Bergoglio , il genocidio armeno, quasi tutti i nemici e gli amici di Francesco

Bergoglio si inchina al patriarca scismatico Bartolomeo

L’evento sul massacro armeno con la parola “genocidio”, il governo italiano pretende la cancellazione per dare il suo patrocinio

Claudia Fusani, L’Huffington Post
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PAPA FRANCESCO

Se l’incidente diplomatico è ufficialmente aperto tra il Vaticano e il governo di Ankara, l’imbarazzo corre anche dalle parti di palazzo Chigi. Perchè non più di un mese fa è stato il governo a pretendere di eliminare la parola genocidio dalla rassegna culturale di studio dedicata al popolo armeno sterminato un secolo fa dai turchi. Un genocidio sempre taciuto e ignorato, che divide gli stati tra negazionisti puri, negazionisti per ragioni di Stato e chi invece, come la Francia, nel 2001 ha riconosciuto il reato di negazionismo. L’Italia si limita ad una risoluzione della Camera dei deputati ormai datata, correva l’anno Duemila.

Un’ipocrisia che oggi papa Francesco ha messo a nudo con tutto il suo carico di violenza. Una pagina nera che ha significato oltre un milione di morti. Due-trecentomila secondo le versioni più morbide. A marzo, Roma ha ospitato una rassegna culturale dedicata al popolo armeno. La curatrice, la professoressa Maria Immacolata Macioti, sociologa e docente alla Sapienza, ne è stata la curatrice. A quella tragedia negata dalle pagine di storia ha dedicato due libri (“L’Armenia, gli armeni, cento anni dopo” e “Il genocidio armeno nella storia e nella memoria”). Non c’entrano affinità di sangue e discendenze antiche. Pura curiosità intellettuale e dovere di studiosa. “L’occasione del libro – racconta la professoressa – nato dopo anni di studi e ricerche, mi ha messo in contatto con l’ambasciata armena presso lo Stato italiano e quella gemella presso il Vaticano. Con loro abbiamo lavorato ad un programma che mettesse in risalto la specificità e le eccellenze della cultura armena che ha un’antica tradizione, ad esempio, nelle miniature e nei manoscritti”.

A fine 2014 il comitato scientifico della rassegna stampa il programma. Titolo: “Armenia, a cento anni dal genocidio (1915-2015)”. Nel depliant sono elencati i membri del comitato scientifico, l’ambasciata d’Armenia in Italia, l’Istituto centrale per i beni Sonori e Audiovisivi (ICBSA), l’Associazione italiana di sociologia (AIS). Tutto pronto, quindi: la data, dal 23 al 28 marzo; gli interventi e i dibattiti con esperti di storia, sociologia e storia delle religioni, superstiti e intellettuali che hanno legato la loro storia allo studio di quel massacro. Pronti anche i luoghi della rassegna: l’Istituto centrale per i beni sonori, l’Istituto centrale per il restauro del libro, il Vittoriano, nella parte in cui ospita il Museo sulla Storia del Risorgimento, il cinema Trevi per la proiezioni di film e documentari. Il genocidio armeno, tra l’altro, ha prodotto uno dei romanzi più belli come “La Masseria delle allodole” di Antonia Arsina da cui nel 2007 i fratelli Taviani hanno tratto l’omonimo film.

Ma quel programma ha dovuto attendere fino a metà marzo il via libera definitivo del Ministero dei Beni culturali. “Non si riusciva ad avere l’ok definitivo – racconta la professoressa Macioti – che era necessario per avere il patrocinio e l’utilizzo dei luoghi. Dopo vari tentativi e richieste, l’ambasciatore armeno ci ha spiegato che il problema era la parola genocidio nel titolo del programma. E che per opportunità diplomatica era necessario eliminarla”. La rassegna ha così assunto il titolo: “Armenia: metamorfosi tra memoria e identità. Una settimana di incontri, cinema e editoria”. Per carità, pur sempre un bellissimo titolo, ma soprattutto un giro di parole eleganti per evitare l’unica che serviva: genocidio.

“Il via libera così in ritardo – denuncia oggi la professoressa – ci ha impedito anche di pubblicizzare la rassegna che invece ha affrontato la questione sotto vari punti di vista – storia, religione, cultura, sociologia – grazie alla testimonianza di discendenti dei sopravvissuti allo sterminio, professori, docenti”. Ma non è finita qua. Lo stesso comitato scientifico, guidato dall’ambasciata armena in Italia, ha provato anche a chiedere cittadinanza nel calendario delle iniziative per i cento anni dalla Prima guerra mondiale (il genocidio avvenne nel biennio 1915-1916). “Ma questa volta ci hanno proprio chiuso la porta in faccia – racconta Macioti – i militari ci hanno spiegato che non era il caso includere la questione armena tra le commemorazioni del 1915 perché la Turchia è nella Nato e non avrebbe gradito”. La professoressa stamani era in Vaticano. Ed è entusiasta, da laica, “per il coraggio di papa Francesco”.

