Le Premier homme Camus franceculture – G. Amelio film

Le Premier homme – Camus (1ère partie) 2

26.04.2015 – 16:00

La vie ne se soucie pas de nos préférences. Quand elle les comble, ce n’est que par hasard. Il arrive aussi que par un accident stupide, une fin prématurée, nous prive soudain d’en finir avec ce que nous faisions. Comme on jette l’ancre tout en hissant les voiles. Comme on perd les ailes à l’heure de s’envoler.

Le premier Homme d’Albert Camus n’est pas encore un livre. C’est un début, c’est une esquisse, c’est-à-dire aussi l’essentiel. Le récit d’une enfance et l’enfance d’un récit, figées dans leur envol, réduites en fragments par un accident de voiture sur la route de Sens, et dont il ne reste que quelques pistes, et un texte que la vie réduit à demeurer le grand livre à venir.

A la réalisation : François Caunac

A la lecture : Georges Claisse

http://www.franceculture.fr/emission-le-gai-savoir-le-premier-homme-camus-1ere-partie-2015-04-26

Le Premier homme – Camus (2ème partie) 2

03.05.2015 – 16:00

« Au fond de toute beauté gît quelque chose d’inhumain et ces collines, la douceur du ciel, ces dessins d’arbres, voici qu’à la minute même, ils perdent le sens illusoire dont nous les revêtions, désormais plus lointains qu’un paradis perdu. »

A la lecture : Georges Claisse

A la réalisation : François Caunac

http://www.franceculture.fr/emission-le-gai-savoir-le-premier-homme-camus-2eme-partie-2015-05-03

L’eroe senza nome: “Le Premier Homme” di Albert Camus

di Arianna Di Fratta
16.9.13
Il primo uomo
di Albert Camus
Bompiani, 2001
Ciò che ha contribuito a rendere Le premier homme un manoscritto incompiuto di successo – si parla di ben 300.000 copie vendute – è la sua tragica ma al tempo stesso assurda storia. Il 4 gennaio 1960, Albert Camus muore in un tragico incidente d’auto. In seguito alla sua scomparsa, nella borsa che lo scrittore portava con sé, viene ritrovato un manoscritto non ancora terminato. Venuto a conoscenza della triste notizia, Sartre scrive su France-Observateur:

«Pour tous ceux qui l’ont aimé, il y a dans cette mort une absurdité insupportable. Il faudra apprendre à voir cette œuvre mutilée comme une œuvre totale».

Pertanto, la figlia Catherine Camus decide pazientemente di decifrare la piccola e incomprensibile scrittura del padre e di far pubblicare il manoscritto presso l’editore Gallimard, nella collezione “Cahiers Albert Camus”, nel 1994.
Essendo Camus tra gli autori più fraintesi e incompresi della storia della letteratura francese (si è deliberatamente omesso il titolo di filosofo), non stupirà che anche questo manoscritto abbia subito molte interpretazioni controverse. I più si limitano a leggerlo come un’autobiografia o confessione dell’autore, altri si prestano ad interpretarla come l’ennesima presa di posizione di Albert Camus rispetto alla situazione politico-economica dell’Algeria e dei suoi rapporti controversi con la Madre Patria.
 La verità è che Le Premier Homme – Il Primo Uomo in italiano – è una confessione d’amore. Non la costruzione di un mito, non amore passionale, non costruzione di un pensiero filosofico. No, puro e semplice amore.

