Zweig e Maurensig: partita a scacchi ; Novella degli scacchi – Il settimo sigillo – DER ROSENKAVALIER

Zweig e Maurensig: partita a scacchi

“Ma guarda, è segnata proprio come una grande scacchiera!” disse infine Alice. “Mancano solo degli uomini che si muovano, da qualche parte… ma ci sono!” aggiunse giuliva, e il cuore cominciò a batterle di eccitazione via via che continuava. “E’ un’enorme partita a scacchi questa che giocano… in tutto il mondo … sempre che questo sia il mondo. Oh, che divertimento! Come vorrei essere una di loro! Non mi dispiacerebbe fare la pedina, se solo potessi raggiungerli… benché naturalmente più di tutto mi piacerebbe essere una Regina.”Lewis Carroll

Immagine tratta dal sito www.ecodelleaci.it

di Silvia Tomasi*

Sulla scacchiera della letteratura la ‘mossa del cavallo’, col suo procedere obliquo, lega fra loro due autori: Stefan Zweig, epigono della ‘rande Vienna’ al tramonto e autore nel 1941 della Novella degli scacchi, e Paolo Maurensig, scrittore goriziano che nel 1992 diede alle stampe La variante di Lüneburg. Gli intrecci delle due narrazioni, entrambe costruite in un rewind degli antefatti ambientati in epoca nazista, sono paralleli; tutto ruota su una decisiva e mortale partita a scacchi dove il microcosmo delle 64 caselle diventa il campo di battaglia in cui le storie individuali s’intrecciano alla Storia collettiva e il catalogo delle mosse sembra racchiudere i misteriosi intrecci che legano il destino dei singoli a quello dell’intera umanità.

La Novella degli scacchi: un’accusa al nazismo

“A un tratto ci fu qualcosa di nuovo tra i due giocatori, una pericolosa tensione, un odio appassionato. Non erano più due partners che volessero provare per gioco il loro talento l’un contro l’altro, erano due nemici che avevano giurato di distruggersi a vicenda”.
Così racconta la voce narrante della Novella degli scacchi travolto dall’Anschluss nazista del 1938: “male assoluto” lo definirà Zweig. L’acido prussico e prussiano nascosto nello strato di cioccolato amaro della Sachertorte aveva già fatto di Vienna nella prima guerra mondiale, come fustigava Karl Kraus, il vero “terreno di prova per la distruzione del mondo”. Ma ora la Kakania di Musil, che scrive il suo capolavoro L’uomo senza qualità negli anni Trenta, è sfatta nel fango come un Golem privo di spirito vitale.
Zweig non è più giovane quando il nazismo si avvinghia come una piovra all’Austria; si può dire che la sua resistenza eroica stia proprio nella Novella degli scacchi scritta a Petropolis, nel lontano Brasile, dove è fuggito insieme alla giovanissima seconda moglie. Un racconto-accusa contro il nazismo e i metodi dell’orrore attuati dalla Gestapo, un lascito testamentario prima del suicidio suo e della moglie nel 1942: finis Europae.
Zweig si è fermato spiritualmente in quella Grande Vienna prima del nazismo, si potrebbe scorgerne il ritratto in uno dei personaggi di Uomini tedeschi di cui scriveva nello stesso periodo Walter Benjamin.

Elias Canetti e il nano Fischerlein, il più ridicolo millantatore di vittorie scacchistiche
Ma anche in Auto da fé, (traduzione italiana di Die Blendung Abbacinamento) di Elias Canetti, opera-mondo scritta nel 1935, i personaggi principali – il sinologo Peter Kien e il gobbo, astutissimo nano ebreo Fischerlein, macromillantatore delirante del suo futuro come più grande giocatore di scacchi del mondo – non riescono a far fronte alla nuova realtà di questa Vienna ai loro occhi grifagna, torva e grottesca. Per Kien tutto il mondo deve approdare al libro, mentre per Fischerlein, che sogna passaporto americano, taglio della gobba e cognome accorciato in Fischer (sorprendente la coincidenza onomastica, non la sola, con il futuro campione di scacchi Bobby Fischer), la chiave dell’universo è una partita a scacchi. È per questo che uno smarrito Kien esclamerà, davanti a quel “mondo senza testa” che lo travolge: “Io so che questa verità mente”, e la partita a scacchi del povero Fischerlein non condurrà al successo, ma alla morte, in un feroce scacco matto, o Shah Màt, che in persiano significa “il re è morto”.

