Lucrezio – De rerum natura LIBER V – Differenza tra la filosofia della natura di Democrito e quella di Epicuro :Marx

Quis potis est dignum pollenti pectore carmen
condere pro rerum maiestate hisque repertis?
quisve valet verbis tantum, qui fingere laudes
pro meritis eius possit, qui talia nobis
pectore parta suo quaesitaque praemia liquit?
nemo, ut opinor, erit mortali corpore cretus.
nam si, ut ipsa petit maiestas cognita rerum,
dicendum est, deus ille fuit, deus, inclyte Memmi,
qui princeps vitae rationem invenit eam quae
nunc appellatur sapientia, quique per artem
fluctibus et tantis vitam tantisque tenebris
in tam tranquillo et tam clara luce locavit.
confer enim divina aliorum antiqua reperta.
namque Ceres fertur fruges Liberque liquoris
vitigeni laticem mortalibus instituisse;
cum tamen his posset sine rebus vita manere,
ut fama est aliquas etiam nunc vivere gentis.
at bene non poterat sine puro pectore vivi;
quo magis hic merito nobis deus esse videtur,
ex quo nunc etiam per magnas didita gentis
dulcia permulcent animos solacia vitae.
Herculis antistare autem si facta putabis,
longius a vera multo ratione ferere.
quid Nemeaeus enim nobis nunc magnus hiatus
ille leonis obesset et horrens Arcadius sus,
tanto opere officerent nobis Stymphala colentes?
denique quid Cretae taurus Lernaeaque pestis
hydra venenatis posset vallata colubris?
quidve tripectora tergemini vis Geryonai
et Diomedis equi spirantes naribus ignem
Thracia Bistoniasque plagas atque Ismara propter
aureaque Hesperidum servans fulgentia mala,
asper, acerba tuens, immani corpore serpens
arboris amplexus stirpes? quid denique obesset
propter Atlanteum litus pelagique severa,
quo neque noster adit quisquam nec barbarus audet?
cetera de genere hoc quae sunt portenta perempta,
si non victa forent, quid tandem viva nocerent?
nil, ut opinor: ita ad satiatem terra ferarum
nunc etiam scatit et trepido terrore repleta est
per nemora ac montes magnos silvasque profundas;

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Chi può con mente possente comporre un canto

degno della maestà delle cose e di queste scoperte?

O chi vale con la parola tanto da poter foggiare

lodi che siano all’altezza dei meriti di colui

che ci lasciò tali doni, cercati ‹e› trovati dalla sua mente?

Nessuno, io credo, fra i nati da corpo mortale.

Infatti, se si deve parlare come richiede la conosciuta

maestà delle cose, un dio fu, un dio, o nobile Memmio,

colui che primo scoperse quella regola di vita

che ora è chiamata sapienza, e con la scienza

portò la vita da flutti così grandi e da così grandi tenebre

in tanta tranquillità e in tanto chiara luce.

Confronta, infatti, le divine scoperte che altri fecero in antico.

E in effetti si narra che Cerere le messi e Libero la bevanda

prodotta col succo della vite abbian fatto conoscere ai mortali;

eppure la vita avrebbe potuto durare senza queste cose,

come è fama che alcune genti vivano tuttora.

Ma vivere bene non si poteva senza mente pura;

quindi a maggior ragione ci appare un dio questi

per opera del quale anche ora, diffuse tra le grandi nazioni,

le dolci consolazioni della vita placano gli animi.

E se crederai che le gesta di Ercole siano superiori,

andrai molto più lontano dalla verità.

Quale danno, infatti, a noi ora potrebbero recare le grandi

fauci del leone nemeo e l’ispido cinghiale d’Arcadia?

E ancora, che potrebbero fare il toro di Creta e il flagello

di Lerna, l’idra cinta di un baluardo di velenosi serpenti?

Che mai, coi suoi tre petti, la forza del triplice Gerione

tanto danno farebbero a noi ‹gli uccelli› abitatori ‹del lago›

di Stinfalo e i cavalli del tracio Diomede che dalle froge

spiravano fuoco, presso le contrade bistonie e l’Ismaro?

E il guardiano delle auree fulgide mele delle Esperidi,

il feroce serpente, che torvo guatava, con l’immane corpo

avvolto intorno al tronco dell’albero, che danno alfine farebbe,

lì, presso il lido di Atlante e le severe distese del mare,

dove nessuno di noi si spinge, né alcun barbaro s’avventura?

E tutti gli altri mostri di questo genere che furono sterminati,

se non fossero stati vinti, in che, di grazia, nocerebbero vivi?

In nulla, io credo: a tal punto la terra tuttora

pullula di fiere a sazietà, ed è piena di trepido terrore,

per boschi e monti grandi e selve profonde;

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De rerum natura – Liber III, 830-869 – controappuntoblog.org

Lucrezio, la natura – Università di Macerata ,Differenza tra …

Differenza tra la filosofia della natura di Democrito e quella di Epicuro

Quod contra saepius illa religio peperit scelerosa atque impia facta.

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