Infernal Devices, LE MACCHINE INFERNALI di K. W. Jeter e Fiendish Schemes

I Consigli del Lunedì #45: Infernal Devices

Pubblicato il gennaio 12, 2015|

Infernal Devices

Autore: K.W. Jeter
Titolo italiano: Le macchine infernali
Genere: Fantasy / Proto-Steampunk / Commedia
Tipo: Romanzo

Anno: 1987
Nazione: USA
Lingua: Inglese
Pagine: 290 ca.

Difficoltà in inglese: ***

For me, London’s grey veil, smoke and fog, has been brushed aside. Happy are those who mistake the painted curtain for the reality behind…

Questa è la triste storia di George Dower, artigiano e gentiluomo della Londra del XIX secolo, e di come il suo nome è caduto per sempre nell’infamia.
Suo padre era una delle più grandi menti della sua epoca, un orologiaio capace di costruire qualsiasi sorta di complicato meccanismo, da astrolabi ad automi musicisti a strutture gigantesche dalla funzione incomprensibile. Ma Dower senior non ha trasmesso nulla della sua arte al figlio, e a due anni dalla sua morte, George ha ereditato la sua bottega e un mucchio di creazioni lasciate a metà di cui non capisce il senso. Con l’aiuto del servo Creff, prova a mandare avanti il business di famiglia, facendo le riparazioni più semplici, ma ha ormai cominciato a diffondersi la voce che il figlio non è all’altezza del padre.
La vita di Dower cambia il giorno che nella sua bottega entra un uomo dalla pelle nera come l’ebano, che gli chiede di riparare uno dei misteriosi aggeggi del padre, e gli lascia come anticipo un’assurda moneta con un viso di pesce inciso sopra. Dower commette l’errore di accettare ignaro che sono in molti a desiderare il marchingegno che l’uomo gli ha lasciato in custodia. Strani individui cominciano a frequentare il negozio; presto Dower si troverà invischiato in una rete di intrighi e malaffare, e scoprirà l’esistenza di un’altra Londra, una Londra sordida e occulta che non poteva immaginare…

Ci sono due modi, stringi stringi, per fare steampunk. Uno è l’approccio serio: immaginare un mondo, o un futuro alternativo, in cui la tecnologia ha imboccato una strada diversa rispetto alla nostra. Le premesse possono essere improbabili o assurde, ma l’autore sviluppa il mondo conseguente in modo rigoroso e mira alla credibilità. Questo è l’approccio di The Difference Engine, il romanzo scritto a quattro mani da Gibson e Sterling che presentai su Tapirullanza un paio di anni fa, e di altre opere di cui ho parlato sul blog nel corso del tempo (come le italiane Soldati a Vapore o Caligo, che però scelgono un approccio meno spocchioso e danno più spazio all’umorismo). C’è poi l’altro approccio, cosiddetto gonzo-historical: commedie più o meno dementi che ci buttano in un mondo di automi a vapore, razzi su Marte e ipocrisia vittoriana senza alcuna pretesa di credibilità – così, per ridere. Le prime opere identificate come ‘steampunk’ erano quasi tutte molto più vicine a questo spirito che non all’ucronia seria di Gibson e Sterling (1); ed è sicuramente a questo filone che appartiene il divertentissimo Infernal Devices.
Era da parecchio tempo che volevo parlare del romanzo di K.W. Jeter. Abbiamo già incontrato questo autore con il Consiglio dedicato all’affascinante – ma negletto – Farewell Horizontal, ma il suo nome in realtà è apparso su questo blog molto più spesso; vuoi perché è l’involontario coniatore del termine ‘steampunks’ (quindi, vuoi non tirarlo in mezzo ogni volta che sei in argomento?), vuoi come esempio negativo di carriera letteraria sfortunata, vuoi perché a mio avviso, per la sua immaginazione assurda, è una specie di precursore della Bizarro Fiction. Era solo questione di tempo, prima che decidessi di dedicare un intero articolo a uno dei suoi romanzi giustamente più celebri.

