Funzione espressiva dei modelli cadenzali nel Terzo Libro di Madrigali di Gesualdo da Venosa – Itene o miei sospiri (Madrigals Book 5)

Paolo Ricolfi

Funzione espressiva dei modelli cadenzali nel Terzo Libro di Madrigali di Gesualdo da Venosa *

Un approccio ai testi poetici di tipo induttivo pare contraddistinguere le strategie compositive elaborate da Gesualdo da Venosa in una porzione cospicua della sua produzione madrigalistica. Non soltanto nei Libri Quinto e Sesto, ma anche nelle due precedenti raccolte seguite al contatto diretto con l’ambiente musicale e letterario ferrarese, il compositore sembra orientare le proprie intonazioni al pieno sfruttamento delle potenzialità espressive insite nelle singole immagini liriche, assumendo così una prospettiva estetica secondo la quale il senso poetico complessivo di un testo può trarre origine dalla sommatoria delle locuzioni, spesso emotivamente assai caratterizzate, che lo compongono.Il presente lavoro si propone di contribuire all’approfondimento dell’estetica di Gesualdo, indagando il ruolo giocato da alcuni procedimenti compositivi, ed in particolare dalle cadenze, all’interno dei disegni interpretativi da lui approntati nei madrigali del Terzo Libro.[1] La decisione di concentrare l’attenzione sulla raccolta pubblicata a Ferrara da Baldini nel 1595, è dovuta al suo carattere di snodo sia dal punto di vista delle scelte poetiche sia sotto il profilo stilistico-musicale.[2] Al fine di comprendere le possibili correlazioni esistenti tra le strutture metriche, sintattiche e soprattutto semantiche dei testi poetici e la configurazione dei piani cadenzali adottati nella loro intonazione, ho fatto riferimento al metodo di analisi che Stefano La Via ha elaborato nello studio degli ultimi madrigali di Cipriano de Rore, e successivamente applicato all’opera di altri compositori appartenenti ad entrambe le cosiddette «prima» e «seconda prattica».[3]La sperimentazione e lo sviluppo sui madrigali gesualdiani di questo metodo di analisi tonale-cadenzale induce a ritenere che, quantomeno a partire dal Terzo Libro, il compositore abbia inteso attribuire alle cadenze un’importante funzione semantica. Dall’esame dei brani contenuti in questa raccolta, che peraltro presentano una gamma di formule di risoluzione assai più ricca e complessa di quella rinvenibile nei primi due libri, emerge come l’elaborazione dei piani cadenzali non sia regolata soltanto dalla volontà di rispecchiare i livelli strutturali prosodico e sintattico del dettato poetico o dalle istanze di un’ipotetica organizzazione modale dei pezzi. A guidare il trattamento delle cadenze sono anche, e in alcuni casi prima di tutto, esigenze di tipo espressivo. Ciò non comporta che nell’articolazione delle frasi musicali Gesualdo ignori le cesure del discorso o del metro e nemmeno significa che si possa escludere dall’orizzonte degli oggettivi impianti cadenzali qualsiasi riferimento ad una o più categorie modali. Tuttavia, la tendenza a variare la disposizione, il peso e la conformazione – in particolare l’orientamento ascendente o discendente del semitono strutturale – dei modelli di risoluzione sulla base del clima affettivo che pervade le immagini, i concetti e le situazioni proposte dal testo poetico di volta in volta affrontato, dimostra che le cadenze ricoprono un ruolo fondamentale, tanto sul piano macro-strutturale quanto su quello micro-strutturale, all’interno dei processi di esegesi musicale approntati per ognuna delle liriche intonate. Lo studio di questi madrigali rivela, inoltre, come a determinare la valenza espressiva delle soluzioni cadenzali concorra l’insieme dei procedimenti compositivi ad esse associati e, allo stesso tempo, evidenzia come nell’assortimento di tali procedimenti sia possibile riscontrare alcune costanti capaci di percorrere l’intera raccolta.L’esame comparativo di Dolce spirto d’Amore e Sospirav’il mio core illustra in maniera esemplare la qualità delle interazioni che si verificano tra le scelte cadenzali del compositore e il carattere affettivo dei testi poetici.[4] I due brani si fondano rispettivamente su un madrigale di Guarini e su una lirica adespota, e compaiono l’uno di seguito l’altro all’interno della raccolta con un accostamento che forse non è casuale.[5] Alla base di entrambi figura l’identico motivo dei “sospiri”, peraltro ampiamente vulgato non soltanto nei libri del Principe ma più in generale nel repertorio madrigalistico dei letterati legati alla corte estense.[6] L’analoga occasione poetica è però destinata a sviluppi assai divergenti: se infatti nel primo caso il sospiro femminile alimenta le speranze dell’amante, nel secondo le delude. Il confronto tra queste composizioni fornisce dunque l’opportunità di osservare quali strategie Gesualdo abbia posto in atto rapportandosi a testi poetici che condividono un medesimo spunto tematico, ma lo declinano con esiti diametralmente opposti sul piano emotivo.
 Dolce spirto d’Amore e Sospirav’il mio core1. I testi poeticiDolce spirto d’Amore rappresenta nel quadro dei libri “ferraresi” del compositore uno dei rari esempi in cui la condizione dell’io-lirico non appare dolorosa e le possibilità di una corresponsione amorosa non sono affatto precluse.[7]Dolce spirto d’Amore
in un sospir accolto,
mentr’i miro’l bel volto
spira vit’al mio core.
Tal acquista valore
da quella bella bocca
che sospirando tocca.Questi versi, inseriti nell’edizione Ciotti delle Rime guariniane sotto la didascalia «Il sospiro di Madonna», presentano i caratteri propri di quella categoria di testi che il Gareggiamento poetico, un’interessante e imponente antologia di madrigali letterari datata 1611, classifica come «Dependenze».[8] Infatti, secondo una delle modalità più tipiche delle «dependenze» – che il Gareggiamento identifica con «li soggetti che dipendono dalle belle parti di graziosa donna» – l’amante celebra in maniera indiretta la bellezza di una parte del corpo femminile, esaltandone gli effetti secondari. Nello specifico, il contatto con la «bella bocca» è determinante per la qualità del sospiro che, nell’immagine iniziale della lirica, sembra assurto a messaggero d’amore capace di dar vita all’amante. La felice visione risulta del tutto priva di ombre; il clima emotivo non si presta ad alcun equivoco in quanto rimane costantemente positivo e sereno, senza che sia ravvisabile alcun segnale di mutamento o sviluppo. Sotto il profilo formale la lirica aderisce tanto per la sua brevità quanto per il gusto della rispondenza fonica (si pensi alla sequenza spirto-sospir-spira-sospirando da cui è attraversata e su cui è strutturata) ai canoni stilistici più diffusi nel repertorio poetico del Terzo Libro, anche se bisogna riconoscere che qui l’epigrammaticità si concilia con un più fluido svolgimento del discorso rispetto a quanto avviene in non pochi altri casi (ad esempio “Non t’amo” ò voc’ingrata e Se vi miro pietosa).

