Wojciech Jerzy Has : Sanatorium–El sanatorio de la Clepsidra , The Doll, Złoto

Wojciech Jerzy Has sul set del film “Bambola”, 1968 foto. National Film Archive

La clessidra

LA CLESSIDRA
Sanatorium pod klepsydra


1973 – 124 minuti

Regia: Wojciech Has
Sceneggiatura: Wojciech Has
Cast: Jan Nowicki, Tadeusz Kondrat, Irena Orska

Lo spazio del negozio si ampliava nel panorama di un paesaggio autunnale, pieno di laghi e di lontananze […] E in basso, ai piedi di quel Sinai sorto dalla collera di mio padre, il popolo gesticolava, imprecava, adorava Baal e contrattava. Affondavano le mani dentro le pieghe morbide, si drappeggiavano delle stoffe colorate, si avvolgevano in dòmini e mantelli improvvisati, e parlavano confusamente e senza posa.
Le botteghe color cannella, Bruno Schulz –

Ingiustamente sconosciuto ai più, Wojciech Has, regista polacco di grande spessore e valore artistico, merita di essere riscoperto e fruito. Questa recensione è un omaggio al suo straordinario talento cinematografico e mira a rendere visibile un autore che altrimenti rischia di rimanere relegato nella stretta cerchia dei cinefili e dei circuiti di film d’essai.
Il contesto in cui Has si forma e lavora (e che si riflette immancabilmente nel suo cinema) è la mitteleuropa, da sempre fucina di personalità artistiche particolari ed imprevedibili (Kafka in primis), così come imprevedibile e sfaccettata è la cultura dell’europa centrale, inestricabile groviglio di tradizioni e usanze romaniche, iraniche, turche ed ebraiche. Da questo calderone prolifico non può che nascere una produzione artistica altrettanto prolifica. Has ne è un esempio.
“La clessidra” è tratto da una serie di racconti dello scrittore polacco Bruno Schulz, famoso per il suo piglio visionario e allucinato, per le sue indubbie qualità letterarie e per la particolarità dei suoi scritti (fra gli adattamenti su schermo segnalo quello straordinario, opera dei fratelli Quay, che rileggono filmicamente il racconto The street of crocodiles e ne fanno un corto animato). Schulz, nella sua prosa, è talmente sovrabbondante di immagini da essere paradossalmente impossibile da rendere per immagini. Has ci è riuscito creando un protagonista-esploratore (della sua psiche più che del mondo che lo circonda, anche se forse le due cose coincidono) e un universo impensabile, inafferrabile e affascinante. La storia è una non-storia in realtà, tutta incentrata sulla scoperta costante e sorprendente di mondi nei mondi, ogni scena ne partorisce al suo interno un’altra, ogni porta si apre su un paesaggio nuovo, differente (la logica, se poi ce n’è una, mi ricorda molto la struttura del frattale). Il personaggio principale si troverà a penetrare sempre più in profondità nel suo passato-memoria, il tempo è quello di una clessidra impazzita, un calendario bislacco che non crea salti temporali quanto compenetrazioni di vari livelli (piani) cronologici. La fantasia e la realtà, il desiderio e la paura, il passato e il futuro creano un mosaico distorto e ammaliante che il regista sa gestire con grande intelligenza estetica. I guizzi pittorici da de Chirico a Chagall, passando per Dalì, Klee e Magritte impreziosiscono il tessuto visivo, lo rendono labirintico, angoscioso e seducente.
Registicamente non si può che considerare Has un Fellini sommerso del cinema polacco (come disse di lui Morandini) pronto a stupire lo spettatore, guidarlo in un viaggio carrolliano e salvifico e infine, a film concluso, abbandonarlo esausto ma consapevole di aver assistito ad un capolavoro.

