Palindromi e Poesie monovocaliche di Giuseppe Varaldo , non di Matteo Renzi….

Il Quadrato del Sator a Oppède

 

Il palindromo più lungo del mondo

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Se vi state domandando qual è il palindromo più lungo del mondo la risposta è semplice: Giuseppe Varaldo conosciuto tra gli enigmisti come Beppe ne ha composto uno di 4587 lettere (questo almeno fino al nuovo record di testo palindromo di Gabriele de Simon).  Il palindromo è una parola o un testo leggibile sia da sinistra verso destra che da destra verso sinistra senza mutare il senso e il significato.

Tornando al palindromo di Giuseppe Varaldo, per la precisione, si dovrebbe dire che è il palindromo più lungo del mondo in lingua italiana. In realtà infatti il palindromo più lungo del mondo è stato creato nel 1980 da Giles Selig (Nome palindromo tra l’altro) che compose un palindromo di 58.000 versi. Poi molti altri palindromi sono stati realizzati ma con l’ausilio di software o programmi per generare palindromi. In ogni caso per chi è curioso di leggere il palindromo di Giuseppe Varaldo (che di professione fa il dermatologo) ecco il suo testo (in formato pdf pronto da stampare) composto nel 1982 per celebrare la vittoria dell’Italia ai mondiali di calcio del 1982: palindromo-piu-lungo-del-mondo

Vi segnaliamo inoltre un elenco di parole palindrome in ordine alfabetico

http://www.iltuocruciverba.com/il-palindromo-piu-lungo-del-mondo/

L’incredibile racconto palindromo di Giuseppe Varaldo

 

C’è chi ha portato l’arte del palindromo a vette difficilmente raggiungibili. È il caso di Georges Perec che ha scritto un racconto palindromo di quasi 5.000 lettere. In Italia la medaglia d’oro va sicuramente a Giuseppe Varaldo che ha composto tre racconti palindromi: 3 agosto 1942 (630 lettere), Penelope (1041 lettere), e 11 luglio 1982 (4587 lettere). Riportiamo integralmente quest’ultimo qui sotto, che racconta la finale dei mondiali di calcio del 1982 vinta dall’Italia.

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Giuseppe Varaldo
11 luglio 1982