Steampunk meme

Per essere uno dei classici dello steampunk di prima generazione, Infernal Devices appare da subito anomalo; ed è sicuramente molto diverso da tutto ciò che è arrivato dopo. Tra le sue pagine non troverete dirigibili, né lotte sindacali per i diritti dei lavoratori, né ucronie politiche, né macchine analitiche – in effetti, non troverete proprio macchinari alimentate dal Vapore. Le macchine infernali del titolo, e che rappresentano il centro e il “motore” della storia, le macchine inventate dal padre di Dower e che gli renderanno la vita un incubo – sono tutte meccaniche, meccanismi a orologeria. Il romanzo è ambientato intorno alla metà dell’Ottocento (2), quindi in un periodo anteriore rispetto a quello ‘classico’ dello steampunk (che in genere è ambientato durante la belle époque), più vicino a Dickens che non a Wells. Quindi cos’è, clockpunk?!
Aldilà delle etichette, ecco cos’è Infernal Devices: una commedia farsesca che riprende e prende in giro tutti gli stilemi della narrativa e dell’immaginario vittoriano. Scritto in prima persona da Dower, con il suo aplomb da londinese della piccola classe media, come se fossero le sue memorie, è una serie di avventure più o meno idiota che ci catapulterà tra uomini pesce, quartieri segreti di Londra, automi senzienti dall’impareggiabile potenza sessuale, uomini che vedono il futuro, macchinari titanici in grado di distruggere il mondo e la Lega delle Donne per la Soppressione dei Vizi Carnali. Non ci chiede di prenderlo sul serio, solo di divertirci.

Uno sguardo approfondito
Essendo scritto in prima persona, Infernal Devices è strutturato come la più classica delle pappardellone vittoriane sia nello stile che nella struttura. Il romanzo si apre con una cornice in cui Dower, rifugiato in un’anonima casupola in un sobborgo di Londra dove conduce una grigia esistenza, dichiara che ci racconterà come, vittima di un fato avverso e della malvagità degli uomini, la sua reputazione sia stata distrutta per sempre. Anche quando entriamo nel vivo della storia, la cornice aleggia sempre su di noi: il Dower posteriore interviene spesso e volentieri con digressioni, flashforward, e commenti inutili (ma squisitamente ottocenteschi), tipo che le sue mani tremano mentre scrive al solo pensiero di ciò che sta per raccontare!
Questa ampollosità intenzionale contagia tutti gli aspetti della prosa di Infernal Devices. Dower parla un inglese ottuso e che puzza di vecchio, pieno di termini caduti in disuso. Ecco un esempio dall’incipit: “Reader, if the name George Dower, late of the London borough of Clerkenwell, is unfamiliar to you, I beg you to read no further. Perhaps a merciful fate – merciful to the genteel reader’s sensibilities, even more so to the author’s reputation – has spared a few souls acquaintance with the sordid history that has become attached to my name.” O: “When I at last roused myself from my thoughts, what remained of my breakfast had passed from unattractive to inedible.” Il timbro di Dower dilata le scene, riempiendole di commenti e digressioni, e di conseguenza il ritmo della storia rimane sempre modesto.

Clerkenwell
Uno scorcio dell’ameno quartiere di Clerkenwell, dove si trova la bottega di Dower e dove è ambientata una grossa parte del romanzo.

Illeggibile? Nient’affatto. Le prime pagine possono lasciare perplessi, ma una volta capito come funziona ci si lascia catturare in fretta dagli ingranaggi della storia. E questo per tre motivi.
Primo, l’elemento mystery. Jeter è molto bravo a sollevare, fin dal primo capitolo, una serie di enigmi per il lettore. Chi è e da dove viene lo strano uomo dalla pelle bruna che si è presentato nel suo negozio? Cosa significa la moneta con su il profilo di un pesce e l’incisione “Saint Monkfish”, con cui l’uomo l’ha pagato? E a cosa servirà il misterioso marchingegno che gli ha chiesto di riparare? La massa di macchine dal funzionamento misterioso ma dai poteri fantastici costruite dal padre di Dower, che aleggia costantemente sulla narrazione, è un motore costante per la curiosità del lettore. Come in una buona serie tv, nei primi capitoli le domande continuano ad accumularsi (e solo ogni tanto Jeter ci getta qualche risposta per tenerci buoni), mentre solo verso la fine del romanzo tutti i vari misteri trovano una soluzione. Alla fine della storia, tutte le domande avranno risposta, anche se non tutti i tasselli del puzzle si inseriscono in modo elegante. E lo stesso aplomb di Dower si rivelerà essere non soltanto una divertente trovata stilistica, ma un elemento di trama che si incastra alla perfezione con gli altri.