http://www.pellicolascaduta.it/wordpress/?p=1838

The Hour-Glass Sanatorium (1973) de Wojciech Has

Cine Polaco, cine surrealista, un mundo de códigos y los colores de la esquizofrenia, un viaje abstracto, un megáfono que repite una misma canción una y otra vez, Wojciech Has te manipula, te martilla la cabeza por un buen rato en esta magna obra: El Sanatorio Klepsydra.
Para los fanáticos del cine surrealista, no es difícil entrar en esta ficción , basta tener los ojos y oídos bien abiertos para hipnotizarse con este extraño relato.
La historia se sitúa previo a la Segunda Guerra Mundial, Joseph parte el viaje a bordo de un tren rumbo a ver a su padre moribundo que reside en un sanatorio, hasta ahí todo parece “normal” hasta que poco a poco las circunstancias comienzan a distorsionarse. Joseph se ve envuelto en un absurdo viaje mental, recorriendo sus traumas de infancia, la relación con su madre, con su padre, con el sexo y la sociedad de entonces.

En esa madeja, tan bien hilada y a la vez tan abstracta, nos podemos deleitar con el cuidadísimo tratamiento de la Dirección de Arte, a cargo de Andrzej Halinski.

Uno puede pensar que un buen lugar lo hace todo, pero para mí, todo tiene una posición, un lenguaje que se construye con objetos, con la decisión de dónde van esos objetos, lo que son y representan, así mismo el vestuario y el maquillaje, todo puesto en una olla efervescente que en esta película da cátedra y alienta incluso a aquel que no suele fijarse en esos detalles.

Cuando hablamos del sueño, del viaje mental, cada quien tiene sus propias condiciones, sus propios colores y transiciones, pero este filme pareciera ser la naturaleza del director, la manera de pasar de una idea a otra sin el menor pavor, sin temer a las exageraciones visuales, sin temer al tratamiento del desnudo como parte de nosotros mismos, como origen del ser humano, como visionando todos nuestros pecados, nuestros caprichos y por sobretodo nuestros temores envueltos en neblina, en lluvia repentina, en sonidos confusos y versiones deformadas de la realidad.
Esto me lleva a una seria reflexión: lo que esperamos del cine, no es sino sorpresa, identificación, abstracción. Una clásica e inmortal droga que nos acomoda en su butaca y nos anuncia nuestra eterna condición humana, donde somos una masa, donde somos un montón de ojos y mentes metidos en un frasco, a la espera de ser devorados por nosotros mismos y lo que podemos llegar a hacer.
Joseph, el protagonista, dice algo así:

¿Por qué me siento como si ya hubiese estado aquí?
Hace mucho tiempo
De hecho,
¿No conocemos de antemano todos los paisajes vistos durante nuestra vida?
¿Puede algo completamente nuevo suceder alguna vez?

http://galaxiaup.com/the-hour-glass-sanatorium-1973-de-wojciech-has/

HAS, Wojciech Jerzy

Enciclopedia del Cinema (2003)

