Descargar De perlas y cicatrices de Pedro Lemebel

ADDIO A PEDRO LEMEBEL

gennaio 23, 2015

ADDIO A PEDRO LEMEBEL

Lo scrittore cileno è morto a Santiago il 23 gennaio 2015 dopo una lunga malattia. Era nato a Santiago il 21 novembre 1954.
Pubblichiamo, di seguito, il comunicato inviatoci da Marcos y Marcos, l’editore italiano di Lemebel

Pedro Lemebel è morto questa notte a Santiago.
Era nato negli anni Cinquanta, come gli piaceva dire.
È stato un grande scrittore, un militante autentico, coraggioso e leale.
È rimasto in Cile durante la dittatura e ha combattuto il regime con la sua presenza, con le sue parole, con le performance sovversive del collettivo artistico “Yeguas del Apocalipsis”.
È un riferimento fondamentale del movimento internazionale di liberazione omosessuale, ha lottato fino all’ultimo giorno contro ingiustizie e ipocrisia.

Era una persona dolcissima, spiritosa, sottile.
L’abbiamo visto a Santiago, dove è un personaggio leggendario, e la gente lo fermava per strada per stringergli la mano.
Lo ricordiamo al festival di Mantova, con il suo buffo fazzoletto in testa, e in scooter per le vie di Roma.
Ci lascia il suo romanzo straordinario, Ho paura torero, le sue moltissime cronache, poetiche e politiche, e il ricordo indelebile della persona straordinaria che è stato.

A capodanno ha mandato a tutti un messaggio su facebook, ci ha salutato così:


Carissimi amici,
la mia malattia non mi permette di scrivere su altra pagina che non sia questa.
Vi mando queste parole in questo ultimo giorno di questo misero e prospero anno.
L’orologio ruota frenetico verso la mezzanotte.
Per alcuni quest’anno è stato fortunato. Per altri non tanto, come per esempio per la mia amica ministro, Helia Molina, che la destra perfida, golpista, ipocrita e vigliacca ha fatto cacciare. Non meritano di essere cileni, perché quel che Helia ha detto l’abbiamo pensato tutti mille volte.
Bene, l’orologio continua a girare.
Non fa né freddo né caldo, e allargo la mia voce come un abbraccio anticipato per tutti voi.
Sarò sempre con voi; con chi se lo merita, naturalmente.
Ho vissuto in questo paese bellissimo che ho tanto amato con Gladys, con mia madre, con Sergio Parra, con la sinistra dura, che non si è mai piegata.
Poi c’è la gente, gli amici, e i miei desaparecidos, che non vanno lasciati fuori da questa lista.
L’orologio continua a girare verso un futuro florido e caldo.
Non sono riuscito a scrivere tutto quello che avrei voluto scrivere, ma potete immaginare voi, miei lettori, che cosa manca, che sfoghi, che baci, che canzoni non ho potuto cantare.
Il cancro maledetto mi ha rubato la voce (stonata o intonata che fosse).
Un bacio a tutti, e a chi ha diviso con me qualche notte torbida.
Arrivederci, ovunque sia.
Pedro Lemebel
* * *
La primavera era arrivata a Santiago come tutti gli anni, però questa si portava dietro i colori vibranti che imbrattavano i muri con graffiti brutali, slogan di libertà, mobilitazioni sindacali e marce studentesche disperse con i cannoni ad acqua. I ragazzi dell’università resistevano a pietrate agli schizzi fangosi degli sbirri. E caricavano senza sosta conquistando la strada con le fiamme rabbiose delle molotov. Con un’improvvisa esplosione tagliavano la luce e tutti correvano a comprar candele, a raccogliere candele e ancora candele per incendiare le strade e i marciapiedi, per disseminare di braci la memoria, per frantumare l’oblio con le scintille. Come se la coda di una cometa si abbassasse fino a sfiorare la terra in omaggio a tanti desaparecidos”.
Pedro Lemebel, Ho paura torero
***

