Turkey opens border to 45,000 Kurds fleeing Isis in Syria – appello Uiki

Giunti in Turchia 60mila profughi curdi

(ANSA) – ANKARA, 20 SET – Da quando la Turchia ieri ha aperto le sue frontiere circa 60mila profughi curdi siriani in fuga davanti all’avanzata dei miliziani jihadisti dell’Isis, responsabili di numerose atrocità in Siria e Iraq, hanno attraversato il confine fra i due Paesi e si sono rifugiati in territorio turco, ha indicato il vicepremier di Ankara Numan Kurtulmus. Ieri mattina subito dopo l’apertura del confine, 5mila civili curdi siriani, soprattutto donne, anziani e bambini, erano entrati in Turchia

20-09-2014

Siria. Gravissima aggressione al cantone di Kobane da parte di ISIS

  • Uiki olus

Siria. Gravissima aggressione al cantone di Kobane da parte di ISIS

Le bande criminali di ISIS hanno attaccato da tre parti la città di Kobane in Siria, con armi pesanti come i carri armati T-72 che stanno usando contro la popolazione. Da ieri il centro della città di Kobane è sotto una pioggia di missili, e decine di villaggi sono attaccati con i cannoni. Il loro obiettivo è fare un altro massacro di civili come recentemente hanno fatto a Şengal. Le forze di difesa del popolo (YPG e YPJ) stanno resistendo a questi attacchi. Sono finora circa 250.000 fra cui yezidi, turkmeni, sciiti, i civili messi in salvo dalle YPG, che si dichiarano pronte a difendere tutta la popolazione della Siria senza distinzione di etnia o religione. Il presidente del PYD Salih Muslim ha dichiarato che i kurdi non possono essere lasciati soli a fronteggiare questa minaccia per tutta l’umanità, mentre membri dell’organo esecutivo del cantone di Kobane hanno lanciato un appello affinché le Nazioni Unite e tutti i principali paesi si attivino per sostenere la popolazione di Kobane, cantone che ha sperimentato fin qui una relativa pace all’interno del caos siriano, diventando la meta di migliaia di profughi siriani di tutte le etnie e religioni. La Turchia continua a sostenere gli attacchi di queste bande: fonti locali riferiscono che un treno carico di materiale bellico è giunto dal territorio turco al confine per rifornire i gruppi di ISIS il 17 settembre; il confine turco-siriano è facile da oltrepassare per i miliziani di ISIS, mentre rimane chiuso ai profughi. Se si vuole fermare l’ISIS occorre intervenire sulla Turchia perché smetta di sostenerlo: l’Ufficio di Informazione del Kurdistan in Italia (UIKI), inoltre, chiede al Governo italiano, all’Unione Europea e alle organizzazioni umanitarie di intervenire per fermare gli odiosi attacchi di ISIS e per interrompere il sostegno che Turchia e altri paesi offrono ai miliziani islamisti.

http://contropiano.org/in-breve/esteri/item/26396-siria-gravissima-aggressione-al-cantone-di-kobane-da-parte-di-isis

Turkey opens border to 45,000 Kurds fleeing Isis in Syria

Eight crossing points opened to allow in people fleeing Islamic State fighters who have seized control of 60 villages near border

Syrians approach the Turkish border after fleeing Isis attacks on 60 Kurdish villages

Syrians approach the Turkish border after fleeing Isis attacks on 60 Kurdish villages. Photograph: Anadolu Agency/Getty Images

Tens of thousands of Syrian Kurds have fled across the border into Turkey in the last 24 hours to escape Islamic State (Isis) fighters, the Turkish government has said.

The country opened eight crossing points along a 20-mile (32km) stretch from Akcakale to Mursitpinar, allowing about 45,000 Kurds to escape from the Islamist extremists, the deputy prime minister, Numan Kurtulmus, said on Saturday.