Un percorso più articolato mostra Sospirav’il mio core, un testo che è privo di attribuzione, come d’altronde la maggior parte di quelli che il Principe ha selezionato dal 1595 in avanti.[9]

Sospirav’il mio core
per uscir di dolore
un sospir che dicea: “L’anima spiro”.
Quando la Donna mia più d’un sospiro
anch’ella sospirò, che parea dire:
“Non morir, non morire”.
O mal nati messaggi e mal intesi,
in vista sì cortesi.
“Mori”, dicest’ohimè, “ma non finire
sì tosto il tuo languire”.

L’organizzazione del discorso poetico si snoda sostanzialmente in due fasi:

1) Versi 1-6. Descrizione. La materia poetica si dipana nella forma di un racconto, che è arricchito dagli interventi del discorso diretto ed è privo di un destinatario identificabile.

2) Versi 7-10. Lamento – Recriminazione. L’uso del vocativo («O mal nati messaggi») e il cambiamento della forma verbale (dalla terza persona di «anch’ella sospirò» nel quinto verso, si passa alla seconda persona «dicest’ohimè» del nono verso), segnalano l’innalzamento del tono del discorso che si fa addolorato ed accusatorio allo stesso tempo, ed è ora esplicitamente indirizzato alla figura femminile.

Dal punto di vista prettamente contenutistico, la lirica si sviluppa in momenti successivi che identificano altrettanti “eventi” e stati d’animo vissuti dall’io-lirico:

a) Versi 1-3. Sospiro dell’amante/Sfinimento. L’amante individua nella morte l’unica via di fuga al dolore.

b) Versi 4-6. Sospiro della donna/Speranza.[10] L’amante interpreta i sospiri dell’amata come un invito alla vita, o meglio, a «non morire».

c) Versi 7-10. Esclamazione dell’amante–Parole della donna/Disillusione. L’amante comprende la reale natura dei sospiri femminili che preludono ad una condanna alla morte e al languore.

A differenza di quanto avviene nel più omogeneo madrigale discusso in precedenza, in questo caso è dunque riscontrabile un’evoluzione di tipo affettivo che, però, esplicandosi con una sorta di circolarità, non determina un significativo mutamento delle condizioni dell’io lirico tra l’inizio e la fine del componimento poetico.

Ad una tale lettura del testo, se ne può affiancare un’altra che individua in esso una componente erotica neanche troppo mascherata. L’insistente ricorrere di termini quali «sospiro» e «morire», a cui si aggiungono gli altrettanto equivocabili «spiro», «finire» e «languire», non sembra finalizzato soltanto all’intensificazione fonica del dettato poetico, ma risulta pienamente funzionale a tessere una pervasiva rete di allusioni sessuali che conferiscono una spiccata connotazione sensuale al componimento nel suo complesso. In questa prospettiva, la lirica sarebbe da intendere come la descrizione di un rapporto sessuale contraddistinto da fraintendimenti e da una mancanza di sincronia tra gli amanti.

2. Le letture musicali gesualdiane

I diversi esiti delle due liriche trovano piena corrispondenza nelle interpretazioni fornite da Gesualdo, attraverso la realizzazione di strategie compositive per molti aspetti antitetiche.

L’intonazione di Dolce spirto d’Amore si sviluppa nel segno di una sostanziale uniformità stilistica e di una sorvegliata economia di mezzi, ma non per questo deve essere considerata “neutrale” sotto il profilo espressivo.

La tabella 1 mette in luce i rapporti che intercorrono tra le strutture del testo poetico e il piano cadenzale, presentando anche alcune indicazioni concernenti le forme della scrittura, l’orchestrazione vocale e la condotta delle parti.[11] L’impianto cadenzale in essa delineato è riconducibile al tonal type -sol2-Fa (sistema in cantus mollis con si-bemolle in armatura di chiave, chiavi alte o “chiavette”, sonorità finale nel Basso) che sintetizza e definisce ulteriormente l’oggettiva “area tonale” di riferimento del brano.[12]

Tabella 1

Volendo procedere all’identificazione, peraltro quanto mai ipotetica, di una o più categorie modali cui Gesualdo potrebbe essersi rifatto nell’adottare questo tonal type, si registra una totale convergenza tra le indicazioni fornite dal sistema tradizionale degli otto modi e quelle proposte dal sistema dodecacordale.[13] In un numero cospicuo di collezioni cinquecentesche ordinate secondo il sistema tradizionale degli otto modi, il tonal type b-sol2-Fa è utilizzato per rappresentare e distinguere il quinto modo autentico dal relativo plagale.[14] Assumendo la prospettiva del sistema dodecacordale secondo la formulazione conferitagli da Zarlino ne Le Istitutioni Harmoniche, i dati offerti dal piano delle cadenze (tabella 1), dal quadro degli ambiti vocali e delle specie di quinta e di quarta in essi più enfatizzate (illustrato nella tabella 2), conducono ad individuare come possibile modello di riferimento per la composizione quello che da Glareano in poi viene anche definito «nuovo modo quinto». Infatti, gli ambiti delle cinque voci (che presentano l’abituale relazione collaterale tra Tenore e Canto da un lato e tra Basso, Alto e in questo caso anche Quinto dall’altro), le specie modali in esse più sottolineate, le sonorità affermate dalle cadenze di maggiore rilievo strutturale (si pensi alle flessioni su Fa, tra cui quella finale, ma anche alla risoluzione su Do, la «corda mezana», che chiude il primo periodo del discorso poetico) ed il cantus mollis d’impianto, sono tutti elementi che, soddisfacendo i parametri del sistema glareanico-zarliniano dei dodici modi, suggeriscono l’adozione da parte del Principe dell’undicesimo modo trasposto, noto appunto come «nuovo modo quinto» o «nuovo modo lidio».[15]