Ai lati, a esordir, dama e re, Pertini trepida, tira lieti moccoli, dialoga – vocina, pipa… -, ricorre alle battute. È durata!… ne patì Trap: allena – mèritasi lodi testé – Juvitalia, mai amata. Il boato n’eruppe su filato, mero atto d’ira: assorga da gai palati, ingoi l’arena! Si rise, noi: gara azzurra – felicità, reti – e ricca! Né tacerò pose, ire, rapidi miti; citerò paure… però meritan oro. Ci sono rari tiri? Sia! ma i latini eroi goderono di rigore – c’è fallo -; “Fatale far tale rete”: lassa prosopopea nei peani dona aìre facile. Ma “fatale” malessere globi dilata, rene, vene ci necrotizza: ratto, vago, da finir al còre (l’oblierà? Dall’idea – l’Erinni! – trepiderà: tic e tac…)… Lapsus saliente (idra! sillabo!): non amai Cabrini; flusso acre – pus era? sudore? -, bile d’ittero ci assalì: risa brutali, amaro icore… Fiore italo, cari miei, secca, alidirà vizzito là, se sol – a foci nuove diretti, fisi – a metà recedete: l’itala idea di vis (i redivivi, noti, ilari miti!) trapasserà, inerte e vana, in italianità lisa, banal. Attutite relativa ira, correte: eterni onori n’avrete! Sibili – tre “fi” – di arbitro: finita lì metà partita; reca loro l’animo di lotta, fidata ripresa! mira, birra rida’! attuta ire, bile! La si disse “eterea”, la Catalogna: alla pari terrò cotali favolose ore… Notte molle, da re! Poeti m’illusero “Va’!”, “Fa’!”, “Osa!”) colla fusione – esile, serica, viva -, rime lepide, tra anelito d’età d’oro e rudezze d’orpello; così cederò all’eros, ai sensi rei; amai -l’amavo… – una grata città, la gag, la vita; nutro famosa cara sete, relativa a Lalo, Varese, De Falla, Petrassi, e Ravel, e Adam, e Nono… Sor… bene, totale opaca arte; né pago fui per attori, dive, divi (lo sarò?)… Là ogni avuto, mai sopito piacere s’evaporò, leggera falena era: se con amor, lì, alla cara – cotale! – virile sera – coi gaudi sereni, grevi da dare angine, beati – lo paragono, decàde a ludo, mollica, vile cineseria, onere. Sì! Taccola barocca allora rimane, meno mi tange: solo apatia apporterà, goffa noia… Paride, Ettore e soci trovarono sì dure sorti – riverberare di pira desueta! – coi gelosi re dei Dori (trono era d’ira, Era, Muse); a Ilio nati e no, di elato tono, di rango, là tacitati – re… mogi -, videro Elleni libare, simil a Titani, su al Pergamo: idem i Renani e noi… “… caparbi”, vaticinò – tono trepido -, ed ora tange là tale causale trofeo (coppa di rito è la meta della partita), trainer fisso; mìralo come l’anemone: fisso, raro, da elogi… D’animo nobile, divo mai, mai tetro, fatale varò la tattica. Cito Gay, ognor abile devo dir: da Maracanà sono tacco, battuta… Ai lati issò vela l’ala latina Bruno: cerca la rete, si batte assai, opera lì, fora, rimargina… Bergomi, nauta ragazzo, riserra giù sì care fila: è l’età… Coi gradi vedo – troppa la soavità… – capitano Dino, razza ladina. Rete vigila! dilàtati…!: la turba, l’arena, ti venera. Ad ogni rado, torpido e no, tirabile tiro, trapelò rapidità sua: parò (la tivù, lì, diè nitidi casi). Di tutto – fiero, mai di fatica, vivace – raccatta: e, se tarpate, le ali loro – è la verità – paion logore. Zoff (ùtinam !) è dei.. Parà: para… Piede, mani, tuffo: zero gol, noi a patire. Vale oro: lì, là… è l’età… “Pratese, attacca! reca vivacità!”, “Fidiamo!”, “Rei fottuti disaciditi!”… Nei diluvi, talora pausati, di parole partorite lì, baritone o di proto, da ring o da arene (“Vita nera là, brutalità tali da ligi veterani, da… lazzaroni!”, “Dònati! pàcati! va’! osa!: l’apporto devi dar!”, “Giocate leali, feraci!”, “Su i garresi!”, “Rozza gara!”, “Tu, animo!”, “Grèbani! Grami!”, “Raro filare!”; poi: “Assaetta!”, “Bis!” e “Ter!”), alacre, con urbanità, l’alalà levossi: “Italia!”, a tutta bocca, tonò. Sana cara Madrid, ove delibaron Goya… gotica città talora velata: forte ti amiamo! Vi delibo nomina di goleador a Rossi – fenomenale! -: mo’, colà, rimossi freni artati (tra palle date male o tiri dappoco è forte la sua celata legnata), rode, o d’ipertono, tonicità, vibra. Pacione inane, rimediò magre, plausi – nati tali – miserabili nelle ore di Vigo (meritàti!); Catalogna ridonò totale idoneità – noi lì a esumare, a ridare onor -, tiro diede, riso; le giocate use – da ripide, rare, brevi, ritrose, rudi – son ora vorticose e rotte, e d’ira paion affogare (troppa?). Aìta, Paolo!: segna, timone mena, mira, rolla, accora, balòccati sereno, aìre – se Nice lì vacillò – modula e da’ (cedono…): gara polita e benigna – e rada, di vergine residua… – gioca. Re s’è lì rivelato (Caracalla? Il romano Cesare!): anela, fa, regge loro, pavese reca…: ipotiposi amo. Tu va’ in goal, ora! Sol, ivi, devi dirottare più foga: penetra a capo elato – tenebroso non è… -, ma da elevare, issar te, palla, fede, sera (vola, là) a vitale rete! Sarà caso… Ma Fortuna ti valga galattica targa, nuova malìa: mai Eris ne sia sorella! Or è deciso; colle prodezze, dure o rodate doti – lena, arte di Pelé, mira -, vivaci rese lì sé e noi: su fallo (caso a favore sul limite, opera dell’ometto nero) è solo, va filato, corre, tira, palla angolata cala… è rete! Essi di sale, l’Iberia tutta a dir “Arriba!”, rimaser. Pirata? Di fatto li domina… Loro lacerati tra patemi; Latini forti, braidi, fertili: bis e ter van, ìrono in rete… E terrò cari a vita: le reti; tutta l’anabasi latina; i Latini, a nave e treni, a ressa partiti (mìrali!); i toni vivi, derisivi, d’aedi alati; le tede cerate (“Mai sì fitte” ridevo: unico falò s’esalò, tizzi vari di là accesi); e i miracolati eroi, feroci… Oramai la turba si rilassa: i coretti deliberò d’usare. Supercaos sul finir! Baciamano? No: balli sardi, etnei lassù (spalcate!); citaredi per tinnire, là, ed il “la” dare; il Bolero, clarini, fado, gavotta, razzi, torce (Nice n’è venerata) lì. Di bolge, resse, la melata famelica “feria” anodina è piena, e po’ po’ sorpassa l’etere la trafelata folla. Fecero giri d’onore: dogi o re, in Italia, mai si ritirarono sì coronati. Remore, Perù, aporetici timidi pareri… e sopore, catenacci reiterati, Cile, far ruzza: a ragione si risanerà lì ogni itala piaga; da grossa a ridotta, o remota, lì fu, seppure nota, obliata. Mai amai la tivù: jet-set, idoli, satire…; ma nella partita – penata, rude e tutta bella: erro? – ci rapì: panico vago, lai di locco, mite ilarità di Pertini… tre pere a Madrid, rosea Italia!

