Georg Trakl, l’anniversario che valeva la pena ricordare – alcune poesie

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Georg Trakl, l’anniversario che valeva la pena ricordare

di pubblicato mercoledì, 19 novembre 2014 ·

Questo pezzo è uscito su Internazionale.

Con la convulsa sciatteria che porta i giornali italiani a bruciare ricorrenze pur di anticiparsi tra loro (decine di articoli su Julio Cortázar, Dylan Thomas, Marguerite Duras sbattuti in pagina settimane se non mesi prima dei cento anni dalla nascita di questi autori, con il paradossale effetto di non poterne più parlare nel giorno che dovrebbe celebrarli), la nostra stampa ha ignorato all’unanimità il centenario della morte di Georg Trakl.

Eppure è proprio il poeta austriaco, suicida a soli ventisette anni, ad aver interpretato meglio di altri la tragedia della Grande Guerra – altra ricorrenza trasformata dai mezzi d’informazione nell’esercizio di retorica necessario a non indagare a fondo l’evento che segnò la fine della modernità, primo atto del doppio tracollo europeo dalle cui ceneri non siamo mai del tutto risorti. La fine dell’Europa, di cui la finis Austriae fu la più dolce e struggente delle ouverture, è la premonizione, il dramma e insieme la maledizione di Georg Trakl.

“Io anticipo le catastrofi mondiali”, così scriveva all’amico Johannes Klein poco prima di morire, “non prendo partito, non sono un rivoluzionario. Sono il dipartito, nella mia epoca non ho altra scelta se non il dolore”. Ed è proprio la discesa in un dolore privato – l’amore consumato per la sorella Grete – e la totale impraticità nella vita pubblica (il suo sentirsi uno sradicato, lo straniero in una patria che si dissolve agli occhi del poeta prima di farlo sui campi di battaglia e dalle mappe geografiche e infine dai libri di Storia) a renderlo tra i più enigmatici e insieme tra i migliori interpreti del proprio tempo.

Ludwig Wittgenstein diceva di lui: “Non lo capisco, ma mi piace il suo tono”. Heidegger provò a inglobarlo nella sua filosofia, ma i versi di Trakl erano troppo semplici e troppo pieni di significato per farsi stringere, senza romperle, tra le spire dell’autore di Essere e tempo. Rilke era affascinato da lui, ma confessava di non riuscire a entrarci più in prossimità di quanto si possa fare guardando qualcuno “col viso schiacciato su un vetro”.

Paul Celan (il sopravvissuto all’Olocausto, colui che siede sul capo opposto della tragedia che Trakl comincia a raccontare, suicida a propria volta nel 1970) si recò in pellegrinaggio sulla piccola tomba di Mühlau. E Kraus, il gigante di Vienna, l’editore direttore impaginatore tipografo e strillone di quella rivista sempre più illuminante man mano che le tenebre avanzavano che fu Die Fackel, uno dei pochi intellettuali della sua epoca e addirittura della sua cerchia a vedere nella Grande Guerra non l’occasione per il trionfo del patriottismo ma della catastrofe, Kraus, il quale sostenne Trakl con fermezza, dovette pure ammettere: “Mi è stato sempre incomprensibile come potesse vivere. La sua follia lottava con eventi divini”.

Trakl era un poeta. Tra i cinque o sei grandissimi del novecento. E Trakl, contemporaneamente, era nient’altro che un ragazzo. Nato a Salisburgo nel 1887, padre commerciante di ferramenta piuttosto agiato, madre melomane e collezionista di oggetti d’arte, amante del bello con la mancanza di talento necessario a trasformare la grazia interiore in fredda bizzarria – forse il tipo di velleità che, pur di non toccare il proprio fondo mediocre, rischia di ferire a morte gli spiriti davvero sensibili.