Pedro Lemebel è nato a Santiago negli anni Cinquanta, povero e maricón. Nel 1987, fonda, insieme a Francisco Casas, il Collettivo artistico “Yeguas del Apocalipsis”, che realizza memorabili eventi pubblici, mescolando performance provocatorie, trasformismo, fotografia, video e installazioni, per rivendicare il diritto alla vita, alla memoria, alla libertà sessuale.
Personaggio amatissimo dalla comunità omosessuale internazionale e dalla sinistra cilena, Lemebel porta alla luce il Cile sommerso con le sue cronache urbane, pubblicate sui giornali dell’opposizione, come «Página Abierta» e «The Clinic», oppure trasmesse quotidianamente da Radio Tierra. Raccolte progressivamente in volume (La Esquina es mi corazón, Loco afán: Crónicas de sidario, De perlas y cicatrices, Zanjon de la Aguada, Adiós, mariquita linda, Serenata cafiola) le sue testimonianze figurano sempre nelle classifiche dei libri più venduti, e sono più piratate di Harry Potter. Baciami ancora, forestiero ne offre alcune tra le più significative. Il suo primo romanzo, Ho paura torero, è stato il libro più venduto in Cile nel 2001.

È morto a Santiago il 23 gennaio 2015 dopo una lunga malattia.

https://letteratitudinenews.wordpress.com/2015/01/23/addio-a-pedro-lemebel/

Lemebel, forme brevi su stoffa preziosa

Pubblicato il 24 aprile 2013

Fra gli invitati cileni al prossimo Salone del libro di Torino NON ci sarà Pedro Lemebel, del quale Roberto Bolaño ebbe a dire: «Lemebel non ha bisogno di scrivere poesia per essere il miglior poeta della mia generazione». Riprendiamo un pezzo che gli dedicò nel 2008 Francesca Lazzarato sul «manifesto» in occasione della pubblicazione in Italia di Baciami ancora, forestiero.

A seguire, il Manifiesto di Lemebel cui si accenna nel testo.

di Francesca Lazzarato

Hanno ragione i suoi editori, quando parlano di lui nella premessa a Baciami ancora, forestiero (Marcos y Marcos) appena presentato al Festival di Mantova: Pedro Lemebel è un incantatore. Lo si capisce appena compare nell’atrio dell’hotel di cui è ospite a Roma (oggi alle 18 ha un reading al Cervantes in piazza Navona), attirando con ironica noncuranza tutti gli sguardi, provocazione vivente in tunica beige e calzoni assortiti, un foulard che incornicia il viso bruno e arguto. A guardarlo vengono in mente i versi del Manifiesto che, letto per la prima volta nel 1986 durante la manifestazione del Partito Comunista cileno, rappresentò in certo senso l’inizio della sua carriera letteraria: «Non ho bisogno di travestimenti/Questa è la mia faccia/Parlo in nome della mia differenza…».E la sua faccia (non quella del «personaggio» che può sembrare, ma della persona che è, capace di coniugare una malinconica gioia di vivere con una grande lucidità) Lemebel l’ha messa in gioco senza esitazioni, diventando il geniale performer che con Francisco Casas ha fondato nel 1987 Las Yeguas de l’Apocalipsis e realizzato oltre 800 serate in cui il corpo, le immagini, le voci, gli oggetti interagivano per denunciare, inquietare, ricordare.

Negli anni della dittatura Las Yeguas hanno agitato le acque scure della Santiago pinochetista, finchè la placida palude della Concertación  non le ha inghiottite e messe a tacere. È stato alora che Pedro Lemebel ha aggiunto un altro tassello al puzzle della sua identità di ragazzo povero dei quartieri popolari di Santiago, di marica costretto a misurarsi con la violenza e il dileggio («ho cicatrici di risate sulla schiena»), di grande artista visuale. È subito dopo la sparizione delle Yeguas, nel ’95, che esce La esquina es mi corazón, la prima raccolta delle sue cronicas, modernissime cronache urbane scritte per essere lette ai microfoni della femminista Radio Tierra o per comparire sui giornali dell’opposizione, rigorosamente autentiche eppure trasfigurate fino ad apparire puro cuento, grazie a una scrittura sorprendente che è la vera cifra di un autore mai banale, capace di «lavorare» il linguaggio come una stoffa preziosa. A quel libro ne sono seguiti altri sette, tra cui il magnifico romanzo Ho paura torero (Marcos y Marcos 2004), per arrivare a questa antologia in cui si mescolano testi inediti e altri già apparsi nei volumi editi da Planeta.

