somalo in fila per permesso di soggiorno, stigma su stigma : Cristo non si ferma a ebola

È stato un falso allarme quello scattato all’ufficio immigrazione di Roma. Nessun caso di Ebola in Italia, quindi. L’uomo di origine somala che, stamattina, ha accusato un malore mentre era in fila per rinnovare il permesso di soggiorno non metteva piede in Africa da due anni, quando è arrivato in Italia. A smentire un possibile caso nel Paese è stato il medico che ha seguito le procedure di controllo all’ospedale Umberto I. Il dottore ha rispettato il protocollo del ministero della Salute per i casi sospetti, ma ha deciso di escludere quasi subito la possibilità di un contagio dal virus della febbre emorragica, dato che l’uomo non tornava nel paese d’origine da 2 anni. Le cause del malore sono da attribuire a una crisi epilettica.

Il somalo si è sentito male e “si è accasciato a terra in preda alle convulsioni, con il sangue che gli usciva dal naso a fiotti”, racconta il segretario generale del Siulp, Saturno Carbone, riportando i racconti dei suoi colleghi dell’Ufficio Immigrazione. ”Chiediamo un maggiore impegno dell’amministrazione ad ogni livello, per migliorare le condizioni di lavoro del personale esposto irresponsabilmente a questo rischio”, ha continuato Carbone, preoccupato per le possibili conseguenze di una situazione del personale. Dopo 20 minuti in cui ci sono state difficoltà organizzative, sono scattate le procedure d’emergenza e c’è stato l’intervento del 118, che lo ha trasportato all’ospedale Umberto I per accertamenti. Da una prima visita è risultato che l’uomo ha la febbre. Anche il Segretario Generale del sindacato di Polizia Anip, Flavio Tuzi, ha chiesto misure di prevenzione riduzione del rischio di contagio per il personale che lavora con i migranti: ”Gli operatori hanno paura – dice -, basterebbe prendere delle precauzioni minime come monitorare le condizioni di salute dei dipendenti prima e dopo il contatto con i soggetti a rischio, attuando protocolli con centri specializzati come l’ospedale Spallanzani. Invece, mentre a Roma si moltiplicano i centri di accoglienza che negli ultimi mesi sono passati da 13 a 57, non è stato ancora predisposto un serio Piano di sicurezza sanitaria”.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/10/13/ebola-falso-allarme-a-roma-si-tratta-di-crisi-epilettica/1153573/

I numeri dell’Epilessia: 6 milioni di persone colpite in Europa e circa 500.000 in Italia (ma i dati sono certamente sottostimati) ne fanno una delle malattie  più diffuse, tanto da essere considerata una  “malattia sociale”. Nel concetto di “malattia sociale” è certamente insito un aspetto importante legato a questa patologia: quello dello “stigma” sociale che grava su chi ne è colpito. Di questo aspetto particolare abbiamo già scritto per altre patologie come le malattie mentali o l’HIV-AIDS.

Molti epilettici sono considerati “ritardati”, anche se tutte le evidenze scientifiche e cliniche dimostrino come non vi siano correlazioni tra l’Epilessia ed il ritardo mentale. Questa credenza porta ad allontanare ed a discriminare i malati di Epilessia che, per questo motivo, tendono a nascondere la loro condizione. Ad essere colpiti da questa sorta di ostracismo sociale sono soprattutto i bambini ed i giovani malati e l’atteggiamento negativo nei loro confronti arriva maggiormente dai loro coetanei, anche se gli adulti non ne sono del tutto estranei. Per questo motivo la LICE ha pensato e lanciato recentemente – soprattutto nelle Scuole – un Progetto denominato “Se all’improvviso…“.

http://superabile.it/web/it/CANALI_TEMATICI/Salute_e_Ricerca/Banca_dati/Schede_Informative/info-696431366.htm

