perchè siamo eredi dell’ illuminismo materialista : Engels: Anti-Dühring

«I grandi uomini che in Francia, illuminando gli spiriti, li prepararono alla rivoluzione che si avvicinava, agirono essi stessi in un modo estremamente rivoluzionario. Non riconoscevano nessuna autorità esteriore di qualsiasi specie essa fosse. Religione, concezione della natura, società, ordinamento dello stato, tutto fu sottoposto alla critica più spietata; tutto doveva giustificare la propria esistenza davanti al tribunale della ragione o rinunciare all’esistenza. L’intelletto pensante fu applicato a tutto come unica misura» (Antidühring, p. 24).

Saint-Simon già nelle sue “lettere ginevrine” stabilisce il principio che “tutti gli uomini debbono lavorare”. Nello stesso scritto sa già che il dominio del Terrore fu il dominio delle masse, nullatenenti. “Guardate – grida loro – che cosa accade in Francia nel periodo in cui vi dominano i vostri compagni: essi portano la fame.” [163] Concepire invece la Rivoluzione francese come una lotta di classe fra nobiltà, borghesia e nullatenenti [b32], era per l’anno 1802 una scoperta genialissima. Nel 1816 egli dichiara che la politica è la scienza della produzione e predice che la politica si dissolverà completamente nell’economia [164]. Se il riconoscimento che la realtà economica è la base delle istituzioni politiche appare qui soltanto ancora in germe, tuttavia la trasformazione del governo politico, esercitato su uomini, in un’amministrazione di cose e in una direzione di processi produttivi è qui espressa già chiaramente, e con essa quell’abolizione dello Stato, su cui di recente si è fatto tanto chiasso. Con pari superiorità sui suoi contemporanei egli dichiara nel 1814, immediatamente dopo l’entrata degli alleati a Parigi, e ancora nel 1815 durante la guerra dei cento giorni, che l’alleanza della Francia con l’Inghilterra, e secondariamente l’alleanza di tutti e due i paesi con la Germania, è per l’Europa l’unica garanzia di uno sviluppo prosperoso e di pace [165]. Per predicare ai francesi del 1815 l’alleanza con i vincitori di Waterloo, ci voleva certo un po’ più di coraggio che per dichiarare una guerra di chiacchiere ai professori tedeschi [b33] [166].

Mentre in Saint-Simon scorgiamo una geniale larghezza di vedute grazie alla quale in lui sono contenute in germe quasi tutte le idee non rigorosamente economiche dei socialisti venuti più tardi, in Fourier troviamo una critica delle vigenti condizioni sociali, ricca di uno spirito schiettamente francese, ma non perciò meno profondamente penetrante. Fourier prende in parola la borghesia, i suoi ispirati profeti prerivoluzionari e i suoi interessati apologeti post-rivoluzionari. Egli svela spietatamente la misère materiale e morale del mondo borghese e le contrappone tanto le splendide promesse degli illuministi di una società in cui dominerà la ragione, di una civiltà che darà ogni felicità e di una perfettibilità umana illimitata, quanto l’ipocrita fraseologia degli ideologi borghesi contemporanei, dimostrando come, dovunque, alla frase più altisonante corrisponda la realtà più miserevole, e coprendo di beffe mordaci questo irrimediabile fiasco delle frasi. Fourier non è solo un critico; la sua natura perennemente gaia ne fa un satirico e proprio uno dei più grandi satirici di tutti i tempi. La speculazione e la frode che fiorirono col tramonto della rivoluzione, nonché la generale grettezza bottegaia del commercio francese di allora, vengono descritte da lui con uno spirito pari alla sua maestria. Ancora più magistrale è la sua critica della forma borghese dei rapporti sessuali e della posizione della donna nella società borghese. Egli dichiara per la prima volta che, in una data società, il grado di emancipazione della donna è la misura naturale dell’emancipazione generale [167]. Ma dove Fourier appare più grande è nella sua concezione della storia della società. Egli divide tutto il suo corso quale sinora si è svolto, in quattro fasi di sviluppo: stato selvaggio, stato patriarcale, barbarie, civiltà, la quale ultima coincide con quella che oggi si chiama società borghese [b34] e dimostra che l'”ordinamento civile eleva ognuno di quei vizi, che la barbarie pratica in una maniera semplice, ad un modo di essere complesso, a doppio senso, ambiguo e ipocrita”, che la civiltà si muove in un “circolo vizioso”, in contraddizioni che continuamente riproduce senza poterle superare, cosicché essa raggiunge sempre il contrario di ciò che essa vuol raggiungere o che dà a vedere di voler raggiungere [168]. Cosicché, per es., “nella civiltà la povertà sorge dalla stessa abbondanza[169]. Fourier, come si vede, maneggia la dialettica con la stessa maestria del suo contemporaneo Hegel. Con pari dialettica egli, di fronte alle chiacchiere sull’infinita perfettibilità umana, mette in rilievo il fatto che ogni fase storica ha il suo ramo ascendente, ma ha anche il suo ramo discendente [170] ed applica questo modo di vedere anche al futuro di tutta l’umanità. Come Kant introdusse nella scienza naturale la futura distruzione della Terra, così Fourier introduce nel pensiero storiografico la futura distruzione dell’umanità.