«Sì, è cominciato tutto col Manifiesto. Non solo è stato pubblicato su “Pagina Abierta”, ma mi hanno pagato! E io scrivo anche perché mi pagano» dice allegro Lemebel, che è oggi fra i più popolari autori cileni.«Ma non ho niente in contrario se i miei libri vengono scaricati gratis dalla rete, o se vengono piratati e venduti agli angoli delle strade. In Cile i libri costano più o meno come una settimana di salario, e la pirateria è nell’ordine della cose. A me sta bene che i miei scritti circolino, vorrei che andassero in giro come la letteratura de cordel, quei fogli stampati che i cantastorie appendevano a una corda da bucato».A parte l’unico romanzo, del resto, tutto quanto Lemebel scrive è connotato da una benedetta brevità: prose succinte che raccontano la vita quotidiana – incontri, amori, lampi di desiderio –  e non dimenticano quello che in troppi sembrano voler dimenticare: i nomi e le facce della dittatura, le ombre dei desaparecidos.

Perché in Cile, a differenza della vicina Argentina dove si cominciano a elargire ergastoli ai repressori di un tempo, i conti con il passato sono in gran parte da fare.«Gli assassini di Victor Jara, per esempio, li conoscono tutti, ma sono in libertà e nessuno li persegue. La destra non ha più il potere, ma ha comunque “un” potere, c’è un patto che garantisce non solo l’impunità ma la permanenza in luoghi chiave come la televisione, ancora in mano ai padroni di un tempo: rivediamo ogni giorno le stesse facce di allora, quelle che hanno messo sorrisi e bugie al servizio della dittatura. Anche per questo in televisione non vado più: sanno benissimo che non ci sto a far finta di niente». Grande amico di Gladys Marìn (la segretaria del Partito Comunista morta un anno fa), Lemebel è innegabilmente uno scrittore politico, e non solo perché non vuole rinunciare alla denuncia: tutto quanto dice o scrive – persino quando parla d’amore, come nelle lettere che appaiono in Baciami ancora, forestiero – rivendica rispetto per le minoranze, per la pluralità dei modi di esistere e amare.«È la cosa che più mi sta a cuore, ma non voglio essere la Eva Perón delle locas, degli omosessuali, dei marginali, anche se tutto questo fa parte della mia storia. L’etichetta di cantore della marginalità mi sta stretta: in primo luogo perché non sopporto che mi dicano cosa devo fare, e poi perché sono aperto a tutte le possibilità. Inoltre dubito che esista una letteratura omosessuale: esiste caso mai una sensibilità omosessuale, come ha detto lo scrittore messicano Carlos Monsivais nel presentare un mio libro. La prova sta nel fatto che i miei lettori non sono contraddistinti dall’orientamento sessuale, e in maggioranza sono donne». Il suo legame con il femminile è del resto quasi amoroso, suggellato dall’aver sostituito anni fa il cognome paterno con quello della madre. E proprio di sua madre parlano alcuni capitoli di Serenata cafiola, ultima sua opera che uscirà in Cile per Planeta ai primi di ottobre: un libro pieno di ricordi e di musica, da Victor Jara a Mina, da Chavela Vargas a Charly Garcia, quella musica che ha segnato le tappe della sua vita, e di cui è intrisa la sua prosa, libera e audace come lui.

Manifiesto (Hablo por mi diferencia)