Cristo non si ferma a ebola

Pubblicato il 12 ottobre 2014 di

«Un certo signore della legge disse a Gesù: Chi è il mio prossimo? E Gesù rispose: Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e incappò nei briganti che lo spogliarono, lo percossero e poi se ne andarono, lasciandolo mezzo morto.  Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e quando lo vide passò oltre dall’altra parte.  Anche un levita, giunto in quel luogo, lo vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto lo vide e n’ebbe compassione.  Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi, caricatolo sopra la propria cavalcatura, lo portò a una locanda e si prese cura di lui. Chi di questi tre ti sembra sia stato il prossimo di colui che è incappato nei briganti? Quegli rispose: Chi ha avuto compassione di lui. Gesù gli disse: Va’ e fa’ anche tu lo stesso».
Al virus ebola non importa della parabola del buon samaritano. Sono proprio quelli che si fanno vicino e fasciano le ferite i primi a infettarsi e morire. È successo così a Thomas Duncan il “paziente zero” americano. Duncan aveva contratto il virus a Monrovia, Liberia, aiutando la figlia di una coppia di amici, una giovane incinta, a recarsi in ospedale. La giovane è poi deceduta, e così il suo bambino non nato. Quando ancora non aveva sintomi dell’ebola, Duncan era sbarcato negli Stati Uniti: era tornato per riunirsi alla famiglia, il figlio tredicenne Karsiah e la madre di questi, Louise Troh. Il 42enne liberiano era fidanzato con Louise e i due speravano di sposarsi presto: «Era un uomo stupendo, generoso e affettuoso», ha detto la signora Troh. Duncan era un buon samaritano.
Ebola è una febbre emorragica molto grave e spesso mortale. È un virus estremamente contagioso. Il tasso di mortalità tra i casi accertati varia dal venticinque al novanta per cento, a seconda del ceppo. Ci sono cinque ceppi diversi del virus ebola. Ebola è apparsa per la prima volta nel 1976 in epidemie simultanee in Sudan e nel Congo, in un villaggio situato vicino al fiume Ebola, da cui la malattia ha preso il nome. Il contagio si è sviluppato attraverso il contatto con animali infetti come scimpanzé, gorilla, pipistrelli, scimmie, antilopi della foresta e porcospini trovati morti o malati nella foresta pluviale. La malattia può essere contratta sia dagli esseri umani che dagli animali. Non si trasmette per via aerea. La trasmissione tra esseri umani avviene attraverso il contatto diretto con sangue, secrezioni o altri liquidi corporei di una persona affetta. A esempio, il contatto diretto con i cadaveri, durante i funerali. I funerali sono un rito importante nelle comunità colpite dall’epidemia: le persone lavano e toccano il cadavere per esprimere il loro amore verso il deceduto. Ma nelle ore che precedono la morte, il virus diventa estremamente virulento e quindi il rischio di contagio è più elevato. I sintomi possono manifestarsi in un periodo compreso tra i due e i ventuno giorni dopo il contatto. Diagnosticare ebola in un individuo che è stato infettato da pochi giorni è molto difficile, perché i primi sintomi, come gli occhi arrossati, i dolori muscolari e l’insorgenza della febbre, non sono specifici e sono spesso riscontrabili in pazienti con malattie molto più comuni.
Suor Chantal Pascaline era una buona samaritana. La religiosa dell’istituto delle Missionarie dell’Immacolata Concezione, è deceduta  in agosto a Monrovia, Liberia. Aveva contratto il virus assistendo i malati insieme con padre Miguel Pajares, missionario spagnolo trasferito a Madrid e ora sottoposto a trattamento con un vaccino sperimentale.
Fra Patrick Nshamdze, religioso dei Fatebenefratelli e direttore del nosocomio di Monrovia, Liberia, era un buon samaritano. Aveva cinquantadue anni e da ventitre faceva parte dell’ordine ospedaliero San Giovanni Di Dio. Anche fra Manuel García Viejo, medico chirurgo dell’Ospedale San Giovanni di Dio di Lunsar, in Sierra Leone, è stato colpito dal virus.
Fra Jesùs Etayo, priore generale dell’Ordine, ha detto che è loro intenzione continuare a essere al servizio della popolazione in Liberia e in Sierra Leone, specialmente in questo momento, «che hanno più bisogno di noi». Ha detto che pregherà. Anche papa Francesco ha detto che pregherà la Madonna. Non so se sarà sufficiente a fermare ebola.
A Napoli nei laboratori di Okairos si lavora per realizzare una piattaforma tecnologica per far entrare in azione i linfociti killer contro il virus di ebola. Per armare il sistema immunitario verrebbe usata una specie di “navetta”, che porta altri virus meno pericolosi, come gli adenovirus. A quel punto la reazione dei linfociti killer dovrebbe sopprimere ebola. Si lavora, di corsa.
Siamo a 3439 i morti su un totale di 7492 casi accertati, secondo gli ultimi dati dell’Oms dell’8 ottobre. C’è stato il primo episodio di contagio in Spagna, e ogni giorno c’è allarme in qualcuno dei Paesi ricchi per qualche caso sospetto. Ora l’occidente ha paura, ora si mobilita.
Eppure l’epidemia è scoppiata oltre sei mesi fa. Erano poche decine di casi, in Guinea, in una regione al confine con Sierra Leone e Liberia. L’ong Medici senza frontiere, anche loro in prima linea, aveva subito lanciato l’allarme sui rischi che il contagio si allargasse rapidamente. Non è accaduto assolutamente nulla. Adesso, che il contagio è arrivato qui, si fanno le esercitazioni in Gran Bretagna, si fanno i controlli all’aeroporto JFK di New York, all’O’ Hare di Chicago, al Dulles di Washington e allo scalo di Atlanta.
«Aronne alzò il bastone e percosse le acque del Nilo sotto gli occhi del faraone e dei suoi servi. Tutte le acque del Nilo si mutarono in sangue. I pesci che erano nel Nilo morirono e il Nilo ne divenne fetido, così che gli Egiziani non poterono più berne le acque. Vi fu sangue in tutto il paese d’Egitto. Sette giorni trascorsero dopo che il Signore aveva colpito il Nilo» [Esodo].
Le teorie cospirazioniste che girano in rete in questo periodo – ebola sarebbe in realtà un virus creato dall’uomo, scatenato per gli scopi più disparati: per il profitto delle case farmaceutiche, per realizzare una selezione eugenetica, per imprecisate motivazioni militari, per modificare la specie umana, per adempiere ai precetti di un culto misterioso – avrebbero spiegato le dieci piaghe d’Egitto con qualche complotto.
Aronne e Mosè non sapevano nulla di ebola. Forse neppure Dio sapeva nulla di ebola. Ebola non fu tra le dieci piaghe dell’Egitto. E non durerà sette giorni.
Ma il Faraone c’è ancora, coi suoi maghi e i suoi soldati e i suoi servi.

Nicotera, 11 ottobre 2014

http://lanfrancocaminiti.wordpress.com/2014/10/12/il-virus-ebola-e-i-buoni-samaritani/

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