In secondo luogo, Infernal Devices è divertente. I misteri del romanzo non sono una roba cupa alla Lost, ma una serie di vicende idiote in cui Dower viene pestato, insultato, stordito, rapito, ingannato, o combina qualche disastro che mette in fuga una popolazione sconvolta. Non solo la prosa ampollosa non rema contro questo andamento da commedia, al contrario: il bello della storia è proprio il contrasto tra il tono pacato e un po’ melodrammatico di Dower e le disgrazie che gli capitano.
In terzo luogo, di cose in questo romanzo ne succedono veramente tante. La prosa pseudo-vittoriana che si trascina e allunga il brodo è controbilanciata (soprattutto dopo i primi capitoli, un po’ più lenti) da una serie continua di situazioni rocambolesche, inseguimenti, scoperte, apparizioni di strani personaggi. Dower viene spedito da una parte all’altra della Gran Bretagna, e poco alla volta farà la conoscenza con una serie di macchine impossibili del padre – dal gigantesco ordigno che affonda nelle viscere della Terra e, si dice, sia in grado di farla esplodere, al Paganinicon, un automa capace di riprodurre alla perfezione tutti i talenti del fu Niccolò Paganini (e le nobildonne di tutte le grandi corti europee sono pronte a giurare che la sua abilità col violino non fosse né l’unica né la principale delle sue doti…).

Rondò “La Campanella”, terzo movimento del Concerto per Violino e Orchestra No.2 di Paganini, una delle sue composizioni più celebri.

Altro piccolo tocco che aiuta a immergersi nella vicenda, tutti i personaggi hanno la propria voce. Accanto allo stile pesante di Dower, troviamo l’inglese semplice e diretto del servo Creff (“Lord, Mr Dower, it’s an Ethiope!” whispered Creff. “And crazed – a murderous savage!”), il rude cockney dei cocchieri dei bassifondi, degli scaricatori di porto, dei furfanti (“More ‘n likely, she’ll say it’s your own bloody fault, for being such a gawp.”), la parlata stile Yoda dell’uomo dalla pelle bruna (” “Your warning I accept,” he said at last. “Nevertheless, worthwhile will I make it to attempt what you can.”). Ma su tutti, arriva come un fulmine a ciel sereno, in mezzo a tutti questi personaggi che sembrano usciti da una brutta parodia della Londra vittoriana, la parlata di Scape: “Jesus H. Christ,” I heard him whisper to another figure behind him. “Sure gotta deal with a lot of dim bulbs around here”.
Scape, lo strano e burbero omaccione dagli occhiali dalle lenti azzurre, che parla come se fosse uscito dai nostri anni ’70 (“Shit – did Bendray send you here? That sonuvabitch; never tells me a goddamn thing”) e sembra trovarsi al centro della rete di intrighi del romanzo, è forse uno dei migliori personaggi mai usciti dalla penna di Jeter. Ma non scherzano neanche lo svaporato nobile decaduto Lord Bendray, la ninfomane Miss McThane – compagna di scorribande di Scape – o la nevrotica Mrs. Wroth. Certo, sono tutte delle macchiette, senza vera profondità psicologica. Ma dato il tono umoristico del romanzo, e la costruzione a sketch delle scene, svolgono la loro funzione più che bene.

