Mauro Covacich: La sposa – Anomalie; una polemica e video

di Maeìrco Lodoli, la Repubblica, 30/09/2014

L’omicidio di Pippa Bacca i bambini tiranni, il delitto di Cogne l’Italia di oggi vista da Covacich.L’innocenza, la purezza, la fiducia assoluta nel bene hanno ancora un posto nel nostro mondo? In questo tempo impiastrato di violenza e disillusioni possono ancora affacciarsi fiduciosi i bambini e giocare tra sogni e realtà, giardini e camerette, come sempre è stato?Questo sembra essere il tema centrale del nuovo libro di Mauro Covacich, La sposa,una raccolta di racconti feriti dal dubbio che non valga più la pena gettare nella vita nuove creature.La sposa che traccia la strada del libro nel primo racconto è Pippa Bacca: era un’artista triestina e nel 2008 decise di fare un lungo viaggio in autostop vestita con l’abito nuziale, bianca come un giglio che la strada insudicia ma che non può, non deve rifiutare. Covacich racconta l’ultimo tratto del suo percorso, in Turchia, sulla macchina del mostro che l’ha stuprata e uccisa. Pippa avverte il pericolo, la fiducia si spezza, intuisce che la mandibola contratta di quell’uomo può stritolare ogni tenerezza.Molte storie reali vengono rilette da Covacich, e ogni volta il fanciullino si sporca di sangue, l’agnello subisce l’onta dell’orrore. L’imperscrutabile mamma di Cogne, il misterioso Unabomber, ribattezzato Minemarket, diventano quasi i simboli di una follia senza senso, i protagonisti dolorosi di un tempo che non ama e non rispetta più i suoi bambini, cioè il suo futuro. Sorella dell’infanzia, anche l’arte viene oltraggiata.

Molto bello è il racconto dedicato a una serata tra amici passata a guardare in televisione il festival di Sanremo. Sul palco c’è un ragazzo che stona, mastica un chewing gum e canta malamente parole cariche di speranze e incertezze: «Ogni giorno che va via è un quadro che appendo, mi piace vivere» e tutti nel salottino ridono di lui, affondano il cinismo nella sua carne incerta e vulnerabile. Non è una star, è solo un piccolo artista preso a sghignazzi e sputi, e che però vuole portare fino in fondo la sua canzone. È Alessandro Bono, morirà due mesi dopo, era malato da tanto tempo.

Il male, suggerisce Covacich, ormai è penetrato nell’innocenza, la aggredisce da fuori ma anche da dentro: forse per questo non ha avuto figli, quasi temendo la potenza corruttrice di un morbo che si insinua in ogni esistenza. Due egoismi si contrappongono, quello degli sterili, che continuano a sbocconcellare la vita per gustarla fino alla fine, che non vogliono cedere nemmeno un metro del loro regno edonista, e quello dei padri e delle madri, che «esibiscono i loro trofei».

I figli diventano risarcimenti psicologici, rivincite aggressive. E loro, i bambini, di colpo si sentono onnipotenti, esigono, impongono i loro desideri regali. Ogni dolcezza viene scansata in nome di una volontà di potenza, il bambino si trasforma in un tiranno furibondo, in una canaglia. Sono racconti che vogliono infastidire e provocare reazioni: senza innocenza il mondo è perduto, dice Covacich, ma non crediate che i vostri bambini lo salveranno, la maggior parte di loro ha dentini affilati e manine rapaci. © Riproduzione Riservata

http://ilmiolibro.kataweb.it/booknews_dettaglio_recensione.asp?id_contenuto=3759052