Tabella 2

L’osservazione della tabella 1 evidenzia la contemporanea e pressoché completa adesione della lettura musicale gesualdiana ad entrambe le strutture, prosodica e sintattica, della lirica. Senza dubbio questa scelta può essere stata favorita, se non addirittura motivata, dalle caratteristiche proprie della materia poetica utilizzata: il testo, infatti, anche in ragione dell’uso esclusivo del breve settenario, presenta un notevole parallelismo tra i due piani. Tuttavia, è degno di nota come qui, a differenza di quanto avviene in altri brani della raccolta (si pensi ancora una volta a “Non t’amo” ò voc’ingrata, ma anche allo stesso Sospirav’il mio core), la costruzione e la delimitazione degli episodi musicali sia strettamente collegata all’estensione di ciascuno dei sette «versi rotti» di cui è costituito il madrigale del Guarini. Nessun termine, sintagma od espressione viene estrapolato per mezzo di una risoluzione cadenzale dal contesto metrico, oltre che sintattico, in cui è inserito nel dettato poetico. L’unica forma di allontanamento da un’identificazione rigorosa dell’unità versale è riscontrabile tutt’al più nella direzione opposta, allorché il compositore sovrappone, e in un certo senso incrocia, la proposizione dei versi 3b e 4a (prima che sia terminata l’intonazione di 3b ad opera delle tre voci inferiori, Canto e Quinto introducono un nuovo motivo per 4a poi imitato dalle altre parti; segue il medesimo procedimento a ruoli invertiti, alle tre voci superiori si aggiungono Basso e Tenore), giungendo così a suggerire sul piano dell’esecuzione musicale la contemporaneità delle “azioni” da essi evocate («mentr’i miro […] / spira …»). In generale, la gittata delle idee musicali coincide con la durata del verso e la successione delle frasi si dipana con una regolarità che appare persino un po’ rigida.

All’interno di questa strategia le cadenze non si limitano a svolgere funzioni di carattere esclusivamente organizzativo. Ad esse Gesualdo affida anche il compito di cogliere il positivo indirizzo affettivo della lirica conferendo una connotazione espressiva tanto agli episodi che si susseguono quanto all’intero decorso dell’intonazione. Se si focalizza l’attenzione sui modelli di risoluzione selezionati e sul trattamento loro riservato, gli indizi in tal senso sono numerosi.

Il piano complessivo delle formule cadenzali si muove tra due poli rappresentati da un lato dai modelli autentico e perfetto, ambedue contraddistinti dal movimento ascendente del semitono strutturale, dall’altro dal modello frigio, a sua volta caratterizzato dalla risoluzione discendente del semitono. Sono invece del tutto assenti gli altri principali modelli “negativi”, il plagale e la mezzacadenza (anch’essi caratterizzati dalla risoluzione discendente del semitono), largamente adottati dal compositore nel corso della raccolta.

Lo spazio ed il peso più rilevanti sono assicurati alle risoluzioni del primo tipo, ed in misura particolare a quelle autentiche, che sono anche chiamate a segnare i principali snodi sintattici del discorso poetico. Di per sé interessante, la predilezione per queste formule acquisisce ulteriore significato alla luce di alcune osservazioni di ordine qualitativo. Infatti, Gesualdo non si limita a farne un uso intensivo, ma sembra orientato a sfruttare al meglio il potenziale risolutivo ed affermativo, e dunque la forza “positiva”, in esse rinvenibile. In altri termini, egli evita qui di utilizzare qualsiasi procedimento che, attraverso l’evaporazione, l’elusione o la perturbazione dei movimenti strutturali delle parti, comporti un indebolimento o una “fuga” della risoluzione, ed anzi, con l’unica eccezione della flessione «semplice» Fa>Si che punteggia il verso 5a, nel servirsi del modello autentico sceglie, anche laddove non si tratta di concludere «l’orazione», di adottarne la forma più eloquente, vale a dire quella «con sincopa».[16] Occorre sottolineare che una concentrazione così densa ed un trattamento così limpido dei modelli che propongono una risoluzione per moto ascendente del semitono trova pochi riscontri nel Terzo Libro. Il brano che sotto questo aspetto presenta maggiori analogie con Dolce spirto d’Amore è Meraviglia d’Amore, anch’esso fondato, non a caso, su un testo poetico sostanzialmente positivo sotto il profilo della situazione emotiva evocata.[17] Molteplici elementi, dunque, suggeriscono che all’origine della disseminazione delle formule autentiche nel madrigale vi sia stata la considerazione della loro natura affettiva, definita da Vincenzo Galilei come «tutta lieta, piacevole et allegra».[18]

Sulla base di quanto finora osservato la strategia cadenzale gesualdiana sembra ben confacente al “tono” che contraddistingue sia le singole immagini, sia la lirica nel suo complesso; ciò nonostante, al fine di valutarne l’orientamento esegetico, bisogna prendere in esame anche il ruolo giocato dalla componente frigia, presente in percentuale minoritaria ma non irrilevante in rapporto alla brevità del brano. Nell’opera del compositore, come si potrà constatare più avanti nello studio di Sospirav’il mio core, l’utilizzo del modello frigio si verifica soprattutto in relazione ad immagini od espressioni di valenza negativa. È quindi lecito domandarsi se la comparsa di questo modello non sia in contrasto con il clima che pervade la lirica o, addirittura, con l’ipotesi stessa che Gesualdo abbia inteso ivi servirsi delle cadenze a fini espressivi. Tuttavia, se si analizza il contesto specifico in cui tali formule ricorrono, vale a dire se si concentra l’attenzione sia sulla collocazione loro attribuita sia sui requisiti dei gesti melodici, della scrittura e della condotta delle parti ad esse associati, risulta chiaro come le finalità che ne guidano l’impiego in Dolce spirto d’Amore siano ben diverse da quelle rintracciabili in altri pezzi della raccolta. Prive di tutti quegli elementi che altrove contribuiscono ad esaltarne la connotazione patetica (concatenazioni dissonanti, figure melodiche discendenti di tetracordo minore o di quarta diminuita, «quantità de semituoni […] tra le parti estreme», ecc.), le risoluzioni frigie intervengono qui a punteggiare frasi abbastanza neutre o addirittura inversamente caratterizzate, senza mai assumere, peraltro, un consistente rilievo strutturale.[19] Si veda a titolo esemplificativo l’intonazione dei due versi che aprono il componimento.

