El Universo en la palma de la mano – La eterna pregunta Gioconda Belli

La eterna pregunta

La eterna pregunta de la identidad:

ser o no ser.

Dejarse ir,

o quedarse en esta orilla,

en la seguridad,

o ir allá donde el paisaje se adivina frondoso,

se percibe

y casi nos parece oler las flores del otro lado

y nos vamos embriagando del olor presentido

que nos va penetrando,

y son las flores, las enredaderas,

el agua del otro lado que nos está sonando en la memoria

con su olor a mango,

y es ese sentir que el corazón está próximo a estallar

(el olor del malinche, la explosión del malinche),

los faunos,

un día que se va,

un día que pudimos haber estado al otro lado

y no estuvimos

Gioconda Belli

Antología virtual – Poéticas

Gioconda Belli – EcuRed

El infinito en la palma de la mano – Pablo Manuel Rizzo

“Per vedere il mondo in un granello di sabbia/
E il paradiso in un fiore selvatico/
Tieni l’infinito nel palmo della mano/
E l’Eternità in un’ora.“

Da questi versi di William Blake, Gioconda Belli ha tratto ispirazione per il titolo del suo romanzo, un’originale ed affascinante rivisitazione della Creazione. In una breve nota iniziale, la scrittrice nicaraguense spiega come una lettura casuale di alcuni libri apocrifi dell’Antico Testamento, tra i quali l’ “Apocalisse di Mosè” e la “Vita di Adamo ed Eva”, abbia suscitato in lei la voglia di riscrivere la storia dei nostri progenitori. La nascita, la vita felice in un Giardino rigoglioso dove regnano pace ed abbondanza, e la sempre crescente curiosità di Eva nei confronti di uno sconosciuto “oltre”, alimentata dagli ulteriori interrogativi posti dal serpente. E’ qui che l’autrice tratteggia con sapienza un’interiorità complessa, che porta il lettore ad identificarsi in queste figure fino ad ora mai così profondamente esplorate.
Andando oltre i 40 versetti che la Bibbia dedica loro, la Belli dà voce ad una storia d’amore e di passione, di dubbi e solitudine. Una solitudine quasi palpabile, quella che avvolge Adamo ed Eva dopo la cacciata dal Paradiso, quando il progressivo allontanarsi e svanire del Giardino sotto i loro occhi desolati ci regala le pagine più struggenti del romanzo. La loro vita comincia adesso, e alle difficoltà di ordine meramente pratico – dovranno imparare a nutrirsi, cacciare, sopravvivere – si aggiungono la confusione in cui la scelta di Elohim li ha gettati, e soprattutto il continuo confronto tra due modi opposti di affrontarla. Le domande che Adamo ed Eva si pongono sono le stesse che ci poniamo noi, così come è anche nostro il loro smarrimento nei confronti della vita e della morte.

“Adamo, dove andiamo quando dormiamo? Chi sono quelli come noi che vivono nei nostri sogni? Stanotte ho visto una donna come me sulla spiaggia. Magari è ancora là. Dobbiamo andare a cercarla.”
Anche lui sognava altri uomini come lui, disse Adamo, ma non significava che esistessero davvero: i sogni erano ciò che loro desideravano vedere.

Eppure, insieme scoprono anche cosa voglia dire amare, accolgono con sorpresa il risveglio della passione nei corpi e ne assecondano i bisogni con un’urgenza goffa e piena di tenerezza.

Quando finalmente fu dentro, Adamo ed Eva provarono insieme l’emozione travolgente di tornare ad essere un corpo solo e seppero che fino a quando fossero rimasti così non si sarebbero più sentiti soli. Anche se non avessero più potuto parlare e le loro menti si fossero svuotate, avrebbero potuto stare insieme e comunicare senza bisogno di parole.

L’autrice inserisce anche un interessante spunto, quello delle coppie di gemelli, che sembra voler conciliare creazionismo ed evoluzionismo: Caino e Luluwa, Abele ed Aklia. Anche qui, la ribellione di Caino ad un destino apparentemente ineluttabile viene tratteggiata dalla Belli con grande sensibilità, impedendo la condanna tout court e anzi elaborando in maniera efficace la complessità dei quattro ragazzi. La loro vicenda di amore ed odio, e soprattutto il suo sanguinoso epilogo, mette fine al romanzo.
La Belli torna in parte alle atmosfere dello splendido “La donna abitata”, accostandosi a volte al realismo magico di Garcia Marquez e dei primi romanzi della Allende, anche attraverso la scrittura sonora ed evocativa tipica degli autori latinoamericani. Un libro delicato e forte allo stesso tempo, che mostra tutte le sfaccettature della consapevolezza delle scelte.
Se vogliamo, un inno al libero arbitrio.

Se non avessimo mangiato quel frutto, non avrei mai assaggiato un fico o un’ostrica, non avrei visto l’Araba Fenice risorgere dalle sue ceneri, non avrei conosciuto la notte, né avrei saputo cosa significa sentirmi sola quando tu non ci sei.

http://www.sololibri.net/L-infinito-nel-palmo-della-mano.html

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