Alfred Wegener il Copernico delle Scienze della Terra

Alfred Wegener il Copernico delle Scienze della Terra

10 Gen. 2013 | categoria Biografie, Geologia, Storia della scienza, scienze della Terra

Oggi voglio parlarvi di un libro La formazione dei continenti e degli oceani di Alfred Wegener, uno degli scienziati che ha da sempre suscitato in me profonda ammirazione per la sua capacità di “vedere lontano” e che ancora mi appassiona.

Per dirla con le parole dell’autore:

“La storia di questo libro non è priva di interesse. La prima idea di una deriva dei continenti mi si presentò già nel 1910. Nell’esaminare la carta geografica dei due emisferi, ebbi l’impressione immediata della concordanza delle coste atlantiche, ma ritenendola improbabile non la presi per allora in considerazione. Nell’autunno 1911, essendomi capitata in mano una relazione sull’antico collegamento continentale tra il Brasile e l’Africa, venni a conoscenza dei risultati tali paleontologici ottenuti, a me ignoti fino allora. Ciò mi spinse a prendere in esame i dati acquisiti nel campo geologico e paleontologico, riferentisi a questa questione: ora, le osservazioni fatte furono così notevoli che si radicò in me la convinzione dell’esattezza fondamentale di quella idea… La partecipazione al viaggio attraverso la Groenlandia, compiuto da Kock nel 1912-13, e quindi il servizio militare mi impedirono di dare ulteriore sviluppo alla teoria. Nel 1915 tuttavia, approfittando di un permesso un po’ lungo per malattia, potei farne un’esposizione un po’ più estesa.

A.Wegener, La formazione dei continenti e degli oceani, trad.Clara Giua, Boringhieri, Torino, ed. riv. 1964, pag.31

Chi è Alfred Wegener?

Alfred Wegener, figlio di un pastore protestante, nacque a Berlino nel 1880. Compì i suoi studi al Kollnisches Gymnasium di Berlino e successivamente nelle università di Heidelberg, Innsbruck e Berlino. Nel 1906 si recò con una spedizione danese nella Groenlandia nord-orientale per alcuni anni, allo scopo di intraprendere una ricerca meteorologica e al suo ritorno in Germania fu nominato  libero docente in astronomia e meteorologia all’Università di Marburg e scrisse un testo di meteorologia molto noto ai suoi tempi. Nel 1912 intraprese una seconda spedizione, piuttosto infruttuosa, in Groenlandia con J.P. Koch.  Dopo la prima guerra mondiale, durante la quale rivestì il grado di sottotenente di complemento e fu ferito a un braccio e al collo, Wegener fece ritorno alla vita accademica e nel 1924 accettò l’offerta di una cattedra, espressamente creata per lui, in meteorologia e geofisica all’Università di Graz in Austria. Partecipò nel 1930 ad una terza spedizione in Groenlandia, dove sfortunatamente perse la vita sui ghiacci dell’interno.

LO SPOSTAMENTO DEI CONTINENTI E DEGLI OCEANI

Il 6 gennaio 1912, durante una conferenza che si tenne a Francoforte, Alfred Wegener enunciò la teoria dello spostamento dei continenti. Secondo questa teoria, nel passato geologico alcuni continenti, galleggiando alla deriva sulla superficie terrestre, si sono spostati fino a giungere alle posizioni attuali. Il termine deriva dei continenti (continental drift) in realtà fu coniato in un secondo tempo ma si affermò universalmente nei paesi di lingua inglese, forse per la sua brevità.

Secondo lo schema di evoluzione della crosta terrestre proposto da Wegener, in origine una sottile crosta formata da rocce con la composizione chimica e mineralogica del granito (SIAL), avrebbe rivestito in continuità  l’involucro sottostante formato da rocce con la composizione chimica e mineralogica del basalto (SIMA).  Durante il Paleozoico per effetto delle forze “tidali”, che tendono a spingere verso ovest gli oggetti sulla superficie della Terra, e della forza centrifuga, che determina una sollecitazione diretta dai poli all’equatore, questo guscio sialico si sarebbe fratturato in molti frammenti che, galleggiando sul SIMA, si sarebbero riuniti in un unico supercontinente (Pangea), circondato da un unico oceano con fondale simico (Panthalassa).  La Pangea era distinta in un continente settentrionale chiamato Laurasia e uno meridionale detto Gondwana, separati in parte da un braccio di mare chiamato Tetide. Un solo grande oceano, la Pantalassa, circondava la Pangea.