Esempio 1

È interessante notare che il ciclico progredire da una flessione frigia fievole e minore ad una formula perfetta o autentica, proposto da questo esordio, rispecchia una disposizione delle cadenze rinvenibile nell’intero brano. Un processo analogo regola, infatti, anche l’approccio musicale, poi ripetuto, ai due versi finali (prima intonazione di 6c con flessione perfetta seguita da pausa in tutte le voci – seconda intonazione di 6c con flessione frigia – intonazione di 7c con flessione autentica). Inserita in un contesto che ne attenua la potenziale carica negativa, la componente frigia sembra quindi chiamata in causa allo scopo di introdurre le sfumature di una sommessa commozione, che varia ed arricchisce la tavolozza emotiva e sonora, ma non intacca il clima complessivamente instaurato nel madrigale.

A determinare l’orientamento positivo dell’interpretazione gesualdiana del testo poetico, concorrono, ovviamente, oltre alla netta prevalenza numerica e strutturale delle cadenze autentiche e perfette, anche altri procedimenti compositivi. Un apporto significativo in tale direzione è fornito dalle modalità organizzative che disciplinano l’incedere della compagine vocale. La conduzione del discorso poetico-musicale è affidata in buona parte ad un andamento imitativo delle voci, che si rivela controllato e movimentato allo stesso tempo. Da un lato, infatti, la delimitazione abbastanza netta degli episodi operata dalle cadenze, l’adozione di soggetti privi di rigoglio melismatico, la presentazione del «conseguente» e/o della «guida» dell’imitazione da parte di una coppia di voci e il reiterato madrigalismo (l’inserimento di una pausa tra le prime due sillabe della parola «sospirando») che rende ansimante l’esecuzione del verso finale, sono tutti elementi che impediscono alla trama sonora di divenire florida e lussureggiante sotto il profilo contrappuntistico.[20] Dall’altro lato, le continue variazioni dell’organico vocale nella proposizione degli slanci imitativi e, soprattutto, l’animazione ritmica delle linee melodiche, che avanzano spesso in moto «presto» o «veloce», conferiscono vivacità agli episodi che si susseguono.[21] Nel complesso, all’interno di una cornice piuttosto rilassata, costituita dalla declamazione omoritmica del verso iniziale e dall’enfatico rallentamento che caratterizza l’ultima enunciazione del settenario conclusivo, si afferma una scrittura che, pur privilegiando il “dinamismo”, si sviluppa in maniera piuttosto omogenea, senza l’intervento di slanci ornamentali o inaspettate accelerazioni che ne turbino la regolarità. Ad un tale modo di procedere, si combina una condotta consonante delle parti che non conosce praticamente alcuna deviazione nell’intero corso del brano. In effetti, la comparsa degli intervalli dissonanti si verifica nella forma di rapide “note di passaggio” o, tutt’al più, è circoscritta alla preparazione delle cadenze «con sincopa».

La natura positiva delle risoluzioni cadenzali più utilizzate e più strutturalmente rilevanti, la vitalità ritmica delle linee melodiche in imitazione e la costruzione di un ordito polifonico consonante da cima a fondo, sono i principali strumenti di cui Gesualdo si avvale al fine di manifestare il carattere lieto e sereno della situazione illustrata dal madrigale guariniano.

Quanto sia stretto e poco casuale l’intreccio tra queste soluzioni compositive e il testo poetico si evince con ancora maggiore chiarezza dal confronto con la strategia interpretativa da lui realizzata per Sospirav’il mio core.

Gesualdo mette in musica la lirica adespota suddividendola in due parti, che corrispondono alle due fasi del discorso poetico (descrizione/lamento-recriminazione). La tabella 3 mostra la struttura generale dell’intonazione riconducibile al tonal type -sol2-Mi/La.[22]

Tabella 3

Nell’ottica del sistema dodecacordale diventa legittima l’ipotesi che nel porre in musica questo testo Gesualdo abbia inteso fare riferimento alle categorie eolia-ipoeolia e, in particolare, all’elemento plagale della coppia. Un’eventuale attribuzione a quest’ultimo è suggerita non soltanto dagli ambiti delle cinque voci (illustrati nella tabella 4), ma anche dal modo di procedere per larghi tratti discendente dell’ordito polifonico. Tuttavia, soprattutto nella prima parte, in ragione del parziale rilievo conferito alla sonorità di Si, non è facile stabilire se siano più enfatizzate le specie di quarta e di quinta dei modi nono e decimo o quelle dei modi terzo e quarto (frigio-ipofrigio). Sulla base di quanto sostiene Zarlino il possibile ricorso ad una tale forma di commistione non ha assolutamente alcunché di eccezionale, ed anzi è riscontrabile con notevole frequenza.[23]

Tabella 4

Il regolare approccio alla lirica e il moderato codice espressivo di Dolce spirto d’Amore lasciano il posto in Sospirav’il mio core ad un fare compositivo più audace contrassegnato dalla coesistenza di tendenze in apparenza opposte e difficilmente conciliabili.

Da un lato, intensificando le propensioni alla segmentazione insite in una materia poetica che prevede alcuni interventi di discorso diretto ed è costruita sull’accumulo di termini e sintagmi dalla forte connotazione emotiva, Gesualdo elabora un processo di individuazione stilistica che nel variare la configurazione e la combinazione di differenti parametri compositivi in relazione a circoscritte espressioni della lirica, giunge a conferire una marcata identificazione musicale a porzioni di testo che non coincidono necessariamente, non solo con il lungo endecasillabo, ma talvolta nemmeno con il breve settenario. Dall’altro lato, gli stessi procedimenti che concorrono alla caratterizzazione degli episodi musicali associati alle singole immagini liriche, contribuiscono, attraverso la costanza del loro ricorrere, all’unità di un’intonazione percorsa da molteplici spinte alla disgregazione. In altri termini, i contrasti riguardanti l’organico impiegato, la scrittura e la condotta delle parti, che si verificano a livello locale tra passaggi contigui di dimensioni talora piuttosto ridotte, risultano convogliati e coordinati in un disegno complessivo che, con coerenza, ne scandisce e ne regola la successione in base alla carica affettiva dei vocaboli e delle locuzioni proposte dal testo poetico.