di Silvana Silvestri

Has, Wojciech Jerzy

Regista cinematografico polacco, nato a Cracovia il 1° aprile 1925 e morto a Łódź il 3 ottobre 2000. Esponente della ‘scuola polacca’, caratterizzata dall’interesse per il problema nazionale e portatrice di un cinema intimo e personale, H. scelse di non approfondire le tematiche sociali o morali, ma, artista dalla vena surreale e fantastica, elaborò in maniera del tutto personale gli argomenti dominanti tra i registi della sua generazione, conducendo i protagonisti dei suoi film verso una strada di non ritorno, in un territorio al confine tra realtà e immaginazione. Fu sempre affascinato dai progetti destinati a non essere realizzati, dagli individui che si oppongono inutilmente agli avvenimenti, dai tempi che non possono ritornare. Diventato famoso in Occidente soprattutto per Rękopis znaleziony w Saragossie (1965; Il manoscritto trovato a Saragozza), ricevette riconoscimenti nei festival di San Sebastián, Edimburgo e Sitges, nonché un premio della giuria al Festival di Cannes per Sanatorium pod klepsydrą (1973; La clessidra). A Cracovia, tra il 1945 e il 1947, studiò pittura all’Akademia Sztuk Pięknych (Accademia di belle arti) e regia all’Instytut Filmowym (Istituto di cinematografia). Nel 1946 fu aiuto regista presso gli studi cinematografici di Łódź; quindi lavorò dal 1947 al 1950 alla Wytwórni Filmów Dokumentalnych (Casa di produzione dei documentari) di Varsavia, per la quale realizzò cinque documentari (sull’arte e sulla sua città natale), e dal 1950 al 1955 alla Wytwórni Filmów Oświatowych (Casa di produzione dei film didattici) di Łódź, girando una decina di film educativi, soprattutto sul mondo industriale. Il suo debutto nel cinema a soggetto avvenne con il lungometraggio Pętla (1957, Nodo scorsoio), dal romanzo di M. Hłasko: il percorso di un alcolizzato verso il suicidio, raccontato non secondo lo stile realistico dello scrittore, ma con un espressionismo che suggerisce le proiezioni mentali del protagonista. Pożegnania (1958, Gli addii), premiato al Festival di Locarno, è tratto dal romanzo di S. Dygat: il protagonista è un intellettuale che vorrebbe emergere, ma non ha le capacità per farlo, e assume quindi un comportamento annoiato e distaccato per dissimulare il suo fallimento. H. tornò sul tema degli intellettuali velleitari in Wspólny pokój (1960, La camera comune), dal romanzo di Z. Uniłowski: il film, ritratto della vita di bohème a Varsavia negli anni Trenta, racconta le vicende di un gruppo di giovani che vivono in una sola stanza, tra progetti non portati a termine e il vuoto interiore. Il cinema polacco si stava allontanando sempre più dall’impegno morale dei primi anni del dopoguerra e le tematiche si facevano più personali: Rozstanie (1961, La separazione), dal racconto di J. Żlyńska, premiato dai critici polacchi, è una ‘commedia dei sentimenti’ su una donna che ritorna per pochi giorni nella piccola città dov’è nata. Lo sguardo di H. risulta rivolto al passato anche in film di ambientazione moderna come Złoto (1962, L’oro), sulla vita degli operai di un grande complesso industriale, o Jak być kochaną (1963, Come essere amata), dal romanzo di K. Brandys, dove un’attrice in viaggio su un aereo ricorda le sofferenze subite sotto l’occupazione tedesca. Rękopis znaleziony w Saragossie è forse il film più famoso di H.: superproduzione storica, è un originale adattamento di un romanzo del 19° sec. del polacco J. Potocki, Manuscrit trouvé à Saragosse. H. vi mantiene un tono di divertimento intellettuale, lontano dal tipico romanticismo dei registi della sua generazione, portando innovazione e ironia nel panorama dei kolossal storici coevi nel suo Paese. Il protagonista Alfons van Worden (Zbigniew Cybulski, suo attore preferito), capitano della guardia reale, in epoca napoleonica viaggia dall’Andalusia a Madrid, tra incredibili e affascinanti avventure. Vennero in seguito Szyfry (1966, Cifre), dal racconto di A. Kijowski, sulle ferite non rimarginate della guerra, e Lalka (1968, La bambola), tratto da un romanzo di B. Prus, sull’infelice amore di un mercante per un’aristocratica. Sanatorium pod klepsydrą, a sua volta tratto dal ciclo di racconti di B. Schulz, è invece il ritratto di una comunità ebraica del Sud della Polonia: il protagonista arriva in un ospedale, dove incontra il padre morto da tempo, rivive quel che ha già vissuto, ma quando torna al villaggio trova che tutto è stato distrutto per sempre e ormai quel popolo non esiste più. Le tematiche della morte e del senso della vita caratterizzano anche i successivi film di H.: Nieciekawa historia (1983, Una storia banale); Pismak (1985, Lo scrittore); Osobisty pamiętnik grzesznika (1986, Diario intimo di un peccatore scritto da lui stesso), avventura onirica ambientata nella Scozia del 18° sec.; mentre l’ultimo, Niezwykła podróż Baltazara Kobera (1988, L’insolito viaggio di Baltazar Kober), attraverso l’odissea di un giovane nella Germania del 16° secolo, porta uno sguardo fantastico sulla vita come sogno oppure come incubo. Dal 1974 H. insegnò regia alla scuola di cinema di Łódź, dove diresse (1981-1987) l’unità produttiva Rondo (Tesa), e di cui fu rettore (1990-1996). bibliografia