In questo modello, l’America settentrionale era unita all’Eurasia e l’America meridionale all’Africa, mentre l’Antartide e l’Australia, con in mezzo I’ India, erano unite alla parte più meridionale dell’Africa.  Wegener ipotizzò che 180 milioni di anni fa (Mesozoico) queste forze, agendo sulla Pangea, l’avrebbero poi smembrata in blocchi di dimensioni continentali, che, spinti alla deriva principalmente verso ovest con diversa velocità, si sarebbero poi allontanati tra loro dando luogo per passaggi graduali alla distribuzione attuale delle terre emerse e dei mari.

Una conseguenza dello spostamento dei continenti fu la nascita delle catene montuose: dalla deriva delle Americhe verso ovest si formarono le cordigliere occidentali (Montagne rocciose e Ande) per compressione ai margini delle masse continentali in movimento; dallo spostamento dell’Eurasia e dell’Africa si sarebbero formate le Alpi, mentre  il Caucaso e l’Himalaya dal corrugamento e dell’emersione dei sedimenti accumulati nell’oceano Tetide.

WEGENER E TAYLOR COME DARWIN E WALLACE

In realtà il primo scienziato che pubblicò (1910) un lavoro che presentava la prima ipotesi coerente e logica del movimento dei continenti alla deriva verso l’Equatore fu il geologo americano, Frank Bursley Taylor (1860 – 1938).

Taylor sosteneva che il modello della Terra in contrazione fosse inadeguato per spiegare in modo soddisfacente la distribuzione di catene montuose come L’Himalaya, le Ande e le Alpi e immaginò un massiccio movimento della crosta terrestre settentrionale verso sud (cioè verso l’Equatore) e di quella meridionale verso nord causato dalla debole forza diretta verso l’Equatore dovuta alla rotazione terrestre durante il Terziario. Per rafforzare questa idea, Taylor sostenne che verso la fine del Cretaceo o all’inizio del Terziario la Terra avrebbe catturato la Luna come suo satellite. Poiché quest’ultima ruotava velocemente avrebbe causato l’aumento della velocità di rotazione della Terra portando così alla formazione delle catene montuose. Oltre a questa ipotesi fantasiosa, la teoria di Taylor presentava anche un altro punto debole, non spiegato dall’idea della cattura della Luna, ossia il fatto che esistono catene montuose più antiche di quelle del Terziario la cui formazione non può quindi essere spiegata da questo modello.

Wegener arrivò a formulare la sua teoria dello spostamento dei continenti in modo indipendente.

“Grande analogia con le mie idee ho trovato anche in un lavoro di F.B. Taylor, apparso nel 1910… Io venni a conoscenza di questi lavori (1909, Mantovani)– anche di quello di Taylor – quando la teoria della deriva dei continenti era già stata da me tracciata nelle sue linee principali.” (pag.34)

LE PROVE A SOSTEGNO DELLA TEORIA

La ricostruzione della Pangea iniziò ad essere eseguita con grande precisione e dettaglio negli anni Sessanta del secolo scorso con l’uso di sofisticati programmi al computer.

Bullard et al., 1965 (http://www.unil.ch/webdav/site/igp/shared/stampfli_research/Pangea.gif )

Prima dell’avvento della tecnologia l’incastro dei continenti veniva eseguito sulla base dell’andamento delle linee di costa secondo un procedimento che creava, però, diversi problemi: in alcune regioni vi erano sovrapposizioni di crosta continentale mentre in altre si registravano delle lacune. Questi problemi si risolsero quando ci si rese conto che i continenti, in effetti, non terminano sulla linea di costa ma alla base della scarpata continentale, a una profondità di circa 2000 m. Nei modelli computerizzati odierni, infatti, l’incastro viene eseguito usando le isobate dei 1000-2000 m.

