Alien Wisdom: The Limits of Hellenization Ebook Download Pdf By Arnaldo Momigliano

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Uno sguardo alle altre culture. La lezione di Arnaldo Momigliano

Uno sguardo alle altre culture. La lezione di Arnaldo Momigliano

A circa quarant’anni di distanza dalla sua pubblicazione, Saggezza straniera. L’Ellenismo e le altre culture di Arnaldo Momigliano costituisce, ancora oggi, un’occasione per ripensare il mondo con gli occhi dei suoi protagonisti del passato, analizzando i legami culturali e il confronto che avvenne in età ellenistica tra Greci, Romani, Celti, Ebrei e Iranici.

Pubblicato nel 1975, il libro raccoglie una serie di conferenze, le Trevelyan Lectures tenute all’Università di Cambridge nel maggio 1973 e, in forma riveduta, le A. Flexner Lectures tenute al Bryn Mawr College nel febbraio-marzo 1974, con in appendice l’articolo L’errore dei Greci apparso sulla rivista “Dedalus”. Obiettivo dell’autore è verificare in che modo i Greci giunsero a conoscere e valutare i gruppi etnici estranei alla propria civiltà. Sui Greci, infatti, si deve far ricadere la responsabilità della barriera che, tanto a lungo, circoscrisse l’importanza dell’Egitto, escluse i Persiani, gli Indiani e, a fortiori (geograficamente), i Cinesi dal nostro orizzonte culturale, ma non Romani ed Ebrei.

Da un punto di vista geografico ed etnografico, Momigliano sottolinea come i Greci possedettero gli strumenti intellettuali e la curiosità necessaria all’analisi delle civiltà straniere e furono unici nell’antichità nella loro capacità di raccogliere informazioni, descrivere e studiare i costumi degli stranieri. Possedevano esperienza in fatto di esplorazioni e scoperte geografiche, e seppero analizzare le istituzioni, le credenze religiose, le abitudini quotidiane, e perfino la dieta delle popolazioni straniere. L’etnografia e la geografia greca furono sfruttate dai Romani per i loro scopi politici, in particolare per conoscere e trattare con altri popoli e per stabilirsi sui territori conquistati. Essi si servirono di esperti e fonti scritte dai greci (storici e geografi, tradizionalmente famosi per le loro esplorazioni dei territori barbarici, e per la loro capacità di renderli comprensibili ai popoli civilizzati), e imposero loro di esplorare, conoscere, interpretare e descrivere sistematicamente a loro uso il mondo e le regioni straniere e tracciarne le mappe. I Romani, tuttavia, pur acquisendo un interesse per l’etnografia e la geografia quali attività culturali, non perfezionarono mai i metodi greci. Li imitarono senza spingersi oltre.

L’autore evidenzia inoltre come la civiltà ellenistica fosse essenzialmente greca nel linguaggio e nei costumi. Il greco, infatti, fu la lingua dominante nel mondo ellenistico, la lingua che gli altri popoli dovettero acquisire per uscire dal proprio isolamento ed essere accolti nell’alta società. Da parte greca, tuttavia, non fu compiuto uno sforzo analogo verso le altre culture: non ci fu, cioè, la minima tentazione di accoglierle nella loro specificità, né alcun desiderio di conoscerle direttamente. Si trattò piuttosto di un’osservazione dall’esterno, improntata a un forte ellenocentrismo. In questo senso, non dobbiamo sorprenderci se il dialogo tra i Greci e gli altri popoli avvenne solo perché tali popoli vollero confrontarsi con i Greci. E la loro influenza culturale fu avvertita nel mondo ellenistico solo nella misura in cui tali popoli seppero esprimersi in greco, fornendo le proprie informazioni e i propri contributi secondo metodi, modelli e categorie dell’etnografia greca.

Tutto ciò, ovviamente, non giovò né all’autentica comprensione né alla sincerità. Probabilmente, è proprio su queste riflessioni che il libro mostra la sua attualità. Costituisce cioè una chiave di lettura essenziale per l’analisi e l’interpretazione delle fonti ellenistiche ed evidenzia i rischi sottesi a uno sguardo esterno verso una cultura: gli stessi che noi corriamo analizzando le civiltà del passato.

http://www.mediterraneaonline.eu/uno-sguardo-alle-altre-culture-la-lezione-di-arnaldo-momigliano

LELLIA CRACCO RUGGINI

Arnaldo Momigliano, storico antico e pensatore

Lezione per la sede napoletana dell’AST, 12 maggio 2009

A ridosso delle celebrazioni (sobrie, come lo stesso Momigliano

avrebbe certo voluto) nel centenario della nascita (5 settembre 1908),

parliamo ancora una volta – soprattutto per i più giovani, che non

hanno avuto modo di conoscerlo – di questo storico scomparso ormai

da quasi 21 anni (1° settembre 1987), ma che ha ancora molto da

insegnarci. Parlare di Momigliano è intrigante, trattandosi di una tema

variegato e immenso. Sceglierò quindi un percorso principale (e, anche

così, dovrò accontentarmi di accenni abbastanza sommarî): parlerò di

lui soprattutto come storico della storiografia sul mondo antico e quindi anche come pensatore.

«Ogni tema di storia è più o meno esplicitamente una scelta di

problemi da risolvere», ha scritto Arnaldo Momigliano ne Le regole del

giuoco nello studio della storia antica, da cui leggo “spigolando” (un

saggio edito per prima volta nel 1974 negli «Annali della Scuola

Normale Superiore di Pisa», ma poi più volte ripubblicato fino al 1987):

contributo breve ma incisivo che vale per qualsiasi storico, non soltanto

antico (e infatti, nel testo, l’aggettivo “antico” viene per lo più consapevolmente tralasciato). Momigliano così prosegue: «I documenti possono precedere il problema, cioè uno storico può essere ispirato da certi documenti a porsi certi problemi. Egli può invece cercare i

documenti necessari per risolvere i problemi che lo interessano […]. Lo storico è soprattutto libero di portare in una ricerca storica tutta la ricchezza dei suoi convincimenti e delle sue esperienze […]. Giudaismo, Cristianesimo, Islam, Marx, Max Weber, Jung, Braudel, quando si entra nel campo della ricerca storica, insegnano a porre specifiche domande alle fonti, ma non determinano le risposte delle fonti. L’arbitrio dello storico cessa quando egli si trova a interpretare un documento. Ogni documento è quello che è: va trattato tenendo conto delle sue caratteristiche. Una semplice casa non diventa un santuario perché lo storico è religioso. Ed Erodoto non diventa un documento di lotta di classe perché lo studia uno storico marxista […]. Tutto il lavoro dello

storico è sulle fonti […]. E tuttavia lo storico non è un interprete di fonti, pur interpretandole. È un interprete di quella realtà di cui le fonti sono segni indicativi o frammenti […]. È questa capacità di interpretare il documento come se non fosse un documento, ma episodio reale di vita passata, che da ultimo fa lo storico. Un grammatico vede un testo come un insieme di parole da analizzare; lo storico capisce la situazione in cui il testo è stato scritto.

Napoli, Associazione di Studi Tadoantichi

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