Baltimora: by any means necessary by clashcityworkers

Baltimora: by any means necessary

Scritto da ccw

Creato: 29 Aprile 2015

E’ difficile riassumere la storia di oppressione che si sta esprimendo in questi giorni nelle proteste e nei riots di Baltimora. Diventa ancora più difficile quando le mani tremano di agitazione e impotenza, e quando sotto la tua finestra la polizia si è appena portata via un sospettato e la città intera è un delirio di sirene.

Ma cominciamo dall’inizio. O non proprio, perché l’inizio non è cosi facile trovarlo. Cominciamo da Freddie Gray. Il 12 aprile scorso, alle 8e40 del mattino, all’incrocio tra W North Avenue e N Mount Street (quartiere di Sandtown-Winchester, distretto Ovest, Baltimora), Freddie commette il fatale errore di mettersi a correre alla vista di un poliziotto in bicicletta (Brian Rice). Rice decide che la fuga è abbastanza per chiamare rinforzi (altri cinque: Garrett Miller, Alicia White, William Porter, Edward Nero, Caesar Goodson) e spezzare la spina dorsale del 25enne durante la manovra d’arresto e il trasporto verso la stazione di polizia. Una settimana dopo, il 19 aprile, Freddie muore in ospedale per gravi lesioni alla spina dorsale.
L’arresto di Freddie Gray (qui un video ancora più esplicito): 

La morte di Freddie Gray è solo l’ultima di una lunga serie di cui ricordiamo pochi nomi, come Trayvon Martin (ucciso nel febbraio del 2012) e Eric Garner (luglio 2014). In particolare la questione della brutalità della polizia nei confronti della comunità nera è diventata scottante dopo l’omicidio del giovane Mike Brown a Ferguson, Missouri, lo scorso agosto. L’evento ha innescato giornate di protesta a Ferguson e in tutto il paese, sotto le parole chiave ‘Black Lives Matter’.
L’omicidio di Freddie accade quindi in un contesto in cui le azioni della polizia si trovano sotto il mirino dell’opinione pubblica e dei legislatori e la tensione nei quartieri neri (sì, perché la segregazione urbana negli Stati Uniti non è acqua passata) è alta. A questo si aggiunge il fatto che questa volta il fattaccio è accaduto a Baltimora, una città il cui 65% della popolazione è nera e che è praticamente per lo più composta da due grandi ghetti (the hoods): East Baltimore e West Baltimore. Anche se di ‘ghetti’ nel senso tradizionale del termine non si può parlare, dato che quel che rimane nel mezzo (the ‘safe [white] stirpe’ – “la striscia (bianca) sicura”) è gran poco. In questi quartieri il tasso di disoccupazione è nel migliore dei casi il doppio di quello che si registra nei quartieri bianchi, e questo senza contare coloro che hanno smesso di cercare lavoro attivamente (che sono tanti, dal momento che un ostacolo al trovare lavoro è avere dei precedenti penali, e che secondo i dati raccolti dalla sociologa Alice Goffman ‘un afro-americano su nove è in prigione’1).

La pressoché unica possibilità di lavoro in molti quartieri di Baltimora è il traffico di droga, che non distrugge la comunità di colore solo nella dipendenza, ma anche in una catena di violenza inevitabilmente legata a questo tipo di attività2.

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Figura 1: Comparazione economica e sanitaria dei quartieri di Baltimora. Da sinistra a destra: Quartiere – Percentuale di popolazione afroamericana – Aspettativa di vita – Valore mediano del reddito annuale familiare – Famiglie in povertà
(dati estratti dal paper ‘Down to the Wire: Displacement and Disinvestment in Baltimore City’, by Lawrence Brown.)

L’ennesimo omicidio a cielo aperto è quindi avvenuto in una città le cui forti tensioni sociali stavano lì, sotto pelle, pronte a scoppiare. Nei giorni successivi alla morte di Freddie Sandtown è scesa in strada ogni singolo giorno in protesta, portando con se una schiera sempre più fitta di sostenitori. Sabato scorso, il 25 aprile, c’eravamo tutti: dagli amici di Freddie agli accademici della Johns Hopkins, dai sindacati alle mamme incazzate che hanno perso mariti, figli, fratelli. 1500 persone a urlare – chi alla polizia, chi al sindaco, chi al cielo – vogliamo giustizia per Freddie.