Covacich, anomalie in grigio di una provincia balorda

—————————————————————– IL LIBRO DEL GIORNO Covacich, anomalie in grigio di una provincia balorda C’e’ un grigiore diffuso nel linguaggio dei racconti del triestino Mauro Covacich, “Anomalie”, che ricorda alla lontana quello del suo illustre concittadino Italo Svevo. Un grigiore da parlato medio, senza scarti o trasalimenti, che appare potenzialmente un punto di forza. Coerente agli orizzonti senza speranza della vita alle soglie del Duemila; e agli antipodi rispetto alla moda della prosa falsamente trasgressiva di cannibali e affini. Senonche’, ai medesimi Covacich sembra invece allinearsi (sara’ un caso generazionale?) per altre ragioni. A partire dall’attenzione ossessiva per i fatti piu’ disturbanti o mostruosi, impiegati con impulso esibizionistico, per cercar di colpire il lettore, piu’ che per vera necessita’ interna. E cosi’ assistiamo, ad esempio, al duetto di fronte a un morto, della figlia e dell’amante dello stesso, rivali da sempre, che lo assettano e ripuliscono nelle parti intime a guisa di necrofori. O alla storia di un professore che, per amore di una bella allieva cieca, si incerotta per sempre gli occhi, destinati ad analoga tenebra. Laboriose tessiture, infiacchite, come le altre del volume, dall’inabilita’ da parte dell’autore ad avvertire la presenza di inessenziale e lungaggini (lo stesso, ancora, i cannibali), e la conseguente incapacita’ di tagliare, eliminare, accantonare (sara’ anch’esso un problema generazionale, legato a un vezzo di onnipotenza?). Quanto volte, su Covacich come su Nove, l’attenzione durante la lettura cala rapidamente, subentrando la noia… Tuttavia, in un libro che non molto aggiunge ai meriti dello scrittore, occorrera’ segnalare un piccolo gioiello, anomalo rispetto al resto. Lo spaccato di provincia realistico di “Senza piombo”: quattro giovani amici, cretini quanto balordi, e la loro notte brava ai danni di un extracomunitario. Una trama vivificata, come nel precedente e piu’ realizzato romanzo “Mal d’autobus”, da una continua, pungente ironia. Efficace complemento alla base del predetto grigiore linguistico (Svevo docet), che suggeriremmo a Covacich di non voler trascurare. MAURO COVACICH Anomalie Editore Mondadori Pagine 197, lire 24.OOO Giovanni Pacchiano

Pacchiano Giovanni

http://archiviostorico.corriere.it/1998/agosto/20/Covacich_anomalie_grigio_una_provincia_co_0_9808204673.shtml

Undici racconti su altrettante situazioni estreme, sempre anomale, anche quando partono da premesse lontanissime: un gruppo di ragazzi che gioca una partita di pallacanestro a Sarajevo; le ultime memorie di un cecchino; un insegnante che decide di sigillarsi gli occhi con il nastro adesivo per comprendere fino in fondo le sensazioni della studentessa cieca di cui è innamorato; quattro amici che fanno del loro essere perbene, senza vizi, la più tremenda delle perversioni. Un libro di cui è facile riconoscere, anche a distanza di diciassette anni dalla sua prima uscita, una continuità di progetto e di stile con La sposa.

http://www.bompiani.eu/libri/anomalie/

Le critiche all’articolo di Mauro Covacich

A proposito di una storia di violenza sessuale a Modena: un lettore le ha sintetizzate e Covacich ha risposto

Lunedì lo scrittore Mauro Covacich ha mandato al Post un suo commento sulla notizia di una ragazza di 16 anni violentata ad una festa di suoi coetanei a Modena, e il Post l’ha pubblicato volentieri, avendo stima e conoscenza di Covacich. La sua opinione è stata molto discussa e anche criticata nei commenti all’articolo, e un lettore ci ha mandato una lunga mail per Covacich a cui lo stesso Covacich ha estesamente risposto: entrambi ci hanno dato il loro permesso di pubblicare lo scambio, a completamento dell’intensa discussione che l’articolo aveva creato.

Gentile Mauro Covacich,
ho letto con particolare attenzione il suo articolo “Sembrava un sogno” pubblicato sul Post il 21 ottobre.
Lo ho letto con attenzione e, se posso permettermi, una certa irritazione.
Sono uno studente di 21 anni e dunque, fino a qualche anno fa, mi consideravo un adolescente, uno appartenente alla categoria che lei prende di mira nell’articolo di ieri.
Sono infatti rimasto da una parte deluso, dall’altra esterrefatto per come lei abbia demonizzato un’intera generazione facendo, in poche righe, un grande falò dove tutto brucia senza alcuna speranza, dando un giudizio estremamente semplicistico e superficiale.
Cercherò di essere il più chiaro possibile nel prosieguo.