Un ruolo senza dubbio fondamentale in entrambe le direzioni è svolto dalle cadenze. Dal quadro illustrato dalla tabella 3 emergono con evidenza due dati. Innanzitutto, la cospicua quantità di flessioni cadenzali, certo spesso assai deboli, cui si aggiungono alcune fermate che non presentano in nessuna delle linee melodiche una risoluzione di semitono, interviene per mezzo di una disseminazione veramente capillare a punteggiare sintagma per sintagma, immagine per immagine il decorso del dettato poetico. In questo caso più che mai, l’uso intensivo delle cadenze sembra motivato dall’esigenza di attribuire loro una funzione anche semantica. In secondo luogo, lo schema proposto mette in luce una prevalenza schiacciante dei modelli cadenzali negativi, contraddistinti dall’orientamento discendente del semitono di risoluzione. La percentuale numerica e il rilievo strutturale quasi assoluto assunto da queste formule appare sorprendente, nonostante sia pienamente adeguato al clima affettivo di buona parte della lirica. È in particolar modo degno di considerazione il fatto che Gesualdo non abbia inteso operare una significativa differenziazione della qualità delle risoluzioni cadenzali, né tra la prima e la seconda parte in cui egli suddivide il brano, né tra i tre momenti in cui si articola la progressione emotiva ed evenemenziale del testo poetico.

Se un mutamento avviene, tra le due parti, questo riguarda non tanto i modelli cadenzali quanto le sonorità, le classi di altezze via via enfatizzate e dunque il complessivo orientamento “tonale”. La prima parte, a cominciare dalle deboli flessioni che ne punteggiano l’esordio fino alle più marcate formule ritardate che ne segnano la conclusione, vede principalmente affermarsi attraverso le risoluzioni cadenzali la sonorità di Mi. Nella seconda parte, inizialmente è confermato il rilievo di questa sonorità, ma nella lunga fase finale (vale a dire nella ripetizione variata del nono e decimo verso) le cadenze tendono a privilegiare la sonorità di La con la quale si chiude l’intera composizione. Ad una tale individuazione di due poli tonali, non corrisponde però una contrapposizione dei modelli cadenzali ad essi associati, che in entrambe le sezioni si confermano essere la mezzacadenza e, soprattutto, la risoluzione frigia.[24] L’adozione costante e pervasiva di queste formule conferisce un’uniforme connotazione di languido patetismo all’intera situazione descritta ed evocata dalla lirica.

La logica esegetica che sottende la lettura gesualdiana può essere ancor meglio apprezzata se si esaminano alcune particolari soluzioni escogitate dal Principe.

Tra gli espedienti di cui il compositore si serve al fine di fornire una caratterizzazione espressiva agli episodi poetico-musicali, un posto di sicuro rilievo è occupato dall’uso della dissonanza, che in quest’occasione si rivela tutt’altro che marginale. Alla condotta delle parti totalmente consonante delle sezioni omoritmiche, infatti, si contrappone in alcune sezioni imitative una proliferazione degli incontri dissonanti che non si limita alla preparazione delle cadenze e non può essere considerata «accidentale». Tuttavia, il processo di individuazione musicale delle immagini liriche, ancor più che al semplice avvicendamento di differenti modalità di organizzazione dei rapporti tra le parti, è connesso ai mutamenti che coinvolgono, talvolta simultaneamente, anche le forme della scrittura, le dimensioni della compagine vocale e la conformazione melodico-ritmica dei soggetti utilizzati. Si pensi, a tale proposito, a ciò che avviene nella seconda parte del brano, laddove è possibile ascoltare consecutivamente l’intonazione dei quattro versi finali. Nell’arco di dieci battute (batt. 9-19) si susseguono ben cinque tipi di combinazioni tra questi parametri: una sezione imitativa a cinque voci che procede nella fase iniziale con uniforme andamento discendente ed è costellata da numerosi intervalli dissonanti; un più rapido e tutto consonante recitativo corale a cinque voci; un rilassato complesso pseudo-polifonico consonante e discendente proposto dalle tre voci inferiori; un vivace e frammentario episodio imitativo costruito sull’intreccio e sulla sovrapposizione di concisi motivi aperti per salto ascendente e punteggiato da fuggevoli dissonanze; un complesso a quattro voci tendenti all’omofonia, diviso in due segmenti raccordati da una sola voce che effettua un salto d’ottava. La creazione di un rapporto conflittuale tra porzioni di testo adiacenti è qui chiaramente funzionale ad esprimere l’urgenza emotiva che percorre la lirica, ed in modo particolare la sua conclusione. Non meno efficace appare in quest’ottica la repentina riduzione dell’organico con cui il Principe, passando da cinque voci in omoritmia a due voci in imitazione stretta che sfociano nel silenzio di una pausa, distingue la porzione narrativa («un sospir che dicea») e quella in discorso diretto («”L’anima spiro”») che compongono il terzo verso (prima parte, batt. 6-8) e, allo stesso tempo, rappresenta musicalmente l’esanimarsi dell’amante.[25]

Al contempo, non pochi segnali testimoniano la volontà del compositore di instaurare correlazioni e parallelismi tra immagini distanti. Lo dimostrano le affinità ritmiche del recitativo corale impiegato per i sintagmi «anch’ella sospirò» e «in vista sì cortesi» e, in modo più stringente, alcuni passaggi connessi alle cadenze più importanti del brano, sulle quali è bene concentrare l’attenzione. Un’analisi di queste formule permette di osservare alcuni dei più tipici procedimenti approntati da Gesualdo allo scopo di incrementare la valenza espressiva dei modelli cadenzali.