Dopo quattro ore di corteo per le strade della città la manifestazione è confluita nella piazza davanti al municipio, dove un tentativo della leadership del New Black Panther Party (da non confondersi con le Black Panther) di tenere la folla all’ascolto di una serie di interventi è miseramente fallito una mezz’ora dopo, quando all’incitazione del leader Malik Shabazz ‘Calm down, we will let you march again in about an hour’ (“calma, potrete tornare a marciare tra circa un’ora”) la folla ha risposto correndo di nuovo verso le strade, diretta allo stadio, dove da poco è ricominciata la stagione di baseball. Se la polizia era stata pressoché assente per la maggior parte del corteo, lo stadio con tutti i fan degli Orioles (la tanto amata squadra locale) non potevano non essere protetti da schiere di celere munita di pepper-spray e cavalli. Allo stesso tempo, è apparso chiaro (e questo è anche quello che potevamo sentire dagli ordini che fuoriuscivano dai trasmettitori della polizia) che gli ordini dall’alto erano di stare calmi, tanto che la polizia è rimasta relativamente tranquilla anche durante l’attacco a sei macchine e il blocco dell’incrocio fra W Pratt St and S Howard St.

Solo verso le 8 di sera l’elicottero (che ovviamente non aveva mai smesso di circolare sopra le nostre teste fin dall’inizio della manifestazione) ha cominciato a mandare il consueto messaggio ‘Chiunque non lasci l’incrocio nei prossimi minuti verrà arrestato’. Ma anche in questo caso, le forze dell’ordine hanno mostrato una calma insolita, chiaramente derivante da precise direttive dall’alto: il sindaco, le forze dell’ordine, tutti sapevano quanto la situazione fosse incendiaria. Ma la calma dei poliziotti non è bastata a sedare una rabbia che ha radici profonde, non solo nel razzismo delle forze dell’ordine, ma anche nella totale mancanza di prospettive che non siano il ghetto e i suoi traffici per la maggior parte della gioventù nera di Baltimora. Così, mentre a sole 50 miglia il presidente Obama si scatenava in uno stand-up comico di mezz’ora per l’annuale cena con l’Associazione dei Corrispondenti per la Casa Bianca (WHCA), i manifestanti sono tornati verso il distretto Ovest, dove è cominciata una notte di scontri di quartiere con la polizia.

Dopo la notte di scontri in Sandtown la decisione è di porre tregua ai disordini fino a dopo il funerale di Freddie, fissato per il lunedì (27 aprile). Nessuna manifestazione fino al martedì. Ma le cose si complicano: il 25 aprile ha registrato un’altra tregua, ben più importante, quella tra i Bloods, i Crips e la Black Guerrilla Family, le tre maggiori gang rivali a Baltimora, le cui ostilità reciproche sono la causa maggiore dell’alto tasso di omicidi della città. Se fino a pochi giorni prima le gang si ammazzavano fra di loro, il 25 aprile erano là, in prima fila nello stesso corteo.
Per quanto a un orecchio italiano questo possa non sembrare una notizia importante, basti ricordare che l’ultimo episodio in cui una pace simile fu raggiunta fu durante le rivolte di Los Angeles del 1992, succeduti al pestaggio da parte delle forze dell’ordine del tassista afroamericano Rodney King.

La tregua è di tale importanza che è stata poi utilizzata dalla polizia ieri (lunedì 27) per abbandonare l’approccio di basso profilo seguito durante il 25 e dispiegare la Guardia Nazionale in strada. È infatti già dalla mattina del lunedì che il Baltimore Police Department (BCPD) dichiara di avere informazioni che puntano a una ‘credibile minaccia’ di attacco congiunto alle forze dell’ordine da parte delle gang.
Con questa circolare (del tutto pretestuosa, dal momento che svariate dichiarazioni di membri delle gang l’hanno smentita) le forze dell’ordine hanno voluto mandare un messaggio chiaro: non apprezziamo affatto la vostra unità, quindi state attenti, perché ci prepariamo ad agire. D’altronde il traffico criminale è la valvola di sfogo principale di migliaia di sottoproletari privi di alcuna prospettiva. La minaccia che possano finalmente guadagnarne una comune rappresenta un pericolo troppo grande. E così, giustificate dalla minaccia delle gang e da un appello a riprendere gli scontri girato sui social media, le autorità hanno deciso prima di chiudere tutte le scuole e far tornare i ragazzi a casa e poi di dispiegare un contingente considerevole di uomini nei pressi del Mondawmin Mall, un centro commerciale nell’area nord-ovest di Baltimora (luogo a cui l’appello agli scontri faceva riferimento). A questo punto centinaia di ragazzi usciti dalla adiacente scuola pubblica Douglass High si sono trovati 400 celerini schierati davanti e decisi a non far passare nessuno. Questa è stata la miccia di quella che poi si è trasformata in una lunghissima giornata (e nottata) di scontri conclusasi – secondo le stime delle autorità cittadine – con più di 200 arresti, 144 incendi di macchine e 15 incendi di edifici.

