In ricordo di Mark Strand alcune poesie

In ricordo di Mark Strand

di pubblicato domenica, 30 novembre 2014 · 2 Commenti

Oggi è morto Mark Strand, uno dei più grandi poeti contemporanei. Lo ricordiamo pubblicando due sue poesie – La collina e La luce che viene – tratte dalla raccolta Il futuro non è più quello di una volta, curata  da Damiano Abeni per minimum fax. (Fonte immagine)

LA COLLINA

Sono arrivato fin qui con le mie gambe,

perso l’autobus, persi i taxi,

sempre in salita. Un piede avanti all’altro,

è così che faccio.

Non mi inquieta, la collina di cui non vedo fine.

Erba sul ciglio della strada, un albero che fa risuonare

le foglie nere. E allora?

Più cammino, più mi allontano da tutto.

Un piede avanti all’altro. Passano le ore.

Un piede avanti all’altro. Passano gli anni.

I colori dell’arrivo sbiadiscono.

È così che faccio.

da Darker (1970)

LA LUCE CHE VIENE

Perfino così tardi avviene:

l’amore che arriva, la luce che viene.

Ti svegli e le candele si sono accese forse da sé,

le stelle accorrono, i sogni entrano a fiotti nel cuscino,

sprigionano caldi bouquet d’aria.

Perfino così tardi gli ossi del corpo splendono

e la polvere del domani s’incendia in respiro.

da The Late Hour (1978)

http://www.minimaetmoralia.it/wp/in-ricordo-di-mark-strand/

My Name

Once when the lawn was a golden green
and the marbled moonlit trees rose like fresh memorials
in the scented air, and the whole countryside pulsed
with the chirr and murmur of insects, I lay in the grass,
feeling the great distances open above me, and wondered
what I would become and where I would find myself,
and though I barely existed, I felt for an instant
that the vast star-clustered sky was mine, and I heard
my name as if for the first time, heard it the way
one hears the wind or the rain, but faint and far off
as though it belonged not to me but to the silence
from which it had come and to which it would go.

Mark Strand

Il mio nome

Una sera che il prato era verde oro e gli alberi,
marmo venato alla luna, si ergevano come nuovi mausolei
di strida e brusii di insetti, io stavo sdraiato sull’erba,
ad ascoltare le immense distanze aprirsi su di me, e mi chiedevo
cosa sarei diventato e dove mi sarei trovato,
e quanto a malapena esistessi, per un attimo sentii
che il cielo vasto e affollato di stelle era mio, e udii
il mio nome come per la prima volta, lo udii
come si sente il vento o la pioggia, ma flebile e distante
come se appartenesse non a me ma al silenzio
dal quale era venuto e al quale sarebbe tornato.

Da: L’uomo che cammina a un passo avanti al buio Poesie 1964-2006 di Mark Strand, Oscar Mondadori, 2011 traduzione di Damiano Abeni

Snowfall,

Watching snow cover the ground, cover itself,
cover everything that is not you, you see
it is the downward drift of light
upon the sound of air sweeping away the air,
it is the fall of moments into moments, the burial
of sleep, the down of winter, the negative of night

La poesia del poeta spagnolo

In una camera d’albergo chissà dove nello Iowa un poeta

americano stanco delle proprie poesie, stanco di esse-

re un poeta americano, si lascia andare sullo schiena-

le della sedia e immagina di essere un poeta spagno-

lo, un vecchio poeta spagnolo, che si avvicina alla fine

della vita, che cammina fino al Guadalquivir e guar-

da le navi, grigie e spettrali nel crepuscolo, discendere

la corrente. Le piccole onde, che si avvicinano all’ar-

gine erboso dove siede, sussurrano qualcosa che non

riesce a sentire s’increspano e ricadono. E al-

lora cosa fa il poeta spagnolo? Si mette una mano in

tasca, ne estrae un taccuino, e scrive:

Mosca nera, mosca nera

perché mi sei venuta addosso

è per la mia camicia

bianca e nuova la camicia

con i bottoni d’osso

è per il mio vestito

di Mark Strand

Traduzione di Damiano Abeni

“Poem of the Spanish Poet” by Mark Strand from Sean vonLembke on Vimeo.

Penso alle vite innocenti
delle persone nei romanzi: sanno che morranno
ma non che il romanzo finirà. Come sono diverse
da noi. Qui, la luna osserva istupidita,
tra nubi sparse, la città assopita,
e il vento ammonticchia le foglie cadute,
e qualcuno – vale a dire, io – sprofondato in poltrona,
sfoglia le pagine che mancano, sapendo che non c’è
molto tempo per l’uomo e la donna nella camera a ore,
per la luce rossa sopra la porta, per l’iris
che proietta la propria ombra sul muro; non molto tempo
per i soldati sotto gli alberi lungo il fiume,
per i feriti che vengono trasferiti
in città di retrovia dove resteranno;
la guerra che ha infuriato per anni finirà,
come pure qualsiasi altra cosa, tranne una presenza
difficile da definire, una traccia, come l’odore dell’erba
dopo una notte di pioggia o quel che resta di una voce
che ci fa sapere senza sillabarlo
di non disperare; se la fine è prossima, anch’essa passerà.

Mark Strand

(Traduzione di Damiano Abeni)

Mark Strand, il poeta del futuro anteriore (che non è più quello di una …

Edward Hopper l’incomunicabilità nel deserto metropoli e oltre

 

Questa voce è stata pubblicata in cultura e contrassegnata con . Contrassegna il permalink.