Oltre alla prova geomorfologica che riguardava fondamentalmente la corrispondenza dei margini dei continenti, l’ipotesi della deriva dei continenti fu sostenuta da una vasta serie di dati geofisci, geologici, biologici e paleoclimatici.

I DATI GEOFISICI

La teoria dell’isostasia presume che il substrato sotto la crosta terrestre agisca come un fluido, anche di tipo molto viscoso. Secondo Wegener, se la teoria dell’isostasia è valida, e quindi le masse continentali si muovono verticalmente galleggiando in un liquido densissimo, allora la crosta terrestre è in grado di muoversi anche orizzontalmente se ci sono forze sufficienti per farlo e la dimostrazione che tali forze esistano è data dalla compressione orizzontale degli strati nelle catene montuose come le Alpi, l’Himalaya e le Ande.

Secondo le conoscenze del tempo la Terra pur essendo rigida come l’acciaio, si comporta come un corpo elastico quando su di essa agiscono forze di breve periodo come ad esempio le onde sismiche, mentre per periodi più lunghi, i tempi geologici, la Terra si comporta, invece, come un fluido.

Già nel 1912 Wegener provò l’analogia con la pece che si frantuma sotto il colpo di un martello come un solido fragile, ma che col tempo scorre plasticamente sotto l’azione del proprio peso, cioè quando è soggetto ad una forza di gravità meno intensa ma applicata in modo costante.

Wegener cercò di dimostrare l’esistenza di spostamenti laterali dei continenti per diversi anni registrando ogni piccola variazione di posizione attraverso continui controlli astronomici e trasmissioni radio.

Wegener aveva tentato, ad esempio, di valutare l’entità dello spostamento laterale della Groenlandia, con ripetute misure della longitudine di opportuni capisaldi, e nel 1929 le prove a disposizione sembravano indicare una deriva media verso ovest della Groenlandia rispetto all’Europa di 32 m all’anno. Questo risultato, ritenuto successivamente erroneo dallo stesso Wegener per vizi metodologici, è superiore di due ordini di grandezza alla reale velocità di spostamento delle placche (16÷20 cm/anno).

I DATI GEOLOGICI

Wegener diede molta importanza alle analogie geologiche riscontrabili sui due lati dell’Atlantico, che era considerato una spaccatura progressivamente allargatasi, i cui bordi si trovavano un tempo uniti.

Per dirlo con le parole di Wegener: è come se ricomponessimo i pezzi di un giornale strappato, secondo i loro contorni e poi facessimo la prova se le linee stampate corrispondono. Se ciò accade è evidente che si deve ammettere che i pezzi appartenevano veramente allo stesso giornale.

Quindi, se i continenti ai lati dell’Atlantico un tempo erano uniti, le rocce che si trovano in una particolare regione di un continente dovrebbero corrispondere per tipo ed età a quelle che si trovano nella posizione corrispondente nell’altro continente. In effetti, gli strati delle montagne del Capo in Sud Africa, ad esempi,  sembrano proseguire nella Sierre della provincia di Buenos Aires in Argentina e il tavolato di gneiss dell’Africa presenta molte somiglianze con quello del Brasile.

Per quanto riguarda invece i due lati dell’Atlantico settentrionale anche le antiche catene montuose della Norvegia, della Groenlandia, della Scozia, delle province atlantiche canadesi e degli Stati Uniti mostrano uno sviluppo continuo e unitario quando i  continenti ai lati dell’Atlantico vengono riuniti.

La grande catena del Paleozoico (in blu) smembrata dall’apertura dell’Atlantico settentrionale

(http://geology.csupomona.edu/drjessey/class/Gsc101/mtnchains.gif )

I DATI PALEONTOLOGICI E BIOLOGICI

Nelle formazioni rocciose sedimentarie che affiorano ad Est e ad Ovest dell’Oceano Atlantico si ritrovano associazioni molto simili di flora e fauna fossile. Tra gli esempi citati da Wegener vi erano il piccolo rettile Mesosaurus, conosciuto solo nel Permiano (300 milioni di anni fa) ritrovato sia in Sud Africa e nel Sudamerica (Brasile), e la Glossopteris, una felce del tardo Paleozoico (200 milioni di anni fa)  diffusa solo nei continenti australi.