 Amore nei confronti della madre e dello zio che lo hanno cresciuto e hanno reso Jacques Cormery – e non Albert Camus come molti critici si ostinano a far leggere tra le righe – l’uomo in carriera che sembra essere diventato. Un amore sviscerale nei confronti di una madre quasi muta, soggiogata dal carattere imponente di una nonna tiranna e impavida, tormentata dall’idea dell’onore, del lavoro e del sacrificio. Una madre che ama un figlio che l’ha abbandonata ma non l’ha mai dimenticata, fedele al proprio destino e ad una Terra che non le ha dato le certezze di cui aveva bisogno.
 Amore per una terra incompresa e abbandonata, amore per gli eroi che la popolano e le restano fedeli, uomini come suo padre e suo zio che nascono, crescono, lavorano e seguono il proprio cammino di vita senza porsi troppe domande. Uomini che combattono guerre che non gli appartengono e subiscono odio e violenze di cui non conoscono né l’origine né la fonte. Primi uomini in quanto esseri originali e veri. Il mito non diventa altro, non è estraneo alla realtà ma si fa realtà stessa. Uomini che scoprono passo dopo passo la propria vita, senza avere una guida o un punto di riferimento. Dei nuovi Adamo abbandonati dal Dio che professano ma che lottano e vanno avanti senza arrendersi. Uomini come il suo professore che passano la vita ad educare con rigore, che credono nel futuro di ragazzi apparentemente senza speranza. Uomini che danno speranza a famiglie che credevano di averla perduta. Uomini che credono ancora nell’ambizione e nei sogni dei più piccoli, senza accusarli di presunta ingenuità.
Jacques Cormery ritorna indietro non tanto per ritrovare le tracce di un padre perduto da sempre e che non ha mai ricordato bensì per ritrovare se stesso. Jacques ha bisogno di staccarsi dalla civiltà alla quale si è ancorato per ritornare alla civiltà primordiale, quella vera, alle sue radici. Per ricordare. Ricordare l’amore che provava quando ancora non era un francese acquisito, quando anch’egli era un primo uomo, e non un pied noir. Quando correva sulla spiaggia, sfuggiva alle punizioni della nonna, quando giocava a calcio e doveva riparare le suole delle scarpe per usarle ancora, ancora e ancora un’altra volta. Quando era un irascibile monello che leggeva per diletto, le domeniche pomeriggio al cinema con la nonna per leggerle i sottotitoli dei film, il primo furto di soldi proprio alla tiranna di casa, il primo lavoro estivo per aiutare economicamente la famiglia.
Le Premier Homme è un album di ricordi, una riscoperta di sé, una sincera dichiarazione d’amore al suo passato e ai componenti che l’hanno reso tale. Sbaglia chi crede di poterlo leggere con un singolo punto di vista. Sbaglia chi limita la vista a quel tema, a quel dettaglio, a quell’episodio. E’ proprio l’incompletezza dell’opera che la rende ancora più godibile, più gustosa, più vicina al vissuto di Jacques – e non di Albert Camus. Perché l’autore non voleva che venisse interpretata come una semplice autobiografia, e le sue intenzioni vanno rispettate. C’è anche del romanzo, una mémoire volontaire se si vuole utilizzare la terminologia proustiana. C’è una scelta specifica, uno scarto tra i ricordi e non a caso molti elementi del romanzo non coincidono perfettamente con il puzzle biografico che molti critici hanno sapientemente ricostruito.
 Camus non teorizza, racconta. A volte, si ha l’impressione che l’autore si abbandoni a fiumi e fiumi di parole dimenticando totalmente la punteggiatura (aggiunta, tra l’altro, da chi ha ribattuto a macchina il manoscritto originale). Le immagini sono vivide, vive, sotto gli occhi di chi legge. Non è come ne La Peste o ne La Chute. Non sono le Chroniques Algériennes. L’Algeria vive di profumi, colori, stagioni. Il lettore sente il caldo appiccicoso sulla pelle, il ronzio delle mosche, il sonno forzato del bambino. Tutto è intensificato e netto – e in questo è vivo il romanesque, la firma d’autore. Ma si tratta di un romanesque gradevole, non forzato, spontaneo ma controllato. Un roman autobiographique così come inteso da Philippe Lejeune, l’autore inserisce del suo senza però farsi risucchiare dalla sua stessa opera. Tra l’altro – come ricorda bene Rousset nel suo saggio Forme et Signification – l’artista è il suo stesso creato. Pertanto, non è necessaria un’autobiografia tout court per ritrovare la vita di chi scrive. Basta il sentore, perché il lettore è – citando Rousset – “tutto antenne e sguardi”.
 In definitiva, perché leggere quest’opera per giunta incompiuta? Perché è l’elemento che completa il ciclo. E’ la ciliegina che sta bene sulla torta. Finalmente, si ha a che fare con un Camus libero dagli schemi e dalle paure, più maturo, più rilassato. Più vivo. Paradossalmente, anche più completo nonostante l’opera non lo sia. Perché il finale non c’è e rende il ciclo già stabilito dall’autore assurdo come aveva sempre teorizzato nei suoi saggi. Ma l’absurde questa volta vince, conquista, stupisce.
 Arianna Di Fratta

http://www.criticaletteraria.org/2013/09/primo-uomo-albert-camus-recensione-premier-homme.html

