa che “questi bambini scalzi e mal vestiti, ricevono lo stesso insegnamento primario che gli altri bambini del mondo[…], anche qui insegnano ai bambini affamati che la somma degli angoli di un triangolo è uguale a due angoli retti”. Successivamente, vediamo un bambino scrivere alla lavagna, su richiesta dell’insegnante, il motto: “Rispettate i beni altrui”: poco prima, il commento ci aveva informati che gli insegnanti li obbligano a mangiare il pane in classe per paura che questo sia loro successivamente rubato dai genitori.

Nuovamente, il reale si mostra ben lungi dall’essere razionale: la macchina da presa, d’altra parte, scopre in classe un’immagine “inattesa e scioccante”, un disegno raffigurante una damigella ottocentesca fronteggiata dalla testa di un mostro, di dimensioni enormi, e simile a King Kong. Ancora un’immagine assurda, come dice lo stesso commento, che la macchina da presa trova già pronta per essere filmata. Proseguendo, la rassegna delle miserie che colpiscono la popolazione hurdana offre ancora allo stesso Buñuel immagini che sembrerebbero citazioni dei suoi primi film, se non fossero prese dal vero: una donna malata di gozzo, che ha solo trentadue anni ma ne dimostra almeno sessanta, fa tornare alla mente l’invecchiamento improvviso di Lya Lys in L’Âge d’or, mentre l’asino ucciso dalle api sembra uscito, come dice Sanchez Vidàl, da Un Chien andalou o da un quadro di Dalì.

Di carattere puramente informativo e documentaristico sono le parti riguardanti la coltivazione e l’irrigazione dei campi e quella riguardante la malaria; se nonché le immagini prese dai libri di scienze naturali, e che ci mostrano la zanzara anofele insegnandoci a riconoscerla, se da una parte fanno venire alla mente la ben nota passione buñueliana per l’entomologia (molti personaggi dei suoi film sono caratterizzati dalla stessa passione), dall’altra non possono non ricordare il documentario sugli scorpioni con cui si apre L’Âge d’or: una semplice assonanza, né più né meno, da non caricare di significati ulteriori, ma spia di come il cinema di Buñuel sia sempre percorso dalle stesse ossessioni ricorrenti.

Un altro dei motivi ricorrenti nei film di Buñuel, a partire da L’Âge d’or, è costituito dalla presenza di storpi, ciechi e personaggi affetti da disfunzioni fisiche e mentali. Nella maggior parte dei casi, la loro presenza, unita al trattamento non certo di riguardo a loro riservato, serve a Buñuel per svolgere un discorso critico nei confronti della morale conformista che li vede come persone inferiori e da compatire (si veda a questo proposito un film come Los Olvidados).

In Las Hurdes, la loro massiccia presenza (in questo caso abbondano i nani e i malati di mente) è dovuta alla totale chiusura della zona al mondo esterno, e alla conseguente endogamia che ne deriva, unita per di più alla condizione di promiscuità in cui gli abitanti si trovano a vivere nelle loro case, a causa delle ristrette dimensioni delle stesse: molti abitanti de Las Hurdes, insomma, sono frutto di incesti. Ciò fornisce a Buñuel l’occasione per mostrare molte immagini di questi personaggi, proseguendo una tradizione figurativa (e non solo) tipicamente spagnola: non a caso, l’opera del regista aragonese è stata accostata spesso, e per vari motivi, a quella di Goya;(4) non a caso Javier Herrera Navarro, in un interessante saggio riguardante le radici storiche e culturali di quello che chiama il “realismo visionario” di Buñuel, le fa risalire fino alla novella picaresca spagnola;5 non a caso, infine, lo stesso testo di Unik fa riferimento a questa tradizione osservando, a proposito di questi storpi, che “il realismo di un Zurbaràn o di un Ribera rimane al di sotto di questa triste realtà”.

La parte finale del film è di nuovo posta sotto il segno della morte. Un bambino è morto, e la macchina da presa di Buñuel ci mostra la processione che accompagna il suo piccolo corpo, attraversando un fiume (scena simile a una, posteriore, di Subida al cielo, e a un’altra di El rio y la muerte), fino al piccolo cimitero hurdano. La voce di commento sottolinea di nuovo: “Questo cimitero ci mostra che, nonostante la grande miseria degli hurdani, le loro idee morali e religiose sono le stesse che in qualsiasi altra parte del mondo”, e subito dopo le immagini ci mostrano l’interno di una chiesa, sorprendentemente ricca di ornamenti, commentata ancora dalla frase: “Le uniche cose lussuose che si trovano ne Las Hurdes sono le chiese”. L’ironia feroce che spesso Buñuel riserva alla chiesa cattolica diviene qui sbigottimento davanti all’assurdità che ancora una volta si presenta alla macchina da presa, e il testo di Unik stavolta evita di commentarla, data la sua evidenza.

Le ultime immagini mostrano una vecchia che, di notte, si aggira per le strade agitando una campana e salmodiando un’orazione. Le frasi che la donna pronuncia, riprese dal testo, sono le seguenti: “Niente può alimentare di più la nostra anima che pensare sempre alla morte. Recitate un’Ave Maria per l’anima di…”. Il primo piano della donna su sfondo scuro (è notte) appare mentre la voce di commento recita queste frasi. Sono le ultime immagini prima della scritta “Fin” (che compare su un campo lunghissimo del paesaggio montano de Las Hurdes), e congiunte all’assurdità delle frasi della vecchia (nonché al fatto che l’ultima resta inconclusa) conferiscono un tono inquietante al finale, ponendo in nuova luce, o meglio in nuove tenebre, tutto il film. “Il sonno della ragione genera mostri”, verrebbe da dire con Goya, e la mostruosità delle condizioni di vita ne Las Hurdes è anche e soprattutto il risultato di secoli di “sonno della ragione”.