Esempio 2a – 2b

Le risoluzioni frigie illustrate dall’esempio 2, le prime cadenze di un certo rilievo all’interno di ciascuna delle due parti in cui è suddiviso il brano, sono accompagnate da un’analoga gamma di stratagemmi volti ad accentuarne la carica negativa. I due passaggi, rispettivamente l’intonazione del secondo verso e la seconda esposizione del membro settenario del verso 7D, sono contrassegnati dalla formazione di vere e proprie concatenazioni dissonanti (di settime e none nell’es. 2a; soprattutto di settime nell’es. 2b). In entrambi i casi, la ricca trama di dissonanze è generata dalla sovrapposizione di linee melodiche che, sviluppandosi attraverso una discesa di grado, giungono nelle voci estreme a percorrere un intervallo di sesta minore e sfociano nella formula frigia ritardandone la risoluzione. Il contesto dissonante, la qualità dei disegni melodici che contemplano all’interno di alcune voci le patetiche figure discendenti di quarta diminuita (nell’Alto del primo passaggio, nel Canto del secondo) e di tetracordo minore (nel Basso in ambedue gli episodi), la quantità dei semitoni discendenti (tre e due rispettivamente) e il ritardo della risoluzione, sono tutti elementi che insieme associati esaltano il carattere doloroso tanto delle due immagini quanto dei due differenti momenti della lirica (lo sfinimento iniziale e la disillusione della seconda parte).[26]

Degna di considerazione è pure la cadenza che chiude ma non conclude la prima occorrenza dell’invocazione «O mal nati messaggi e mal intesi» (es. 2b).[27] Si tratta di una debolissima flessione di una voce sola che probabilmente si rifà, eludendolo, al modello della cadenza perfetta. Il raggiungimento della risoluzione avviene a cavallo tra la fine del verso e la sua nuova esposizione, in quanto sia l’incedere dell’Alto, sia il movimento ascendente del semitono strutturale si>do ad opera del Basso risultano interrotti da pause; di conseguenza, un maggiore risalto è conferito al moto discendente del semitono non strutturale effettuato dal Tenore. Qui, come in altri madrigali del Terzo Libro, si ha la sensazione che a motivare il sabotaggio del modello perfetto sia, oltre che l’ovvia esigenza di non spezzare il flusso musicale, anche un intento espressivo: «mal intesi» sono sia i «messaggi», sia la risoluzione.

Esempio 3a 3b

L’esempio 3 mostra lo snodo cruciale del percorso affettivo di Sospirav’il mio core, vale a dire il momento in cui le parole proferite dalla donna rivelano il significato dei suoi precedenti sospiri.

Gesualdo esalta la drammaticità dell’imperativo «Mori» e della conseguente interiezione dell’amante attraverso un improvviso restringimento dell’organico vocale, che isola e differenzia l’immagine sia dalla compatta declamazione omoritmica antecedente, sia dal vivace andamento imitativo con cui riprende l’enunciazione della “condanna” da parte dell’amata. L’esposizione e la ripetizione variata del breve passaggio sono affidate ad un complesso a tre parti che si apre con un salto di terza operato da tutte le voci, e che si chiude, attraverso l’incedere per lo più discendente e parallelo delle linee melodiche, con una flessione frigia imperfetta. Nel primo caso, un movimento diretto di semitono cromatico fa fa effettuato dal Basso arricchisce la preparazione del movimento cadenzale; nel secondo caso, la consecutiva proposizione dell’episodio ad opera dapprima delle tre parti più acute ed in seguito di quelle inferiori, determina un progressivo sprofondamento verso il grave capace di accrescere ulteriormente il senso di contrizione e disfacimento che contraddistingue la lettura gesualdiana di questa porzione di testo. Per inciso, si può sottolineare come la modalità di approccio alla prima cadenza riveli una parziale somiglianza con quella delle «cadentie cromatiche» proposte da Vicentino. Gli esempi leggibili al capitolo XLVIII del Terzo libro de L’Antica Musica ridotta alla moderna prattica, si differenziano dal caso in esame in quanto sono tutti impostati secondo il modello autentico e presentano un cromatismo melodico ascendente nella voce superiore.[28] Tuttavia, entrambi gli autori utilizzano il cromatismo come una forma di avvicinamento alla risoluzione, giovandosi di uno slittamento di semitono durante la preparazione della clausula tradizionale. Molto più deflagrante sarà l’inserimento di tali movimenti melodici all’interno di numerose cadenze rintracciabili in altri madrigali gesualdiani, soprattutto dei libri Quinto e Sesto.[29]

Meritevoli di attenzione sono pure le cadenze che chiudono le due parti in cui si articola la composizione. Anche in questa circostanza le due formule mostrano tra loro più di una analogia.[30]

Esempio 4a – 4b

Gesualdo connota l’implorazione femminile «Non morir, non morire» con una cadenza frigia particolarmente patetica (es. 4a), rivelando così di essere più interessato ad esprimere il significato letterale del termine «morire» che il senso della negazione. La tipica risoluzione ritardata re6>(la4)Mi, peraltro già utilizzata dal compositore nella prima esposizione di questa immagine, viene qui protratta con un’estensione che ne acuisce il peso espressivo. Alle clausulae proprie del modello frigio assegnate alle parti di Alto e di Basso, segue l’enfatico gesto melodico del Canto e del Quinto che compiono un salto di ottava per intonare un’ultima volta il sintagma «non morire». Poco dopo, le medesime due voci superiori pongono un sigillo definitivo alla risoluzione e alla prima sezione della lirica, con un doppio movimento discendente di semitono.

La formula ideata dal Principe per terminare il brano si rivela ancor più eloquente e teatrale (es. 4b). In primo luogo, Gesualdo abbandona l’animata scrittura imitativa adoperata nell’intonazione della parte iniziale dell’ultimo verso, per lasciare spazio ad una declamazione tendente all’omoritmia dell’immagine conclusiva. In secondo luogo, egli spezza l’esecuzione di questo sintagma finale («il tuo languire») in due movimenti cadenzali separati da pause: la prima volta, una mezzacadenza semplice ed una flessione frigia ritardata; la seconda volta, una mezzacadenza semplice, che contempla al suo interno le clausulae frigie, ed una cadenza frigia prolungata, ritardata e ribadita dall’intero organico. Lo scarto intervallare che si produce in alcune voci tra le altezze raggiunte dalla mezzacadenza e le sonorità con cui ha inizio il successivo «languire», incrementa ulteriormente l’efficacia retorica di questo finale.[31] La caduta verso il grave che si crea tra i due segmenti del testo e che, tra l’altro, è resa ancor più acre dal rapporto che intercorre tra le altezze toccate dal Canto e dal Basso (si passa dal fa4 al si3 e dal do4 al fa3 nella voce superiore, dal fa2 al si1 in quella inferiore), esprime pienamente gli accenti emotivi che accompagnano l’inesorabile punizione inflitta dalla donna all’amante.