di Pedro Lemebel

No soy Pasolini pidiendo explicaciones
No soy Ginsberg expulsado de Cuba
No soy un marica disfrazado de poeta
No necesito disfraz
Aquí está mi cara
Hablo por mi diferencia
Defiendo lo que soy
Y no soy tan raro
Me apesta la justicia
Y sospecho de esta cueca democrática
Pero no me hable del proletariado
Porque ser pobre y maricón es peor
Hay que ser ácido para soportarlo
Es darle un rodeo a los machitos de la esquina
Es un padre que te odia
Porque al hijo se le dobla la patita
Es tener una madre de manos tajeadas por el cloro
Envejecidas de limpieza
Acunándote de enfermo
Por malas costumbres
Por mala suerte
Como la dictadura
Peor que la dictadura
Porque la dictadura pasa
Y viene la democracia
Y detrasito el socialismo
¿Y entonces?
¿Qué harán con nosotros compañero?
¿Nos amarrarán de las trenzas en fardos
con destino a un sidario cubano?
Nos meterán en algún tren de ninguna parte
Como en el barco del general Ibáñez
Donde aprendimos a nadar
Pero ninguno llegó a la costa
Por eso Valparíso apagó sus luces rojas
Por eso las casas de caramba
Le brindaron una lágrima negra
A los colizas comidos por las jaibas
Ese año que la Comisión de Derechos Humanos
no recuerda
Por eso compañero le pregunto
¿Existe aún el tren siberiano
de la propaganda reaccionaria?
Ese tren que pasa por sus pupilas
Cuando mi voz se pone demasiado dulce
¿Y usted?
¿Qué hará con ese recuerdo de niños
Pajeándonos y otras cosas
En las vacaciones de Cartagena?
¿El futuro será en blanco y negro?
¿El tiempo en noche y día laboral
sin ambigüedades?
¿No habrá un maricón en alguna esquina
desequilibrando el futuro de su hombre nuevo?
¿Van a dejarnos bordar de pájaros
las banderas de la patria libre?
El fusil se lo dejo a usted
Que tiene la sangre fría
Y no es miedo
El miedo se me fue pasando
De atajar cuchillos
En los sótanos sexuales donde anduve
Y no se sienta agredido
Si le hablo de estas cosas
Y le miro el bulto
No soy hipócrita
¿Acaso las tetas de una mujer
no lo hacen bajar la vista?
¿No cree usted
que solos en la sierra
algo se nos iba a ocurrir?
Aunque después me odio
Por corromper su moral revolucionaria
¿Tiene miedo que se homosexualice la vida?
Y no hablo de meterlo y sacarlo
Y sacarlo y meterlo solamente
Hablo de ternura compañero
Usted no sabe
Cómo cuesta encontrar el amor
En esas condiciones
Usted no sabe
Qué es cargar con esta lepra
La gente guarda las distancias
La gente comprende y dice:
Es marica pero escribe bien
Es marica pero es un buen amigo
Súper-buena-onda
Yo no soy buena onda
Yo acepto al mundo
Sin pedirle esa buena onda
Pero igual se ríen
Tengo cicatrices de risas en la espalda
Usted cree que pienso en el poto
Y que al primer parrillazo de la CNI
Lo iba a soltar todo
No sabe que la hombría
Nunca la aprendí en los cuarteles
Mi hombría me la enseñó la noche
Detrás de un poste
Esa hombría de la que usted se jacta
Se la metieron en el regimiento
Un milico asesino
De esos que aún están en el poder
Mi hombría no la recibí del partido
Porque me rechazaron con risitas
Muchas veces
Mi hombría la aprendí participando
En la dura de esos años
Y se rieron de mi voz amariconada
Gritando: Y ya va a caer, y ya va a caer
Y aunque usted grita como hombre
No ha conseguido que se vaya
Mi hombría fue la mordaza
No fue ir al estadio
Y agarrarme a combos por el Colo Colo
El fútbol es otra homosexualidad tapada
Como el box, la política y el vino
Mi hombría fue morderme las burlas
Comer rabia para no matar a todo el mundo
Mi hombría es aceptarme diferente
Ser cobarde es mucho más duro
Yo no pongo la otra mejilla
Pongo el culo compañero
Y ésa es mi venganza
Mi hombría espera paciente
Que los machos se hagan viejos
Porque a esta altura del partido
La izquierda tranza su culo lacio
En el parlamento
Mi hombría fue difícil
Por eso a este tren no me subo
Sin saber dónde va
Yo no voy a cambiar por el marxismo
Que me rechazó tantas veces
No necesito cambiar
Soy más subversivo que usted
No voy a cambiar solamente
Porque los pobres y los ricos
A otro perro con ese huevo
Tampoco porque el capitalismo es injusto
En Nueva York los maricas se besan en la calle
Pero esa parte se la dejo a usted
Que tanto le interesa
Que la revolución no se pudra del todo
A usted le doy este mensaje
Y no es por mí
Yo estoy viejo
Y su utopía es para las generaciones futuras
Hay tantos niños que van a nacer
Con una alita rota
Y yo quiero que vuelen compañero
Que su revolución
Les dé un pedazo de cielo rojo
Para que puedan volar.