RECENSIONI
Algeri, Calabria

“Io ho voluto che diventasse anche la mia storia non per presunzione ma per umiltà. Ho fatto questo film per un atto d’amore”. (Gianni Amelio)

Amelio/Camus. Nel binomio che campeggia sopra il titolo nel manifesto del film trova già sintesi una dichiarazione di poetica: il transfert autobiografico come chiave di lettura e strumento d’indagine. Perché ne Il primo uomo le assolate strade algerine sembrano sfumare nella luce mediterranea della campagna del sud Italia, i piedi scalzi dei ragazzini sporchi di sabbia e polvere riecheggiano quelli di una giovinezza allevata in una povertà proletaria affine, all’Algeria degli anni ’20 si sovrappone il ricordo della Calabria del secondo dopoguerra. “Nessuna autobiografia può appassionarci se non tocca in parte anche la nostra vita”, ha affermato il regista: forte di questa convinzione (discutibile), si è quasi sentito scelto a dirigere questo film proprio in virtù del suo passato. Di umili origini, padre assente (emigrato in Argentina, incontrato solo in tarda età), cresciuto da madre e nonna, la presenza risolutiva di un insegnante che lo spinge a continuare gli studi: esattamente come Albert Camus, o meglio come Jacques Cormery, figura che lo scrittore francese scelse come alter ego nel romanzo autobiografico dal quale il film di Amelio è tratto.

Nono lungometraggio per il cinema del regista calabrese, Il primo uomo rielabora su grande schermo, con sensibilità al tempo stesso fortemente personale e rispettosa della fonte letteraria, le pagine dell’ultima opera di Camus, il cui manoscritto venne trovato tra i rottami dell’auto a bordo della quale lo scrittore trovò la morte nel gennaio del 1960. Opera incompiuta e postuma dunque, che tornerà alla vita e a una forma “compiuta” più di trent’anni dopo, nel 1994, quando verrà finalmente pubblicata dopo un lungo lavoro di ricerca e ricostruzione curato dalla figlia Catherine. Analogamente, anche il film inizia sotto il segno della morte, col protagonista che tra le lapidi di un cimitero di guerra cerca la sepoltura del padre mai conosciuto, morto sulla Marna nel 1914, per poi risalire a una nascita, la propria, nel corso di un viaggio che è ricomposizione dei nodi cruciali della propria formazione, opera di ricognizione nel bambino che è stato dei germi dell’uomo che sarebbe diventato. Il ritorno in Algeria e l’incontro con la madre finiscono però anche per costituire una sfida per l’intellettuale Cormery, straniero sia lì che in Francia, alle prese con la riconsiderazione dello slittante significato di patria e di terra materna in un paese dilaniato dall’esacerbarsi violento dello scontro tra gli algerini e i coloni, tra le aspirazioni indipendentiste degli uni e la difesa dello status quo dei secondi. La sua posizione finisce per scontentare tutti, calibrata com’è sulla mediazione politica e sull’aspirazione a una convivenza pacifica di arabi e francesi, contraria sia al giogo colonialista che al terrorismo anticolonialista, schierata dalla parte degli umiliati, di coloro che subiscono gli stravolgimenti storici, al di là di ogni distinzione di campo.

Attraverso lo sguardo di Cormery, adulto e bambino, Amelio impagina un racconto dal doppio binario temporale (l’oggi del 1957, lo ieri del 1913 e del 1924) nel quale, per forza di quelle consonanze biografiche di cui si è detto, trova anche materiale per un pudico autoritratto dell’artista da giovane (la maggior parte dei dialoghi, ha dichiarato il regista, sono ritagliati da ricordi familiari). Dell’infanzia di Cormery viene così messa particolarmente in luce la centralità delle figure femminili (l’affettuosa e remissiva mamma, la nonna arcigna e dispotica, indurita dalla miseria, entrambe analfabete), la cultura come riscatto (il ruolo decisivo del maestro elementare, surrogato paterno), l’educazione alle immagini (le diapositive della Grande Guerra, la lettura delle didascalie di un film muto al cinema in compagnia della nonna), intessendo questi elementi con sequenze che contengono già in nuce una tensione che scoppierà anni dopo (la liberazione dei randagi e la reazione dell’accalappiacani, il litigio col compagno di scuola algerino).