La didascalia del 1936 mette in relazione il film con gli eventi storici che proprio in quei giorni si preparavano a cambiare per molti anni la vita nella società spagnola, tentando di inserirvisi attivamente come propaganda repubblicana. Ecco qui di seguito il testo.

“La miseria che questo film vi ha appena fatto vedere non è una miseria senza rimedio. Già in altre regioni della Spagna montanari, contadini e operai sono riusciti a migliorare le loro condizioni di vita unendosi, aiutandosi a vicenda, presentando le loro rivendicazioni davanti ai poteri pubblici. Questa corrente che conduce il popolo verso una vita migliore ha orientato le ultime elezioni ed ha permesso la formazione di un governo del Fronte Popolare. La ribellione dei generali appoggiati da Hitler e Mussolini pretendeva di ristabilire i privilegi dei grandi proprietari sulle case dei contadini. Ma gli operai e i contadini di Spagna sconfiggeranno Franco ed i suoi complici. Con l’aiuto degli antifascisti del mondo, la pace e la felicità succederanno alla guerra civile e faranno sparire per sempre i focolai di miseria che questo film vi ha mostrato”.

Purtroppo, furono invece i “mostri” a vincere, e il risultato furono, per la Spagna, altri quarant’anni di “sonno della ragione”.

Come si è visto, Las Hurdes appare contrassegnato da immagini, tematiche, ossessioni che ricorrono anche nei due primi film e, più in generale, in tutta la cinematografia buñueliana. Tuttavia, i modi in cui esse si inseriscono nel film sono parzialmente diversi da quelli in cui compaiono nelle altre pellicole di Buñuel, e in particolare nelle prime due, quelle propriamente dette surrealiste. Ciò è evidentemente dovuto alla dimensione di documentario di Las Hurdes, che naturalmente implica un diverso approccio all’organizzazione del profilmico, ai procedimenti puramente cinematografici e alla messa in scena (benché sia un documentario si può comunque parlare di messa in scena, come dimostra la premura di Buñuel a organizzare alcuni aspetti dell’inquadratura, senza dimenticare il discutibilissimo sotterfugio di sparare a una capra per farla cadere da una rupe, proprio per dimostrare con quanta facilità le capre hurdane cadevano dalle rupi).

I procedimenti di cui si serve Buñuel per suggerire similitudini e metafore, e per esercitare la sua feroce ironia (in particolar modo ai danni della chiesa cattolica), sono qui in parte diversi da quelli utilizzati altrove: è soprattutto mediante il montaggio, ovvero mediante l’accostamento per contiguità, e mediante il testo di commento, che Buñuel suggerisce significati. D’altra parte, come abbiamo già osservato, la realtà offriva già di per sé, in questo caso, materiale sufficiente per una sua interpretazione in senso surrealista: Buñuel, come detto, non doveva fare altro che saperlo cogliere e organizzare nel modo più efficace. Notevoli affinità, d’altra parte, sonno evidenti tra questo film e i primi due, ma più in generale con l’intera cinematografia del regista. Se si vuole parlare di Las Hurdes come di film surrealista, quindi, bisognerebbe a mio avviso parlare di tutta la cinematografia di questo cineasta come di cinematografia surrealista, e tale definizione non sarebbe certo lontana dal vero: riguardo alle premesse etico-politiche e all’approccio nei confronti della realtà e nei confronti dell’opera d’arte, si può dire che l’influenza del surrealismo non abbia mai smesso di essere attiva in Buñuel, fino all’ultimo film.

La ricchezza tanto di riferimenti culturali quanto stilistica dell’opera di Buñuel, però, la rende poco adatta a essere rinchiusa in qualche definizione, già a partire da Las Hurdes (ma, volendo, già da Un Chien andalou, che infatti era stato realizzato prima dell’entrata di Buñuel nel gruppo). Appare quindi una questione di poca importanza stabilire se Las Hurdes possa essere considerato un documentario surrealista o no; ciò che questo grande film mostra con disarmante evidenza è che surrealista è la realtà.

1 In L’occhio anarchico del cinema Luis Buñuel, Il Castoro, Milano 2001.
2 “Su Las Hurdes/Tierra sin pan di Luis Buñuel”, in La valle dell’Eden n. 3, 1999.
3 La conferenza citata fu scritta nel 1940 per la presentazione di Las Hurdes/Tierra sin pan al Mac Millan Academic Theatre di New York, in una serata organizzata dall’Istituto di Arti e Scienze della Columbia University. Il testo, in spagnolo, compare in Escritos de Luis Buñuel, a cura di Manuel Lopez Villegas, Paginas de Espuma, Madrid 2000.
4 Vedi ad esempio il saggio “Goya – Buñuel: faccia a faccia”, di Agustìn Sanchez Vidàl, in La valle dell’Eden n. 3, 1999.
5 Javier Herrera Navarro, “Il realismo visionario di Buñuel e i suoi precedenti pittorico-letterari: da Las Hurdes a Viridiana”, in L’occhio anarchico del cinema di Luis Buñuel, Il Castoro, Milano 2001.

Si ringrazia la rivista online www.frameonline.it per l’autorizzazione a pubblicare l’articolo di Diego Barboni

http://www.globalcinema.eu/single.php?sl=las-hurdes-bunuel


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