http://blog.edizionisur.it/24-04-2013/lemebel-forme-brevi-su-stoffa-preziosa/

De Perlas y cicatrices

De Perlas y cicatrices es el tercer libro de Pedro Lemebel, que reúne relatos provenientes, en su mayoría, del programa radial “Cancionero”, donde -como dice el autor en el prólogo del título- “este puñado de crónicas se hicieron públicas en el goteo oral de su musicalizado relato”. El libro se organiza en ocho capítulos, en los cuales se describen escenas urbanas y callejeras, bajo títulos aterciopelados como “Sombrío fosforecer”, “Dulce veleidad”, “De misses top, reinas lagartijas y otras acuarelas”, “Sufro al pensar”, “Relicario”, “Río Rebelde”, “Quiltra lunera”, “Relamido frenesí” y “Soberbia calamidad, verde perejil”. Como se trata de “crónicas radiales”, cada uno de estos capítulos arranca de una o más referencias al cancionero popular, las que les dan sentido y les proporcionan una atmósfera, como señala su autor: “El gorgoreo de la emoción, el telón de fondo pintado por bolereados, rockeados o valseados contagios, se dispersó en el aire radial que aspiraron los oyentes”.

http://www.memoriachilena.cl/602/w3-article-96699.html

Descargar De perlas y cicatrices de Pedro Lemebel …

De Perlas Y Cicatrices PDF | Descargar Libros Gratis

De perlas y cicatrices es el tercer libro publicado por el escritor chileno Pedro Lemebel. Esta recopilación de crónicas salió originalmente en 1998, en LOM Ediciones, Santiago de Chile. Se trata de textos para el programa Cancionero de Radio Tierra. Presentado por el mismo Lemebel, el volumen está dividido en 8 partes y contiene 71 crónicas. Seix Barral Chile la reeditó en 2010.1

Cada una de las partes o “capítulos arranca de una o más referencias al cancionero popular, las que les dan sentido y les proporcionan una atmósfera, como señala su autor: El gorgoreo de la emoción, el telón de fondo pintado por bolereados, rockeados o valseados contagios, se dispersó en el aire radial que aspiraron los oyentes“.2

Estas crónicas contribuyeron a afianzar “su singular voz literaria, que mezclaba lo barroco y lo marginal en un tono de provocación y resentimiento”.3

Contenido

SOMBRÍO FOSFORECER

  • Las joyas del golpe
  • Las orquídeas negras de Mariana Callejas (o “el Centro Cultural de la Dina“)
  • El cura de la tele (“olor a azufre en la sacristí­a”)
  • La visita de la Thatcher (o “el vahí­do de la vieja dama”)
  • Gloria Benavides (o “era una gotita en la C.N.I.“)
  • El encuentro con Lucía Sombra (o “nunca creí­ que fueran de carne y hueso”)
  • Los sombreros de la Piñeiro
  • Las campanadas del once (o “¿te imaginas Pichy qué hubiera sido de nosotros?”)

DULCE VELEIDAD

  • Palmenia Pizarro (o “el regreso del cariño malo”)
  • La Leva (o “la noche fatal para una chica de la moda”)
  • Camilo Escalona (o “sólo sé que al final olvidaste el percal”)
  • El exilio fru-frú (o “habí­a una fonda en Montparnasse”)
  • El Gorrión de Conchalí­ (o “las amargas cebollas de Zalo Reyes en la TV”)
  • La Quintrala de Cumpeo (o “Raquel), la soberbia hecha mujer”)
  • Don Francisco (o “la virgen obesa de la TV”)
  • El romance musical de los sesenta (o “los dientes postizos de la Nueva Ola”)

