South Stream stop? la lunga storia di South Stream su controappunto, Putin e gli xenofobi europei

Perché la fine di South Stream è salutare per Cina e Turchia

03 – 12 – 2014Michele Pierri

Conversazione di Formiche.net con Matteo Verda, ricercatore dell’Università di Pavia e dell’Ispi, e autore del libro “Una politica a tutto gas”

South stream, il gasdotto che dal 2018 avrebbe dovuto portare in Europa il gas russo aggirando l’Ucraina, non si farà più. A minacciarlo è stato il presidente Vladimir Putin, che dalla Turchia ha detto che Mosca preferisce “ridirigere le sue risorse energetiche verso altre regioni del mondo“.

Ecco i riflessi economici ed energetici della notizia, analizzati in una conversazione di Formiche.net con Matteo Verda, ricercatore dell’Università di Pavia e dell’Ispi (e autore del libro “Una politica a tutto gas”).

Perché Putin ha annunciato di voler far saltare South Stream?

Innanzitutto per ragioni economiche. Il calo del prezzo del petrolio dà a uno degli azionisti di maggioranza del consorzio, Gazprom, meno flussi di cassa. La coperta si accorcia e così Mosca preferisce indirizzare le risorse su investimenti più vantaggiosi sul lungo periodo. Ad esempio quelli che sviluppano il canale orientale, quello con la Cina. In primo luogo perché sul lungo periodo l’economia cinese sarà in crescita, mentre quella europea molto meno. E poi perché la mancata realizzazione del gasdotto non impedirà al gas russo di rifornire il mercato europeo. In seconda istanza, come aggravante, c’è il peso delle sanzioni europee per la crisi ucraina, nonché tutti gli ostacoli che la Commissione di Bruxelles pone quotidianamente a Gazprom.

Su quali altri fronti si concentrerà la Russia? Mosca ha parlato di un nuovo gasdotto che dovrebbe servire solo il sud Europa.

Dal punto di vista puramente economico, la realizzazione di questo gasdotto mi sembra difficile, per gli stessi motivi per cui South stream non si farà più. A meno che non ci sia una forte volontà politica. Ad ogni modo, se realizzato (un’analisi dettagliata si può leggere sul blog Sicurezza energetica) priverebbe la strategia europea del Corridoio meridionale del gas della sua funzione anti-russa. La realizzazione di TAP-TANAP e quella del nuovo gasdotto russo saturerebbero ampiamente la nuova domanda di gas per i prossimi decenni, quantomeno su quella direttrice Ritengo molto più verosimile che si proceda ad un raddoppio di Blue Stream. La Turchia è molto contenta di intensificare le proprie relazioni energetiche con la Russia, perché ciò rafforza il ruolo di hub energetico del sud Europa che si sta a poco a poco costruendo.

Quali sono, invece, gli effetti per l’Italia?

​Per il nostro Paese il danno più grosso sono senza dubbio i mancati introiti per Saipem, che realizza una parte importante dei tubi del gasdotto. Probabilmente saranno previsti dei rimborsi, che non conosciamo perché i dettagli contrattuali non sono noti. Tuttavia il colpo non è da poco. A questo va sommata la scelta politica, in verità più europea che italiana, di continuare a dipendere da uno Stato semi-fallito come l’Ucraina, per il passaggio di una parte rilevante delle nostre risorse. Per l’Italia c’è un problema di sicurezza energetica, per fortuna relativo, perché legato alla volontà o meno di continuare a sostenere a fondo perduto Kiev.

Riguardo a South Stream, nelle scorse settimane lo stesso Descalzi aveva tracciato una linea oltre la quale non andare. Crede che questa notizia sia un passo ulteriore verso la Eni del nuovo ad, concentrata sull’estrazione e su un abbandono dei servizi, come detto a Formiche.net dal professor Sapelli?