Mentre in Francia l’uragano della rivoluzione ripulì il paese, in Inghilterra avvenne una rivoluzione più silenziosa, ma non per ciò meno poderosa. Il vapore e le nuove macchine utensili trasformarono la manifattura nella grande industria moderna e rivoluzionarono così tutta la base della società borghese. Il sonnolento processo di sviluppo del periodo della manifattura si trasformò in un periodo di vero Sturm und Drang [171] della produzione. Con velocità sempre crescente si compì la scissione della società in grandi capitalisti e proletari nullatenenti: tra queste due classi, invece del ceto medio ben definito di una volta, conduce oggi un’esistenza malsicura una massa instabile di artigiani e di piccoli commercianti, la parte più fluttuante della popolazione. Il nuovo modo di produrre era ancora solo all’inizio della sua fase ascendente: esso era ancora il modo di produzione normale e, date le circostanze, l’unico modo possibile. Ma già allora produceva inconvenienti sociali stridenti: assembrarsi di una popolazione senza sede nei peggiori quartieri delle grandi città; dissolversi di tutti i legami tradizionali, della subordinazione patriarcale, della famiglia; sopralavoro specialmente delle donne e dei fanciulli in misura spaventosa, enorme degradazione della classe operaia gettata improvvisamente a vivere in condizioni del tutto nuove [b35]. Apparve allora come riformatore un industriale ventinovenne, un uomo dal carattere di fanciullo, semplice sino al sublime e ad un tempo dirigente nato come pochi. Robert Owen aveva fatta sua la dottrina dei materialisti dell’illuminismo, secondo la quale il carattere dell’uomo è, da una parte, il prodotto dell’organizzazione in cui nasce e, dall’altra, delle circostanze che lo circondano durante la sua vita e specialmente durante il periodo del suo sviluppo. Nella rivoluzione industriale la maggior parte degli uomini della sua classe vedevano solo confusione e caos, che permettono di pescare nel torbido ed arricchirsi rapidamente. Egli vide invece in essa l’occasione per applicare il suo principio favorito e così mettere ordine nel caos. Lo aveva già tentato con successo a Manchester come dirigente di una fabbrica di più di cinquecento operai; dal 1800 al 1829 diresse in qualità di condirettore le grandi filande di New Lanark in Scozia seguendo gli stessi principi, ma solo con maggiore libertà d’azione e con un successo che gli procurò rinomanza europea. Una popolazione, che salì poco a poco a 2.500 unità e che originariamente si componeva degli elementi più svariati e per la massima parte fortemente degradati, fu da lui trasformata in una perfetta colonia modello, nella quale l’ubriachezza, la polizia, il giudice penale, i processi, l’assistenza ai poveri, il bisogno di beneficenza erano cose sconosciute. E tutto questo semplicemente per il fatto che egli mise questa gente in condizioni più degne dell’uomo e, soprattutto, fece educare adeguatamente la generazione nuova. Egli fu l’inventore degli asili d’infanzia e li introdusse qui per la prima volta. A partire dal secondo anno di vita i bambini venivano a scuola dove tanto si divertivano che a stento potevano essere ricondotti a casa. Mentre i suoi concorrenti lavoravano [b36] da tredici a quattordici ore al giorno, a New Lanark si lavorava solo dieci ore e mezza. Allorché una crisi cotoniera costrinse a fermare il lavoro per la durata di quattro mesi, agli operai rimasti disoccupati fu corrisposto il pieno salario. E, così stando le cose, lo stabilimento aveva più che raddoppiato il valore e corrisposto sino all’ultimo ai proprietari un lauto profitto.