Ulteriore tappa, stilisticamente distillata, del cinema ameliano di viaggio (reale e metaforico) e di riflessione su miserie materiali e morali alla luce antropologica dei legami di sangue (fino ad oggi soprattutto italiani e maschili: padri, anche putativi, figli, fratelli), Il primo uomo è segnato da una compostezza espositiva che raffredda la sua potenziale portata emotiva, frutto di un rispetto del materiale narrativo che sembra però a tratti sconfinare in eccessiva cautela (probabilmente gioca un ruolo di rilievo il fatto che la figlia di Camus che da anni rifiutava una versione cinematografica del libro del padre, preoccupata da stravolgimenti o strumentalizzazioni, abbia deciso con la produzione di dare il suo consenso non alla sola lettura della sceneggiatura ma a film finito, con la possibilità di ritirare titolo e riferimenti in caso di mancato gradimento). La messinscena di Amelio, di una sobrietà che arriva a sfiorare qua e là l’ovattato, illuminata dalla pulizia dorata della fotografia del dumontiano Yves Cape, sembra sempre accompagnare la sceneggiatura, raramente anticiparla o approfondirla (intense eccezioni: il teso campo/controcampo all’università con lo striscione degli studenti nazionalisti che avanza minaccioso verso Cormery, quasi a “decapitarlo”, infine graziato da un brusco stacco di montaggio; la circospetta camminata dello scrittore nella casbah; il piano-sequenza al mare col piccolo Jacques che protegge il flirt della madre dai sospetti della nonna).

La dimensione politica stenta a saldarsi con le intermittenze del cuore: contesto storico e sfera privata procedono parallelamente, di rado sostanziandosi a vicenda, il primo puntualizzandosi in situazioni e personaggi di un’esemplarità un po’ pedante (l’addolorato ex-compagno di scuola che chiede aiuto per scarcerare il figlio terrorista, personaggi assenti nel testo originario, o il colono che non può neanche immaginare di vivere una vita altrove). L’itinerario personale e intellettuale del protagonista approda nella dichiarazione rilasciata alla radio, a poche ore dall’esecuzione del giovane Aziz, contro la dissennatezza di una guerra fratricida dove il regista ha premura di ricollocare la celebre e dibattuta dichiarazione camusiana “Tra la giustizia e mia madre, scelgo mia madre” (in originale: “Si j’avais à choisir entre cette justice et ma mère, je choisirais encore ma mère”), in realtà pronunciata in occasione della consegna del Nobel per la letteratura, contestualizzandone il senso e sfrondandola così dal sospetto di reticenza conservatrice sulla questione franco-algerina. E anche Amelio come Camus sceglie la madre: l’indagine di partenza del protagonista sulla sconosciuta figura del padre finisce per smarrirsi tra altre suggestioni e perdere vigore (singolare il depotenziamento emotivo della comparsa finale del genitore alla rievocazione della nascita di Jacques) mentre la conclusione poggia interamente sulla decisione ultima e sullo sguardo di Catherine Cormery. Un scorcio cittadino tra le persiane, un angolo di mondo familiare benché sull’orlo della disintegrazione, una terra che la donna con tenera ostinazione sente ancora visceralmente sua, malgrado le bombe, malgrado la Storia.

Michele Favara
(30/04/2012

http://www.spietati.it/z_scheda_dett_film.asp?idFilm=4278






Albert Camus, l’amour et la pensée de midi – Lascia ch’io .

La chute Albert Camus Récit. (1956) ; la caduta .

Albert Camus, Réflexions sur la guillotine (1957

A Date to Remember: Albert Camus (born November 7, 1913)

Albert Camus, LE MYTHE DE SISYPHE. ESSAI SUR L’ABSURDE: Bisogna vivere con il tempo e con lui morire.

http://www.controappuntoblog.org/2014/12/18/albert-camus-le-mythe-de-sisyphe-essai-sur-labsurde-bisogna-vivere-con-il-tempo-e-con-lui-morire/

Albert Camus : Lo straniero – The Rebel , L’HOMME RÉVOLTÉ …

“Je vis comme je peux…dans un pays malheureux” Albert Camus

L’étranger (The Stranger) : Luchino Visconti

Il Caligola di Camus | controappuntoblog.org

Albert Camus, Réflexions sur la guillotine (1957

UMANO E POLITICO tra Camus e Sartre – L’État de siège (1948 …

Il Caligola di Camus | controappuntoblog.org

Camus – Discorso di Camus, Premio Nobel per la letteratura nel

LA PESTE NELLA LETTERATURA – controappuntoblog.org

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