The exodus began as Isis fighters seized control of 60 Kurdish villages near the border in a two-day campaign as they approach the town of Kobane, also known as Ain al-Arab.

At least 18 militants from Isis, which is also known as Isil, were killed in heavy clashes with Kurdish fighters in the area overnight, according to the British-based Syrian Observatory for Human Rights.

The news of the exodus came as Turkey announced that Isis had released 49 Turkish hostages, including diplomatic staff, who were seized in Mosul, Iraq, on 11 June when militants stormed the Turkish consulate.

Kobane, in Aleppo province, is Syria‘s third-largest Kurdish town and would give Isis control of a long stretch of the country’s northern border with Turkey, which fears that a further 100,000 Kurds could seek refuge as they flee possible reprisal attacks by the jihadists.

Syria’s exiled opposition National Coalition has warned of “the danger of a massacre” in the area, where Kurdish fighters, who have resisted Isis for months, have been forced to retreat in recent days.

A spokesperson for the People’s Protection Units, one of the Kurdish groups battling Isis, said his fighters’ weapons were no match for the looted US arms the militants took from fleeing Iraqi soldiers in June.

“Isis has highly advanced and sophisticated American weapons. We need weapons too,” said Redur Xelil. “Isis is now aiming to take over Kobane, as they aimed to take over Erbil.”

Masoud Barzani, the Iraqi Kurdish leader, has called for international action to protect the Kobane region, saying the insurgents must be “hit and destroyed wherever they are”.

France mounted its first air strikes against the militants in Iraq on Friday, destroying ammunition stores, vehicles and fuel reserves in the Mosul area, while the US is drawing up plans for military action against Isis in Syria.

The US secretary of state, John Kerry, met representatives of 35 countries, including Iran, on Friday to bolster support for the campaign against the jihadists.

He said after the meeting at the UN security council in New York that the grouping, which includes Britain, Turkey, Saudi Arabia and Qatar, showed “the clear need for all of us to come together, to welcome and to support the new inclusive government in Iraq and of course to put an end to Isil’s unfettered barbarity”.

Tehran is backing both Iraq and Syria in their battle against the Islamic State group, and Kerry said there was “a role for nearly every country to play, including Iran” in combating the jihadist threat.

http://www.theguardian.com/world/2014/sep/20/turkey-opens-borders-45000-kurds-fleeing-isis-syria

Non aspettatevi che i peshmerga sconfiggano lo Stato Islamico

Redazione 5 settembre 2014


Negli ultimi giorni nei media sono apparse valutazioni eccessivamente ottimiste sul fatto che le operazioni aeree USA contro obiettivi di Stato Islamico (IS) avrebbero smussato l’avanzata di IS e che la riconquista della diga di Mosul Dam potrebbe essere “l’inizio della fine” per IS. Valutazioni ottimistiche del genere sono sostenute anche da previsioni sul fatto che i peshmerga curdi e l’esercito irakeno, sostenuti dalle forze aeree USA, potrebbero portare alla fine di IS.

Quanto sono realistiche queste previsioni ottimistiche? Come analista militare che conosce bene l’Iraq — avendo lavorato sul campo in Iraq nel 1999, 2001, 2003 e 2004 e in Afghanistan nel 2005 — non penso che gli attacchi aerei USA produrranno effetti definitivi. Potranno fermare temporaneamente la capacità operativa di IS, ma non la elimineranno.

Perché no? Per una risposta bisogna considerare ordine di battaglia, organizzazione e tattiche militari di IS, che può essere ben descritta come un’entità semi-militare, semi-politica che vuole tradurre giorno per giorno le sue conquiste militari in un’entità politica di lunga durata. A questo scopo, IS in genere schiera compagnie di 80 – 100 uomini o battaglioni con da 200 a 300 miliziani, esperti nella guerra urbana, altamente mobili e capaci di eseguire tattiche terroristiche come attacchi improvvisi con esplosivi e attacchi mordi-e-fuggi, così come tattiche militari convenzionali a livello di compagnia e battaglione. Non concordo con l’opinione secondo la quale IS è un nuovo figlio di Al-Qaeda. IS è una nuova realtà che ha causato molta confusione tra gli attori internazionali che non sanno decidere cosa fare contro IS. Stiamo affrontando un’organizzazione e un modus operandi ai quali non siamo abituati.