Un anniversario scomodissimo quello del genocidio degli armeni. Il governo turco continua ancora oggi a non riconoscerlo e pronunciare questa parola in Turchia è reato. All’opposto in Francia è reato la negazione del genocidio. Gli armeni sono oggi il principale motivo di tensione tra l’Unione europea e il governo turco che è però il principale alleato per la stabilizzazione del quadrante mediorientale.

SECONDA VERSIONE

documento
 

http://www.huffingtonpost.it/2015/04/12/genocidio-parola-governo_n_7050140.html?1428862722&utm_hp_ref=italy

SACERDOZIO FEMMINILE:
UN LIBRO RIAPRE IL DIBATTITO

38081 SAN PIETRO IN CARIANO (VR)-ADISTA. Nonostante si sia fatta largo, all’interno del Popolo di Dio, l’idea che il presbiterato, così com’è strutturato, non abbia attrattive e che dunque sia l’impostazione stessa della questione del sacerdozio femminile da doversi ritenere superata, l’approfondimento delle ragioni alla base del rifiuto di una simile prospettiva – sancito definitivamente nella Ordinatio sacerdotalis di Giovanni Paolo II – non può che giovare al dibattito teologico in materia e, in una prospettiva più ampia, al dibattito riguardante il ruolo delle donne nella Chiesa.

Per questo è così prezioso l’ultimo lavoro della teologa Cloe Taddei Ferretti, Anche i cagnolini. L’ordinazione delle donne nella Chiesa cattolica (Gabrielli Editore, 2014, pp. 174, euro 17; il libro è acquistabile presso Adista, telefonando allo 06/6868692, scrivendo ad abbonamenti@adista.it o collegandosi al sito www.adista.it), che scandaglia con passione e rigore passi biblici e testi magisteriali, non per dire che anche il papa può sbagliare ma, come dichiara la stessa autrice, «per aggiungere altri elementi per la riflessione su quanto Giovanni Paolo II ha voluto stabilire in modo autoritativo».

Il volume – «una grande ricerca scientifica» come lo definisce nella prefazione il vescovo emerito di Caserta, mons. Raffaele Nogaro – si compone di due parti. La prima, dal titolo “In margine agli antichi riti di ordinazione delle diaconesse”, riproduce – con qualche aggiunta – un articolo pubblicato dall’autrice nel 1999 sulla prestigiosa rivista Studium e presenta un excursus storico sulle funzioni ministeriali esercitate da donne nel cristianesimo: i vari tipi di ministeri delle origini; le tracce, molto discusse, di un ministero presbiterale femminile; le tracce, indiscutibili, di un ministero diaconale femminile, fosse esso ordinato o istituito, e le funzioni delle vedove con prerogativa di “precedenza”. Taddei Ferretti analizza altresì l’antico rito di ordinazione diaconale nella Chiesa bizantina, sostenendo che oggi, nel caso di ripresa della prassi di ordinare donne al diaconato, un identico rito di ordinazione e identiche funzioni dovrebbero essere propri per diaconesse e diaconi. Una tesi che l’autrice sceglie di sostenere, «non per uno spirito di rivendicazione», ma in base al nuovo modello antropologico che valorizza la persona e la reciprocità dei generi anziché la complementarità.

La seconda parte, intitolata “Le cose che riguardano Dio”, si concentra invece sulla «ipotetica possibilità di ordinazione presbiterale delle donne». La teologa fa il punto della discussione, tenendo presenti anche le recenti affermazioni di papa Francesco e sviluppando una riflessione su diversi argomenti connessi: la credenza a lungo perdurante di subordinazione della donna, il simbolo sponsale, Maria modello per tutti i cristiani, l’incarnazione del Verbo, l’impossibilità di vocazione presbiterale per le donne, il valore di una dottrina e in particolare quella della Ordinatio sacerdotalis, infine il segno sacramentale e la sostanza di un sacramento come riflessione per un’ipotesi di superamento del problema. Ma, pur arrivando a sostenere, sulla base di argomentazioni razionali e riflessioni teoriche, la possibilità di estendere l’ordinazione presbiterale alle donne, l’autrice spiega che il vero intendimento della seconda parte è quello di proporre una preghiera di supplica al Signore, «affinché ciò che appare impossibile possa divenire possibile». E lo fa attingendo parte dell’oggetto della preghiera dalla Lettera agli Ebrei – là dove dice «Ogni sommo sacerdote, preso fra gli uomini, viene costituito per il bene degli uomini nelle cose che riguardano Dio, per offrire doni e sacrifici per i peccati» (Eb 5,1-4) – e parte dall’episodio della cananea (narrato in Marco 7,24-30 e in Matteo 15,21-28).