Se l’obiettivo è vendere Saipem, la mancata realizzazione di South stream è senza dubbio un bel problema per Descalzi, e lo testimonia il tonfo in Borsa della compagnia ieri. È molto piu facile mettere sul mercato una compagnia con un contratto grosso in pancia. Sul fatto che poi Eni voglia concentrarsi su un altro modello di business, per farlo l’ad avrà bisogno di consenso politico.

http://www.formiche.net/2014/12/03/verda-south-stream-putin-eni/

Lo stop a South Stream e i rischi per l’Italia

3 dicembre 2014 Luigi dell’Olio, Rbth
Putin frena sul progetto del gasdotto che avrebbe dovuto collegare la Russia e l’Unione europea. Il gas verrà riorientato verso altri consumatori. E il premier italiano Matteo Renzi minimizza: “Non lo consideriamo fondamentale”
Lo stop a South Stream e i rischi per l'Italia
La costruzione del gasdotto avrebbe dovuto prendere il via alla fine del 2012, con l’obiettivo di arrivare al completamento entro il 2015. Ma fin da subito sono emersi contrasti tra i Paesi interessati (Foto: Ramil Sitdikov / Ria Novosti)

Lo stop al progetto South Stream, gasdotto da 3.600 chilometri destinato a collegare la Russia e l’Unione Europa (senza passare per l’Ucraina), impone all’Italia un ripensamento delle strategie di rifornimento. Anche se la partita, al di là delle dichiarazioni ufficiali, non può dirsi del tutto chiusa.

La notizia dell’addio al progetto è giunta il 1° dicembre direttamente dalla bocca di Vladimir Putin, durante la sua visita in Turchia. Il Presidente russo ha spiegato che la Federazione “è costretta a ritirarsi dal progetto South Stream a causa della mancanza di volontà dell’Ue di sostenere il gasdotto”. Per poi aggiungere che “il gas verrà riorientato verso altri consumatori”.

Il progetto

La notizia ha spazzato via in un sol colpo sette anni di lavori, iniziati con la firma di un memorandum tra la compagnia del gas russa e l’italiana Eni, al quale ha fatto seguito nel 2009 la definizione del tracciato, in un incontro tra i top manager delle due società, alla presenza dei premier dell’epoca, Silvio Berlusconi e Vladimir Putin. Il tracciato prevedeva un tratto sottomarino di 930 chilometri attraverso il Mar Nero (in acque russe, bulgare e turche) e uno su terra (con attraversamento di Bulgaria, Serbia, Ungheria e Slovenia, fino all’Italia).

Data la vastità dell’iniziativa e il suo valore geopolitico, nel tempo l’azionariato è stato aperto anche alla tedesca Wintershall e alla francese Edf, che hanno acquisito il 15% a testa dall’Eni, mentre Gazprom ha mantenuto costante il suo 50%.

Pesano le tensioni internazionali

La costruzione avrebbe dovuto prendere il via alla fine del 2012, con l’obiettivo di arrivare al completamento entro il 2015, ma da subito sono emersi contrasti tra i Paesi interessati, mentre i 14 miliardi di euro, che rappresentavano la prima stima dei costi, sono progressivamente saliti fino a quota 23 miliardi. Lo scoppio della crisi ucraina, con il peggioramento dei rapporti tra l’Occidente e la Russia, ha fatto il resto. Le pressioni statunitensi e dell’Unione europea (che ha sollevato dubbi sulla compatibilità di questa iniziativa con le strategie comunitarie) hanno spinto la Bulgaria a vietare i lavori sul suo territorio. Una situazione che ha acuito le tensioni, fino all’annuncio dell’altro giorno.

Danni ingenti per l’Italia

La reazione della Borsa alla notizia è stata violenta verso il Saipem, controllata dell’Eni che si occupa di infrastrutture energetiche, con il titolo che ha chiuso la seduta di ieri in calo del 10,83%. Diverse case d’affari si sono affrettate a rivedere al ribasso il target price della società, stimando un impatto negativo intorno ai 2 miliardi di euro.

Il premier italiano, Matteo Renzi, ha provato a minimizzare, ricordando che “il progetto di South Stream era fortemente contrastato e condizionato dalla procedura di infrazione dell’Unione Europea, era un progetto che non consideriamo fondamentale per l’Italia”. Così, “la decisione di bloccarne la realizzazione non costituisce un elemento di preoccupazione immediata”. Renzi ha aggiunto di confidare nelle alternative, a cominciare dall’Algeria, dove si trova in visita in questi giorni, e dalla Libia. Anche se il passaggio di testimone non sarà semplice, date le tensioni geopolitiche nel Sud del Mediterraneo.