Georg è un bambino piuttosto allegro, poi un ragazzino amante del mondo e della musica, devoto a Margarete (Grete), la sorellina più piccola che diverrà qualche anno dopo la sua amante, precipitando insieme a lui in una delle relazioni più atroci e terribilmente belle mai raccontate (in versi che sembrano parlare di tutt’altro, non allusivi in modo misero, ma paralleli all’oggetto incestuoso). Nel 1897 Georg entra al ginnasio. Verrà bocciato sia alla quarta che alla settima classe, tanto che nel 1905 sarà costretto a lasciare il liceo e inizierà a far pratica come apprendista nella farmacia Zum weißen Engel (All’Angelo Bianco).

Bianco è il colore del cielo di certe giornate invernali a Salisburgo, e bianca è la fiamma accesa e spenta della cocaina e del cloroformio a cui Georg – approfittando della farmacia – comincia a dedicarsi con una certa assiduità. Legge Rimbaud, Baudelaire, Nietzsche, Dostoevskij. Si trasferisce a Vienna. Comincia a scrivere recensioni, drammi teatrali, poesie. I suoi versi incorniciano scene di vita campestre, cieli blu attraversati da corvi neri, tini ricolmi di vino lasciato a dormire nell’ombra. In apparenza, niente di strano a parte una bellezza a tratti eccessiva. Di fatto, tuttavia, attraverso un inspiegabile rovesciamento di quella stessa bellezza, emerge un senso di minaccia che anticipa catastrofi che sulle pagine dei quotidiani austriaci (e italiani, tedeschi, francesi) non sono neanche all’orizzonte.

http://www.minimaetmoralia.it/wp/georg-trakl/

Georg Trakl, cento anni fa

 

TRAKL

Cade il suono
come il tonfo di un remo
nel silenzio.

(A.M. Curci)

Il 3 novembre 2014, cento anni fa, moriva all’ospedale di Cracovia, probabilmente suicida per una dose eccessiva di cocaina, il poeta austriaco Georg Trakl. Nelle sue poesie, che si possono leggere anche nelle traduzioni di Elio Gianturco (1925), Leone Traverso (1938), di Giaime Pintor (1939-40), di Ida Porena (1963), di Ervino Pocar (1974), di Enrico De Angelis (1999; l’elenco prosegue, ché la poesia di Trakl continua a essere frequentata assiduamente anche in quella lettura ‘al quadrato’ che è la traduzione) la «azzurritudine» (Bläue) della natura limpida e, insieme, trasfigurata, si affianca alla cadenza, come attutita dal manto di nebbia, del remo nelle acque che scorrono, chiare o torbide, lente e inesorabili e, ancora, alla visione inequivocabile del disfacimento (Verfall) all’orrore della guerra – la lirica Grodek ne è l’esempio più esplicito e sconvolgente – che schiaccia, maciulla, stravolge, annienta l’umanità.

Nel centenario della morte di Georg Trakl propongo, in ordine cronologico di composizione (dall’autunno 1912 all’inizio di ottobre 1914), alcune sue liriche nell’originale e nella mia traduzione.

Anna Maria Curci

Verklärter Herbst

Gewaltig endet so das Jahr
Mit goldnem Wein und Frucht der Gärten.
Rund schweigen Wälder wunderbar
Und sind des Einsamen Gefährten.

Da sagt der Landmann: Es ist gut.
Ihr Abendglocken lang und leise
Gebt noch zum Ende frohen Mut.
Ein Vogelzug grüßt auf der Reise.

Es ist der Liebe milde Zeit.
Im Kahn den blauen Fluß hinunter
Wie schön sich Bild an Bildchen reiht –
Das geht in Ruh und Schweigen unter.

Autunno trasfigurato

Finisce così l’anno, con vigore,
Con vino d’oro e frutto dei giardini.
Tacciono intorno i boschi, ed è stupore
Al solitario sono per la via vicini.

Allora dice il contadino: è bene.
Voi campane del vespro a largo raggio
In fine ancora, piano date forze serene.
Migranti uccelli salutan lungo il viaggio.

È dell’amore l’epoca clemente.
Giù per l’azzurro fiume sulla chiatta
Immagini si susseguon, quanto dolcemente –
Tramonta in silenzio il tutto ed in quiete perfetta.