Con tutto ciò Owen non era soddisfatto. L’esistenza che aveva creato per i suoi operai era ancora ai suoi occhi molto lontana dall’essere un’esistenza degna dell’uomo; “quegli uomini erano miei schiavi”: le condizioni relativamente favorevoli in cui egli li aveva messi erano ancora molto lontane dal permettere uno sviluppo generale e razionale del carattere e dell’intelletto e meno ancora permettevano una libera attività.

“E tuttavia la parte attiva di questi 2.500 uomini produceva per la società altrettanta ricchezza reale quanto appena un mezzo secolo prima avrebbe potuto produrne una popolazione di 600.000 uomini. Io mi chiedevo: che cosa avviene della differenza tra la ricchezza consumata da 2.500 persone e quella che i 600.000 avrebbero dovuto consumare?”

La risposta era chiara. Essa era stata impiegata per versare ai proprietari dello stabilimento il 5% di interesse sul capitale investito ed inoltre più di 300.000 lire sterline (6.000.000 di marchi) di profitto. E ciò che era vero di New Lanark, lo era, e in misura ancora maggiore, per tutte le fabbriche inglesi.

Senza questa nuova ricchezza creata dalle macchine non si sarebbero potute condurre le guerre per abbattere Napoleone, e per mantenere i principi aristocratici della società. Eppure questo nuovo potere era stato creato dalla classe operaia [b37] [172]

Ad essa perciò ne appartenevano anche i frutti. Le nuove potenti forze produttive, che sino allora erano servite solo per l’arricchimento dei singoli e l’asservimento delle masse, offrivano a Owen la base per un rinnovamento sociale ed erano destinate, come proprietà comune, a lavorare solo per il benessere comune.

In una tale maniera, tipica del mondo degli affari, e, per così dire, frutto del calcolo commerciale, sorse il comunismo di Owen. E mantenne sempre lo stesso carattere orientato verso la pratica. Così nel 1823 Owen propose di alleviare la miseria irlandese mediante colonie comuniste e allegò ai progetti calcoli completi sulle spese di impianto, sulle spese annue e sui redditi prevedibili [173]. E così nel suo piano definitivo per l’avvenire, l’elaborazione tecnica dei dettagli [b38] è condotta con tale cognizione di causa che, una volta ammesso il metodo di riforma sociale proposto da Owen, anche dal punto di vista di uno specialista ben poco si può dire contro l’organizzazione particolare.

Il passaggio al comunismo fu il punto critico della vita di Owen. Sino a quando si era presentato come semplice filantropo non aveva raccolto altro che ricchezza, plausi, onori e gloria. Era l’uomo più popolare d’Europa. Non solo uomini del suo ceto, ma uomini di Stato e principi lo ascoltavano plaudendo. Ma quando si fece avanti con le sue teorie comuniste, la situazione cambiò di punto in bianco. Tre grandi ostacoli gli sembrava che soprattutto sbarrassero la strada alla riforma sociale: la proprietà privata, la religione e la forma attuale del matrimonio. Attaccandoli egli sapeva che cosa lo attendeva: il bando da tutta la sicurtà ufficiale e la perdita di tutta la sua posizione sociale. Ma non si lasciò distogliere dall’attaccarli senza riguardi e avvenne quello che aveva previsto. Messo al bando dalla società ufficiale, seppellito nel silenzio della stampa, impoverito dal fallimento di esperimenti comunisti in America ai quali aveva sacrificata tutta la sua fortuna, si volse direttamente alla classe operaia e rimase a lavorare nel suo seno per altri trent’anni. Tutti i movimenti sociali, tutti i veri progressi che in Inghilterra sono stati realizzati nell’interesse degli operai, sono legati al nome di Owen. Così nel 1819, dopo una lotta quinquennale, riuscì a fare approvare la prima legge per la limitazione del lavoro delle donne e dei fanciulli nelle fabbriche [174]. Così presiedette il primo congresso in cui le Trade Unions di tutta l’Inghilterra si unirono in un’unica grande organizzazione sindacale [175]. Così introdusse, come misure di transizione verso l’organizzazione completamente comunista della società, da una parte, le società cooperative (di consumo e di produzione) che da allora hanno per lo meno fornito la prova pratica che tanto il mercante quanto il fabbricante sono persone delle quali si può benissimo fare a meno, dall’altra parte, i magazzini di lavoro, istituzioni per lo scambio di prodotti del lavoro per mezzo di una carta-moneta lavoro la cui unità era costituita dall’ora lavorativa [176]; istituzioni che necessariamente dovevano fallire, ma che anticipavano in modo perfetto la banca di scambio proudhoniana [177] di molto posteriore, e se ne distinguevano solo [b39] perché non volevano rappresentare la panacea di tutti i mali sociali, ma solo un primo passo per una trasformazione molto più radicale della società.