Lo stato di emergenza è stato dichiarato in città e il neo-eletto governatore del Maryland Larry Hogan ha chiamato in aiuto la Guardia Nazionale. Elicotteri sorvolano la città 24 ore su 24 e da oggi (martedì 28) è stato attivato un coprifuoco che obbliga chiunque in città a rimanere in casa tra le 10 di sera e le 5 di mattina. Nel frattempo le proteste continuano.
Sono giorni importanti, questi, non solo per Baltimora ma per l’intero paese. Ci sono volute le pietre e il fuoco per farsi ascoltare, ma finalmente le autorità (e il mondo intero) non possono non sentire. E i giovani adulti, le madri, i padri di Sandtown che ho incontrato in questi giorno hanno tanto da dire. Parlano degli abusi costanti della polizia e del razzismo diffuso che li relega a uno status di meno-che-uomini. Parlano di come le autorità cittadine ignorino questi quartieri (che come detto sopra compongono la maggior parte della città) offrendo lauti finanziamenti alle grandi compagnie immobiliari della turistica downtown mentre al contempo smantellano quel poco che rimaneva delle case popolari e dei recreation centers3 e tagliano l’acqua a coloro che non riescono a pagare le bollette4E parlano di lavoro, o meglio della sua assenza, e con essa dell’assenza di prospettive in cui la stragrande maggioranza della popolazione afro-americana cresce nei quartieri neri di Baltimora (e di moltissime altre città in questo paese).

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Figura 7: la sovrapposizione tra quartieri con alta percentuale di afroamericani e quartieri con alta percentuale di disoccupazione. In evidenza il luogo dell’arresto di Freddie Gray e le zone dove sono avvenuti gli scontri.

Perché il razzismo, di cui sono ancora intrisi gli Stati Uniti – basti vedere i commenti sull’inferiorità intellettuale dei neri di cui pullulano le edizioni online degli articoli di giornale, è la maschera attraverso cui si nasconde lo sfruttamento. Diventa un ulteriore strumento per opprimere le classi sfruttate ed ostacolarne la reciproca solidarietà. E così in una città che ha assistito dagli anni ’70 ad una massiccia deindustrializzazione, con tantissime imprese scappate all’estero per approfittare di manodopera più economica, e perso anche per questo quasi 300 mila abitanti(!), gli afroamericani sono in sostanza i poveri. Disoccupati o relegati ai lavori peggio pagati (ad esempio nelle catene del Fast Food) gli unici a crescere negli ultimi anni, e principali vittime delle speculazioni immobiliari. Prima, all’epoca dei famosi ‘subprime’, oggetto delle mire rapaci degli squali della finanza che con il miraggio di ottenere finalmente una casa li incastravano in una spirale insostenibile di indebitamento. Adesso sono i primi a venire sfrattati da migliaia di case acquistate in massa da grandi aziende o grandi istituzioni per essere lasciate appositamente sfitte in attesa di piani di sviluppo in grado di rialzarne il valore, così da rivenderle a prezzi gonfiati.

Di tutto questo parlano queste proteste. E poi sì, parlano anche di Freddie.

RAGAZZO – Vogliamo giustizia, e se non ce la vogliono dare, ce la prendiamo. By any means necessary [“Con ogni mezzo necessario”, famosa frase da un discorso di Malcolm X]. Se non vogliono fare giustizia, la gente deve prendersela. Veniamo da tutta la città. Siete voi ad ucciderci, non siamo noi gli assassini. Siete voi quelli con le pistole, quelli coi giubbotti antiproiettile, quelli con i distintivi. Noi non abbiamo nulla!
GIORNALISTA – Come ti chiami?
RAGAZZO – Il mio nome è MKing [riferimento a Martin Luther King], sono ovunque qui fuori, Baltimora si è sollevata! MKing, questo è tutto quel che devi sapere. MKing. Mking l’ha detto. La giustizia è tutto. E la vogliamo. E ce la prenderemo. Perché nessuno ce la vuole dare, e ce la prendiamo. By any means necessary, come ha detto Malcolm X.
Come ho detto: non siamo noi ad uccidervi. Siete voi gli assassini. Quelli con le armi e i giubbotti. Lo vedi quello [puntando a una camionetta della polizia che passa]? Quello ha le armi. Ci vedi a noi? Noi non abbiamo nulla se non la nostra pelle nera. Ed è per questo che lottiamo. E dobbiamo continuare a lottare.


1. Alice Goffman (2014) On the run: Fugitive life in an American city, University of Chicago Press.
2. http://www.baltimoresun.com/news/maryland/sun-investigates/bs-md-sun-investigates-stats-20141115-story.html
3. I rec centers centri in cui vengono offerte numerose attività ricreative (sport, giochi, arte, ecc.) e che sono ritenuti fondamentali dalla comunità afro-americana a Baltimora, essendo questi i luoghi dove i ragazzini possono passare il tempo in alternativa alla strada (e a quel che la strada comporta) quando non sono a scuola e i genitori sono a lavoro.
4. http://rt.com/usa/247285-baltimore-threatens-water-cuts/

http://clashcityworkers.org/internazionale/1973-batimora-rivolte.html

On the Run: Fugitive Life in an American City : turns pages

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