E-book – Beppe Fenoglio – L’Affare Dell’Anima e Altri racconti – La paga del sabato Sceneggiato TV

In uno dei suoi ultimi racconti della sua non lunga carriera di narratore (dal titolo editoriale di Ciao, old lion)3, Beppe Fenoglio ci presenta, a poco meno di vent’anni da quando entrambi si erano battuti nelle Langhe nelle fila della Resistenza, l’incontro fortuito, ad Alba, di due partigiani badogliani, Jimmy e Nick, i nomi di battaglia con i quali, pur dopo tanto lungo spazio di tempo, ora si riconoscono e si salutano. Un incontro breve, casuale, nella hall dell’Hotel Centrale della cittadina piemontese nella quale Nick, da Torino, si è recato per principiare di lì, vent’anni dopo, un suo solitario pellegrinaggio sulle colline e i luoghi della sua giovanile epopea ormai cancellata dalla comune, normale esistenza. L’annullamento del passato e il trionfo del presente vengono descritti così:

Il bar era deserto, tranne per i due baristi. Erano di lampante estrazione contadina, allevati e sgrossati dalla casa, e ora la loro disinvoltura rasentava l’insolenza. Facevano i giocolieri con calici e sottocoppe e getti d’acqua, senza tralasciare di fissare il forestiero, alto e segaligno. […] Lui, da parte sua, non pensò altro che quei due baristi escaped solo per un pelo dall’essere suoi figli. E gli pareva solo ieri. […] Ordinò un bitter ghiacciato e applicò i palmi delle mani sul piano gelido dello zinco del bancone. […] Quello dei due baristi rimasto inoperoso scivolò fuori dal banco verso il jubox e mise un twist. I due ragazzi non presero a dimenarsi secondo quel ritmo, ma si scambiarono più di un’occhiata di intesa e di compiacimento.

39È in questo momento che il fantasma del passato del quale Nick, il protagonista, si propone di andare in una inquieta quanto incerta ricerca, si presenta spontaneamente sulla scena nella figura di Jimmy, ormai inevitabilmente deformato dalla prosa del ritrovato viver civile: «Aveva moglie, due figliette, una Citroen DS, un appartamento in città, uno al mare e uno (ancora nei sogni) in collina. Aveva ereditato lo studio dell’avvocato Valoti: ricordava Nick l’avvocato Valoti, che sedeva nel CNL in rappresentanza del PDA?» Così propostosi, il passato – quel passato – non può che dare a Nick un forte sentimento di nausea, di pena e, persino, di repugnanza:

In quel momento la mano gli calò sulla spalla. Era una cosa prevedibile, quasi inevitabile; tuttavia lui incassò il collo fra le scapole e lentamente, con ripugnanza, fissò lo specchio del bar, negli interstizi delle bottiglie dei liquori.

– Ciao, Jimmy, – sospirò disponendosi penosamente a voltarsi.

– Nick! – esplose l’altro.

A quasi vent’anni di distanza si chiamavano ancora col nome di battaglia.

40Il senso di disfacimento di un passato glorioso e potenzialmente rivoluzionario non poteva essere espresso con maggiore efficacia e con riservato, straziante dolore. Sembra quasi che non ne rimanga che un ricordo particolarmente angosciante: angosciante per chi, come Nick, vi aveva creduto e col quale e nel quale aveva identificato la sua stessa esistenza. Voltar pagina in queste condizioni (come Jimmy) e tornare alla vita normale significava in realtà retrocedere; ed è per questo che Nick, l’alter-ego di Fenoglio, si dispone a riconoscere il vecchio amico e commilitone «con ripugnanza». Emotivamente ma anche fattualmente, è la constatazione – fatti salvi alcuni riconoscimenti meramente formali – di un fallimento. Non per nulla il breve racconto si conclude così:

– Lascia stare, – disse Nick. – Ti dico di lasciar stare. Ciao, Jimmy.

Restò a vederlo andare, più piccolo, più grasso e calvo, fin che glielo tolse di vista la colonna in corrispondenza dell’angolo dell’orologio. Non gli era né grato né risentito. L’unica cosa buona era stata che avevano ancora potuto chiamarsi Nick e Jimmy. Questo era certo; che quando l’uno avesse appreso la morte dell’altro, avrebbe detto, ad esempio: “Jimmy, e non Giulio Clerico, se n’è andato”.

Si voltò verso l’interno per chiamare il cameriere per il conto. E mentre quello veniva, pensò: “Mi chiamava old lion con convinzione. Eppure se n’è accorto, sicurissimamente, che sono un fallimento”.