Zweig sulla scacchiera della Grande Vienna
Questo senso di uno scacco storico è presente anche nella Novella degli scacchi di Zweig e presiede alla caduta del nobile viennese Dottor B, risultando persino più acuto del suo odio per l’avversario col quale sta giocando un’emblematica partita a scacchi sul piroscafo che lo porta in Sudamerica. La storia viene raccontata in flashback, dall’arresto senza motivazione del protagonista da parte della Gestapo, ai metodi sadici di riduzione del Dottor B a larva, fino al totale isolamento del prigioniero, che riesce a resistere all’annichilimento grazie a un manuale di scacchi sottratto a una sentinella. Dalla ripetizione di partite famose passa a un suo personale palcoscenico, di sfide solo mentali sempre più risucchianti, dove il dottore gioca contro se stesso in florida schizofrenia, per non cedere alla solitudine in cui altrimenti potrebbe sprofondare: uscirà dal carcere, ma piagato dal tracollo nervoso, ripromettendosi di non giocare più. Nel corso della crociera da New York a Buenos Aires, però, il Dottor B cede di nuovo al fascino magnetico della scacchiera, sfidando un giovane russo, campione mondiale di scacchi, ma dal corpo e dall’ animo grezzo. Czentovic possiede un’unica qualità: l’abilità logica nel vincere a scacchi. La sua grevità e la sua rozzezza possono rappresentare l’avanzata del nazismo, ma la sfida del Dottor B., più che contro un nemico storico, appare rivolta a se stesso, per non svendere i proprio ricordi, cristallizzato in quel suo mondo come una mosca, mesmerizzato in una casella d’ambra.

La variante di Lüneburg di Maurensig, un romanzo manierista
Il dna letterario di questa storia è stato mappato negli anni Novanta del secolo scorso da Paolo Maurensig (1943), friulano, uomo di confine come Svevo, che si è divertito a citare ad incastro, con un compiacimento da letterato mitteleuropeo, il modello della Novella degli scacchi. Ne è nata La variante di Lüneburg, un vero successo editoriale.
Se nel Giocatore di Scacchi di Maelzel del 1836 Edgar Allan Poe smontava razionalmente gli insidiosi meccanismi dell’automa scacchista, nel romanzo di Maurensig è l’aspetto magico-arcano degli scacchi, con richiami alla Kabbalah e al Talmud, a muovere lungo crinali esoterici la storia di un omicidio/suicidio che arriva a colpire in differita un aguzzino nazista riciclatosi dopo la guerra in uno stimato e facoltoso industriale. Come nella Novella degli scacchi, la storia si avviluppa in flashback; tutto il racconto corre lungo uno spasimo in cui la conclusione mortale è il colpo di pistola che uccide Dieter Fisch, l’ex ufficiale delle SS, al termine di una partita a scacchi. Il mandante è un grande campione di scacchi, Tabori, impostosi come fanciullo prodigio e poi ridotto dai nazisti a paria per il suo sangue ebreo, rinchiuso nella landa desolata di Lüneburg nel Lager di Bergen-Belsen. Fra le reti di filo spinato si ritrova di fronte all’ antagonista di sempre, battuto nei tornei giovanili: Dieter Fisch, ariano ortodosso, dedito in maniera dissennata e furiosa al gioco degli scacchi e ora nei panni di carnefice (il piacere della citazione in Maurensig si allarga fino al Dürrenmatt del Giudice e il suo boia). A Tabori viene risparmiata la vita, ma è costretto a giocare partite con poste mortali sempre più alte; si scopre che in palio ci sono le vite di altri ebrei. Lo scacco matto alla bestia nazista va a segno anni dopo il termine della guerra. Hans Mayer, allievo geniale di Tabori, assume il carico della vendetta: ritrova l’antico aguzzino Fisch e lo sfida a un ultimo duello mortale – e qui gli antichi insegnamenti del maestro Tabori su una Variante scacchistica che prende il nome concentrazionario di Lüneburg, porteranno Meyer alla vittoria.