L’episodio della cananea è d’altronde quello che dà il titolo all’intero volume. È lei infatti che, di fronte al duplice rifiuto di Gesù di guarire sua figlia – «Non sono stato inviato che alle pecore perdute della casa di Israele» le dice prima, e poi «Non è bene prendere il pane dei figli per gettarlo ai cagnolini» (cani era, invece, l’appellativo in uso al tempo per denominare spregiativamente i pagani) –, pronuncia le parole: «Ma anche i cagnolini si cibano delle briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni». Un atteggiamento, questo della donna, che, come ricorda Taddei Ferretti, la teologa Lilia Sebastiani ha definito di fiera umiltà e non di umile fierezza: «Ella supplica per un miracolo come chi difendesse un diritto, ha una fede profonda ma non acritica, come Abramo, Giacobbe, Mosè, Giobbe; la sua affermazione riguarda la salvezza da parte di Dio e costituisce un chiarimento di quanto, nel ragionamento di Gesù, è implicito e di quanto deve essere trasceso».

E quell’«anche i cagnolini» è il nucleo della preghiera, proposta a favore non di «una particolare categoria di persone», ma della «bellezza del piano di salvezza» di Dio, che «include anche e si manifesta in ogni fiorire di comunione fra diversi». «“Anche”: l’esclusione di ogni esclusione. “Cagnolini”: esseri umani esclusi da Gesù stesso per motivi “teologici” superiori; esseri umani inclusi da Gesù stesso dopo la sollecitazione della donna a superare la chiusura escludente».

Un contributo importante quello di Cloe Taddei Ferretti per rivedere il ruolo della donna nella comunità ecclesiale, approfondimento necessario, come scrive mons. Nogaro, «per poter fare rivivere la verità del Vangelo». «È giusto infatti – conclude il vescovo emerito nella prefazione al volume – che nella Chiesa le donne svolgano i compiti che Gesù ha loro affidato, gli stessi dei maschi». (ingrid colanicchia)

http://www.adistaonline.it/index.php?op=articolo&id=54897

NEWS & COMUNICAZIONI

assemblea

Attenzione! sono aperte le iscrizioni al Seminario “Mondi d’Europa: donne, chiese, trasformazioni”, con la partecipazione di Elisabeth Parmentier e Hervé Légrand [leggi il programma] e alla Assemblea CTI 2015 [scarica scheda], che si svolgeranno a Roma il 23 e 24 maggio prossimi.

Il CTI invita caldamente socie, amiche e simpatizzanti a iscriversi, così da poter provvedere al meglio all’organizzazione. L’iscrizione [base: 20 euro] comprende i pasti del 23 maggio. Ognuna è invitata a provvedere personalmente al pernottamento

http://www.teologhe.org/

“Il riformismo turba i fedeli”. E scatta un appello in difesa di Papa Francesco

Marco Ansaldo
Repubblica, 3 gennaio 2015

“L’Avvenire” scende in campo a difesa del Papa. Un Francesco che, a dispetto delle svolte, comincia ad essere attorniato dalle critiche e azzannato dai lupi. Con un editoriale del suo direttore, Marco Tarquinio, dal titolo «La barca di Pietro, i “contro rematori” e la fiducia in Francesco», il quotidiano dei vescovi argina l’ultimo attacco. «Belle le lettere sulla ruvida uscita prenatalizia contro il nostro Papa – scrive Tarquinio –. Un segno che merita risposta, anche se qui di solito polemiche così ineleganti e condotte in modo capzioso e deformante non trovano eco. In scena sono state le vere parole e i veri gesti di Francesco. Il Papa della Chiesa “povera per i poveri” e “ospedale da campo” del nostro mondo spesso feroce con i feriti e i più deboli».

Il direttore del quotidiano cattolico Marco Tarquinio parla di “contro rematori”. Ma chi sono i “contro rematori”? Lo spiega uno dei lettori di Avvenire: «Chi fa pubblicità a favore di coloro che remano contro». L’attacco era arrivato il 24 dicembre sul Corriere della Sera, da parte dello scrittore Vittorio Messori. «Una mossa congeniata – scrive Tarquinio – per fare rumore con la pretesa di “segnare” il Natale». Messori si era infatti lanciato in una requisitoria contro Jorge Bergoglio, parlando in una «confessione che avrei volentieri rimandata, se non mi fosse stata richiesta», definendolo Francesco un papa «imprevedibile, tanto da far ricredere via via anche qualche cardinale che era stato con i suoi elettori». Nell’articolo aggiungeva: «imprevedibilità che continua turbando la tranquillità del cattolico medio».