In primo luogo lei non esita ad assolvere la sua generazione: «A mancare non è la cosiddetta trasmissione di valori. Forse è accaduto qualcos’altro, qualcosa che unisce gli adolescenti ignoranti e quelli istruiti, i disinformati e quelli consapevoli, i borgatari e i rampolli dei quartieri alti. Innanzitutto l’esaltazione di una sessualità libera e senza pudore come primo elemento di affermazione sociale, per non dire di civiltà».
Dunque, da quello che si legge, non vi è responsabilità fra quelli della sua generazione i quali, mi contraddica se sbaglio, hanno introdotto in televisione volgarità di ogni genere dando un esempio alquanto disdicevole e spregevole ai propri figli, generazione, la sua, che prima sì, ha combattuto per la parità dei sessi, se non poi trasformare questa in un pretesto per mostrare a vogliosi spettatori di show televisivi una donna come soprammobile da soggiorno.

In più, e questo è forse il punto principale, non riesco a capire come si possa collegare una cosa terribile come lo stupro di una ragazza sedicenne con una – presunta – esaltazione e esasperazione della sessualità da parte di una intera generazione. Crediamo veramente che questo episodio di violenza sia la conseguenza di una dilagante e, come lei ritiene, eccessiva esaltazione della libertà dei costumi? Mi sembra veramente una argomentazione di una superficialità impressionante. Se gli adolescenti sono tutti uguali, istruiti e non istruiti, disinformati e consapevoli, perché, secondo lei, si dedicano alla scoperta della sessualità, allora mi permetta di dire che gli adulti si dimostrano tutti della stessa “specie”, colti e non colti, educati e maleducati, provinciali e cittadini, in quanto incapaci di dialogare con una generazione, quella dei loro figli, che corre troppo veloce anche solo per provare a essere inseguita, non crede?

Si prosegue nel suo articolo parlando di una angoscia che si vive nell’essere adolescenti oggi. Sinceramente non riesco proprio a capire di cosa stia parlando, basta il fatto di poter usufruire di siti pornografici per essere adolescenti angosciati? La velocità è una caratteristica del presente, una caratteristica di questa generazione non della sua, demonizzarla senza cercare di capirla é un atteggiamento da perdenti. Capisco bene la difficoltà di un cinquantenne nel relazionarsi con gli strumenti e le nuove tecnologie ma vi è atteggiamento ed atteggiamento. Al liceo ho avuto un professore di latino e greco il quale rappresentava il classico “laudator temporis acti”, amava il suo mestiere e insegnava come si insegnava quaranta anni fa ma con una differenza da quello che ho percepito dal suo articolo, il mio professore, che con gli adolescenti ci lavorava, ne era consapevole di questo cambiamento e non lo descriveva come una maledizione per un’intera generazione, ne era consapevole e sapeva conviverci.
Il poter accedere ad un sito pornografico con un semplice click non è una cosa da marziani, è semplicemente diverso e mi creda, non c’è motivo di credere che questo sia: «Un mondo che ti spinge a buttarti subito, adesso, nella mischia, senza che tu abbia avuto neanche il tempo di capire se ne hai voglia, senza concederti quel lento, prezioso, maldestro apprendistato di cui anche noi, disinibiti e disinibite quarantenni, abbiamo beneficiato». Anzi mi piacerebbe quasi fare un appello a tutti i quarantenni e cinquantenni che avranno il piacere o la noia di leggere questa mail: considerare le nuove tecnologie colpevoli di ogni male della mia generazione non aiuta di certo un possibile o quantomeno auspicabile dialogo tra, me lo lasci dire, noi e voi.

Lei conclude affermando che al giorno d’oggi basta un click per vedere «quattro cinque uomini che spargono il proprio seme sul corpo di una donna fiera e sorridente». È vero, e allora? Come è possibile che lei creda che gli adolescenti di oggi non possano essere così intelligenti da separare e poter capire quale sia il confine tra una pratica che risulta essere vergognosa e ciò che, invece, concerne una “genuina e sana” sessualità? Insomma stiamo parlando di ragazzi cresciuti circondati da un impianto scolastico che comunque li ha educati secondo dei precetti di buona educazione e civile convivenza, non penso che basti un video per fare tabula rasa, sono convinto che esista ancora un giudizio morale, anche fra i più giovani.
Ma soprattutto, possiamo pure ammettere che ci siano persone che provano gusto nella sottomissione e nell’emancipazione femminile ma come possiamo pensare che questa sia solamente una pratica di questi ultimi anni e che soprattutto sia collegata alla velocità e alla facile fruibilità dei contenuti pornografici? Purtroppo sappiamo benissimo che l’emancipazione femminile è una pratica antichissima, di certo però non penso vi sia stata un’accelerazione in questi ultimi anni e, se vi è stata, non è certo per colpa degli adolescenti di oggi.