41Fallimento. Individuale o non piuttosto, il giudizio, va riferito all’intero periodo resistenziale, all’esito scaturito dall’intero movimento partigiano? In certo modo, per esso ma in positivo, verrebbe da ripetere ciò che Benedetto Croce, in negativo, ebbe a dire del periodo fascista: che esso fu una semplice parentesi nella storia liberale d’Italia; una malattia che aveva aggredito un corpo sostanzialmente sano. Ebbene al contrario: la Resistenza come entusiastica speranza di rinnovamento rivoluzionario che non doveva soltanto liquidare con la sua lotta tedeschi e fascisti di Salò, ma pure, conducendo la battaglia sino in fondo, gettare le basi per un futuro socialista. In questo senso – ciò è indubbio – si batterono i comunisti e le brigate Garibaldi, e in questo senso – ciò è altrettanto indubbio – il risultato fu deludente; e le ragioni di questo fallimento (se si vuole usare questo termine) sono ormai state persuasivamente chiarite dagli storici: la ineludibile situazione internazionale che in Italia favoriva largamente il moderatismo e avversava esplicitamente gli elementi rivoluzionari; la netta divergenza di comportamenti e di opinioni fra l’Italia centrosettentrionale e l’Italia da Roma in giù; l’enorme forza costituita dal conservatorismo della struttura amministrativa dello Stato. Quanto di unicamente “rivoluzionario” poté uscire dall’esperienza partigiana e resistenziale furono l’instaurazione della Repubblica e la dettatura di una Costituzione notevolmente avanzata (che non per nulla oggi si cerca di modificare).

  • 4 Si veda ad esempio quanto dice il commissario comunista Némega nel Partigiano Johnny e la risposta (…)
  • 5 Uso il termine di fallimento per il fatto che l’autore stesso, naturalmente anche per ragioni ester (…)

42Ma evidentemente non è a questo che Nick-Fenoglio allude sottolineando dolorosamente il proprio fallimento. Dopo una breve esperienza partigiana in un raggruppamento comunista della Brigata Garibaldi (capitano Zucca), lo scrittore si unì alle Formazioni Autonome Militari di Enrico Martini Mauri e di Pietro Balbo, ed è comunque tra gli “azzurri” che operano sia il partigiano Johnny sia il partigiano Milton. La speranza e l’attesa rivoluzionarie non erano nelle sue prospettive4; lo erano piuttosto l’ambizione a un profondo rinnovamento interiore e la conquista di un rigore etico che idealmente coincidesse con l’empito della rivoluzione puritana di Cromwell. La rivoluzione di Fenoglio, in altri termini, non fu intesa come rivoluzione politica ma come rivoluzione interiore e morale, e fu l’aspirazione a che questo entusiasmo rivoluzionario, attraverso la difficile e sovente quanto mai crudele esperienza partigiana, potesse diffondersi e attecchire nel popolo e, con tale pratica, trasformarlo o quanto meno aiutarlo a raggiungere, facendo leva sulle proprie doti naturali, livelli di più alta civiltà trasformando la brutale vigoria fisica in energia spirituale. Si direbbe anzi che, da questo punto di vista, l’ispirazione “rusticana” di Fenoglio – il suo naturalismo alla Verga – si fondi con quella partigiana essendo il partigiano Johnny o il partigiano Milton, pur a un livello notevolmente superiore, radicati nel mondo popolare e in quello dei suoi esponenti. È vero che essi rimangono tuttavia dei solitari Robin Hood; ma è proprio in questo che consiste il loro fallimento; onde in certo modo il fallimento di un romanzo come Il partigiano Johnny che, per le circostanze sopra accennate, non riesce a trasformarsi in un romanzo corale, rimanendo piuttosto allo stato di cronaca, per quanto altamente intonata e rivissuta sotto un punto di vista esclusivamente individuale5. La tragedia di Fenoglio – tragedia non soltanto umana e personale ma anche artistica e letteraria – è pertanto esattamente quella di avere compreso che nulla del passato si è trasfuso nel presente e che il presente, dopo la pur eroica parentesi resistenziale, non ha in nulla mutato quel mondo contro il quale si era tanto accanitamente, e persino atrocemente combattuto. «Hai visto, Nick, che i fascisti rialzano la testa?» dice Jimmy al compagno, prima di lasciarlo. «È da un po’» risponde Nick. E l’altro: «Ma ora più che mai. A Roma specialmente, ma anche altrove». E Nick, conclusivamente: «Non mi preoccupa. Nemmeno un po’». Il volto marmoreo di un’ostentata indifferenza non vuole soltanto nascondere un’ angoscia lacerante. Vuole essere la risposta – e forse l’unica adeguata – a chi ha tradito la rivoluzione interiore di un’esperienza forse irripetibile per adagiarsi nelle comodità e negli agi che il presente è tornato a riproporre.