Ph. Haudiguet, Nouveaux cinéastes polonais, in “Premier plan”, 1963, 27, nr. speciale, pp. 99-103.

K. Eberhardt, Wojciech Has, Warszawa 1967.

J. Fuksiewicz, Le cinéma et la télévision en Pologne, Varsovie 1976, pp. 33-34, 44, 59.

Le cinéma polonais, sous la direction de B. Michalek, Centre Georges Pompidou, Paris 1992 (catalogo della mostra), passim.

http://www.treccani.it/enciclopedia/wojciech-jerzy-has_%28Enciclopedia_del_Cinema%29/

Il manoscritto trovato a Saragozza di Wojciech Has inaugura La clessidra animata al Visionario

di redazione – 08.12.2014 – 13:57

UDINE – L’11 ottobre prenderà inizio la retrospettiva “La clessidra animata”  dedicata al regista polacco Wojciech Has con il film Il manoscritto trovato a Saragozza (1964). La retrospettiva, realizzata e proposta dalll’Istituto Polacco di Roma e dal Centro Sperimentale di Cinematografia – Cineteca nazionale, organizzata dal Centro Espressioni Cinematografiche in collaborazione con l’Università di Udine (Dipartimento di Lingue e Civiltà dell’Europa Centro-orientale), proseguirà il 18 ottobre con Il cappio (1958) e Gli addii (1958) per concludersi il 25 ottobre, sempre al Visionario di Udine, il 25 ottobre con tre film Camera comune (1959), Come essere amata (1962) e La clessidra (1973). Il cinema di Wojciech Jerzy Has (1925-2000), personalità singolare della scuola polacca, predilige l’odissea di personaggi  che vagano in un mondo angosciante e misterioso, ma un mondo che si stacca da qualsiasi contesto storico o da possibili riferimenti sociologici reali. Ciò che viene messo in risalto sono gli aspetti psiciologici dei protagonisti, spesso dalle caratteristiche contorte, e le atmosfere oniriche al limite del surreale. Il manoscritto trovato a Saragozza, tratto dall’omonimo romanzo di Jan Potocki (1761-1815) ha una struttura a scatole cinesi e si sviluppa attraverso una serie di racconti che si susseguono in un infinito gioco di specchi. La storia prende inizio con il viaggio a Madrid del giovane capitano delle Guardie Valloni, Alfons van Worden, che trova rifugio in una locanda dove incontra due principesse moresche. Queste, dopo avere svelato al capitano di essere sue lontane parenti, preannunciano che egli sarà artefice di grandi imprese. Alfons, nella prosecuzione del suo viaggio, viene in contatto con personaggi straordinari come il matematico Don Pedro Velasquez e un cabalista di nome Don Pedro Uzeda. Le avventure, eccentriche e folli, si susseguono in un’atmosfera in cui la realtà si confonde continuamente con il sogno. Precederà la proiezione un intervento del dott. Francesco Groggia Giovedì 11 ottobre 2007,  ore 20.00 Cinema Visionario, via Asquini, 33 – UDINE   Il manoscritto trovato a Saragozza di Wojciech Jerzy Has, Polonia 1964, 177′ versione completa in lingua originale con sottotitoli in italiano Info: CEC  Tel. 0432299545  cec@cecudine.org  www.cecudine.org

http://www.connessomagazine.it/il-manoscritto-trovato-saragozza-di-wojciech-has-inaugura-la-clessidra-animata-al-visionario

The Doll (Polish: Lalka) is a 1968 Polish film directed by Wojciech Jerzy Has.