Ad esempio, l’analisi dei sedimenti in cui erano contenuti i fossili di Mesosaurus indica che questo viveva in ambienti lacustri o salmastri e come tale non avrebbe potuto attraversare a nuoto l’Oceano Atlantico. Del resto se fosse stato in grado di nuotare, avrebbe potuto attraversare anche altri Oceani ed essere così distribuito su un’area molto vasta.

(http://hays.outcrop.org/images/tectonics/lutge8e/FG16_04.JPG )

La Glossopteris, invece, ritenuta a lungo una pianta cespugliosa,  in realtà era una specie arborea che raggiungeva un’altezza di circa sei metri (alcuni fossili, però, fanno pensare che potesse raggiungere addirittura un’altezza di circa 30 metri). Il fusto raggiungeva anche un diametro di 40 centimetri e il legno era molto simile a quello delle gimnosperme. Nei tronchi fossili si possono vedere molto chiaramente le impronte degli anelli di crescita. Le foglie della Glossopteris erano molto particolari e si trovano piuttosto frequentemente come fossili. La loro forma era lanceolata, allungata, simile a una lingua (da qui il nome Glossopteris, che significa “lingua – fronda); le nervature erano molto tipiche, mente gli stami erano presenti sulla superficie inferiore delle foglie.

 


(http://www.terra.es/personal9/faresb/roca/glossopteris.jpg )

Altri esempi:

Il Cynognathus, il cui nome significa “mascella di cane”, era un rettile  carnivoro lungo fino a 2 m, mentre in altezza non superava il ginocchio di un uomo adulto. I suoi resti sono stati trovati in rocce del Triassico inferiore-medio (circa 230 milioni di anni fa), in Argentina e in Africa meridionale. I rettili appartenenti a questo gruppo, per molti aspetti simili ai mammiferi, vissero durante il Triassico.

Il Lystrosaurus è un rettile terrestre erbivoro vissuto nel Triassico inferiore, circa 250 milioni di anni fa, in parti del mondo che attualmente corrispondono ad Antartide, India, Cina e Sudafrica.

Ai tempi in cui Wegener formulò la sua teoria, i paleontologi spiegavano questi ritrovamenti in luoghi così distanti tra loro attraverso l’ipotesi dello sprofondamento dei continenti intermedi, ossia con l’esistenza, specialmente nell’era Mesozoica, di ponti continentali transoceanici che avrebbero permesso la diffusione e il passaggio da un continente all’altro di specie vegetali e animali. Questi ponti continentali sarebbero poi sprofondati nei fondali oceanici (dopo il Cretacico) e da quel momento la flora e la fauna avrebbe cominciato a diversificarsi.

Secondo Wegener la scomparsa di questi ponti continentali non è però sostenibile dal punto di vista geofisico in quanto la crosta continentale granitica e meno densa non può sprofondare dentro la crosta oceanica, più densa e pesante. Inoltre, non sono mai stati trovati i resti della crosta continentale che avrebbe costituito questi giganteschi ponti.

Secondo Wegener, a sostegno della teoria della deriva dei continenti c’era anche la distribuzione di un certo numero di organismi viventi come ad esempio i lombrichi e le chiocciole.  Al tempo di Wegener si scoprì che una specie di chiocciola, Helix pomata, era diffusa solamente nell’Europa occidentale e nella parte a est dell’America settentrionale.

I lombrichi che, invece, vivono alle stesse latitudini al di qua e al di là dell’Atlantico appartengono a specie molto vicine. Ad esempio, i Lumbricidae, una specie relativamente recente di vermi di terra, sono presenti in Giappone, Asia, Europa e oltre l’Atlantico, nell’America settentrionale ma solo nella regione orientale e non in quella occidentale.

Poiché la migrazione via mare di queste specie è da escludere, queste si possono considerare un elemento in più a favore del fatto che in passato deve essere esistito un contatto terrestre attraverso l’Atlantico.