Im Frühling

Leise sank von dunklen Schritten der Schnee,
Im Schatten des Baums
Heben die rosigen Lider Liebende.

Immer folgt den dunklen Rufen der Schiffer
Stern und Nacht;
Und die Ruder schlagen leise im Takt.

Balde an verfallener Mauer blühen
Die Veilchen,
Ergrünt so stille die Schläfe des Einsamen.

In primavera

Senza rumore cadde la neve da passi oscuri,
All’ombra dell’albero
Levano amanti le palpebre rosate.

Sempre alle grida oscure dei barcaioli
Seguono astro e notte;
E sommessi i remi battono in cadenza.

Presto su mura in rovina fioriranno
Le viole,
Così s’inverdisce silente la tempia al solitario.

 

Karl Kraus

Weißer Hohenpriester der Wahrheit,
Kristallne Stimme, in der Gottes eisiger Odem wohnt,
Zürnender Magier,
Dem unter flammenden Mantel der blaue Panzer des Kriegers klirrt.

Karl Kraus

Bianco sommo sacerdote della verità,
Voce di cristallo, in cui dimora il soffio di Dio,
Mago in collera,
Cui sotto mantello fiammante tintinna la cotta azzurra del guerriero.

*

Frühling der Seele

Aufschrei im Schlaf; durch schwarze Gassen stürzt der Wind,
Das Blau des Frühlings winkt durch brechendes Geäst,
Purpurner Nachttau und es erlöschen rings die Sterne.
Grünlich dämmert der Fluß, silbern die alten Alleen
Und die Türme der Stadt. O sanfte Trunkenheit
Im gleitenden Kahn und die dunklen Rufe der Amsel
In kindlichen Gärten. Schon lichtet sich der rosige Flor.

Feierlich rauschen die Wasser. O die feuchten Schatten der Au,
Das schreitende Tier; Grünendes, Blütengezweig
Rührt die kristallene Stirne; schimmernder Schaukelkahn.
Leise tönt die Sonne im Rosengewölk am Hügel.
Groß ist die Stille des Tannenwalds, die ernsten Schatten am Fluß.

Reinheit! Reinheit! Wo sind die furchtbaren Pfade des Todes,
Des grauen steinernen Schweigens, die Felsen der Nacht
Und die friedlosen Schatten? Strahlender Sonnenabgrund.

Schwester, da ich dich fand an einsamer Lichtung
Des Waldes und Mittag war und groß das Schweigen des Tiers;
Weiße unter wilder Eiche, und es blühte silbern der Dorn.
Gewaltiges Sterben und die singende Flamme im Herzen.

Dunkler umfließen die Wasser die schönen Spiele der Fische.
Stunde der Trauer, schweigender Anblick der Sonne;
Es ist die Seele ein Fremdes auf Erden. Geistlich dämmert
Bläue über dem verhauenen Wald und es läutet
Lange eine dunkle Glocke im Dorf; friedlich Geleit.
Stille blüht die Myrthe über den weißen Lidern des Toten.

Leise tönen die Wasser im sinkenden Nachmittag
Und es grünet dunkler die Wildnis am Ufer, Freude im rosigen Wind;
Der sanfte Gesang des Bruders am Abendhügel.

Primavera dell’anima

Un grido nel sonno; per neri vicoli si abbatte il vento,
L’azzurro della primavera ammicca da rami che si spezzano,
Purpurea rugiada notturna, e si spengono intorno le stelle.
Verdognolo albeggia il fiume, argentei i vecchi viali
E le torri della città. Oh mite ebbrezza
Nella chiatta che scivola e le grida oscure del merlo
In giardini infantili. Già si dirada la rosea peluria.

Solenni mormorano le acque. Oh le umide ombre del prato,
L’animale che incede; Rami in fiore che inverdiscono
Agitano la fronte di cristallo; chiatta che ondeggia luccicante.
Piano risuona il sole tra le nubi di rosa sul colle.
Grande è la quiete dell’abetaia, le ombre serie sul fiume.

Purezza! Purezza! Dove sono gli orrendi sentieri della morte,
Del grigio silenzio di pietra, gli scogli della notte
E le ombre senza pace? Abisso raggiante di sole.