Gli scacchi metafora del gioco con la morte
“Il gioco degli scacchi è lo sport più violento che esista” ha affermato l’ex campione mondiale Garry Kasparov. I romanzi di Zweig e di Maurensig lo confermano: il pezzo che si muove sulla scacchiera della letteratura è quasi sempre metafora del gioco con la morte, come nel Settimo Sigillo di Ingmar Bergman, ma anche nel buissimo racconto di Arrigo Boito l’Alfiero nero o nel Giocatore invisibile di Giuseppe Pontiggia. Che importa se lo scacco finale è garantito? Shah Màt: il re è morto, viva il re. La partita può ricominciare.

*Studiosa di letteratura e arte. Tra i suoi saggi: La luce nell’abisso. Poetiche del sublime da Füssli a Turner (Cesati, Firenze 1989); Paper Hell. Carte infernali, in collaborazione con R. Barbolini (Transeuropa, Ancona 1991); Il Bello della Bestia. Saggi sulle esitazioni del Fantastico (Transeuropa, Ancona 1998), Arturo Loria. Storia di un ebreo narrante (Mup, Parma 2008)

Pubblicato il 15/4/2010

http://www.treccani.it/scuola/dossier/2010/comparatistica/tomasi.html

Novella degli scacchi. Zweig S.

La Novella degli scacchi è un’opera dello scrittore austriaco Stefan Zweig. Si tratta di un racconto in cui l’elemento centrale è lo scontro tra due personalità antitetiche: un rozzo campione di scacchi totalmente privo di immaginazione contro un avvocato di buona educazione il cui gioco è fondato sulla sua capacità visionaria.

La vicenda è ambientata durante un viaggio in transatlantico, in cui il narratore in prima persona, semplice spettatore degli eventi, incontra il campione del mondo, Mirko Czentović. La novella può essere partizionata idealmente in quattro parti: (1) viene considerata la personalità del campione del mondo incarica, Czentović; (2) dopo un intermezzo in cui alcuni giocatori si confrontano con il campione, giunge l’antagonista di Czentović; (3) l’antagonista (il cui nome non è presentato se non come B.) racconta la sua storia e in fine (4) si svolge la partita tra il dott. B. e Czentović.

La prima parte racconta, dunque, della formazione di Czentović: egli era un giovane lasciato solo da disgrazie familiari. Egli viene educato dal parroco, che si rende ben presto conto dell’impossibilità di far del giovane Mirko di qualsiasi cosa di buono che richieda anche un minimo di intelligenza (di fatti gli assegna le amorevoli cure di una scopa). Tuttavia, Czentović un giorno assiste ad una partita di scacchi tra il parroco e un graduato delle forze dell’ordine. Per caso, quest’ultimo si accorge delle qualità scacchistiche di Mirko e così viene allo scoperto il suo genio scacchisticamente assoluto. Czentović viene così condotto nella città vicina in cui sbaraglia uno dopo l’altro i migliori giocatori. Assistito da un nobile mecenate egli si affina con l’aiuto di un maestro e diventa presto il campione del mondo. Dall’animo incolto, egli rimarrà sempre vittima della sua pochezza intellettuale: apertasi di fronte a lui la strada del successo, risulta un uomo gretto, avido, incapace di intelligenza morale. Egli diventa adulto e scacchista di genio, pur rimanendo umanamente inetto, incapace di capire gli altri e, probabilmente, se stesso. Straordinaria la capacità di Zweig di anticipare molti tratti di carattere che si potrebbero poi intravedere in James R. Fischer.