http://iocredonellapatafisica.com/2014/11/11/racconto-palindromo-di-giuseppe-varaldo/

 

La Recherche in sonetto monovocalico

di Giuseppe Varaldo


Pubblicato il 21/10/2013 1.10.48

MARCEL PROUST:
ALLA  RICERCA DEL TEMPO PERDUTO
Recherche perenne, ché per sempre s’erse
nelle Lettere eterne, e fe’ vedere,
nel genere “je pense” bellezze vere;
sette me gemme: dense, eteree, terse.
Nelle tendenze tenere e perverse,
e nelle cene ch’ebbe, e nelle sere
delle presgresse feste, e nell’etére,
nell’essere decrebbe: è Temps che perse;
nel precedente sé, nel sé presente,
le referenze eterne cerner deve:
pene e speme del teste senescente,
mentre mette le crépes nel tè che beve…
Gente bene, jet-set, plebe emergente
mesce testé: né celere, né breve…
G.Varaldo – All’alba Shahrazad andrà ammazzata, Vallardi 1993

http://www.larecherche.it/testo.asp?Id=2366&Tabella=Proposta_Poesia

 Poesie monovocaliche
La poesia monovocalica è uno dei giochi letterari più noti e non occorre essere oulipiani per conoscerla. In Italia il suo maestro indiscusso è Giuseppe Varaldo. Di professione dermatologo, virtuoso prestigiatore di parole, enigmista, Varaldo è autore di alcuni tra i più lunghi palindromi in italiano: uno sul tema di Penelope (1041 lettere), uno sulla scoperta dell’America (630 lettere), uno sulla vittoria italiana ai Mondiali del 1982, di 4587 lettere (!). Varaldo ha pubblicato All’alba Shahrazad andrà ammazzata (Vallardi, 1993), con una divertita prefazione di Umberto Eco e di un’illuminante post-fazione di Stefano Bartezzaghi. Si tratta di quaranta sonetti, di metrica e prosodia regolari, ognuno dedicato al riassunto di un capolavoro della letteratura universale. Ogni sonetto è composto usando una sola delle cinque vocali. Ecco il Cyrano de Bergeracdi Edmond Rostand:Confronto ognor lo sbocco forforoso