DE MISSES TOP, REINAS LAGARTIJAS Y OTRAS ACUARELAS

  • Rosa Marí­a Mac Pato (o “las encías doradas del arte”)
  • Cecilia Bolocco (o “besos mezquinos para no estropear el maquillaje”)
  • La tristeza de Bambi (o “una estrella sudaca en el cielo europeo”)
  • Miriam Hernández (o “una canción de amor en la ventana del bloque”)
  • Martita Primera (o “esos grandes botones de la moda presidencial”)
  • Las sirenas del café (o “el sueño top model de la Jacqueline”)
  • El Bim Bam Bum (o “cascadas de marabú en la calle Huérfanos”)
  • Geraldine Chaplin (o “¿sabes linda si Zhivago atiende sida?”)
  • Del Carmen Bella Flor (o “el radiante fulgor de la santidad”)

“SUFRO AL PENSAR”

  • Claudia Victoria Poblete Hlaczik (o “un pequeño botí­n de guerra”)
  • “Los cinco minutos te hacen florecer”
  • Carmen Gloria Quintana (o “una página quemada en la feria del libro”)
  • Karin Eitel (o “la cosmética de la tortura, por Canal 7 y para todo espectador”)
  • Corpus Christi (o “la noches de los alacranes”)
  • Ronald Wood (“A ese bello lirio despeinado”)
  • La Payita (o “la puerta se cerró detrás de ti­”)
  • El informe Rettig (o “recado de amor al oído insobornable de la memoria”)

“RÍO REBELDE”

  • El rí­o Mapocho (o “el Sena de Santiago, pero con cauces”)
  • Dean Reed (o “del rock a la odisea marxista”)
  • La República Libre de Ñuñoa (o “parece que nos dejó el taxi, Lennon”)
  • Los Prisioneros (o “el grito apagado de los ochenta”)
  • El garage Matucana Nueve (o “la felpa humana de un hangar”)
  • Flores de sangre para mamá (o “la rebeldí­a llagada de un tatuaje”)
  • Noche de toma en la Universidad de Chile (o “me gustan los estudiantes”)
  • Un letrero Soviet en el techo del bloque
  • El Paseo Ahumada (o “la marea humana de un caudaloso vitrinear”)
  • La inundación

QUILTRA LUNERA

  • La loca del carrito (o “el trazo casual de un peregrino frenesí­”)
  • “Solos en la madrugada” (o “el pequeño delincuente que soñaba ser feliz”)
  • La historia de Margarito
  • La muerte de Condorito (o “recuerdos de Pelotillehue“)
  • Las Amazonas de la Colectiva lésbica Ayuquelén
  • Bárbara Délano (o “una perla de luna que naufragó con el sol”)
  • El cumpleaños de Ricacho Polvorí­n
  • Memorias del quiltraje urbano (o “el corre que te pillo del tierral”)
  • Flores plebeyas (o “el entierrado verdor del jardín proleta”)

RELAMIDO FRENESÍ

  • La comuna de ´Laví­n (o “el pueblito se llamaba Las Condes+”)
  • El paí­s de los récords (o “el mojón más largo del mundo”)
  • I love you Mac Donald (o “el encanto de la comida chatarra”)
  • El barrio Bellavista
  • Viña del Mar (o “un jardí­n en huelga de aburrimiento”)
  • El test antidoping (o “vivir con un submarino policial en la sangre”)
  • La ciudad con terno nuevo (o “un extraño en el paraí­so”)
  • El Festival de Viña
  • El Metro de Santiago (o “esa azul radiante rapidez”)
  • Los albores de La Florida (o “sentirse rico, aunque sea en miniatura”)

SOBERBIA CALAMIDAD, VERDE PEREJIL

  • Nevada de plumas sobre un tigre en invierno
  • La bruma del verano leopardo
  • Presagio dorado para un Santiago otoñal
  • Los tiritones del temblor (o “afirma la tele, niña”)
  • Tu voz existe (o “el débil quejido de la radio A.M.”)
  • Un domingo de Feria Libre (o “la excusa regatera del dime que te diré”)
  • La sinfoní­a chillona de las candidaturas (o “todos alguna vez fuimos jóvenes idealistas”)
  • El Hospital del Trabajador (o “el sueño quebrado del doctor Allende”)
  • Los floristas de La Pérgola

La loca del carrito (o “el trazo casual de un peregrino frenesí”)

De verlo continuamente cruzar la ciudad con su indumentaria de travesti doméstico, con su figura lunfarda, de mendiga, vieja bruja, señora tirilluda que detiene el tránsito con su espejismo teatral para la sorpresa de la gente. La loca del carrito no tiene destino en su paseo lunático que arrastra por las calles sin ver a nadie, sin percatarse de las risas burlescas que deshilachan aún más su falda de franela a cuadros, el trapo poblador que, sin pretensión, le cubre sus huesudas rodillas de pajarraco artrítico, rumbeando la tarde a bordo de su poética trasgresión.