La seconda parte della novella è un breve intermezzo, funzionale per introdurre l’occasione che darà origine alla vera partita, al vero duello tra due intelligenze. Durante la traversata Czentović viene avvicinato dal narratore, senza successo. Tuttavia, il narratore (che forse si potrebbe identificare con lo stesso Zweig), autodefinitosi amante dei tratti caratteriali psicologici salienti delle persone, riesce ad avvicinare il campione con un espediente: egli sfida un ricco scozzese di nome McConnor, il quale è disposto a pagare per giocare contro il campione. Anche a costo di perdere. Si crea così una cricca di giocatori che sfidano tutti assieme Czentović. Hanno la peggio nella prima partita. Solo aiutati dall’arrivo provvidenziale del dottor B. riescono a pattare una partita. McConnor decide di organizzare un match tra Czentović e il dottor B., finanziandolo egli stesso.

La terza parte della novella è il racconto della storia del dottor B., e di come egli diventi un giocatore di scacchi. Se così si può dire. Si tratta, indubbiamente, della parte più lunga e dettagliata del racconto ed è anche comprensibile il motivo. Il dottor B. era un avvocato membro di uno studio rinomato a Vienna. Quando Hilter decide di controllare l’Austria, invia la Gestapo. Lo studio in cui lavora B. svolge importanti lavori per l’aristocrazia viennese e riceve di continuo documenti importanti per cui diviene ben presto oggetto di sorveglianza da parte dei nazisti. Tradito da una talpa nello studio, B. viene internato ma non in un campo di concentramento. Egli viene rinchiuso in una piccola stanza di albergo incapace di vedere anima viva, privo di qualsiasi mezzo per divagare (matite e fogli di carta compresi). Egli è, però, lasciato totalmente libero, privo di costrizione alcuna se non una reclusione e isolamento totale. La perdita della libertà conduce ben presto all’apatia, a tal punto gravosa che B. incomincia addirittura ad apprezzare i momenti di interrogatorio da parte della Gestapo. Trovando espedienti dalla natura più diversa, B. sta per crollare quando riesce a rubare un libro. Questo libro, da principio, fu per lui una vera delusione: avendo rischiato la vita e la salute fisica per esso, diventa uno smacco della sorte scoprire che il libro è una raccolta di partite di scacchi.

Per chi non lo sappia, per chi non sia abituato ai manuali di scacchi, le partite sono riportate in una notazione algebrica tale da non avere ambiguità e vaghezza. Ogni mossa viene espressa da un codice e da un insieme discreto di simboli. Il problema è conoscere le regole del linguaggio per poterlo leggere. Da principio, dunque, il dottor B. è particolarmente intristito e deluso, ma ben presto si impadronisce degli strumenti necessari per decodificare il linguaggio. Impara il libro a memoria e successivamente incomincia a giocare con se stesso. Il problema, però, è che è impossibile giocare seriamente a scacchi se si conoscono a priori i piani dell’avversario. Per questa ragione egli avvia un processo di scissione interiore in cui una parte di sé muove i pezzi bianchi e un’altra parte dispone dei neri. Come chi sa chi ha fatto sfide con se stesso, chi è a tal punto abituato a sentirsi repliche per qualsiasi cosa dica o faccia, per ogni mossa segue immediatamente una replica, una critica sempre più incalzante e feroce. Tanto più che per riuscire interessante la partita essa deve giocata da due giocatori distinti: così la schizofrenia di B. raggiunge livelli tali da costargli un esaurimento nervoso. Dopo una serie di circostanze fortunate, aiutato dal medico che lo ha in cura, B. viene lasciato partire dalla Gestapo.

La quarta e ultima parte, di breve lunghezza, è dedicata alla partita tra Czentović e B.. Tuttavia ben presto bisogna interrompere quello che sta per diventare un vero e proprio match, perché la salute mentale di B. non consente di mantenere alti livelli di pressione e di gioco prolungato. Il libro si chiude con il termine della sfida.