The film is an adaptation of the novel The Doll by Bolesław Prus, which is regarded by many as one of the finest Polish novels ever written. The influence of Émile Zola is evident, and some have compared the novel to Madame Bovary by Gustave Flaubert; both were Prus’s contemporaries. The movie, however, may be more compared to Stendhal‘s The Red and the Black.

[1]The Doll constitutes a panorama of life in Warsaw between 1878 and 1879, and at the same time is a subtle story of three generations of Polish idealists, their psychological complications, their involvement in the history of the nineteenth century, social dramas, moral problems and the experience of tragic existence. At the same time this story describes the disintegration of social relationships and the growing separation of a society whose aristocratic elite spreads the models of vanity and idleness. In the bad air of a backward country, anti-Semitic ideas are born, valuable individuals meet obstacles on their way, and scoundrels are successful.

This poetic love story follows a nouveau riche merchant, Stanislaw Wokulski, through a series of trials and tribulations occasioned by his obsessive passion for an aristocratic beauty, Izabela Lecka (played by Beata Tyszkiewicz).

Plot

As a descendant of an impoverished Polish noble family, young Wokulski is forced to work as a waiter at Hopfer’s, a Warsaw restaurant, while dreaming of a life in science. After taking part in the failed 1863 Uprising against Tsarist Russia, he is sentenced to exile in Siberia. On eventual return to Warsaw, he becomes a salesman at Mincel’s haberdashery. Marrying the late owner’s widow (who eventually dies), he comes into money and uses it to set up a partnership with a Russian merchant he had met while in exile. The two merchants go to Bulgaria during the Russo-Turkish War, and Wokulski makes a fortune supplying the Russian Army. The enterprising Wokulski now proves a romantic at heart, falling in love with Izabela, daughter of the vacuous, bankrupt aristocrat, Tomasz Łęcki. In his quest to win Izabela, Wokulski begins frequenting theatres and aristocratic salons; and to help her financially distressed father, founds a company and sets the aristocrats up as shareholders in his business. The indolence of these aristocrats, who secure with their pensions, are too lazy to undertake new business risks, frustrates Wokulski. His ability to make money is respected but his lack of family and social rank is condescended to. Because of his “help” (in secret) to Izabela’s impecunious but influential father, the girl becomes aware of his affection. In the end she consents to accept him, but without true devotion or love.

From Wikipedia, the free encyclopedia

The plot of Gold Dreams is focused on the adventures of a young boy – Kazik (Władysław Kowalski), who arrives unexpectedly at coal strip mine. The excavation is a home for miners and people who came for money and adventure. Among them, there is an engineer, the geologist, Piotr (Krzysztof Chamiec), who is fatally ill with tuberculosis. It is Piotr who helps Kazik find a job and becomes his friend. He exposes also the reason for Kazik’s strange behaviour – the boy is hiding because he believes he caused a car crash in the past. The fear of imagined consequences of the crash makes Kazik balance on the verge of the real and the imagined. Torn between a desire to understand the world and closing himself inside his imagination, he functions between anxiety and bravado.

Gold Dreams is a piece which surprises the audience with the nature of the created reality. It seemingly matches the formula which may be associated with production film and yet it is a psychological tragicomedy about a young man searching for his place in the world. It is also a metaphor based on literary and romantic motifs (soil, mine, gold). This is an example of the poetic vision of cinema, characteristic of Wojciech Has.
Marcin Maron

http://10mff.nowehoryzonty.pl/film.do?id=4339

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