L’eredità di Enrico Fermi a 60 anni dalla scomparsa; Maiorana, Dirac, Sette volte la rivoluzione

28 novembre 2014

L’eredità di Enrico Fermi a 60 anni dalla scomparsa

Il 28 novembre del 1954 scompariva, all’età di soli 53 anni, Enrico Fermi, uno degli scienziati più influenti del XX secolo. I suo contributi sono stati fondamentali sia nel campo della fisica teorica sia in quello della fisica sperimentale, nell’ambito della quale nel 1938 ha ricevuto il premio Nobel. Trasferitosi negli Stati Uniti subito dopo l’approvazione delle leggi razziali italiane, sua moglie Laura Capon era di famiglia ebrea, durante la seconda guerra mondiale Fermi ha realizzato la prima pila atomica e ha partecipato al Progetto Manhattan, che ha sviluppato la prima bomba atomica.

Ma qual è l’eredità di Fermi? Lo abbiamo chiesto a Luisa Cifarelli, professore ordinario di Fisica all’università di Bologna e presidente della società italiana di Fisica (SIF).
È un’eredità enorme, perché fu un grande fisico e un grande matematico, capace di avere geniali intuizioni in termini di comprensione dei fenomeni e al contempo di progettare gli esperimenti in grado di verificarle. Non dimentichiamo poi il suo grande interesse per i calcolatori e la sua capacità di insegnare ai più giovani, come dimostrato non solo a Roma ma anche poi negli Stati Uniti: i ragazzi di via Panisperna, come vennero chiamati i giovani scienziati che collaborarono con lui come Ettore Majorana, Bruno Pontecorvo ed Emilio Segrè (Premio Nobel 1959) hanno dato contributi fondamentali alla fisica del Novecento, mentre Tsung-Dao Lee e Jack Steinberger, due suoi celebri allievi negli Stati Uniti, hanno vinto il Premio Nobel nel 1957 e nel 1988, rispettivamente.

L'eredità di Enrico Fermi a 60 anni dalla scomparsa
© Bettmann/CORBIS

Quali sono i contributi più importanti di Fermi nel campo della fisica?
I contributi sono moltissimi e tutti di grande valore. Possiamo citare la teoria nota come statistica di Fermi-Dirac che insieme a quella di Bose-Einstein distingue in due categorie le particelle in base al loro spin, fornendoci una chiave d’interpretazione fondamentale del mondo che ci circonda. A questo proposito, mi piace ricordare che nel 1926, Fermi, allora venticinquenne, scrisse a Dirac una lettera per rivendicare di avere pubblicato per primo la teoria: questo la dice lunga anche su un carattere fuori dal comune.

Ricordiamo poi la teoria del decadimento beta del 1933, pubblicata prima sulla “Ricerca Scientifica” del CNR e poi sul “Nuovo Cimento” della SIF: introduceva un nuovo tipo di interazione fondamentale ed era talmente avveniristica che si dice venne rifiutata da “Nature”! Mentre l’Italia sotto il fascismo era obbligata a scrivere tutto in italiano, anche gli articoli scientifici, il giovanissimo Fermi conosceva tutto ciò che veniva pubblicato all’estero.

C’è poi tutta la ricerca sperimentale di Via Panisperna…
Sì certamente, è un’altra tappa fondamentale; nel periodo dal 1934 in poi studiò la radioattività indotta in diversi materiali da sorgenti di neutroni e l’effetto dei neutroni lenti; anche in questo caso ebbe un’intuizione geniale: interporre tra materiale e sorgente un secondo materiale in grado di rallentare i neutroni. Su questo tema c’è un bellissimo episodio secondo cui un giorno di ottobre tornò di corsa a Via Panisperna per verificare se l’acqua della fontana del giardino dell’istituto fosse una sostanza adatta per il rallentamento dei neutroni. Nel 2012, quella stessa fontana è stata dichiarata primo sito storico della Società Europea di Fisica, e alla cerimonia era presente il presidente della Repubblica Napolitano.

E poi negli Stati Uniti?
Negli Stati Uniti continuò i suoi studi sulla fisica nucleare arrivando a realizzare la prima pila atomica, cioè la prima reazione di fissione controllata, che aprì le porte negli anni successivi all’energia nucleare per uso civile e, ahimè, anche a quella per uso militare, per le necessità belliche di quei tempi orribili. Questo però non deve gettare un’ombra sulla figura di Fermi: i maggiori fisici dell’epoca, anche Einstein, sostennero o collaborarono a questi progetti. E si potrebbe andare avanti ancora ricordando i successivi esperimenti di Fermi al ciclotrone di Chicago, la sua teoria sull’origine dei raggi cosmici o le sue previsioni sugli sviluppi degli acceleratori; cito solo i suoi contatti con l’Italia, anche in questo periodo americano, con il suo contributo propulsivo alla fondazione dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN), alla costruzione del primo sincrotrone di Frascati e del più avanzato centro di calcolo a Pisa. Fu insomma uno scienziato di statura intellettuale straordinaria, le cui ricerche danno ancora oggi i loro frutti.

E allora come ricordare questa figura così importante?
Nel 2001 è nato il Museo Storico della Fisica e Centro di Studi e Ricerche Enrico Fermi, che attualmente ho l’onore di presiedere. L’obiettivo è proprio quello di ricordare la sua attività scientifica e di fare ricerca con un atteggiamento interdisciplinare, a cui Fermi teneva particolarmente, soprattutto nell’ultima parte della sua vita. La sede, simbolicamente, è quella dello storico Istituto di Fisica di via Panisperna, dove Fermi fece le sue più importanti ricerche sulla radioattività e sui neutroni, quelle che gli valsero il Premio Nobel per la Fisica nel 1938. Si tratta, mi piace ricordarlo, di un Nobel tutto italiano.

Anche la Società italiana di fisica ha avuto con Fermi relazioni importanti…
Certamente. Fermi è stato vicepresidente della SIF all’epoca in cui era presidente Quirino Majorana, zio di Ettore, scomparso nel 1938. Nel 1954, quindi nell’anno della morte, Fermi venne in Italia per tenere delle memorabili lezioni di fisica nucleare alla scuola SIF di Varenna, che ora è a lui intitolata. C’è poi il Premio istituito dalla SIF nel 2001, e intitolato a Fermi anche su mia insistenza

http://www.lescienze.it/news/2014/11/28/news/enrico_fermi_60_anniversario_anni_scomparsa-2393088/

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