Diren! Kazova: incontro coi lavoratori della fabbrica tessile occupata autogestita di IstanbuL

Cosa sta succedendo in Turchia e cosa c’entra con noi. Un’analisi e alcune considerazioni

Il mio secolo non mi fa paura,
il mio secolo pieno di miserie e di crudeltà
il mio secolo coraggioso e eroico.
Non dirò mai che sono vissuto troppo presto
o troppo tardi.
Sono fiero di essere qui, con voi.
Amo il mio secolo che muore e rinasce
un secolo i cui ultimi giorni saranno belli:
il mio secolo splenderà un giorno
come i tuoi occhi.

Nazim Hikmet, Il mio secolo non mi fa paura

SABATO 20 SETTEMBRE
SPAZIO ME-Ti (via atri, 6 – angolo sorbillo tribunali)


Kazova: una storia da raccontare

Sabato 20 settembre abbiamo invitato a Napoli, nello spazio sociale Me-Ti di via Atri 6, i lavoratori della fabbrica turca occupata e autogestita Kazova e un loro rappresentante legale. Vogliamo confrontarci con loro su moltissimi temi, sulla possibilità e le difficoltà di autogestire una fabbrica, discutere le potenzialità e i rischi della loro scelta, mettere in comune alcune riflessioni sulla crisi dell’economia Turca (http://clashcityworkers.org/documenti/analisi/1007-cosa-sta-succedendo-in-turchia-e-cosa-centra-con-noi.html) e la “via d’uscita” scelta dal premier Erdogan che passa per l’ipersfruttamento e la negazione dei diritti dei lavoratori, ma soprattutto abbiamo voglia di farci raccontare la loro storia.
La storia della Kazova è infatti una di quelle che, mai come di questi tempi, non è solo bello, ma indispensabile raccontare. Perché è la storia di una resistenza, della capacità di riappropriarsi della propria dignità, del proprio lavoro, dei propri diritti, è una storia di lotta, di coraggio, di umanità.
È il gennaio 2013 quando i 94 operai della fabbrica tessile si vedono recapitare altrettante lettere di licenziamento, da più di quattro mesi non percepiscono stipendi né straordinari. Quella stessa notte i proprietari caricano su un camion tutto quello che si può trasportare: 100.000 maglioni, 40 tonnellate di filati, non i macchinari di produzione – troppo pesanti e difficili da spostare – che però vengono sabotati e messi fuori uso. La fabbrica, mezza vuota e con macchinari che funzionano a metà, non viene abbandonata, anzi, certi che né la legge, né tantomeno la munificenza dei padroni potrà restituire loro il lavoro, gli operai della Kazova decidono di rimetterla in funzione, di occuparla, di riprendersela. È il 28 aprile. Da quel giorno inizia una vera e propria battaglia contro tutto e tutti: una battaglia che va dal rimettere in funzione i macchinari, al resistere e rispondere alla repressione poliziesca e agli attacchi fascisti che cercano di dissuaderli dal loro proposito di riprendersi ciò che gli spetta. Ma c’è anche chi mostra solidarietà e supporta la loro lotta: sono i lavoratori delle fabbriche vicine, gli occupanti di Gezi park. Il primo lotto di magliette viene inviato nelle carceri turche dalle quali erano partite numerose lettere di solidarietà nei confronti degli operai della Kazova, poi alcuni lotti vengono acquistati nel caffè del Kolektif 26A a Taksim e dai manifestanti di Gezi. Il ricavato di queste prime vendite viene utilizzato per riparare i macchinari. La solidarietà si estende: viene organizzata una una sfilata, “la moda di resistenza”, alla quale partecipano scrittori, attori, musicisti, si allacciano rapporti di solidarietà e cooperazione con altre cooperative autogestite (ad esempio con la greca Vio.Me e la cooperativa basca Mondragon), gli operai confezionano le maglie per le nazionali di calcio di Cuba e di quella Basca-Navarra come manifestazione di vicinanza alla causa basca e cubana. In un Paese come la Turchia dove la settimana media lavorativa è di 53 ore, il salario netto di poco superiore ai 300 euro mensili e si registrano 6-7 morti sul lavoro al giorno i lavoratori della Kazova hanno fatto un piccolo miracolo di equità e giustizia sociale: parità salariale per tutti e sei ore di lavoro giornaliero.
Oggi nel centro di Istambul c’è un piccolo negozio, nel quale si fanno anche attività culturali e sociali, in cui vendono i loro prodotti, si chiama DIREN! KAZOVA (ovvero: Resisti! Kazova), sul pavimento c’è scritta una frase: “La rivoluzione è viva”, e, a sentire la loro storia, sembra più che mai vera.

Qui le altre tappe del tour a sostegno della fabbrica tessile occupata autogestita di Istanbul

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