Solo alcune considerazioni e conclusioni ora: non voglio, con questa mail, giudicare l’atto dello stupro compiuto dal gruppo di adolescenti a Modena dal momento che, come chiunque concorderà, si tratta di un evento da condannare e punire duramente. Vorrei però cercare di capire come si possa considerare un’intera generazione vittima e complice di una “palestra pornografica (che) impone i suoi kata maschilisti, a cui tutti questi nuovi amanti muscolari, senza distinzioni di genere, si applicano diligentemente.”
Please! Direbbero gli inglesi, un po’ di onestà e di serietà. Non siamo animali votati al culto del sesso spasmodico e irrefrenabile, non siamo incontrollabili e decerebrati amanti, instancabili e insaziabili masturbatori, ma più di tutto, non siamo diversi dai nostri padri abbiamo solo uno stile di vita diverso.
Se poi chiediamo aiuto alla storia e alla letteratura vediamo che gli antichi greci non erano certo meglio dei presunti adolescenti da lei descritti.
È indimenticabile Archiloco che scrive:

Queste cose dicevo; poi presa la fanciulla
nei fiori splendenti la distesi, con un morbido
mantello la coprii, cingendole il collo con un braccio,
mentre lei…per la paura, come una cerva.
E le carezzavo dolcemente fra le natiche,
proprio là dove mostrava la sua pelle fresca, incanto di giovinezza;
e tutto il bel corpo palpando,
emisi la bianca potenza, toccando il biondo.

Certo questa è arte e non è un sito pornografico ma se il mezzo è diverso il fine non rimane lo stesso? L’eccitazione e il desiderio sessuale non sono uguali a quelli di duemila e più anni fa?

Io credo che lei abbia confuso ciò che è proprio degli adolescenti di oggi, ovvero una maggior manifestazione della propria passione e del proprio desiderio, il quale non può certamente essere collegato al fatto di Modena, con un culto, se vogliamo, morboso del sesso che, come ho già detto, vi è sempre stato.
Anche se forse sono stato volutamente severo nel mio giudizio spero di non averla offesa ma, anzi, spero di aver creato uno spiraglio per un futuro dialogo.

In attesa di una sua pronta risposta le auguro i miei piú cordiali saluti,
Giacomo Bianchi

*****

Caro Giacomo,
la sua email merita tutta la mia attenzione. Come avrà notato, il mio articolo è stato molto contestato, ma in nessuno dei detrattori ho notato la sua urgenza, questo misto di indignazione e apertura al dialogo che solo un pazzo non prenderebbe in considerazione.
Quindi ora cercherò di rispondere nel modo più puntuale possibile alle sue osservazioni, partendo dal presupposto che, come diceva Quarantotti Gambini, “se non mi capiscono è colpa mia”.
Prima però le chiedo uno sforzo: smetta per un attimo di considerare le nostre rispettive posizioni in termini di battaglia generazionale, perché come vedrà il discorso è un altro (a proposito, le sto dando del lei proprio per evitare equivoci “paternalistici”).
Allora, la scena di fronte alla quale ci troviamo è quella di una festicciola in cui una ragazza viene portata in bagno da alcuni suoi amici che ne approfitteranno in vario modo. Non risulta che ci sia stata alcuna colluttazione, ma credo che lei ed io concordiamo sul fatto che i ragazzi ne abbiano approfittato, giusto? I partecipanti alla festa, pur essendo al corrente di ciò che stava avvenendo nell’altra stanza, non hanno reagito in alcun modo, né solidarizzando con la ragazza né condannando gli amici che hanno abusato di lei.