Ad una valutazione complessiva, la marcata propensione ad illuminare le potenzialità espressive di immagini poetiche di estensione ridotta, non impedisce al compositore di elaborare un’interpretazione musicale decisamente coerente di Sospirav’il mio core. La qualità costante dei modelli cadenzali adottati e le sottili corrispondenze stilistiche ravvisabili tra passaggi piuttosto distanti, fanno da contrappeso al processo di individuazione musicale dei segmenti testuali e contribuiscono ad instaurare un “clima” affettivo sostanzialmente omogeneo per tutta la durata del brano. Il fatto che nel quadro dei procedimenti compositivi utilizzati non siano riscontrabili sensibili variazioni in rapporto alla sezione con cui si conclude la prima parte dell’intonazione, induce a ritenere che in essa Gesualdo non abbia inteso rispecchiare il mutamento parziale e momentaneo della condizione dell’amante che è proposto dalla lirica. Egli sembra piuttosto orientato a mettere in luce il tono accorato, contrito e allo stesso tempo languido che si rinviene quasi ad ogni passo del testo poetico, evidenziando così in forma continua l’urgenza emotiva che sottende la situazione evocata. In questo modo, la lettura musicale gesualdiana non giunge dunque a dirimere l’ambiguità di fondo che contraddistingue i versi esaminati.

Conclusioni

La scelta dei modelli cadenzali operata da Gesualdo nei due brani rispecchia efficacemente il diverso orientamento affettivo dei testi poetici. Inoltre, il carattere di esemplarità di queste intonazioni deriva dalla realizzazione di strategie compositive che si contrappongono pure sotto altri profili. Certamente i piani cadenzali dei madrigali del Terzo Libro non sono sempre così uniformi dal punto di vista dei modelli selezionati, ma ciò non toglie che la funzione e la connotazione espressiva loro attribuita in Dolce spirto d’Amore e Sospirav’il mio core siano perseguite con coerenza anche nel resto della raccolta. Un elemento di conferma in tal senso proviene dalle costanti che si registrano a livello micro-strutturale nel panorama dei procedimenti compositivi approntati dal Principe allo scopo di incrementare le potenzialità espressive delle formule cadenzali e, in particolare, di quelle riconducibili ai modelli “negativi”.

A conclusione del presente studio è mia intenzione proporre un breve catalogo di cadenze che, pur non essendo esaustivo, illustri tanto la pervasiva diffusione di questi procedimenti, alcuni dei quali già incontrati nell’analisi di Sospirav’il mio core, quanto la fitta rete di connessioni testuali-musicali da cui è percorsa l’intera raccolta. Tra gli espedienti che ricorrono con maggiore frequenza assumono notevole rilievo alcune figure melodiche (quarte e quinte diminuite prese per salto o per grado, tetracordo minore discendente, altri intervalli consonanti o dissonanti coperti per salto), che il compositore utilizza di preferenza in relazione ai movimenti di preparazione e risoluzione delle cadenze, laddove si tratta di rimarcare immagini liriche di valenza patetica. L’impiego di tali figure e, più in generale, il repertorio di soluzioni di cui Gesualdo si serve a fini espressivi (quantità dei semitoni aggiuntivi e ritardo della risoluzione, inserimento di semitoni cromatici nel corso della preparazione, processi di evaporazione o elusione capaci di rovesciare la forza positiva della risoluzione, proliferazione degli incontri dissonanti in sede di preparazione), testimoniano il suo radicamento nel solco di una tradizione che ha in Cipriano de Rore un sicuro punto di riferimento.[32] Allo stesso tempo, il processo di accumulo e d’intensificazione cui egli sottopone strumenti compositivi già adottati in funzione esegetica da altri musicisti, sembra preannunciare l’indirizzo stilistico non soltanto del Quarto Libro (si pensi ad esempio alle formule cadenzali escogitate in Cor mio deh non piangete e in Ecco morirò dunque) ma anche dei più celebri e audaci libri successivi.

Voi volete ch’io mora. «[mi farete morendo] oimè sentire» (batt. 32-34, seconda parte). Il brano termina con una mezzacadenza re>La arricchita di una componente frigia. Sovrapposto all’abituale clausula basizans del Basso, un quadruplice, non simultaneo, movimento di semitono chiude l’incedere discendente delle quattro voci superiori, che nel Quinto e nel Tenore presentano rispettivamente i gesti melodici di quarta diminuita fa>mi-re>do e di tetracordo minore la-sol-fa>mi. L’elemento frigio è costituito dal moto si>la proposto dapprima dall’Alto ed in seguito dal Canto. In virtù di questa mescolanza tra i due modelli, la formula mostra notevoli affinità con la cadenza Sib>La elaborata da Cipriano de Rore per concludere il celebre madrigale O sonno, o della queta, umida, ombrosa.[33]

Languisco e moro, ahi cruda. «Languisc’e moro [ahi cruda]» (batt. 1-3). Il madrigale si apre con un crollo del Canto, del Quinto e del Tenore che dopo un salto di quarta discendono in forma più graduale fino a coprire rispettivamente un intervallo di settima diminuita, di ottava diminuita e di ottava giusta. A punteggiare questo esordio è chiamata la flessione 0sol6 >La che si rifà al modello perfetto eludendone però il movimento di risoluzione. Infatti, a sigillare la figura di quarta diminuita do-si>la>sol proposta dal Canto, non interviene l’atteso semitono strutturale ascendente, ma una pausa. Della formula perfetta compaiono dunque tutti gli elementi, meno quello essenziale; ad essere posto in evidenza rimane il semitono non strutturale re>do del Quinto. Come già in occasione del passaggio discusso nell’esempio 2b, lo “svuotamento” della risoluzione (la cui funzione è anche quella di suggerire la sonorità di La quale principale polo tonale del brano) sembra coniugare un intento espressivo all’esigenza di evitare un’eccessiva frattura con lo sviluppo della frase successiva.

«deh per pietà [consola]» (batt. 12-14). Il crollo simultaneo di più voci è impiegato successivamente anche nella doppia esposizione di questo sintagma. In entrambi i casi, a sottolineare il termine «pietà» interviene una cadenza negativa (frigia sol>La, mezzacadenza la4>Mi) seguita da pause in tutte le voci.

