Aereo Germanwings : parlano i piloti : huffingtonpost, theguardian – la scatola nera arrugginita, foto……

la scatola nera arrugginita

Aereo Germanwings, i comandanti italiani: “Addio alla dolce vita dei piloti, ora siamo stanchi e spremuti come limoni”

Laura Eduati, L’Huffington Post  27/03/2015

“Una volta affrontavamo un volo ogni tre o quattro giorni, le rotte erano poche e capitava di attraversare l’Oceano e fermarsi per riposare. Oggi è tutto cambiato, i piloti sono costretti a turni massacranti soprattutto nelle compagnie lowcost”. Il comandante Nelson Ferrera, ex portavoce dell’Anpac, ha lasciato l’Alitalia da cinque anni ma sente con vigore il dibattito sulla sicurezza dei piloti, scatenato dal terribile disastro dell’aereo Germanwings precipitato sui monti dell’Alta Provenza.

Specialmente perché sembrano ormai lontanissimi i tempi della dolce vita dei comandanti, così ambita che nel film “Prova a prendermi” Leonardo Di Caprio faceva letteralmente carte false per diventare un ammirato pilota di linea, un privilegio descritto anche dalla serie Pan Am. “No, non è più così”, ammette Ferrera.

Gli inquirenti hanno scoperto che Andreas Lubitz, il co-pilota accusato di aver deliberatamente fatto schiantare il velivolo, nel giorno della tragedia non sarebbe dovuto stare ai comandi: nel suo alloggio è stato trovato un certificato medico, mentre secondo i media tedeschi il giovane era stato ricoverato all’ospedale di Dusseldorf nei mesi scorsi, escludendo però che fosse per una patologia psichiatrica.

La Germanwings, costola della Lufthansa, non era completamente all’oscuro dello stato mentale di Lubitz, visto che sapeva che il giovane aveva sospeso l’addestramento per esaurimento nervoso e lo aveva classificato con il codice Sic – abitualmente attribuito ai membri dell’equipaggio da tenere sotto particolare attenzione medica.

“Se un pilota prende psicofarmaci normalmente viene sospeso dal lavoro”, commenta Ferrera, che però vuole dare una lettura umana a ciò che è successo: “L’imponderabile può accadere. Ma non dite che i comandanti degli aerei mettono il pilota automatico: la rotta può essere pre-impostata ma è il pilota a evitare i temporali oppure a compiere manovre di emergenza”. O manovre di strage, come pare sia accaduto con l’Airbus A320.


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A confermare il fatto che gli anti-depressivi sono una causa sufficiente per sospendere i piloti dai voli è Fabio Peppucci, direttore tecnico Anpac: “Ogni anno i piloti devono sottomettersi a una visita medica per ricevere il certificato di idoneità al volo. Se da un anno all’altro dovessero capitare episodi gravi che inducono all’ansia o alla depressione per le quali diventa necessario prendere dei farmaci, di norma il pilota viene lasciato a casa fino ai 12 mesi senza perdere il posto di lavoro”.

Anche in questo caso, i piloti delle grandi compagnie sembrano più tutelati rispetto ai colleghi delle low cost dove, spiega ancora Peppucci, “di fronte a una diagnosi di depressione un pilota può rischiare il licenziamento immediato”. E dunque proliferano i casi dei comandanti e dei co-piloti che tendono a nascondere il disturbo mentale, anche passeggero. Un problema enorme, spesso discusso dai sindacati dei piloti.

Su questo punto il Time cita un dato pazzesco: William Sledge, primario allo Yale-New Haven Psychiatric Hospital, incaricato di esaminare dal punto di vista medico i piloti per la Federal Aviation Administration, rivela che il 40% presenta problemi legati all’alcol mentre un terzo manifesta un grado di depressione o ansia. “Tuttavia soltanto la metà dei depressi e degli ansiosi ha ammesso spontaneamente il problema. L’altra metà lo ha ammesso al dottor Sledge dopo che un incidente aveva costretto i loro superiori a intervenire”.