Ora, un primo approccio, tutto sommato rassicurante, è quello di gridare allo stupro, alla violenza inaudita dei giovani e all’inesorabile destino di vittima che spetta alla donna.
Un secondo approccio, più rischioso e complesso, è quello di interrogarsi sull’indifferenza dei partecipanti alla festa. se i presenti, tutti i presenti, hanno assistito con indifferenza, vuol dire che la percezione è cambiata, vuol dire che ciò che è avvenuto quella sera a Modena non è stato considerato così straordinario e abominevole e criminale, come lei ed io lo giudichiamo. Il che non significa che tutti i presenti sono da considerarsi corresponsabili della violenza, ma rende certo meno nitido il confine tra i protagonisti dello stupro e gli altri. va aggiunto che non si tratta di un ambiente socialmente degradato, né di una riunione di qualche setta di fanatici eccetera (per questo ho proposto di escludere dalla discussione il deficit culturale). Siamo di fronte a un piccolo campione di normalità. Adolescenti normali che si divertono e ballano e bevono e scherzano e a un certo punto alcuni di loro iniziano a far sesso. Dal mio punto di vista, e a quanto pare anche dal suo, quei cinque fanno sesso ai danni della ragazza, quindi ne abusano. Ma la reazione dei presenti (ovvero la mancata reazione) induce a credere che quella serie di atti fosse percepita magari come estrema o stravagante, ma non al punto da intervenire (la ragazza non è stata nemmeno consolata dalle amiche, e temo che sia stato questo il trauma più grande). Ora, escludendo un’endemica malvagità modenese, escludendo una particolare congiuntura astrale o una particolare antipatia della ragazza stuprata, il secondo approccio di cui sopra mi spinge a chiedermi: cos’è avvenuto nella mente dei diciottenni (non certo di tutti i diciottenni, non nella sua ad esempio, ma come sa, per ragionare si schematizza), cos’è avvenuto perché quella scena possa essere accettata ancora all’interno, magari al confine estremo, della normalità? Be’, intanto è avvenuto che il sesso è stato liberato dalla morale. Già l’espressione “fare sesso” neutralizza questa attività a favore di una funzione fisica. Prima si diceva “scopare” (disdicevole) e “fare l’amore” (ammesso). Oggi prevale un atteggiamento laico, secolarizzato. Fare sesso è cool, è sex and the city, è casalinghe disperate. Fare sesso fa bene alla salute, come bere acqua, mangiare verdura, corricchiare nel parco. Che la sessualità fosse legata alla morale non significa soltanto che le donne dovevano stendere fuori dalla finestra il lenzuolo macchiato la prima notte di matrimonio (neanch’io, che sono così vecchio, ho vissuto in quell’era geologica, mi creda), significa che il piacere sessuale non derivava mai da un’attività solo fisica, ma era il risultato di un percorso spesso arzigogolato che nasceva dal desiderio dell’altro. Il desiderio non è un bisogno, non è fame, il desiderio nasce da qualcosa che non potrò saziare (per questo dura e si rilancia, ha presente don Giovanni?). Desiderio viene da “de-sidera”, è il nostro essere lontani dalle stelle, la nostra tensione verso l’assoluto. Ogni nuova amante era per don Giovanni il rinnovarsi di un’illusione, la speranza di riformare quel tutto perfetto che era stato, da feto, insieme al corpo della madre. Ma, una volta nati, non potremo mai più giacere con nostra madre: è la prima cosa che impariamo grazie alla legge del padre. È il primo grande divieto, grazie al quale capiamo che non saremo mai più un tutto con il mondo, ma solo degli individui. È grazie a questo, e in fondo, al desiderio, che possiamo dire io.

Ci siamo liberati dal perbenismo della società clerico-fascista (Pasolini), ci siamo liberati dal concetto di peccato, da tutta l’ipocrisia e il viscidume del sesso prima del sessantotto. Da ciò abbiamo acquisito molti vantaggi, ma anche qualche svantaggio: è sparito il mistero, è sparito il pudore (pensi all’espressione “il fascino del proibito” e capirà cosa intendo). Il desiderio si alimenta con l’attesa, con l’incertezza, con la distanza. Oggi il piacere non passa più attraverso questo lungo percorso, ma viene garantito da un godimento immediato. Il che non significa che non ci siano più belle persone sulla faccia delle terra, non significa che voi non troverete altre forme per articolare il vostro rapporto con l’altro. Significa che viviamo in un plenum di beni e servizi pronti all’uso. Voglio? Compro. Voglio? Godo. La società laica, disinibita, secolarizzata, detta società delle merci è quella in cui sono cresciuto ed è senz’altro meglio di quella povera e arretrata che l’ha preceduta, tuttavia non è perfetta. Allo stesso modo, internet comporta un’infinità di vantaggi (non ultimo quello di concederci questo scambio senza dover incollare un francobollo e imbucare una lettera, col rischio che vada perduta), ma non è perfetto. L’accelerazione dei processi umani di cui è responsabile ha anche conseguenze allarmanti (non solo nel sesso: ha reso ad esempio definitivamente immateriale e anonimo il mondo della finanza).