Sorella, quando ti trovai in solitaria radura
Del bosco ed era mezzogiorno e grande il silenzio dell’animale;
Bianchezza sotto quercia selvatica, e argenteo fioriva il duomo.
Morte possente e la fiamma che canta nel cuore.

Più cupe le acque circondano i bei giochi dei pesci.
Ora del lutto, sguardo silente del sole;
L’anima è uno straniero sulla terra. Sacra albeggia
Azzurrità sopra il bosco abbattuto e rintocca
A lungo una campana cupa nel villaggio; in pace estremo saluto.
Silenzioso fiorisce il mirto sopra le palpebre bianche del morto.

Piano risuonano le acque nel pomeriggio al declino
E verdeggia più cupa la sterpaglia alla riva, gioia nel roseo vento
Il canto lieve del fratello sul colle vespertino.

*

Klage, II

Schlaf und Tod, die düstern Adler
Umrauschen nachtlang dieses Haupt:
Des Menschen goldnes Bildnis
Verschlänge die eisige Woge
Der Ewigkeit. An schaurigen Riffen
Zerschellt der purpurne Leib
Und es klagt die dunkle Stimme
Über dem Meer.
Schwester stürmischer Schwermut
Sieh ein ängstlicher Kahn versinkt
Unter Sternen,
Dem schweigenden Antlitz der Nacht.

Lamento , II

Sonno e morte, le aquile tetre
Mugghiando sorvolano di notte questo capo:
Il flutto gelido dell’eternità
Divori il dorato sembiante
umano. Su orride scogliere
Si schianta il corpo purpureo
E la voce oscura si leva di lamento
Sopra il mare.
Sorella di tempestosa malinconia
Guarda una barca pavida affonda
Tra stelle,
Al cospetto silente della notte.

Georg Trakl
(traduzione di Anna Maria Curci)

http://poetarumsilva.com/2014/11/03/georg-trakl-cento-anni-fa/

Questa non è soltanto una poesia di Georg Trakl, e una delle più famose e terribili. E’ l’ ultima sua poesia, scritta pochi giorni prima che si suicidasse, all’età di ventisette anni, il 3 novembre 1914. Già sconvolto per l’abuso di droghe e di alcool e per il rapporto incestuoso con la sorella Greta, allo scoppio della “Grande Guerra” Georg Trakl, farmacista di professione, viene richiamato come ufficiale di sanità e viene inviato sul campo di battaglia di Gródek, in Galizia, dove deve assistere, da solo e senza medicine, novanta feriti gravi. Completamente traumatizzato dall’esperienza della guerra, Trakl tenta il suicidio ma viene salvato e ricoverato nell’ospedale psichiatrico di Cracovia, il 7 ottobre 1914. Alla fine del mese il poeta fa testamento; all’amico Von Ficker, venuto a trovarlo, lascia invece come testamento poetico le composizioni Klage II (“Lamento II”) e Grodek, appena scritta. Il 3 novembre si pratica da solo un’overdose di cocaina. [RV]

“Così, quest’ultima poesia vergata dalla mano di Georg Trakl appare come il frutto dell’esperienza diretta della estrema, sconvolgente violenza della guerra, che era – poi – il fallimento clamoroso e irreparabile di quella razionalità ottimistica e presuntuosa, di quel Logos strumentale e calcolante, con cui l’Europa aveva creduto di poter dominare le pulsioni oscure e selvagge di Thanatos, il cieco istinto di dominio e l’inconscia volontà di autodistruzione. Le Furie della guerra erano balzate fuori non dal nulla, ma da una segreta malattia che aveva covato a lungo sotto le apparenze superficiali, ma rassicuranti, della ragione, della scienza e del progresso.” – Francesco Lamendola – Centro Studi La Runa