Belle ma poche le lettere dei lettori pubblicate da Avvenire. Molte però le reazioni che arrivano adesso dalla base, da tutta Italia. Dal movimento “Noi siamo Chiesa” al Centro Studi “Edith Stein” di Lanciano, da “Una Chiesa a più Voci” di Ronco di Cossato Biella alla Comunità Le Piagge di Firenze, e poi il Coordinamento delle Teologhe Italiane, la Comunità Michea di Napoli, il Gruppo Impegno Missione di Casavatore (Napoli) con il missionario comboniano Alex Zanotelli, le Comunità Cristiane di Base-Italia, di S. Paolo-Roma, di Oregina-Genova, di Nord Milano, la rivista “Preti Operai”, il Centro Balducci – Zuiano (Undine).

Tutti a sostegno di una raccolta di firme riunita sotto l’indirizzo (firmiamo.it/fermiamo-gli-attacchi-a-papa-francesco). Tra i primi firmatari dell’appello, Don Luigi Ciotti rappresentante del gruppo Abele e Libera. Dice Vittorio Bellavite, coordinatore di “Noi siamo Chiesa”: «Questa presa di posizione va ben oltre la polemica con Messori. Riguardo alla situazione generale della Chiesa e le diffuse e quasi sempre silenziose ostilità nei confronti di Papa Francesco».

Spiega Don Paolo Farinella, parroco della Chiesa di San Torpete, nei carruggi di Genova e autore dell’iniziativa: «L’attacco è mirato e frontale, “richiesto” una vera dichiarazione di guerra, minacciosa nella sostanza di un avvertimento di stampo mafioso: Il Papa è pericoloso. E’ tempo che torni a fare il Sommo Pontefice e lasci governare la Curia. L’autore non fa i nomi dei “mandanti”, ma si mette al sicuro dicendo che il suo intervento gli “è stato richiesto” »

Apertura ai divorziati risposati, dialogo con i non credenti: per alcuni sono atti “destabilizzanti”.  Don Farinella argomenta, e individua nell’ «attacco frontale di cinque cardinali (Muller, Burke, Brandmuller, Caffarra e De Paolis)» ciò che ha rafforzato «il fronte degli avversari che vedono in Papa Francesco “un pericolo” che bisogna bloccare a tutti i costi».

Il punto è che il nodo della Chiesa riformista di Bergoglio è arrivato al pettine. O lo si scioglie o si taglia. Dopo la clamorosa rinuncia del pontificato di Benedetto XVI, l’improvvisa comparsa di un Pontefice Argentino, con il nome impegnativo di Francesco, ha travolto i credenti e la Gerarchia. Le sue parole, le tante iniziative, persino i simboli adottati (scarpe da camminatore, borsa da lavoro nera, croce d’argento semplice) hanno conquistato i fedeli.

Ma le relazioni nella Curia, soprattutto dopo le bacchettate di Bergoglio sulle 15 malattie che la infestano, sono le più diverse. Dalla Sala Clementina alcuni cardinali sono usciti l’altro giorno a testa bassa, con le orecchie che fischiavano e ora la lista dei nemici del Papa «venuto dalla fine del mondo» comincia a farsi fitta. Dapprima è cominciato il chiacchiericcio sul «Papa strano». Poi davanti al chiaro impeto riformista, al dialogo intessuto con i non credenti e atei, al Sinodo di ottobre con le aperture ai divorziati risposati e omosessuali, i dubbi dei conservatori su Bergoglio hanno finito per nutrire un dossier corposo. Una pratica che si irrobustisce negli ultimi giorni.

Il 13 dicembre, nel complesso di S. Spirito in Sassia, s’è tenuto un convegno dal titolo “La crisi della famiglia e i Francescani dell’Immacolata”. Una riunione in cui la divisione dell’Istituto dei Frati dal saio azzurro, ora commissariati da Francesco, è apparsa compattare il fronte conservatore. Le relazioni parlavano di «processo di destabilizzazione entrato nella Chiesa, e il Sinodo dei Vescovi lo ha mostrato in modo evidente» (Claudio Circelli), o di «divorzio, aborto, eutanasia, tappe di questa inesorabile marcia antiumana, ci troviamo di fronte ad un piano di matrice totalitaria» (Elisabetta Frezza). Infine «dialogo accoglienza amore pace sono parole liquide mutate dalla modernità, che non significano assolutamente niente» (Piero Mainardi). Tutte puntate contro il Papa.

Commenta il professor Mario Castellano, cattolico e attento osservatore delle vicende dell’Istituto commissariato: «Il Tradizionalismo nelle sue varie espressioni, sia quelle ancora collocate nella Chiesa, sia quelle lefebvriane, che mettono in discussione il Magistero a partire dal Concilio, sia infine quelle sedi-vantiste, da cui viene negata l’autorità Papale, ha scelto come terreno di scontro la vicenda dei Frati Francescani dell’Immacolata con lo scopo di minare l’unità del cattolicesimo».

