Il cuore di un bimbo di 2Kg, mandato a casa troppo presto

Il cuore di un bimbo di 2Kg, mandato a casa troppo presto

Un anno fa prendevo un batuffolo di 2,020 kg e me lo portavo a casa,

Eccoci, liberi dal passo successivo.. per soli 8 splendidi maledetti giorni

o meglio: un anno fa, il 25 settembre del 2013, la neonatologia del Bambin Gesù (la terapia semi intensiva neonatale) decideva di dimettere mio figlio, entrato quel giorno nella 36esima settimana gestazionale.
“Un portento”, “la Ferrari del reparto”, “un prematuro come non ne vedevamo da anni”… ancora me le ricordo alla lettera, ogni pausa della voce e ogni toccata di palato da parte della lingua: ricordo le vostre voci, ricordo tutte le stronzate che mi avete detto, grandissimi scienziati dai camici pulitissimi, malgrado le tante continue bradicardie, malgrado i pizzichi sotto il tallone per far ripartire quel cuoricino, ogni tanto.
“Ma è normale signora, le bradicardie ci lasceranno all’ingresso della 36settimana”… proprio il giorno delle nostre dimissioni.

Un anno fa finalmente avevo due figli sotto lo stesso tetto,
un anno fa tornavo a casa con un bambino di 2 kg senza un saturimetro, senza un cazzo di niente,
ricordo come ho sceso la salita di Sant’Onofrio, col sorriso nel cuore, leggera come un moscerino allegro, con mio figlio tra il seno e il cuore,
pronta ad iniziare la mia nuova vita.Avevo un figlio minuscolo, sano, straordinariamente bello e vitale; avevo fiducia in quel reparto, in quel primario, in quei medici: che stupida stolta deficiente ero.

Neanche otto giorni dopo il cuore di mio figlio si è fermato davanti ai miei occhi,
neanche otto giorni dopo il motore della Ferrari tanto decantata da quel primario nano sorridente che tanto si crede affascinante, si è fermato.
Fermo, non un solo movimento. E da quel giorno, che era solo il 4 ottobre (8 giorni dopo, 37esima settimana gestazionale), tutto è stato per sempre diverso,
per sempre,
niente tornerà come prima.
Perché se mio figlio è vivo non lo deve ai grandi scienziati, non lo deve al Bambin Gesù, non lo deve alla fretta maledetta assassina con cui è stato dimesso: mio figlio è vivo per quella corsa, per quei 13 minuti senza fiato che ci hanno fatto arrivare ad una rianimazione, mio figlio è vivo per la prontezza di suo padre,
per i calci alle macchine che bloccavano la strada verso l’ospedale,
per le urla, la foga, la corsa, l’arrivo in mutande al pronto soccorso, la certezza della morte, il bip bip bip dopo qualche minuto:
“il cuore è ripartito non vi abbiamo certo fatto un favore però”, mi disse quella straordinaria donna che mi ha ridato la vita di mio figlio in mano.
Lei sì che mi disse la verità quella mattina d’inizio autunno, non certo chi parlava di Ferrari.

Il panorama a partire dal 4 ottobre…

E poi è stato di nuovo Bambin Gesù, perché le cure scelte per lui esistevano solamente lì a Roma,
è stato di nuovo quei corridoi, quelle sale d’attesa dove per 42 giorni ero stata con il cuore leggero,
mentre ora avevo un figlio in coma, un figlio intubato, un figlio con un cuore collassato e con chissà quali danni celebrali.

Ricordo i “sai mi dovevano dimettere ieri a 36 settimane, ma pare sia successa una tragedia e ora non dimettono prima delle 38″,
ricordo gli sguardi bassi, i medici che acceleravano guardando altrove quando incrociavano le nostre occhiaie,
ricordo i “ma signora andava tutto così bene” “può succedere a tutti” “che prontezza avete avuto, bravi”.

Bravi un cazzo, quelli bravi dovevate essere voi, non noi.
Bravi non lo siete stati voi che poi mai più mi avete guardato negli occhi,
Bravi non vi considero,
Vi considero frettolosi, vi considero superficiali, ho visto 6 mesi del vostro lavoro, ho osservato ogni vostro movimento, ho studiato il vostro lessico, ho seguito ogni vostro movimento: ho capito che lì dentro per aver la vostra attenzione si deve stare male, ma male per davvero.
Noi eravamo troppo sani secondo voi, noi eravamo lì a “prender peso”… e invece siamo entrati sani e piccoli,
ne siamo usciti tetraplegici, senza capacità di mangiare e deglutire… senza aver mai fatto più un sorriso. Già… mio figlio non sorride.
Ovviamente quegli stessi medici che mi parlavano della Ferrari mi dissero: “sarà coma per sempre”, “sarà uno stato vegetativo”…
col cazzo! Neanche in questo c’avete preso, neanche in questo!

E sapete che non smetto di pensarci?
Pensavo ci sarei riuscita un giorno, pensavo avrei dimenticato lui sano, quei 42 giorni in cui ho amato quel reparto,
quel 25 settembre di cui sento ancora una gioia totale che mi prende tutta:
ancora ci penso, ci continuerò a pensare a voi, le vostre facce, i vostri sorrisi, i vostri “signora ci dispiace molto” sono tatuati qua,
sul petto per sempre. Per sempre,
ogni volta che guardo mio figlio vedo la vostra fretta, le vostre menzogne, il mio odio per voi,
che sarà eterno.
Sirio non lo meritava, non lo meritava suo fratello: io vi odierò per sempre.

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