“La scena della battaglia, luogo di bellezza naturale di boschi, laghi azzurri e pianure dorate, è descritta utilizzando esplicitamente colori come l’azzurro, l’oro, il rosso ed il nero, ed implicitamente, tramite la sera, il sole, la notte, la luna, il sangue, l’ombra, il bronzo. La tragedia della guerra non è solo nella morte di chi la combatte ma soprattutto nei nipoti non nati, nella mancata vita futura che non è potuta nascere da quei morti. Al centro c’è l’immagine della sorella del poeta, ombra ondeggiante come in un delirio, che sembra quasi danzare nella schwarze Verwesung, la nera putredine; anche dalla relazione del poeta con la sorella, non nasceranno figli e nipoti: i due fratelli sono apparentati a quella putredine.” – it.wikipedia

Il manoscritto di Grodek.

Il manoscritto di Grodek.

Am Abend tönen duie herbslichen Wälder
Von tödlichen Waffen, die goldnen Ebenen
Und blauen Seen, darüber die Sonne
Düstrer hinrollt; umfängt die Nacht
Sterbende Krieger, die wilde Klage
Ihrer zerbrochenen Münder.
Doch stille sammelt im Weidengrund
Rotes Gewölk, darin ein zürnender Gott wohnt,
Das vergossne Blut sich, mondne Kühle;
Alle Straßen münden in schwarze Verwesung.
Unter goldnem Gezweig der Nacht und Sternen
Es schwankt der Schwester Schatten durch den schweigenden Hain,
Zu grüßen die Geister der Helden, die blutenden Häupter;
Und leise tönen im Rohr die dunkeln Flöten des Herbstes.
O stolzere Trauer! ihr ehernen Altäre,
Die heiße Flamme des Geistes nährt heute ein gewaltiger Schmerz,
Die ungebornen Enkel.

Georg Trakl

Di Grodek esistono diverse traduzioni italiane. Vorrei dare conto per prima di quella di uno dei maggiori studiosi e traduttori di letteratura tedesca: Ervino Pocar. Proviene, perlomeno per quanto ho in mio possesso, da uno di quei tascabili che, con gli anni, son diventati rarissimi come un economista intelligente: le Poesie di Georg Trakl edite nella BUR, la Biblioteca Universale Rizzoli, nel 1974. “Introduzione, traduzione e note di Ervino Pocar”, prezzo lire 2000. Non nascondo che, in questa mia predilezione, non c’entra soltanto il valore, eccelso, della traduzione; c’entra anche il fatto che Ervino Pocar, piranese di nascita, aveva sposato un’elbana di Portoferraio, Cesi de Rosa, e che all’Elba, dove risiedeva, sono nate le sue opere. Credo che Marciana Marina sia l’unica località ad avergli dedicato una strada, via Ervino Pocar. [RV]

GRODEK

I boschi d’autunno rombano a sera
d’armi mortali, e le auree pianure
e i laghi celesti, sui quali rotola il sole
più lugubre; abbraccia la notte i guerrieri
moribondi, il lamento selvaggio
delle loro labbra straziate.
Quieto s’agglomera nel saliceto –
nube scarlatta, dimora d’un Dio corrucciato…
il sangue versato, frescura lunare;
tutte le strade convergono in nero marciume.
Sotto le rame d’oro del bosco silente,
sotto le stelle, l’ombra della sorella barcolla
a salutare le anime eroiche,
le teste lorde di sangue;
e nel canneto sommessi
suonano i cupi flauti autunnali.
Oh lutto orgoglioso! Altari di bronzo,
un immenso dolore nutre, quest’oggi,
la fiamma cocente dell’anima,
i non nati nipoti.

Georg Trakl

http://www.antiwarsongs.org/canzone.php?lang=it&id=48212

I corvi

Sul nero paesaggio già si avventano

A mezzodì con grida dure

Colla lor ombra la cerva rasentano:

o sostano aggrondati sulle alture

Vanno il bruno silenzio a disturbare

In cui la piana estetica si stende

Come donna cui grave affanno prende

E talvolta si sentono altercare

Per carogne fiutate qui o là.

Ad un tratto drizzano le ali a tramontana

E scompaiono in mesta carovana

Mel cielo in un tremor di voluttà.

Georg Trakl

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