Antonio Socci lo ha definito “idolo dei media e dei membri del Parlamento Europeo”. E’ del 12 dicembre un articolo di Antonio Socci su “Libero” in cui si parla di Bergoglio come «Idolo dei media, dei Membri del Parlamento Europeo», ma soprattutto «della sinistra in occidente». E non è un caso che la copertina di “Le Nouvel Observateur” dell’ 11 dicembre fosse dedicata al Pontefice sotto il titolo: «Chi vuole la pelle di Francesco? ». Profetizza sul suo libro appena uscito in Francia (“Jusqu’où ira Francois?”) il vaticanista di Le Figaro, Jean-Marie Guénois: «Riuscirà Francesco? Da un certo punto di vista, questo Papa agitatore è già riuscito. Se tutto si fermasse domani, il calcio dato al formicaio lascerà una traccia duratura. D’ora in poi nulla sarà più come prima». Amen

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“Rompe gli schemi e sa dare speranza ecco perché è giusto sostenerlo”

Luigi Ciotti
Repubblica, 3 gennaio 2015

Ho aderito all’appello a sostegno di Papa Francesco perché, al di là di certe espressioni un po’ forti, ne condivido la sostanza e il contenuto. Le parole del Papa, da cui derivano gesti e scelte conseguenti, suscitano in tanti, anche non credenti, la speranza di una Chiesa profondamente e umilmente evangelica, al servizio del bene comune, lontana dalle tentazioni del lusso e del potere, attenta alla dottrina ma prima ancora ad accogliere i bisogni e le fragilità delle persone.

È evidente che questo possa creare sconcerto e allarme in ambiti abituati a un magistero della Chiesa meno diretto, più prudente ma anche, a volte, più reticente sulla necessità per il cristiano di saldare il cielo e la terra, dimensione spirituale e impegno sociale e civile. Compito al quale il Papa non smette di richiamare: «Non si può più affermare — ha scritto nella Evangelii Gaudium — che la religione deve limitarsi all’ambito privato e che esiste solo per preparare le anime per il cielo». E poco più avanti: «Una fede autentica implica sempre un profondo desiderio di cambiare il mondo».

Questo modo di vivere la fede può dare fastidio perché rompe gli schemi, rifugge i formalismi, denuncia i compromessi. Ma soprattutto perché è un modo di vivere la fede inseparabile da un’etica, cioè da un’assunzione coerente e concreta dei principi del Vangelo in ogni istante della nostra vita.

Questo è quello che fanno molti preti e realtà la cui firma compare in calce all’appello, e questo è quello che, con molti limiti, cerco di fare anch’io. Ed è in nome di questo impegno che abbiamo voluto esprimere il nostro affettuoso, convinto sostegno a un Papa che, con molta determinazione — e forse, a volte, senza il sostegno adeguato — sta ridando alla Chiesa quell’autorevolezza che viene innanzitutto da una completa purificazione dal potere e da una piena consonanza con la Parola di Dio.

Detto questo, fa bene Vittorio Messori nel suo articolo a chiedersi quanto sia sincero il vasto interesse suscitato dal Papa. Ma il primo a chiederselo, immagino, sia il Papa stesso. Lui infatti è il primo a richiamarci alla responsabilità contro la subdola tentazione della delega. Guai se pensassimo che un’unica persona, per quanto eccezionale, possa porre rimedio con le sue sole forze alle violenze, alle ingiustizie e alle disuguaglianze di questo mondo.

È un compito, questo, assegnato a ciascuno di noi. Il Papa non permetterà che il consenso suscitato dai suoi gesti e scelte resti un fatto emotivo o, peggio, ipocrita, senza tradursi in un impegno e una responsabilità collettivi nella costruzione del bene comune.

Updated: giovedì, 8 gennaio 2015 — 21:11

http://www.cdbitalia.org/2015/01/04/il-riformismo-turba-i-fedeli-e-scatta-un-appello-in-difesa-di-papa-francesco/

Anche i Bergogliani sono ormai sconcertati da Bergoglio.
(La mia risposta alla canonista sull’invalidità del Conclave 2013)

 lunedì 26 gennaio 2015

Ci sono due insistenti messaggi che mi arrivano da Oltretevere. Il primo è questo: “Al Conclave è successo di tutto”. Questa voce c’entra – lo vedremo dopo – col secondo messaggio che filtra: “Ormai abbiamo le mani nei capelli”. Una battuta pronunciata da chi era, all’inizio, “bergogliano” e che riguarda il recente viaggio in Asia, ma non solo.
VIAGGIO RIVELATORE

In questi giorni ci sono stati scivoloni papali che hanno fatto clamore e scandalo: quello sul “pugno” a chi dice una brutta parola “alla mia mamma” (incredibile commento alla strage di Parigi per le vignette).