Lei confida nella propria capacità di discernere e, dalla lucidità della sua lettera, ha ragione a farlo. Ma la discussione non è concepita per casi individuali, lei deve avvicinarsi insieme a me a interrogare quella scena lì a Modena, quel campione di normalità. Essere adolescenti è sempre stato difficile, perché è il momento in cui si diventa ciò che si è. Ma essere adolescenti oggi è più difficile perché già da bambini si è circondati da modelli che fomentano la precocità (mocciose vestite come donne fatte eccetera). Questo mette angoscia. Se a dodici anni vedo su internet come si penetra una vagina, ma il mio pene è ancora incapace di erigersi (e io incapace di eccitarmi), questo mi genererà angoscia. Se sono una ragazzina di tredici anni e tutto il mondo intorno (il mio mondo progressista ed evoluto) mi grida che devo affrettarmi a diventare una gran donna scopatrice perché da questo si valuterà la mia indipendenza, la mia determinazione e in fondo la mia intelligenza, questo mi genera angoscia. Se prima ancora di avere un’esperienza mia personale di un incontro sessuale (emozione, sudore, ansia, esitazione/gioia, contatto eccetera), posso vedere (vedere fino al punto di assuefarmi) video che mi mostrano come dovrò fare, cosa dovrò provare, questo mi genera angoscia.

Ora, un esperimento mentale: poniamo che io abbia fatto tutto questo e sia cresciuto a Modena. Bene, ho diciotto anni. Finora non ho avuto tante occasioni reali di far sesso (le ragazze non mi cadono ai piedi), quindi esperienza poca. Ma ho visto una sterminata serie di video, teoricamente conosco tutti i modi per raggiungere l’orgasmo, che alla fin fine si riducono a quelle tre quattro figurazioni prevalenti nel mondo del porno. Secondo lei, quando a quella festa mi riferiranno quanto è successo, mi scandalizzerò? Ma le dirò di più: se sarò tra quei cinque in bagno, penserò/saprò di stuprare quella ragazza?

E ora immaginiamo lo stesso per la ragazza: stessa conoscenza teorica+bombardamento mediatico+youporn+inesperienza. È così assurdo ipotizzare che si sia accorta in ritardo che la stavano stuprando? Voglio dire, quel tipo di gioco seriale è comunissimo in rete, in una certa cultura anticonformista può essere anche segno di superiorità femminile. Quella che per me e lei è orrenda prevaricazione maschilista, per migliaia di donne riprese in rete è gioiosa emancipazione, prova di resistenza, dominio sul maschio (ne faccio fuori quanti ne voglio). Se io fossi stata quella ragazza, avrei anche potuto pensare che se mi fossi sottratta, mi sarei mostrata inadeguata ai modelli di cui sopra. Ero consenziente? Per decidere se sono consenziente, devo poter distinguere “cosa mi piace fare” da “cosa sembra mi debba piacere”. È una distinzione che so compiere? Ho il sufficiente sangue freddo, la sufficiente sicurezza nei miei mezzi e nelle mie emozioni da uscire dal bagno senza farmi toccare? Come vede, parlo in prima persona perché non voglio in alcun modo esprimere i pensieri di una ragazza che non conosco (che si è peraltro dimostrata così coraggiosa da denunciare gli stupratori). Tento semplicemente di mettere in luce la complessità di quello che più sopra ho chiamato secondo approccio.

Stuprare una donna (o un uomo) è un reato perseguito dalla legge, a me non sembrava interessante discutere di una simile ovvietà. Volevo provare a spiegare in poche righe e con i miei mezzi perché quei ragazzi, che erano tanti e rappresentano tutti noi, hanno continuato a ballare allegramente.

http://www.ilpost.it/2013/10/24/critiche-mauro-covacich/

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