Il Time riporta anche i dati sui suicidi, che riguardano però piloti che non stavano nella cabina di un volo di linea: dal 1983 al 2003 trentasette comandanti hanno provato a togliersi la vita, 21 ci sono riusciti. Non tutti però presentavano problemi pregressi di tipo psichiatrico (il 38%), mentre la maggioranza (il 46%) era legato a problemi nella vita personale.

Il fatto è che a livello italiano ed europeo non esistono dati sulla frequenza delle malattie psichiatriche dei piloti, perché evidentemente esiste la paura di smettere di volare. Ma la questione è scottante e per questo gli Stati Uniti obbligano i piloti ad ammettere la propria condizione psico-fisica alla compagnia aerea, pena una multa da 250mila dollari.

“Da noi non esiste la multa. Ma come associazione professionale stiamo cercando di ottenere in Italia delle strutture di ascolto psicologico per i piloti, che sono sottoposti a un lavoro massacrante e usurante”, ci fa sapere Peppucci. “Si chiamano Pilot Advisory Groups e servirebbero soprattutto a quei colleghi che non vogliono manifestare la propria situazione di disagio al datore di lavoro, proprio per il timore di ritorsioni contrattuali”.

Il punto di vista dell’Anpac è chiaro: se le compagnie aeree pretendono livelli illimitati di sforzo lavorativo, i piloti si stancano troppo oppure si ammalano e questo mette a repentaglio la sicurezza dei voli. “Eventuali investimenti nelle strutture di ascolto potrebbero evitare ciò che è successo con l’aereo della Germanwings”, sottolinea Peppucci, che come la stragrande maggioranza dei suoi colleghi europei – francesi e tedeschi in primis – giudica “frettolose” le conclusioni della procura di Marsiglia, come se si fosse voluto “trovare immediatamente un capro espiatorio per salvaguardare gli interessi economici”.

In attesa che la commissione d’inchiesta arrivi, con molta più lentezza, alla verità sullo schianto dell’Airbus A320, rimane la sottovalutazione della salute mentale dei piloti ma anche la poca attenzione alle lunghissime ore di volo.

Recentemente la questione è arrivata sulle cronache dei giornali: a febbraio il pilota di un Airbus A320 era troppo stanco per continuare il volo ed è atterrato a Manchester invece che a Parigi. Nel 2012 una vicenda ancora più grave: a quindici minuti dall’atterraggio due piloti della British Airways avevano chiesto alla torre di controllo di guidare l’atterraggio a Monaco perché entrambi si sentivano esausti.

Si tratta della procedura “unfit to fly”(inadatto a volare, ndr), adottata da alcune compagnie aeree tra le quali Lufthansa e Germanwings (già dal 2002), che consente ai piloti di fermarsi quando pensano di non poter garantire l’efficienza.

Basta dare un’occhiata alle statistiche della European Cockpit Association, l’associazione che riunisce 38mila piloti europei, per comprendere l’allarme: il 50% degli intervistati per una ricerca sulla stanchezza in cabina ammette di sentire che la propria capacità di volare è minata dalla fatica fisica, ma il 70-80% dei comandanti e dei co-piloti non lo ammette ai propri superiori oppure non accede alla procedura “unfit to fly” per paura di azioni disciplinari.

Il risultato è che circa la metà dei piloti si addormenta nella cabina di pilotaggio.

Sul protocollo Fatigue Risk Management l’Enac ha già aperto un tavolo con le compagnie aeree che operano in Italia, ma secondo la European Cockpit Association il nostro continente dovrebbe seguire l’esempio degli Stati Uniti, dove a un periodo nel quale le compagnie aeree hanno cercato di sfruttare al massimo la capacità dei piloti, è seguita una nuova valutazione e una comprensione del rischio collegato alla stanchezza di questi lavoratori che hanno ormai perso l’aura del mito.