Certo, Infernal Devices è ben lontano dalla perfezione.
L’ultima parte del romanzo, in particolare, sembra scritta un po’ di fretta, come se Jeter avesse avuto bisogno di concludere per incassare l’assegno. E’ vero che arrivano tutte le risposte ai misteri sollevati, e si ottiene un senso di chiusura; ma queste risposte arrivano affastellate, buttate una in fila all’altra, e soprattutto, arrivano quasi tutte attraverso dialoghi invece che attraverso avvenimenti reali. Sono, cioè, spiegate, raccontate, e non mostrate. Non tutte le spiegazioni inoltre sono convincenti, e in particolare il legame tra i due temi fondamentali della trama (quello biologico della razza degli uomini pesce, e quello meccanico delle invenzioni del padre geniale) rimane debole.
Se quindi la nostra razionalità è soddisfatta che la trama abbia un senso e che non ci siano plothole, dal punto di vista emozionale siamo tutto meno che soddisfatti: non si riceve, nella rivelazione, un piacere pari all’investimento che avevamo fatto nel mistero iniziale. Ed è un vero peccato, perché con un po’ di sforzo e non molte pagine in più, Jeter avrebbe potuto ristrutturare l’ultima parte in modo da farci avere la soluzione in modo molto più appassionante. Per converso, il finale vero e proprio è assolutamente geniale e mi ha fatto sganasciare.

Jesus H. Christ

Né questo è l’unico limite di Infernal Devices. Quello principale sta nella natura stessa del romanzo: e cioè di non voler essere nient’altro che una lettura divertente e scanzonata. La storia è della lunghezza giusta per appassionare senza diventare ripetitivo; ma se lo si chiude con un sorriso, è anche vero che si tende a dimenticarlo in fretta (se non per alcuni particolari particolarmente immaginifici e divertenti). Non è certo una di quelle letture che ti cambiano la vita. Né è materiale particolarmente formativo per chi voglia scrivere narrativa steampunk, dato che, per come intendiamo oggi il termine, di steampunk non ha molto.
Ciò detto, vale la pena di leggere Infernal Devices? Sì, e per la stessa ragione per cui consiglio tutto ciò che passa per questo blog: perché è insolito, originale, e perché è piacevole da leggere senza essere stupido. E, nel modo vivace in cui tratteggia le relazioni tra i personaggi e mette gli eventi della storia uno in fila all’altro, anche una buona lezione di storytelling. Scorretevi il primo capitolo, giudicate se potete digerire lo stile bislacco, e in caso andate avanti, che non ve ne pentirete. E poi, che diamine, c’è l’automa di Paganini con il cazzone a orologeria! Che cosa volete di più?

E se ne volete ancora: Fiendish Schemes
Fiendish Schemes

Anno: 2013
Pagine: 350

Sono passati decenni da quando Dower è fuggito da Londra in cerca della pace e dell’anonimato, dopo che la sua reputazione è stata completamente distrutta dagli avvenimenti di Infernal Devices. Ma non si può dire che da allora la vita gli abbia sorriso. Ormai raggiunta la mezza età, rifugiato in totale miseria in un remoto paesotto della Cornovaglia, sta contemplando il suicidio con la rivoltella del padre, quando dal mare arriva un uomo con una proposta d’affari. Un affare che potrebbe renderli entrambi ricchissimi.
L’unico problema? Che, ancora una volta, l’impresa coinvolge il ritrovamento e la messa in funzione di un’invenzione del suo dannato padre. Dower si dovrà imbarcare in una nuova avventura senza senso, tra balene parlanti, oceani senzienti, fari con le gambe e uomini locomotiva, il tutto mentre nella terra d’Albione è ormai arrivata l’età del Vapore e le sue macchine infernali.