«[or che pietosa sei] dolce’è il morire» (batt. 27-28). Molto interessante è la chiusa del brano con la quale il compositore sembra intenzionato a suggerire la duplice valenza affettiva della “dolce morte” invocata dall’io-lirico. La “positiva” cadenza autentica Mi>La che pone un sigillo definitivo all’intonazione è preceduta non soltanto dalle clausulae proprie del modello frigio nell’Alto e nel Basso, ma anche dal contemporaneo salto discendente di quinta diminuita (fa-si, re-sol#) proposto dalle parti di Canto e di Tenore nell’esecuzione del vocabolo «dolce».

Del bel de bei vostr’occhi. «Lasso ne mort’è già [ch’el mio tormento]» (batt. 18-21). La prima intonazione del sintagma è demarcata dalla formula mi9-Do6>Si seguita da pause in tutte le voci. Anche in questo caso la componente del modello frigio si somma agli elementi della mezzacadenza in maniera tale da produrre una triplice risoluzione per semitono discendente. Nel Quinto, voce superiore di questo passaggio, è posta in bella evidenza la quarta diminuita sol>fa-mi>re. La ripetizione della seconda parte del sintagma si chiude con una formula che presenta analoghe caratteristiche.

Veggio sì dal mio sole. «[Amor non vuole] / ch’io scopri i miei tormenti» (batt.15-18). L’intonazione del verso è affidata ad un complesso di tre voci: le parti di Quinto e di Tenore procedono in parallelo attraverso una discesa di grado che le porta a coprire un intervallo di quinta giusta e di quinta diminuita (mi>re-do-si>la, destinata a formare un arco melodico con l’ascesa proposta nel sintagma precedente); il Canto interviene con leggero sfasamento presentando una figura di quarta diminuita discendente (si>la-sol>fa). La formula perfetta 0fa6>sol, preparata al termine della discesa, viene disattesa tramite l’inserimento di una pausa in tutte le voci che interrompe il flusso polifonico sulla sospensione dissonante. L’attacco del verso seguente avviene con la prevista sonorità di arrivo, ma a proporlo è un diverso organico costituito dalle tre voci inferiori. Pure in quest’occasione, dunque, la preparazione e il moto discendente del semitono non strutturale sono posti in risalto a discapito della risoluzione.

La flessione 0fa6>sol compare successivamente in forma completa a concludere la seconda esposizione del sintagma «qual empia sorte» (batt. 27-28), all’interno di una fase del brano costellata da mezzecadenze. In tal caso la preparazione della formula è preceduta da un duplice movimento di semitono cromatico (fa-fanel Canto, si-si nel Basso).

“Non t’amo” ò voc’ingrata. «[Pur viss’et vivo;] ahi non si può morire» (batt. 21-24) La declamazione del sintagma, contrassegnata da una scrittura tendente all’omoritmia, viene una prima volta affidata alle quattro voci superiori e, dopo un’interruzione completa del flusso musicale, è ripetuta ad opera delle quattro voci inferiori. L’esposizione e la ripetizione variata sono in stretta correlazione tanto sul piano armonico quanto su quello melodico. L’andamento discendente di tre linee melodiche su quattro, tra le quali si registra l’immancabile quarta diminuita nel Quinto (sol-fa-mi-re), contribuisce ulteriormente a creare una progressiva caduta verso il grave della compagine vocale, del tutto simile a quella riscontrata nel passaggio «”Mori” dicest’oimè» in Sospirav’il mio core. In entrambi i casi, la frase si chiude con una cadenza frigia che è arricchita da un duplice ritardo. All’accumulo di tre semitoni discendenti durante la risoluzione, si aggiungono i cromatismi diretti (do-do nel Canto /fa-fa nell’Alto) che precedono la clausula tenorizans della flessione cadenzale.

«[ahi non si può morire] / di duol e di martire» (batt. 27-30). Il madrigale si conclude con una complessa formula cadenzale che compendia e riunisce le caratteristiche della risoluzione frigia e della mezzacadenza. La compresenza dei due modelli si verifica attraverso una ripartizione dei ruoli. Le clausulae della cadenza frigia sono presentate dalle voci di Alto e di Basso per due volte di seguito. In un primo tempo il semitono discendente (fa-mi) è collocato nell’Alto, ma poi le funzioni delle due voci si invertono di modo che la clausula tenorizans è assegnata alla parte inferiore. A questo punto il Basso non compie l’abituale movimento di semitono, ma sprofonda con un salto di nona minore a raggiungere il mi1, l’altezza più grave dell’intero brano; contemporaneamente il Canto ed il Tenore effettuano i movimenti strutturali di una mezzacadenza.[34] Il lento incedere discendente di quasi tutte le parti, tra le quali spicca il Canto che nel coprire una sesta minore (mi-re-do>si-la>sol) arriva alla risoluzione di semitono, e la densa presenza degli intervalli dissonanti, accrescono il potenziale espressivo di questo finale.

Ancidetemi pur grievi martiri. «Ancidetemi pur grievi martiri» (batt. 1-3). L’intonazione del verso si dipana in due fasi non interrotte da una vera e propria cesura. La declamazione omoritmica del sintagma «Ancidetemi pur» presenta le clausolae di una flessione frigia «semplice» sulla base delle quali il Canto effettua il salto discendente di quinta diminuita sol-do. L’esposizione di «grievi martiri» con un’orchestrazione vocale leggermente più screziata, si conclude con una mezzacadenza seguita da pause in tutte le voci, e propone nell’Alto il graduale gesto melodico di quarta diminuita fa>mi-re>do. Identici procedimenti sono utilizzati nella ripetizione trasposta dell’episodio (batt. 9-11).

Dolcissimo sospiro. «[deh vieni a raddolcire] / l’amaro mio dolore» (batt. 23-24). L’intonazione del verso si conclude con una tipica formula frigia ritardata sol6>(re4)La seguita da pause in tutte le voci. Nel raggiungere il movimento semitonale di risoluzione le parti del Quinto e del Basso compiono una discesa per gradi congiunti di settima diminuita (si-do) e di settima minore (sol-la). È interessante notare che questo passaggio viene citato da Athanasius Kircher all’interno della sezione della Musurgia Universalis dedicata ad illustrare gli «exempla affectus dolorosi» (paragrafo «De affectu doloris»).[35]

http://riviste.paviauniversitypress.it/index.php/phi/article/view/02-01-SG03/3


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