Sulla vicenda si è espresso l’ex-ad dell’Eni, Paolo Scaroni, secondo il quale, “visti i rapporti tesi tra Europa e Russia, Putin non aveva alternative”. Per il manager vicentino, più che lo stop della Bulgaria, ha pesato il ritardo dell’Unione europea nel concedere il via libera definitivo, condizione essenziale per  attivare il consorzio bancario chiamato a finanziare gran parte del progetto. “Mosca avrebbe dovuto sostenere da sola un investimento di svariati miliardi. Impensabile di questi tempi, e con i problemi che la Russia è chiamata ad affrontare”, ha spiegato Scaroni. Il quale ha sottolineato l’importanza del gasdotto per l’Europa: “Sarebbe stata un’iniziativa positiva per la sicurezza delle forniture energetiche”.

In ogni caso, il capitolo non è del tutto chiuso. Da Bruxelles, il vicepresidente della Commissione Ue con delega per l’unione energetica, Maros Secfovic, ha fatto sapere che “il prossimo incontro per la pipeline era stato pianificato per il 9 dicembre e si terrà lo stesso”. La porta resta dunque aperta, con gli sherpa già impegnati per provare a riavviare il dialogo.

http://it.rbth.com/economia/2014/12/03/lo_stop_a_south_stream_e_i_rischi_per_litalia_33693.html

 

Soldi e ideologia, il filo doppio di Putin con la destra europea (c’è anche Salvini)

Le nuove destre europee sono attratte dal nazionalismo russo, che cerca interlocutori (meglio se potenziali forze di governo, come il Front National, lo Ukip o la Lega) per indebolire il sostegno alle sanzioni Ue

 

Non solo i 9 milioni di euro “prestati” al Front National di Marine Le Pen – attraverso una banca ceco-russa, la First Czech Russian Bank – ma un sostegno attivo all’intero fronte delle destre radicali ed euroscettiche. Forse compresa la Lega Nord, anche se dal Carroccio fanno sapere di «non aver ricevuto né un euro né un rublo» da Mosca.

Le rivelazioni degli ultimi giorni, emerse grazie al lavoro dell’équipe di Mediapart ma confermate nella loro fondatezza dalla stessa leader dell’estrema destra francese, proiettano una luce nuova sui rapporti che da tempo legano il Cremlino a diversi movimenti populisti e xenofobi d’Europa. Se dopo il voto europeo del 25 maggio queste liasons dangereuses sono emerse in modo palese in diverse realtà, il primo segnale d’allarme era venuto da un dossier diffuso in precedenza dal Political Capital Institute di Budapest e significativamente intitolato Russia connection, che sottolineava come Putin stesse appoggiando, anche economicamente, alcune forze euroscettiche e di estrema destra.

Secondo Péter Kreko, dell’istituto di ricerca magiaro, il Cremlino avrebbe varato negli ultimi anni una sorta di “Piano Marshall” a beneficio dell’ultradestra, cominciando dagli esponenti dell’Alleanza europea dei movimenti nazionali che comprende, tra gli altri, anche il British National Party, il Movimento Sociale Repubblicano spagnolo, ciò che resta della Fiamma Tricolore italiana e l’eurodeputato del Front National francese Bruno Gollnish, sotto la guida di Jobbik. Una delegazione dell’Alleanza è stata invitata alla Duma nel 2013, mentre solo negli ultimi mesi l’europarlamentare di Jobbik Bela Kovacs è stato formalmente accusato di aver svolto attività di spionaggio a favore di Mosca.

Il caso ungherese non avrebbe fatto però che da apripista per una strategia poi estesa all’insieme delle formazioni estremiste ed euroscettiche, come ha spiegato su Foreign Affairs Mitchell A. Orenstein, docente di studi eurasiatici e di Storia russa dell’Università di Harvard, citando diversi documenti riservati relativi all’appoggio offerto da Mosca al partito razzista bulgaro di Ataka e addirittura ad Alba Dorata in Grecia: uno degli ideologi di Putin, Aleksandr Dughin, è arrivato a rendere pubblica la lettera di sostegno che ha inviato al leader del gruppo, Nikos Michaloliakos, arrestato dopo l’assassinio del rapper Pavlos Fyssas.