col corno, col trombon, col vòto dosso,
o l’osso con l’omologo Colosso.
Non sopporto sfottò o motto ontoso:
lo stolto (provocò l’onor focoso!)
lo tocco con lo stocco, lo fo rosso.
Col moccolo fo colmo pozzo o fosso,
lo scrosto con lo scovolo ‘sto coso.Col nostro – non lo nomo – soffro molto:
troppo grosso lo mostro… mostro sono:
lo zoccolo sformò l’ombroso volto!Non complotto, non mormoro, non stono,
collotorto non sono, sono colto…
Sposo non son, sto solo, non corono!

Così Varaldo ha riassunto il Vangelo:

Dalla casa natal (capanna? stalla?)
all’annata fatal, dal mar a Cana,
Satana scansa, campa alla spartana,
va tra la massa scalza, spalla a spalla.
Ama parlar d’amar, l’amar avalla:
ma la gamba malata, la mattana,
l’anca ch’arranca – abracadabra – sana.
La sacra saga al dramma s’accavalla:data la bastardata mal pagata,
fatta dal tal ch’avrà dannata l’alma,
data la tanta calca scalmanatach’all’affrancar Barabba starà calma,
l’ammazzan; ma alla bara spalancata
manca (fantasma par!) la cara salma.

http://keespopinga.blogspot.it/2009/03/poesie-monovocaliche.html

 

Palindromo in italiano

Visto che il testo palindromo di Perec che ho pubblicato qualche giorno fa non è proprio alla portata di tutti, per non parlare dei palindromi finnici generati da computer, vi propongo un esempio in italiano di Giuseppe Varaldo. [ccalz]

Penelope
Alleata fida è la tela (tessi da diva!) e t’esautora. Se la turba ride sotto i baffi, rida: la mai domita reina – mero malanimo – desìa miracolo, se l’augura. Fottuti vedovi, voraci e laidi, e bacati, usati, videro idre, Venere, Sodoma, acne… lei: razza beata, male decàdi! Per tali dessi -lui dov’è? – sol odio porta, e dice: “Delitto sia!: morte, vario male, Marte”. Regge la donna o crolla? È lei fenice: di parole godibili – da dir anonime, tacite e retro -, folle boutade (issòpo ùsale, e crema citrata), causa età, lena e tatto non n’oserà, l’oserà di rado; ma la tela- è diutina mirabile trama – eluse i Proci: è recidiva. Più ignava, se pei Proci n’avesse tema, lei vivrebbe. S’irò l’Odisseo – troppo sopportò -: essi dolori s’ebber vivi, e lame tessevan i corpi, e pesavan giù i pavidi cerei corpi; esule, a Marte liba!: rimani tu. Ideale talamo, da ridare solare sonno, nottate anelate, a sua catartica mercé è là, suo: possieda tu, o bello, forte re, etica Temi non arida di libido. Gelo rapì decine – fiele! – all’Orco; annoda leggere trame la Moira – vetro mai sottile!
-: decide Atropo, idolo sevo. Di Ulisse, di là, trepida cede l’amata: è bazza! Rielenca a modo serene verdi ore di vita su Itaca, bei dì: a lei caro, vivo, devi tutto far uguale: solo cari, mai – se domina l’amore – manierati modi; amala di riffa, biotto: se dirà brutale: “sarò tua”, sete avida dissétale. Taléa di fata, ella!

http://www.claudiocalzana.it/2010/01/palindromo-in-italiano/

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