La Novella degli scacchi è un piccolo capolavoro in cui Zweig inscena uno scontro tra due personalità complementari ma antitetiche: uno è un rozzo, avido, ingenuo e privo totalmente di immaginazione, l’altro è un fine e ricercato membro dell’alta borghesia viennese, intelligente e dotato di grande immaginazione. Tuttavia, entrambi sono accomunati da una storia drammatica, in cui la vita gli ha reso impossibile una vita accettabile, felice. Czentović, orfano e nullatenente, è già fortunato ad aver trovato il bernoccolo per un gioco di tale importanza sociale. Mentre B., costretto dai rivolgimenti storici infelici e drammatici, viene distrutto interiormente dalla Gestapo. I due uomini, che probabilmente non si sarebbero mai incontrati altrimenti, diventano il simbolo di una umanità perduta per ragioni storiche o personali o per entrambe. Ma per entrambi gli scacchi hanno costituito la salvezza.

Gli scacchi, allora, diventano il salvagente per persone distrutte ma dotate di un certo ingegno o capacità applicative, cioè della giusta volontà. Per Zweig gli scacchi sono il simbolo di una sfida mediata tra due persone che devono lottare contro una realtà assurda e che si ritrovano in un universo pienamente controllabile. Ma essi costituiscono anche l’espediente umano che consente loro di ritrovare un senso all’interno di una realtà ingovernabile: da un lato, infatti, Czentović è privo della capacità di pensare agli scacchi senza la scacchiera (un fatto ovviamente assurdo per qualsiasi giocatore reale di un certo livello), da un altro, invece, B. riesce sostanzialmente grazie alla sua immaginazione. Immaginazione e realismo diventano semplicemente due modi di vedere la stessa cosa per due persone che hanno dovuto scoprire un universo alternativo per riuscire a vivere nello stesso mondo.

Il paradosso, allora, non è nelle manchevolezze di Czentović o nella tragica storia di B., (ancora più sentita per il coinvolgimento stesso dell’autore, ebreo anch’egli e costretto ad abbandonare la Germania in cui si bruciarono i suoi libri). Il paradosso è che tutti noi, di fatto, abbiamo bisogno di quella allucinazione semipermanente della contemplazione di un mondo alternativo in cui rifugiarci, perché vivere continuamente in questo mondo è insopportabile. Non è una questione storica, quanto una questione metafisica. Tanto per l’uomo incolto, ingenuo e grezzo, quanto per il raffinato membro della classe media, il mondo risulta un’accozzaglia incomprensibile di fatti eterogenei su cui non c’è alcun controllo. E non c’è alcun senso in un eventuale controllo. E allora non rimane che una strada: trovare un universo alternativo per riuscire ad accettare quell’unico mondo possibile in cui nessuno ci ha chiesto se desiderassimo vivere, ma è anche quello di cui comunque ci dobbiamo pur sempre accontentare.

La Novella degli scacchi è un pezzo di grande intensità letteraria di uno scrittore capace di riportare un alto valore simbolico in pur così poche pagine. Si tratta, indubbiamente, di un lavoro che avrebbe potuto dare adito a maggiore spazio e dimensioni per i tanti spunti concentrati in una manciata di pagine. Eppure, proprio per questo, nella sua brevità riesce a fissarsi nella mente del lettore come un proiettile terribile e meraviglioso. Una novella da leggere anche per chi non ha alcuna familiarità con gli scacchi: perché essi sono l’espediente ma non il fine dell’opera di Zweig che, anche senza entrare nei dettagli e senza dimostrare una conoscenza straordinaria del gioco, riesce però a capirne l’essenza sufficiente per riuscire interessante anche a chi gli scacchi li conosce. E tanto più per chi non li conosce.

http://www.scuolafilosofica.com/3971/novella-degli-scacchi-zweig-s

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