E quello sui cattolici che fanno figli “come conigli” (che non è solo una battuta infelice perché tutto il contesto era discutibile).

Ha suscitato smarrimento fra i cattolici anche il rimprovero alla donna con otto figli e i parti cesarei: se avesse detto che usava la pillola o aveva divorziato, Bergoglio le avrebbe detto “chi sono io per giudicare?”.

E ogni volta le toppe sono state peggiori del buco: il papa è arrivato a definire il Vangelo “una teoria”, che è altra cosa dalla vita umana.

Ma è accaduto pure di peggio. Anche sul piano dottrinale. A Manila, per esempio, accantonando il discorso scritto, a un certo punto Francesco ha detto che la sofferenza innocente è “l’unica domanda che non ha risposta”.

La Chiesa ha sempre insegnato che la risposta concretissima, è il Crocifisso che si carica di tutto il dolore umano e lo redime, vincendo il male e la morte, spalancando la felicità eterna agli uomini.

Ma Bergoglio dice che non c’è risposta e – anzi – sembra pensare che il Verbo di Dio ne sappia meno di noi: “Solo quando Cristo è stato capace di piangere ha capito il nostro dramma” (tesi cristologica molto spericolata).

Poche ore prima, parlando della sua visita al tempio buddista, papa Bergoglio ha fatto l’elogio della “interreligiosità”, ovvero della commistione fra religioni diverse che ha definito “una grazia”.

Non era mai accaduto, ma anche la preghiera e l’adorazione in moschea, rivolto alla Mecca e l’atteggiamento reticente verso l’Islam e verso il terrorismo musulmano sono inediti.

L’inadeguatezza dell’uomo Bergoglio all’alto ministero suscita in tanti di noi comprensione, l’impreparazione provoca pure tenerezza, ma la sua convinzione che essere papa significhi affermare le proprie personali idee provoca dolore e spaccature. Perché la Chiesa è di Cristo. E poi Simone non deve mai prevalere su Pietro.

I media hanno enfatizzato la folla delle Filippine come il trionfo di papa Bergoglio. Ma quella gente non era lì per Cristo?

E’ la stessa folla venuta per ogni altro papa. Inoltre alla messa di domenica scorsa a Manila si è verificato – immortalato dalle telecamere –quel passamano eucaristico per il quale, secondo diverse testimonianze, sono state ritrovate delle ostie anche nel fango.

Così mentre si celebrava l’apoteosi dell’uomo Bergoglio, finiva nel fango Cristo eucaristico. Una profanazione drammatica.

I media non considerano queste cose, ma per la Chiesa sono quelle più importanti perché Cristo è il suo unico tesoro.

I media hanno perfino acclamato come esemplare l’episodio del tentativo di corruzione raccontato da Bergoglio ai giornalisti. Ma, a ben vedere, l’allora vescovo di Buenos Aires si comportò in modo alquanto strano, perché non rimproverò i disonesti (come era dovere di un vescovo), né li diffidò, né li minacciò di denuncia. Imbarazzante.
IDOLO DEI MEDIA

Papa Bergoglio sembra l’idolo dei media, ma è ormai alle rotte con la Chiesa tradizionale e un po’ con i “progressisti”. Ama comandare da solo.

Poco prima del viaggio c’era stata l’infornata di nuovi cardinali fatta più a proprio capriccio che seguendo necessità ecclesiali.

Sono rimasti fuori diocesi importanti e, per esempio, i vescovi dei cristiani perseguitati. Ma anche famosi nomi progressisti.

Si parla infine dell’esito che egli intende dare al prossimo Sinodo sulla famiglia che scontenterà sia i fedeli al magistero di Ratzinger e Wojtyla, sia i progressisti di Kasper.

Tanto che i vescovi tedeschi hanno già fatto sapere che loro intendono andare avanti sulla linea di Kasper.

La Chiesa fedele al magistero guarda con forte apprensione alla “soluzione Bergoglio” perché somiglierà alla famosa battuta del cardinale De Lubac: gli ortodossi dicono che due più due fa quattro, i modernisti dicono che fa sei, papa Bergoglio – dicendo che ha trovato la mediazione – dirà che fa cinque.

La smania di novità è tale che un sito americano ha perfino riportato la voce della possibile convocazione da parte di Bergoglio di un Concilio Vaticano III.

Nella Chiesa la preoccupazione per questo pontificato dilaga anche fra i cardinali che lo hanno votato in Conclave.

E proprio sul Conclave del 2013 tornano a riproporsi i dubbi. A volte in “curialese”, cioè mentre sembra che si dica l’opposto.
CONCLAVE INVALIDO

Significativo per esempio ciò che Sandro Magister ha pubblicato sul suo sito il 5 gennaio scorso.

Il titolo “E’ lui il papa. Eletto in piena regola” annunciava un articolo della canonista Geraldina Boni che prometteva di confutare quanto io ho scritto nel mio libro “Non è Francesco”.