De su pasado no hay rastro, en la estela locati que dejan sus zapatones de hombre chancleteando la vereda lunar que alborota desafiante. Apenas recoger, sin seguridad, el testimonio que narró de él un periodista para un documental de la tele a la hora de las noticias. “Antes era un talentoso estudiante de arquitectura, pero al morir su madre quedó así”. Y eso fue lo único que se supo de él, televisado a la fuerza, esquivando el ojo de la cámara con un desdén de garza principesca, evitando así el sapeo camarógrafo de esos programas acusetes sobre los locos que aún andan sueltos en la urbe.

Por ahí, por calle Lira, Carmen o Portugal, cerca del antaño glorioso barrio travesti de San Camilo, su silueta desguañangada descalabra la lógica peatonal del apurado mediodía. Más bien, es un reflejo donde la mirada ciudadana se desconoce con rubor, en el desorden de su peregrina bufonada sexual. La loca del carrito conduce su bote de supermercado coleccionando mugres que Santiago desecha en su flamante modernidad. Por ahí agarra una muñeca manca y la arropa con ternura subiéndola a su barca rodante. Por acá se enamora de un trapo desflecado que lo rescata para cubrirse la cabeza. Y así, con el trapito anudado en su barbilla sin afeitar, como una abuela sureña o una extraña Madre de Plaza de Mayo, desaparece en el fragor del tráfico, dejan do su alucinado delirio como una estampa irreal que se esfuma en el traqueteo neura del centro.

Todos lo han visto, de alguna manera la ciudad se ha acostumbrado a ser testigo de su paso orillando el pleamar de su destino menguante. Acaso traficando autónomo su caricatura libertaria que amalgama oposiciones de género, lucha de clases, estéticas bastardas del filosofar vivencial que muda los harapos de un neo Edipo en el arrastre del duelo materno con su parturiente trapear.

Todos vemos a diario su tranco sin prisa, hurgueteando en la basura revistas o libros viejos que luego comercia en la vereda de un Supermercado, explicando con clara lucidez la lectura de su contenido. Allí, vendiendo retazos literarios y fotocopias de textos suyos, es un elocuente sujeto cultural que contradice la imagen trastornada de su evadida contemplación. Alguien le compra, con algún estudiante dialoga, algún tonto se mofa incómodo de su apariencia gitana y vagabunda. Pero ella no lo ve tras el vidrio de su ausente cotidiano. No engancha su altivo tornasol de locura con la estupidez del machismo ambiental. Y cuando la noche santiaguina relumbra cobriza en los guiñapos de la tarde, la loca del carrito recoge su mudanza de libros parchados, y sin ningún apuro, como si ordenara un valioso jardín de perlas, diademas y cachureos, se marcha acunada por el rechinar de las ruedas, se confunde con una sombra más que despide el arrebol mohoso de los edificios espejos, cuando cruza la calle Portugal entre los bocinazos y el “deténgase” amarillo del semáforo. Se desliza justo por ese color intermedio entre el “PARE/SIGA”. Como si eligiera de alfombra ese relumbro que pinta de oro su equipaje marginal, cuando se va navegando en el asfalto y deja como un chispazo la lírica errante de su alocado frenesí.