Edito la prima volta da Piera Tomasoni in B. Fenoglio, Opere, ed. critica diretta da M. Corti, Tori

http://books.openedition.org/ninoaragnoeditore/283?lang=it

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L’affare dell’anima e altri racconti

Ho letto “L’affare dell’anima e altru racconti” di Beppe Fenoglio. E’ una collezione di racconti (pressochè tutti inediti fino al ’78 circa), più un progetto di una sceneggiatura. I temi sono quelli della cultura contadina e partigiana tipici di Fenoglio, ma alcuni racconti sono di una limpidezza disarmante. Sto capendo che uno dei motivi per cui mi piace Fenoglio è perchè il suo raccontare è diretto, cristallino nel cogliere gli aspetti che contano nella vicenda. E questo si vede con particolare piacevolezza nei suoi racconti brevi (e se sono brevi tanto meglio, dato che sono pigro ed ultimamente non ho molto tempo libero per leggere…). A grandi linee i racconti sono così:

  • Nella valle di San Benedetto: un rastrellamento è in corso nella valle, e tre partigiani (Giorgio, Bob, ed il protagonista) cercano di non farsi prendere nella rete. Bob cerca un nascondiglio per conto suo; Giorgio chiude la tomba dove il protagonista ha deciso di nascondersi, in compagnia della maestra Girardi, morta nel ’28, e poi saluta dicendo che girerà all’aria aperta. Dopodichè è il buio. Buio e pazzia. Le circostanze portano il protagonista in una sorte di purgatorio, in cui infine lui si lascia psicologicamente morire pur di fermare il delirio (“Forse il nostro corpo sente a volte pietà della nostra anima”). Quando riemerge dal buio, il protagonista trova una tragica sorpresa, “e oltre il cancelletto guardai là dove finisce la valle di San Benedetto”. (questo finale echeggia la siepe oltre cui guarda Leopardi, a parte il fatto che questo è un cancelletto arruginito di un cimitero, e ciò che si vede non è l’infinito, ma la fine della valle…).
  • Alla Langa: Elia si trova a dover chiedere aiuto ai vicini di casa per la vedemmia, ma questi non vogliono consumare le loro forbiciette, e pretendono che ce le metta Elia. E dopo una pioggia che raffredda gli animi, lui grida quanto la scarna e sofferta esistenza sia fatta principalmente di quotidiane sofferenze.
  • Il gorgo: questo è in assoluto il mio preferito (se ho tempo me lo trascrivo). Il bimbo capisce che il padre sta per crollare di fronte alle avversità che flagellano una precaria sopravvivenza, e con un gesto semplice al limite della capicità umanana redime la situazione (pensa alle contorsioni e complicazioni dell’uomo rispetto alla linearità animale; pensa all’occhio lineare del bambino; il dettaglio finale del dito del padre è uno dei più belli che abbia mai letto).
  • L’esattore: dopo la morte della moglie, Adolfo Manera lascia l’osteria e diventa esattore. Tira su una fortuna economica, ma la sua situazione umana non migliora, anzi il paese e le persone con cui si trova a contatto gli stanno sempre più stretti.
  • L’affare dell’anima: Manera (praticamente di nuovo l’esattore), si guarda attorno: vede la sua roba e le disgrazie famigliari che ha passato. Ma stanotte capisce che questo affare è “dunque un affare da trattare attraverso i preti, inevitabilmente”. E prima di addormentarsi decide di fare l’affare (nel senso di fè l’afè).
  • Tradotta a Roma: Johnny è accompagnato dal padre al treno che porterà il suo plotone (?) a Roma. Durante il viaggio si vedono esemplari umani ed il mare.
  • Lo scambio dei prigionieri: Matè racconta di quando è sceso a Marca a scambiare un fascista per Sceriffo. Trattano bene il prigioniero che ad ogni passo teme di venire ammazato, finchè non capiscono che lo scambio non sembra essere alla pari. “Erano gonfiati tutti e due, potevano specchiarsi l’uno nell’altro. Solo che il soldato era gonfiato di fresco e Sceriffo di ieri.”
  • [Senza titolo]: Jimmy e Nick si incontrano al bar, anni dopo le avventure partigiane. Nick è tornato per andare a camminare fino al bivio per Manera, una camminata “per le colline che furono nostre”. E lo prende un senso di fallimento.
  • [Materiale narrativo – Davide]: due fratelli Jose e Davide. Dopo la morte del padre, Davide, il maggiore, prende in mano le redini della azienda, e Jose lavora come un animale senza grosse soddisfazioni. Decide così di strapparsi alla terra e va a lavorare in città. Ma sogna di tornare e rivendicare la sua parte per viversela (o meglio viverci). Inconcluso.
Posted by davide at 8:11 PM

http://sbdmmg.blogspot.it/2007/03/laffare-dellanima-e-altri-racconti.html

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