Fiendish Schemes puzza di operazione a tavolino da due chilometri di distanza. A quasi trent’anni dall’uscita del romanzo originale, e proprio negli anni di apice della febbre steampunk, Jeter se ne esce con un seguito pubblicato dalla stessa casa editrice – la Angry Robot – che due anni prima gli aveva ripubblicato Infernal Devices. Ora, ignoro da chi sia partita l’idea, se da Jeter o dall’editore. Forse era una clausola del contratto originale: Angry Robot si sarebbe impegnata alla ripubblicazione dei romanzi steampunk di Jeter (oltre a Infernal Devices, anche Morlock Night), a patto che lui avesse scritto un sequel di quello di maggior successo. O forse hanno visto che la riedizione di Infernal Devices vendeva bene e si son detti: perché no? Elementi sufficienti, comunque, per prendere il mano il nuovo romanzo con estremo scetticismo.
Be’, mi sbagliavo – almeno in parte. Apparentemente, Fiendish Schemes riprende fedelmente gli elementi fondativi del suo predecessore: la prosa ampollosa (ma ho la sensazione che qui sia ancora più esasperata che non in Infernal Devices), la sequela picaresca di avvenimenti grotteschi, la sfiga perenne che aleggia sopra Dower, il tono semiserio. Ma in realtà i due romanzi sono piuttosto diversi.

Rivoluzione industrialeDilettanti: noi abbiamo locomotive che fanno sesso!

In primo luogo, Fiendish Schemes è uno steampunk vero e proprio, secondo la definizione corrente del termine. Se Infernal Devices ci mostrava una Londra nascosta e ignota ai più, calata però nel vero mondo del primo Ottocento, nei decenni che intercorrono tra i due romanzi l’Inghilterra si trasforma in un vero mondo ucronico, con macchine alimentate a vapore e marchingegni impossibili ovunque. Quella di Fiendish Schemes è un’Inghilterra con pistoni e stantuffi a ogni angolo di strada, una follia collettiva per i prodigi del Vapore, e pure una pratica underground di modificazioni corporee in vero stile “cyberpunk-fatto-con-lo-steampunk”. Per non parlare delle degressioni sul meatpunk e sul coalpunk! E’ tutto assolutamente idiota, ma in una maniera molto consapevole e meta-letteraria, e comunque nell’atmosfera umoristica del romanzo funziona.
In secondo luogo, la struttura del romanzo è meno improntata all’azione e più al worldbuilding. Il grosso del romanzo consiste in un Dower sballottato dai suoi “compagni d’avventura” in giro per l’Inghilterra e Londra, a scoprire cos’è cambiato nel mondo durante i suoi decenni di eremitaggio e quali assurdità ci riservi il Futuro. Insomma: si parla e si vede molto, ma al tempo stesso succede poco.

C’è una serie di ovvie ragioni per cui Fiendish Schemes non è un romanzo interessante come il suo predecessore. In primo luogo, been there done that: Infernal Devices era interessante perché era una novità, perché era diverso da tutto il resto. Ora che prendiamo in mano questo sequel, abbiamo capito come funziona e la scintilla di curiosità e sorpresa si è bell’e che spenta. A questo c’è poi da aggiungere che Fiendish Schemes è troppo lento. Già il primo romanzo aveva uno stile tendente ad allungare il brodo, ma almeno era pieno di scontri, inseguimenti, misteri, colpi di scena; qui le lungaggini sono ancora più estese, di azione ce n’è pochina e le digressioni infinite.
Nonostante questo, però, devo ammettere che il romanzo è meglio di quanto mi aspettassi al momento dell’acquisto. Idee geniali e trovate grottesche non mancano, e alcune sarebbero degne della miglior Bizarro Fiction. Il problema è che la struttura in cui queste belle trovate sono inserite è ripetitiva e insulsa. Fiendish Schemes non è un romanzo che mi sentirei di consigliare; ma se avete già letto il libro originale e vi manca la sua atmosfera ampollosamente retard, buttateci un occhio. Magari vi piace.

Altro che quella troiata di Steamed! Jeter ha inventato il vero sesso steampunk, ed è in Fiendish Schemes!

Dove si trovano?
Entrambi i romanzi si trovano in lingua originale su Library Genesis , mentre su Bookfi.org (il nuovo nome di BookFinder) si trova solo Infernal Devices, sia nella prima edizione che nella riedizione di Angry Robot (interessante per la prefazione di Jeter stesso e la postfazione di VanderMeer). Per la traduzione italiana del romanzo originale, cercate “Le macchine infernali” su Emule; mentre non mi risulta che Fiendish Schemes sia mai stato tradotto in italiano.