Ho letto con interesse sperando di trovare così la risposta ai miei dubbi. Ma nel testo della Boni non c’è ombra di risposta.

Ripropone infatti la vecchia interpretazione che è stata data in Conclave all’incidente delle due schede (si è applicato l’articolo 68), interpretazione che ho confutato nel mio libro perché così quell’articolo sarebbe contraddetto dal successivo e perché conferirebbe un oggettivo potere di veto a qualsiasi cardinale volesse far saltare una candidatura.

Inoltre la Boni ritiene che la quinta votazione (quella decisiva) sia stata legittima, nonostante l’obbligo di farne solo quattro ogni giorno, perché la quarta era stata annullata e quindi – a suo avviso – non andava conteggiata, “tamquam non esset”.

Solo che nella Costituzione apostolica che regola il Conclave non sta scritto “tanquam non esset”, cioè non si prescrivono “quattro votazioni valide”, ma “quattro votazioni” tout court, si calcolano dunque tutte, valide e invalide. E non è ammessa la quinta.

La Boni inoltre parla di votazioni “pervenute fino allo spoglio”, ma la Costituzione apostolica non dice questo, infatti definisce “suffragia” le quattro votazioni, mentre, quando parla delle votazioni che arrivano fino allo spoglio, usa il termine “scrutinia”.

Infine la Boni – per contestare l’invalidità – cita la simonia, ma fa autogol: proprio il fatto che venga esplicitamente menzionato questo caso, come esentato dall’invalidità, significa che invece rientrano in tale invalidità tutti gli altri casi non menzionati relativi alle procedure di elezione.

Insomma il giallo del Conclave continua. D’altronde lo stesso Magister, mentre lancia l’articolo della Boni come fosse davvero una confutazione, lo incornicia con questi titoli e commenti: “Restano le incognite sulle manovre che hanno preceduto la fumata bianca”, “Il conclave che lo ha eletto papa continua ad essere sfiorato da ombre”.

In effetti dopo l’uscita del mio libro altre ombre si sono aggiunte con il libro di Austen Ivereigh, “The Great Reformer”. E c’è ancora la domanda irrisolta sull’abnorme attesa fra la fumata bianca e l’apparizione sulla loggia di San Pietro (con il misterioso aneddoto riferito da Bergoglio a Scalfari).
IL MISTERO DI BENEDETTO

Infine si sono riaffacciati pure i dubbi sulla “rinuncia” di Benedetto XVI, visto che addirittura sul giornale dei vescovi italiani, “Avvenire”, il 7 gennaio scorso, si è letto che ci sono state forze oscure che “hanno tradito e congiurato per eliminare papa Ratzinger e l’hanno spinto alla rinuncia”.

Quando io ho segnalato su queste colonne l’enormità di queste parole (che comporterebbero l’invalidità della rinuncia) il direttore di “Avvenire” ha risposto, curiosamente, senza smentire, anzi facendo capire che in sostanza lo sanno tutti…

Ma allora perché non parlare chiaro? Lo stesso Bergoglio chiede “parresia”. Quando emergerà ciò che cova sotto la cenere?

Antonio Socci

Da “Libero”, 25 GENNAIO 2015

http://chiesaepostconcilio.blogspot.it/2015/01/anche-i-bergogliani-sono-ormai.html

A questo papa CL non piace. Ma con sei eccezioni

 

Con i carismatici va a mille, siano o no cattolici. Con i focolarini altrettanto, li ha incitati a proseguire nel solco della fondatrice Chiara Lubich e nel dialogo ecumenico e interreligioso. Persino con i neocatecumenali è ora più caloroso che mai: ha messo da parte i rimproveri che ha loro rivolto un anno fa e ne ha benedetto il carisma, specie quello missionario.

È con Comunione e liberazione, invece, l’ultimo dei movimenti a cui ha dato udienza, che papa Francesco si è mostrato freddo e burbero. Don Luigi Giussani, con i suoi libri, l’ha riposto in biblioteca. Il carisma delle origini, invece di benedirlo, l’ha messo all’indice. Contro l’autoreferenzialità di chi dice “Io sono CL” ha speso i passaggi più corrosivi del suo discorso, sabato 7 marzo, davanti a una piazza San Pietro gremita e festosa, ma incerta su come interpretare il duro rimbrotto papale.

Perché è vero che Jorge Mario Bergoglio ha letto – e l’ha ricordato – alcuni libri di Giussani. Ma di Comunione e liberazione ha sempre conosciuto una parte, non il tutto. I suoi amici, di ieri e di oggi, appartengono tutti e soltanto a quel nucleo ciellino di Roma che traeva ispirazione da don Giacomo Tantardini e che pubblicava il mensile internazionale “30 Giorni”, mai riconosciuto come proprio dall’ufficialità di CL.