IS ha circa 10,000 miliziani in Siria e Iraq. Un terzo di loro sono combattenti addestrati ed esperti, tra cui si stima ci siano 1,000 stranieri. Anche ex-quadri Baath, tribù Sunnite e contrabbandieri organizzati sono attivi all’interno di IS. Questo da ad IS un aspetto di “organizzazione di coordinamento” con circa 25,000 miliziani.

IS è molto esperto nell’eseguire la tattica “libera-mantieni-costruisci” che gli Stati Uniti hanno attuato come metodo antiguerriglia in Afghanistan e in parti dell’Iraq. È esperto nell’adattarsi rapidamente a condizioni mutevoli e nell’imparare rapidamente. Il terreno generalmente piatto dell’Iraq con insediamenti collocati lungo un buon sistema di rete stradale offre ad IS un vantaggio maggiore.

Sono tra coloro che credono che IS produca effetti visivi molto inquietanti di decapitazioni, esecuzioni, tortura e simili, come parte di una strategia militare. La sua reputazione di “brutalità barbarica” garantisce che tutti i civili e il personale militare nelle aree che conquista evacuino e quindi offre ad IS una popolazione più sterile e più facile da governare.

Di fatto, IS sta applicando in Siria e Iraq esattamente quello che ha imparato dal famoso Manuale Antiguerriglia FM-34 USA. Nei luoghi che conquista, prima fa traballare l’autorità del governo centrale di Baghdad e poi la cancella, sostituendola con piccole “città-stato” che governeranno i centri e le città. Infine, questi piccoli stati vengono collegati in una rete.

Nella nostra analisi strategica tendiamo a prendere come oggetto dell’analisi lo stato irakeno, mentre IS basa la sua analisi su centri e città, acquisendo quindi un massiccio vantaggio strategico.

Il profilo militare di IS è definito al meglio come unità di fanteria armate in modo leggero, molto mobili e ben addestrate nella guerra urbana. Ha una struttura di comando fluida, versatile che continua a modificarsi. Tutte le sue unità sono mobili e sparpagliate. IS non ha comandi militari permanenti, centri operativi, magazzini o altre unità militari. È per questo che vediamo gli attacchi aerei USA prendere di mira veicoli in movimento, alloggi temporanei, ma non una singola installazione militare fissa. Non ce ne sono. Ai comandanti di IS sono concessi ampi margini di manovra nei loro comandi. Brevi comandi di missione delineano quello che va fatto, ma lasciano all’iniziativa del comandante sul campo come farlo con il minor bisogno di comunicazioni che possono essere monitorate.

Lo stile di combattimento mobile e sparpagliato di IS ci dice anche che se gli attacchi aerei non sono sostenuti da una robusta strategia di ”scarponi sul terreno”, non avranno una grande rilevanza rispetto alla fine di questa guerra. In effetti, oggi in Iraq la più pressante questione di sicurezza è la mancanza di una forza di terra con addestramento adeguato, esperienza ed equipaggiamento che possa intraprendere una “offensiva ampia e decisiva” contro IS.

Con il fiasco a Mosul, abbiamo visto come l’esercito irakeno con la sua forza numerica e superiorità negli armamenti ha deluso tutti, più di tutti gli Stati Uniti. Figuriamoci far lanciare un attacco contro IS, i soldati non sono riusciti nemmeno a difendere se stessi.

I peshmerga possono lanciare un’offensiva ampia e decisiva e contro IS?

