“La zuppa del demonio ” – Il pianeta acciaio di Emilio Marsili (1962) – MECCANICA i segreti dell’acciaio Regia Giulio Bria – Visioni di lavoro in una fabbrica di armi – Il divo acciaio

Una sequenza, posta in apertura, suscita oggi in noi, spettatori ultraecologisti, profonda indignazione e sgomento: il paesaggio mediterraneo, con i suoi olivi centenari e le sue spiagge, annientato dalle ruspe incaricate di spianare il luogo sul quale sorgeranno gli stabilimenti dell’Ilva a Taranto. Commentando il documentario industriale del 1964 al quale risalgono tali immagini, Dino Buzzati coniò la definizione “la zuppa del demonio” proprio per descrivere le lavorazioni nell’altoforno.
Il documentario omonimo di Davide Ferrario, Fuori Concorso a Venezia 71, corre tutto sulla linea del rasoio dell’ambiguità, di cui il secolo scorso, il Novecento, il secolo delle guerre mondiali, si è rivestito nel tentativo di dare un senso al proprio moto convulso e sfrenato: la corsa al progresso, all’esaltazione della tecnologia quale forza in grado di emancipare l’uomo dalle sue fatiche ataviche, all’inarrestabile cammino dell’umanità verso un futuro di benessere garantito dalla tecnica. Se oggi, dunque, la costernazione pubblica è inevitabile dinanzi ai disastri ecologici, il merito principale di questo documentario è la sua volontà di testimoniare la progressiva mutazione che l’idea di progresso, come una sfolgorante meteora, ha subito nel corso del ventesimo secolo e almeno sino alla grande crisi petrolifera dei primi anni settanta.
Ferrario ha avuto la notevole intuizione di rivolgersi esclusivamente a materiali d’archivio (preziosissimo, a tal proposito, l’Archivio Nazionale del Cinema d’Impresa di Ivrea), evitando interviste a esperti di settore, professori, testimoni d’epoca e altre secche paternalistiche del genere. Un intero secolo di storia italiana, e dunque mondiale, per riflesso, passa sullo schermo, attuando un preciso parallelismo metalinguistico: la storia dell’industria contemporanea nasce con il cinema e il cinema (ci si ricorda di due fratelli francesi dinanzi a una fabbrica?) nasce documentando, per l’appunto, la nascita dell’industria novecentesca.
Ciò che segue è impressionante per coerenza narrativa almeno quanto è grottesca la sfilata dei tempi e dei ritmi che industria e società si sono imposti, vicendevolmente, nel corso della nostra storia recente: dalla retorica altisonante e onomatopeica dei Futuristi italiani a quella reboante e insincera del regime fascista, dalle testimonianze sulla ricostruzione nel secondo dopoguerra sino al boom economico che avrebbe iniziato, per dirla con Pasolini, quella “mutazione antropologica” degli italiani con il conseguente abbattimento di gran parte delle identità regionali.
Questo era il passato, il progresso divenuto passato. E il futuro? Forse sarà una fortuna non esserci più, quando decideranno di girare un documentario sulla nostra epoca.

 

Gianfrancesco Iacon

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