Ma naturalmente è nei confronti di formazioni che hanno ormai assunto un profilo meno estremista e godono nei rispettivi paesi di larghi consensi che si concentra ora l’attenzione del potere russo. Così, da almeno un paio d’anni, Parigi sarebbe diventata il cuore di questa diplomazia bruna dei russi. Solo un esempio: la web tv Pro Russia, emanazione diretta del Cremlino, sovvenziona l’emittente on-line dell’estrema destra locale, dopo aver assunto come direttore dei suoi programmi in lingua francese un esponente del Front National, Gilles Arnaud e aver utilizzato la struttura tecnica dell’Agence2Press, il canale web del Bloc Identitaire, movimento giovanile vicino al partito di Le Pen. Del resto, la presidente del Front National è stata più volte ospite delle istituzioni russe, o invitata nel paese dai rappresentanti di Russia-Unita, ed è una presenza fissa sia delle tv satellitari come Russia Today che della radio Voce della Russia.

Se il Front National rappresenta il migliore avamposto per la politica di Vladimir Putin in Europa – «si è deciso di puntare su Marine Le Pen anche grazie al lavoro di “tessitura” svolto dallo studioso di geopolitica Aymeric Chauprade, candidato del Fn alle europee e particolarmente ben introdotto presso l’establishment moscovita», spiegava un’inchiesta del Nouvel Observateur, dal titolo Putin, le grand frère de fachos –, non nascondono la loro ammirazione per l’uomo forte del Cremlino molti altri esponenti delle destre euroscettiche. Dagli inglesi dello Uk Independence Party ai liberal-nazionali austriaci dell’Fpö, dagli olandesi del Partito della Libertà ai tedeschi dell’AfD, fino alla Lega Nord.

Infatti, non solo Matteo Salvini è volato più volte a Mosca anche nel corso degli ultimi mesi, ma il Carroccio ha invitato a Milano Andrew Kovalenko, leader del movimento eurasiatico russo, e ha voluto il deputato di Russia Unita Victor Zubarev al proprio congresso “federale” di Torino.
L’abbraccio tra il regime di Putin e gli euroscettici sembra così configurarsi come l’incontro dei reciproci interessi.

Da un lato, le nuove destre europee guardano alla Russia perché la linea nazionalista, anti-immigrati e anti-gay sostenuta da Mosca appare l’orizzonte migliore per chi si vuole nemico dell’integrazione europea e difensore dell’identità dei singoli Stati-nazione e avversario irriducibile del “mondialismo” e della democrazia a vocazione cosmopolita che dipinge come “made in Usa”.

«La Russia è oggi la principale risorsa con cui si può contrastare l’egemonia americana in Europa», ha scritto di recente il fondatore della Nouvelle Droite, Alain de Benoist, di recente ospite della Lega a Milano.

Dall’altro, e l’emergere di cospicui finanziamenti provenienti da Mosca non farebbe che confermarlo, Putin sembra puntare molto sul possibile ruolo di disgregazione svolto all’interno dell’Unione europea da partiti e movimenti euroscettici, capaci oggi di indirizzare verso posizioni filo-russe una parte dell’opinione pubblica europea e domani, chissà, di accedere al governo modificando concretamente la politica nei confronti della Russia di questo o quel paese.

Una strategia che non a caso è messa in campo proprio mentre le sanzioni e il parziale isolamento internazionale patito dal Cremlino per le vicende ucraine sta ponendo non pochi problemi all’establishment russo. “Osservatori” internazionali scelti tra i parlamentari europei dell’estrema destra, su tutti proprio Marine Le Pen, sono stati così chiamati a confermare la legittimità del referendum di secessione della Crimea dall’Ucraina. A chi vorrebbe costringerlo sulla difensiva, Putin replica sostenendo quei movimenti che mirano apertamente a far saltare in aria l’Unione europea.

http://www.europaquotidiano.it/2014/11/26/soldi-e-ideologia-il-filo-doppio-di-putin-nella-destra-europea-ce-anche-salvini/

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