Anche i marsupiali australiani si sono chiaramente evoluti in isolamento, almeno a partire dall’inizio del Terziario, ma la presenza di opossum marsupiali in America meridionale (e la loro assenza invece nel Vecchio Mondo) dimostra l’esistenza in passato di un collegamento con quest’ultima. A ulteriore conferma di ciò i marsupiali australiani e sudamericani hanno anche parassiti identici o almeno molto simili tra loro.

DATI PALEOCLIMATICI

Dallo studio della distribuzione dei climi sulla Terra in epoche passate attraverso le rocce sedimentarie, Wegener scoprì le prove di importanti eventi climatici che si sono verificati su scala globale alla fine del Paleozoico.

Dalla presenza di depositi glaciali, o tilliti, in Africa, in America meridionale, in Australia e in India egli dedusse che circa 300 milioni di anni fa vaste zone dell’emisfero meridionale, che oggi hanno un clima tropicale, c’erano condizioni di clima freddo. Le tilliti possono, infatti, essere interpretate in modo inequivocabile come le testimonianze di antiche calotte glaciali. Oggi la maggior parte delle zone che presentano le tracce di questa glaciazione si trova, invece, nella fascia climatica tropicale e subtropicale.

In molte aree dell’emisfero settentrionale, invece, si trovano grandi depositi di carbone, dello stesso periodo delle tilliti, che testimoniano la presenza di un clima caldo e umido. I carboni indicano, infatti, condizioni di umidità perché si possono formare solo in condizioni acquitrinose, anche se non sono buoni indicatori della temperatura. Nonostante ciò la presenza di giacimenti di carbone molto spessi  stanno ad indicare probabili condizioni tropicali di vegetazione lussureggiante.

Grandi depositi evaporitici risalenti allo stesso periodo testimoniano invece la presenza di climi caldi in diverse regioni settentrionali. Le condizioni aride sono, infatti, contraddistinte da depositi di salgemma e gesso che provano un eccesso di evaporazione rispetto alle precipitazioni, come anche da arenarie del deserto che presentano aspetti petrologici particolari. A giudicare dalla distribuzione attuale dei fanghi e delle sabbie carbonatiche e dal modo in cui decresce la solubilità della calcite al crescere della temperatura, i calcari spessi sono probabili indicatori di condizioni tropicali o subtropicali. Anche gli organismi fossili possono essere utili come indicatori paleo climatici. Così la mancanza di anelli annui dei tronchi d’albero indica generalmente condizioni tropicali (per l’uniformità delle stagioni) e i grandi rettili rivelano invariabilmente un clima caldo. I coralli che sono tra i migliori indicatori di clima caldo, non sono invece citati.

(http://pro.unibz.it/staff2/fzavatti/corso/img/1.3a.gif )

Secondo Wegener l’unica spiegazione di tutti questi dati è che in quel periodo i continenti fossero uniti e spostati molto più a sud di quanto non lo siano attualmente.

(http://smu.edu/earthsciences/academics/courses/geol1301/Lectures_Tabor%20(D)/chapter_17/EDS-CH17A_files/slide0044_image022.jpg )

Sappiamo bene che la teoria della deriva dei continenti dal momento in cui fu pubblicata in inglese, nel 1924, e fino alla morte di Wegener nel 1930, fu criticata e osteggiata aspramente. Sappiamo che una delle obiezioni principali si basava sul fatto che Wegener non era stato in grado di proporre nessun meccanismo valido che potesse giustificare il movimento dei continenti e conosciamo altrettanto bene che oggi la teoria comunemente accettata è la teoria della tettonica delle placche.

A mio avviso, però, non c’è niente di più forte della storia di una idea raccontata con le parole di chi l’ha vissuta per trasmettere ai ragazzi la voglia di saperne di più e di sognare che tante volte, oggi, sembra perduta. La teoria della deriva dei continenti non è solo una delle teoria del passato, oggi superata, ma rappresenta una pagina della storia della scienza scritta da un uomo capace di osare e di guardare lontano. Cosa c’è di meglio?

http://ingredientesegreto.linxedizioni.it/2013/01/10/alfred-wegener-il-copernico-delle-scienze-della-terra/

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