“In America sono dovuti accadere degli incidenti gravi per far comprendere che i piloti non possono essere spremuti giorno dopo giorno. Purtroppo da noi la tendenza è opposta”, conclude Peppucci. L’Eca, intanto, ricorda che entro il 2020 il numero dei voli europei raddoppierà.

http://www.huffingtonpost.it/2015/03/27/fine-mito-pilota_n_6954056.html?

Alps tragedy exposes relentless pressures faced by commercial pilots

If anything good comes out of the Germanwings crash, it may be that the conditions faced by pilots working for budget airlines will be scrutinised
People arrive to pay tribute to the victims of the Germanwings flight that crashed in the French Alp

 

People arrive to pay tribute to the victims of the Germanwings flight that crashed in the French Alps. Photograph: Jeff Pachoud/AFP/Getty Images

Simon Moores

A “black swan event” has three attributes: unpredictability, consequences and retrospective explicability.

Mostly it’s about fatigue; the crushing fatigue you can feel after several hours behind the wheel of a car or perhaps even as the co-pilot of a budget airline passenger jet after several, rapid turnarounds between European cities in a single day.

Like most professions, pilots like to socialise and swap gossip; the preferred option being a curry-and-cold-beer night out. I’m a commercial pilot and an occasional instructor working outside the airline industry, but the stories I hear from my friends, about the pressures of working in the business, have remained consistent for a long time now.

Principal among the stresses lies chronic fatigue, and this is particularly common among the low-cost carriers. Back in March 2008 I flew a protest banner for Balpa (the British Airline Pilots Association) to Heathrow, protesting against the new rules being passed by the European parliament standardising pilots’ flight and rest times across Europe, despite claims from unions that they could put passenger safety at risk and “lead to pilots flying while dangerously fatigued”.

In addition to fatigue, younger pilots have told me of a different kind of insidious stress while working for budget airlines, and that’s a fear of losing one’s first aviation job as a low-hours commercial pilot through failing to perform to management expectations.

This fear, more often than not, surrounds zero-hours contracts and the average £50,000 or more of training debt that a first officer might be carrying when he or she climbs out of a simulator and into the righthand seat of a Boeing 737 or A310 Airbus.

More than one in six of Europe’s pilots are now employed through a temporary job agency, are self-employed or work on a zero-hours contract with no minimum pay guaranteed. As one pilot once remarked to me: “There’s a long queue of desperate young pilots looking for a first step on the career ladder and happy to take my place. If I don’t turn up for work one day, I might not be called again.”

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Last December the European Cockpit Association called on Europe’s transport ministers to take action against what it labelled unfair labour practices, including zero-hours contracts and “bogus self-employment” – where pilots are contracted to work via their own limited liability company but prevented from working for other airlines.

If you mention the word slavery to a group of airline pilots, they’ll laugh and one company will always appear at the top of everyone’s list. Frequently that’s the only route, much like 19th-century indentured servitude, to a successful, less stressful and perhaps well-rewarded, tax-free flying career in one of the larger airlines, Middle Eastern carriers preferred.

A second stress in the glare of last week’s disaster is security. One pilot told me only last month that he had experienced enough of being “treated like a criminal” by airport security and was going to look for another job. Long-haul pilots flying back and forth to the US have an even worse time from the American TSA (Transportation Security Administration) and swapping horror stories over a cold beer isn’t an unusual form of unwinding. I’ve heard it described as a “them and us” confrontation with airport security, but regardless of who might be to blame, and the reasons for it, it brings with it an impact on crew morale.

If there is one positive outcome from last week, it may be that the endemic pressures pilots now face in a brutally competitive industry will be placed under a very public spotlight for proper and responsible debate.

Simon Moores is a commercial pilot and aviation writer who advises companies on risk management

http://www.theguardian.com/commentisfree/2015/mar/28/germanwings-crash-exposes-pressure-pilotes

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