Oggi don Tantardini è in cielo e “30 Giorni” non c’è più. Ma il reticolo degli amici ciellini di Bergoglio è più vivo che mai. Ed è impegnatissimo, nel circuito dei media, a sostenere a spada tratta il pontefice regnante, qualunque cosa dica o faccia.

Stefania Falasca, alla quale Francesco dedicò la sua prima telefonata da papa la sera stessa della sua elezione, è diventata editorialista principe di “Avvenire”, il quotidiano della conferenza episcopale italiana. Mentre suo marito Gianni Valente, in servizio all’agenzia vaticana “Fides”, si distingue per le sue iniziative di diplomazia parallela sul fronte dei rapporti tra Vaticano e Cina (iniziative criticatissime dal cardinale Joseph Zen) ed è una delle firme di punta di “Vatican Insider”, portale d’informazione religiosa tra i più letti al mondo.

Creatore e regista di “Vatican Insider” è Andrea Tornielli, vaticanista e saggista di vasta risonanza con in più il privilegio di un accesso personale e frequente al papa. Mentre Lucio Brunelli, di cui si ricorda la pubblicazione nel 2005 del diario anonimo di un cardinale del conclave con i retroscena dei 40 voti rastrellati allora da Bergoglio, è passato da vaticanista della tv italiana di Stato a direttore del telegiornale di TV 2000, l’emittente dei vescovi.

Il cognato di Brunelli, Massimo Borghesi, professore di filosofia all’Università di Perugia, continua ad essere l’intellettuale del gruppo, ultrabergogliano anche lui, anche a costo di andare fuori misura nel prendere le distanze dal pensiero di Joseph Ratzinger. Una sua riflessione su papa Francesco e i movimenti ecclesiali, pubblicata il 3 marzo su “Terre d’America“, ha curiosamente anticipato il tono del discorso di pochi giorni dopo del papa a CL.

E il direttore del sito “Terre d’America” è un altro di questi amici ciellini di Francesco. È Alver Metalli, giornalista e scrittore, una vita tra Argentina, Messico e Uruguay, oggi residente a Buenos Aires, nonché inventore dell’intervista data da Francesco a “La Cárcova News”, il giornale dell’omonima “villa” di periferia della capitale argentina, realizzata a Santa Marta il 7 febbraio e messa in rete il 10 marzo.

http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/2015/03/10/a-questo-papa-cl-non-piace-ma-con-sei-eccezioni/

A chi era indirizzato il Messaggio di Sangue del Califfato?

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I titoli sono importanti, vengono pensati, valutati, scelti, ancor di più il titolo di un video macabro che deve spargere il terrore e far capire a potenziali nemici, e ai molti indecisi, chi è che presto busserà alle loro porte. Parliamo del video che ritraeva l’uccisione, per lenta decapitazione, dei 21 copti egiziani per mano dei miliziani del Califfato.
Il titolo in questione era :”un messaggio firmato con il sangue per la Nazione della Croce”. A chi era indirizzato il messaggio dei seguaci del Califfo al Baghdadi? Chi è la Nazione della Croce?
Per prima cosa una nazione va esclusa e cioè l’Egitto. L’Egitto non è la Nazione della Croce. Ma allora a chi parlava lo speaker del Califfato? Parlava alla moltitudine delle nazioni cristiane, riunite in un’unica grande nazione? Alcuni potrebbero pensare che sia così, ma la nostra idea è differente.
Noi pensiamo che essi identifichino la Nazione della Croce con la capitale temporale e spirituale della Cristianità, e cioè con Roma. Roma, secondo noi, è la Nazione della Croce citata nel titolo del video.
Certo, non possiamo dirlo con una sicurezza totale, tuttavia durante il video una sola città viene citata, e quella città è Roma. Chi parla dice, prima eravamo in Siria ora siamo a sud di Roma, fatto che viene citato per due volte nel video. Il luogo dell’omicidio di massa, non è stato identificato, ma potrebbe essere, a nostro avviso, un tratto di costa nei pressi di Tripoli. Se così fosse quel “siamo a sud di Roma” non sarebbe solo una espressione generica, ma i miliziani del Califfo potrebbero essere fisicamente esattamente a sud di Roma, in un punto in grado di minacciare la capitale della Libia, Tripoli, così come le infrastrutture metanifere di Eni, nonché di controllare un tratto di costa che dista solo 150 miglia da Lampedusa.
Se le nostre considerazione sono corrette il messaggio firmato col sangue era indirizzato a noi, all’Italia.

http://www.geopoliticalcenter.com/2015/02/a-chi-era-indirizzato-il-messaggio-di-sangue-del-califfato/

ARMENIA : centenario genocidio : mostra e Sirusho …

Il Genocidio degli Armeni | controappuntoblog.org

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