Questi sono gli uomini ai quali il sommo Dühring, dall’alto della sua “verità definitiva di ultima istanza”, guarda con quel disprezzo con cui nell’introduzione abbiamo dato qualche esempio. E questo disprezzo, sotto un certo rispetto, non è privo di una sua ragion sufficiente: poggia sostanzialmente su un’ignoranza veramente spaventosa delle opere dei tre utopisti. Così di Saint-Simon ci si dice che “la sua idea fondamentale era sostanzialmente giusta e che, prescindendo da alcune unilateralità, fornisce anche oggi l’impulso diretto verso delle riforme effettive”. Ma quantunque sembri che Dühring abbia avuto effettivamente tra le mani alcune delle opere di Saint-Simon, invano cercheremo nelle ventisette pagine che vi si riferiscono l'”idea fondamentale” di Saint-Simon, così come prima invano cercavamo che cosa il Tableau économique di Quesnay “potesse significare per Quesnay stesso”, e alla fine siamo costretti ad accontentarci di questa frase:

“l‘immaginazione e il sentimento filantropico (…) con l’esaltazione della fantasia che vi si collega, domina tutta la cerchia delle idee di Saint-Simon“!

Di Fourier conosce e considera solo le fantasie avveniristiche dipinte con particolari romanzeschi, ciò che in verità, per stabilire l’infinita superiorità di Dühring su Fourier, è “molto più importante” che non l’indagare come costui “abbia tentato di criticare occasionalmente l’effettivo stato delle cose”. Occasionalmente! Ma se quasi in ogni pagina sprizzano le scintille della satira e della critica sulle miserie della tanto esaltata civiltà! È come se si dicesse che Dühring solo “occasionalmente” dichiara Dühring il più grande pensatore di tutti i tempi. Quanto alle dodici pagine dedicate a Robert Owen, Dühring non ha altra fonte che la misera biografia del filisteo Sargant che ignorava anche lui gli scritti più importanti di Owen, quelli sul matrimonio e sull’organizzazione comunista [178]. Dühring si può spingere arditamente sino all’affermazione che in Owen non si può “presupporre alcun comunismo deciso”. Certo se Dühring avesse solo avuto tra le mani il “Book of the New Moral World” di Owen, vi avrebbe trovato espresso non soltanto il comunismo più deciso, con pari dovere di lavoro e pari diritto al prodotto, pari proporzionalmente all’età, come Owen non manca mai di aggiungere, ma anche l’elaborazione completa per l’edificio della comunità comunista dell’avvenire con lo schema, il piano e la veduta complessiva a volo d’uccello. Se invece si limita lo “studio diretto degli scritti originali dei rappresentanti delle idee socialiste” alla conoscenza del titolo o al massimo del motto di pochi di questi scritti, come fa qui Dühring, certo non rimane altro che una tale asserzione stupida e inventata di sana pianta. Non solo Owen ha predicato il “comunismo deciso”, ma lo ha praticato per cinque anni (dalla fine del quarto al principio del quinto decennio del secolo) nella colonia di Harmony Hall nello Hampshire [179], il cui comunismo, quanto a decisione, non lascia niente a desiderare. Io stesso ho conosciuto molti che parteciparono allora a questo esperimento comunista modello. Ma di tutto questo, come in generale di tutta l’attività di Owen tra il 1836 e il 1850, Sargant non sa assolutamente nulla ed ecco perché la “profonda storiografia” di Dühring rimane nella più buia ignoranza. Dühring chiama Owen “sotto ogni riguardo un vero mostro di importuna filantropia”. Ma allorché lo stesso Dühring ci istruisce intorno a libri di cui a stento conosce titolo e motto, noi non abbiamo assolutamente il diritto di dire che egli è “sotto ogni riguardo un vero mostro di importuna ignoranza”, perché questo sulle nostre labbra sarebbe certamente “ingiurioso”.

Engels: Anti-Dühring – Prefazioni

MIA – Engels: Anti-Dühring – Prefazioni – Homolaicus

Tutto il resto passa nella scienza positiva della natura e

X. Morale e diritto. Eguaglianza : Anti-Dühring Friedrich

Anti-Dühring Friedrich Engels (1878) | controappuntoblog.org

Anti-Dühring Terza Sezione: Socialismo : Engels …

Questa voce è stata pubblicata in documenti politici, Marx e C., mettece na pezza... e contrassegnata con , , . Contrassegna il permalink.