Qualche estratto
Non è facile scegliere gli estratti per Infernal Devices, perché gli sketch di questo libro si sviluppano nel corso di pagine, come accumulo di assurdità su assurdità fino a raggiungere le proporzioni di una valanga. Alla fine ne ho selezionati un paio che spero ben sintetizzino stile e atmosfera del libro.
Il primo brano è preso dall’inizio del romanzo, ed è la captatio del narratore al lettore in cui sono sintetizzati gli avvenimenti che accadranno nel corso della storia ed è steso una specie di umoristico “piano dell’opera” – una cosa molto ottocentesca, di cui avevamo visto l’inizio già nel corpo dell’articolo. Il secondo è tratto uno degli episodi più demenziali e grotteschi del romanzo: Lord Bendray che spiega a Dower lo scopo di una delle più grandi invenzioni del padre…

1.
Reader, if the name George Dower, late of the London borough of Clerkenwell, is unfamiliar to you, I beg you to read no further. Perhaps a merciful fate – merciful to the genteel reader’s sensibilities, even more so to the author’s reputation – has spared a few souls acquaintance with the sordid history that has become attached to my name. Small chance of that, I know, as the infamy has been given the widest circulation possible. The engines of ink-stained paper and press spew forth unceasingly, while the even more pervasive swell of human voice whispers in drawing room and tenement the details that cannot be transcribed.
Still, should the reader be such a one, blessedly ignorant of recent scandal, then lay this book down unread. Perhaps the dim confines of the sick-room, or the wider horizons of tour abroad, far from English weather and the even darker and more permeating chill of English gossip, have sheltered your ear. There can be only small profit in hearing the popular rumours of that dubious scientific brotherhood known as the Royal Anti-Society, and the part I am assumed to have played in its resurrection from that shrouded past where it had lain as mythological shadow to Newton’s Fiat live.
Such happy ignorance is possible. Only the sketchiest outline has been made public of Lord Bendray’s investigations into the so-called Cataclysm Harmonics by which he meant to split the earth to its core. Even now, the riveted iron sphere of his Hermetic Carriage lies in the ruins of Bendray Hall, its signal flags and lights tattered and broken, a mere object of speculation to the attendants who listen patiently to the tottering grey-haired figure’s inquiries about his new life on another planet.
The discretion that sterling can purchase has saved the heirs of the Bendray estate further embarrassment. Not for the purposes of spite, but to remedy the damage done to my own and my father’s name, will I render a complete account of Lord Bendray’s fateful musical soiree in these pages.
The rain begins, spattering on the panes of my study window. Before the heaped coal-grate, the dog sleeping on the rug whines and scratches the floor. An apprehensive tremor blots the ink from the pen in my hand, and in my waistcoat pocket a coin of no value, save as a dread keepsake, grows cold through layers of cloth against my flesh. No matter; I press onward.