I peshmerga, la forza armata del Governo Regionale del Kurdistan, hanno una lunga storia. Prima contro l’amministrazione coloniale britannica, poi contro il governo centrale irakeno, hanno combattuto anni di guerra di guerriglia con il vantaggio offerto dal terreno montagnoso e dalle condizioni meteorologiche dell’Iraq settentrionale. La strategia di base di combattimento dei peshmerga può essere riassunta come guerra di guerriglia rurale basata sul mordi-e-fuggi che sfinisce il nemico con una guerra di lunga durata a bassa intensità. Per questo le unità di combattimento dei peshmerga sono generalmente costituite da 15-20 combattenti che possono combattere in un terreno montagnoso.

Nonostante tutti gli sconvolgimenti, evacuazioni, guerre e distruzioni in Iraq nella storia recente, i peshmerga non sono riusciti a staccarsi dal loro tessuto sociale e non sono riusciti a diventare un esercito regolare anziché una struttura di “combattenti/contadini part-time”.

Le forze peshmerga non possono spogliarsi dai propri legami tribali, stare lontani dalle loro famiglie e dai loro villaggi o rischiare di avviare un’operazione militare fuori dal proprio territorio.

Avendo partecipato a molte operazioni con i peshmerga tra il 1999 e il 2004, le mie osservazioni si possono riassumere così: la maggior parte delle unità dei peshmerga sono costituite da uomini di mezza età che non hanno addestramento ed esperienza nella guerra urbana. È una forza paramilitare di civili scarsamente equipaggiati. Non c’è una singola operazione di offensiva che i peshmerga abbiano vinto nella loro storia. Il loro obiettivo di fondo è stato di condurre una difesa strategica e di costringere le forze di invasione a ritirarsi dopo aver ingaggiato con loro una lotta estenuante a bassa intensità. Si può lanciare un attacco di offensiva con peshmerga che abbiano mobilità e prendano un’iniziativa che spazzi via IS dai luoghi che ha conquistato? La mia esperienza con i peshmerga dice: “Non al momento.”

Oggi gli Stati Uniti non hanno una forza militare di natura operativa in Iraq. Un’operazione simile all’ondata del 2007 contro IS quindi non è fattibile. Inoltre, la capacità di combattimento delle forze aeree irakene è molto limitata e il governo di Baghdad che comprende sciiti, può contare solo un appoggio minimo da parte degli elementi sunniti locali. Questo vuoto di potere offre ad IS ampi margini di manovra.

Inoltre anche gli attacchi aerei USA non fanno molto per cambiare lo scenario militare sul terreno, mentre possono avere l’effetto di allineare arabi sunniti già marginalizzati avvicinandoli ad IS. Molto versatile nella propaganda e nella gestione delle percezioni, IS può sfruttare gli attacchi aerei come prova della vittimizzazione dei sunniti e trarne legittimazione.

In sostanza, la tendenza pessimistica in Iraq può essere invertita solo con un’offensiva ampia e decisiva da parte di forze di terra con sostegno aereo, garantendo poi adeguata rappresentanza dei sunniti a Baghdad e ripristinando la politica irakena. Ma quale forza militare deve condurre l’offensiva ampia e decisiva, cacciare IS dalle aree che ha conquistato e mantenere il controllo di queste aree per la loro ricostruzione? Al momento né i peshmerga né le forze militari irakene sono in grado di farlo. Gli Stati Uniti e altre potenze occidentali non sono disposte a farsi coinvolgere. Paure per la sicurezza e il futuro dell’Iraq prevarranno per diverso tempo.

Metin Turcan

Metin Turcan è un dottorando in scienze politiche e ha un master in studi sulla sicurezza. Ha pubblicato molto su riviste accademiche turche e straniere su natura della guerra, estremismo, antiguerriglia e relazioni tra società e militari.

Fonte:Al Monitor

Kurdistan News e analisi militare , IN SIRIA TRA LE DONNE KURDE COMBATTENTI – Lettera a Jasmine

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