http://lemebel.blogspot.it/2006/04/la-loca-del-carrito-o-el-trazo-casual.html

Las floristas de La Pérgola

Casi por oler el perfume ácido del florerío, sólo por pasar tan seguido por esa esquina de avenida La Paz y Mapocho, donde despliegan su teatro fúnebre las floristas de La Pérgola. Las mujeres que trabajan el jacinto, la rosa y el alhelí, en un murmullo de colores y ramas verdes y pétalos que cubren el piso mojado de los galpones. Los dos antiguos edificios redondos de San Francisco y Santa María, donde ellas hacen circular la pena de los deudos que acuden diariamente por una corona de rosas blancas, por favor, para el angelito que se encumbró al cielo, tan chiquito, en forma de cruz para la abuela que era tan beata, de claveles rojos si el finado es caballero y comunista, o rosados si el dolor es mujer o mariquilla de sida injertado. También las hay de siempre vivas para el cliente amarrete que espera que el adorno dure un año, para todos los gustos, sexos y clases sociales el mercado florero tiene una oferta. Y las señoras doñas de este jardín, van surtiendo la demanda con sus manos ágiles que trenzan, anudan y tejen las ramas de pino. Los armazones de las coronas que después florean y decoran con su estética de último homenaje. Y este oficio de engalanar la muerte como una novia, las reúne por años en el sindicato que armaron para su protección laboral, como una heredad de mujeres que brota desde la abuela, la hija, la nieta y que continúa esta larga tradición de nevar de pétalos los cortejos ilustres.

¿Y a usted quién le va a tirar flores cuando se muera?, le pregunté a doña Adriana Cáceres López, la pergolera más antigua que aún maneja su negocio detrás del mostrador, conectada a un tubo de oxígeno. Mis compañeras pué. Ellas tienen que seguir la tradición que ha hecho famosa a la pérgola, desde los tiempos de Jorge Alessandri, Frei el padre, y Salvador Allende, que se lo llevaron tan rápido, el cortejo pasó tan soplado por Avenida La Paz, que las flores quedaron flotando en el aire, debe haber sido porque había tanta gente, más que otras veces, cuando hemos despedido a tanto Presidente que ha pasado por aquí. ¿Sólo presidentes? No, otros son artistas, o autoridades que el pueblo ha querido y nosotras le hacemos el homenaje. ¿Tienen preferencias? A veces, depende, pero siempre es un personaje recordado por la gente como la Sinforosa de “Hogar Dulce Hogar”, o Clotario Blest, o Laurita Rodríguez, del partido Humanista. Pero no somos políticas. Total no cuesta nada juntar pétalos huachos y tirárselos cuando pasa el funeral ¿Y a Pinochet le van a tirar flores? Puede que sí, si nos llaman de la municipalidad no tenemos por qué hacer una excepción con ese caballero, además qué cuesta recoger las flores que sobran y tirárselas a la carroza. ¿Pero se las van a tirar como piedras? (Ella se ríe). ¿Cuál es el funeral más importante para usted? El de mi madre, Zunilda López, ella era querida por todos aquí, fíjese que fue el cortejo más emocionante, le hicimos una alfombra de pétalos blancos y rojos con su nombre. Han pasado tantos años y todavía lloro cuando me acuerdo. Y hasta ahí dejé la entrevista, porque los ojazos de doña Adriana se englobaron en dos lagrimones que rodaron al mar amargo de los rastrojos esparcidos por el suelo. Imaginé que iba a elegir cualquier entierro, registrado en su memoria pergolera que vio cruzar la historia por esa última parada antes del cementerio. Y doña Adriana me descolocó, poniendo a su madre en el altar del consumado recuerdo. Después me quedé un rato viéndola cómo ofrecía las coronas, pero especialmente los canastillos y arreglos florales que se usan más ahora, me dijo, “puros arreglos, puros canastillos, cómo una fiesta, como un cumpleaños o un casamiento. Así me gustaría a mí, repitió, porque las coronas son tan tristes”.

Así, la memoria de la urbe hace un paréntesis en esta esquina donde se florea la pena, donde pasan despidiéndose los discursos políticos bajo la lluvia liria de los copos florales, los puñados de pétalos con que ellas rinden tributo al cuerpo yerto de la historia. Por aquí tienen que pasar todos los ilustres mirando al cielo, me dijo doña Adriana, al tiempo que cortaba una rosa y ponía un cassette de boleros. Y la música y los fucsias-anaranjados y azulescos-amarillos-rojos, seguían salpicando la frescura parda de este oficio, en la tarde pergolera donde la muerte se tornasola mujer.

http://lemebel.blogspot.it/2006/07/las-floristas-de-la-prgola.html



Questa voce è stata pubblicata in cultura e contrassegnata con . Contrassegna il permalink.