2.
  Lord Bendray led me further into the laboratory’s reaches. “Steady on, there,” he cautioned after a few minute’s wavering progress.
“Pardon? Christ in Heaven!” I leapt back from the edge of a circular chasm; another step would have precipitated me into its inky depths. A fragment of stone fell from the stone lip; no sound came back of it reaching bottom.
Lord Bendray stationed himself before the hole. It curved round in either direction for some distance, appearing large enough to have swallowed a small village such as the loathsome Dampford beyond the Hall’s gates. The far edge was hidden from view by rough stone pillars that descended into the pit, their lower ends lost to sight in the darkness. Above them, an intricate arrangement of cross-beams, great geared wheels taller than a man, chains thick enough to suspend houses by, and other machinery looped and dipped to make connection with the pillars.
My host gazed raptly at the stone. “They go down,” he pronounced solemnly, “straight to bedrock. And beyond – hundreds of feet.” He looked back at me. “Your father’s last creation. Such a tragedy that he died before this – his masterpiece – could be set into operation.”
[…] The hairs at the back of my neck began to stand up, as I sensed a madness even greater than I had at first suspected.
Glancing over his shoulder, Lord Bendray read the awful surmise visible in my face. “Yes – you’ve got it – you’ve got it, my boy! Exactly so! The senior Dower was a master of that Science properly known as Cataclysm Harmonics. Just as the marching soldiers transmit the vibrations that bring the bridge tumbling into bits, so this grand construction–” He gestured towards the stone pillars stretching down into the pit. “Your father’s greatest creation – so it is designed to transmit equally destructive pulsations into the core of the earth itself. Pulsations that build, and reinforce themselves – marching soldiers! Hah! Yes – until this world is throbbing with them, and shakes itself to its component atoms!” The vision set him all a-tremble. “The bridge collapses; the world disintegrates… Just so, just so.” He nodded happily.
I stared up at the construction, appalled by the old gentleman’s fervour. Could it be? I was struck with a dread certainty that he had spoken the truth. My father’s creation… Surely there could be no doubting it. If such a thing were the product of his genius, then, for good or ill, it very likely was as potent as all else that had come from his hand and mind.
“But–” I looked to him, baffled. “What would be the purpose of such a destruction?” A terrible vision centred itself in my thoughts, of mountains splitting in twain, deserts shivering as the oceans welled up in their midst, the grinding of splintered stone and the shrieking of women. “What cause would it serve?”
He gazed at me with patient benevolence. “Why, that of which we were just speaking,” he said. “That of contacting those wise, advanced beings on the other worlds. What possible signal could be better? Surely, creatures that are capable of shattering the world on which they live, would be perceived by those intelligences as beings worthy of respect and attention. It stands to reason.”

Tabella riassuntiva

Follia pseudo-vittoriana raccontata alla maniera del romanzo d’appendice dell’800! La prosa ampollosa e le digressioni continue possono stufare.
Dialoghi esilaranti e personaggi surreali.  Divertente, ma privo di “profondità”.
Crescendo di misteri che stimola ad andare avanti. L’ultima parte sembra scritta un po’ di fretta.
Le invenzioni di Dower senior sono una più geniale dell’altra.

(1) Le due eccezioni che mi vengono in mente sono The Warlord of the Air (1971) di Michael Moorcock e A Transatlantic Tunnel, Hurray! (1972) di Harry Harrison. Entrambe le opere precedono di una decina d’anni quelle del triumvirato Powers-Jeter-Blaylock, e pur non avendo manco alla lontana il rigore speculativo di The Difference Engine, sono a tutti gli effetti delle ucronie con qualche pretesa di serietà.

(2) Nel romanzo non viene mai detto con precisione in che anno ci troviamo, ma alcuni indizi permettono di collocarlo tra il 1841 e il 1850.
Il più importante di questi indizi è il riferimento al violinista Niccolò Paganini. Nella scena in cui Dower viene raccattato dalla carrozza di Mrs. Wroth, e il protagonista fa conoscenza con il Paganinicon, ci viene detto che l’artista è scomparso da poco (Mrs. Wroth è rammaricata di non averlo potuto “provare”, mentre alcune sue amiche hanno avuto nel recente passato questo privilegio). Paganini è morto nel 1840. Considerato che la signora è ancora giovane e bella, sembra sensato collocare l’azione non più di pochi anni dopo la morte del violinista.
Un altro indizio che conferma questa tesi viene invece dal seguito di Infernal Devices, Fiendish Schemes (di cui parlo a fine articolo). In quest’ultimo si fa riferimento alla Guerra di Crimea, come qualcosa di avvenuto dopo la fine del primo, ma prima dell’inizio del secondo romanzo (tra l’uno e l’altro, infatti, trascorrono alcune decine di anni). La Guerra di Crimea è scoppiata nel 1853: significa che l’azione di Infernal Devices si è svolta interamente prima di quella data.

 

http://tapirullanza.com/2015/01/12/i-consigli-del-lunedi-45-infernal-devices/

 

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