400 colpi è il primo di una lunga serie di capolavori. Lo era IERI, lo è OGGI e lo sarà DOMANI

Scopo di questa rubrica è analizzare i grandi CAPOLAVORI del ‘900 e quindi di IERI. Contestualizzarli ad OGGI per capire se la prova del TEMPO li ha resi ETERNI o superati. Verranno presi in esame solo opere che all’epoca venivano considerati CAPOLAVORI per capire, analizzando il contenuto e la forma, gli aspetti che li hanno resi tali da essere, circoscritti al loro TEMPO per ovvi motivi sociali o, ETERNI anche OGGI e DOMANI.
Faire les 400 coups è l’equivalente italiano di “fare il diavolo a quattro” e si riferisce al temperamento del giovane Antoine Doinel, un tredicenne “sottomesso”. Il protagonista de I 400 colpi, splendido esordio di Francois Truffaut, non è infatti un rivoluzionario che vuol, con le sue trasgressioni, ribaltare l’ordine costituito, ma solo un ragazzino alla disperata ricerca di un po’ di calore umano. Ma l’insegnante della scuola ha metodi troppo rigidi e repressivi e i genitori lo considerano un peso. Così Antoine scappa (come ci suggerisce il titolo provvisorio del film: La fugue d’Antoine) alla ricerca di un futuro roseo. Ed è lo stesso deserto affettivo che ha vissuto il regista e che è riuscito a colmare grazie al cinema. Il film è, infatti, fortemente autobiografico in quanto racconta l’infanzia di strada di Truffaut, privo dell’affetto e dell’appoggio dei genitori che l’hanno rifiutato, legato intensamente al suo miglior amico Robert Lachenay (come Antoine con Renè) con il quale condivide un amore viscerale per il cinema. Truffaut è stato più che un semplice cinefilo, più che un formidabile autodidatta capace di divorare, con incredibile sistematicità, film (e libri): il cinema era la sua sopravvivenza. Ed è grazie alla pellicola filmica se il regista si è allontanato dalla strada ed ha trovato una famiglia fatta di cinefili, critici cinematografici, cineasti dal suo padre adottivo Andrè Bazin, che sarà anche il padre spirituale della Nouvelle Vague, ai “fratelli” Godard, Rivette, Rohmer, Chabrol che conoscerà alla Cinémathèque di Langlois e che diventeranno prima “i giovani turchi” dei Cahiers du Cinéma e poi registi di punta del nuovo cinema francese. Cinema e vita in Truffaut fanno tutt’uno, il suo primo lungometraggio non poteva che ispirarsi alla sua adolescenza.” I 400 colpi” sarà il primo di un ciclo di film sulle varie fasi della vita di Antoine Doinel (Antoine et Colette, Baisers Volés, Domicile Conjugal, L’Amour en Fuite), alter-ego di Francois Truffaut, interpretato sempre da Jean-Pierre Leaud di pari passo con la sua crescita biologica. Un esperimento unico nella storia del cinema in cui fiction e vita sconfinano continuamente l’uno nell’altro; e non è un caso che la filmografia di Truffaut è attraversata da numerosi fili rossi che legano film e personaggi in modo tale da poter parlare di un vero e proprio “mondo-Truffaut”. Antoine Doinel è dalla testa ai piedi Francois Truffaut: è lui quando viene messo in castigo a scuola; è lui quando scappa di casa; è lui quando viene mandato al riformatorio. Non ci sembra affatto strano che il regista salvato dal cinema abbia deciso di esordire narrando la sua infanzia, come a voler chiudere un cerchio, consegnandola nelle sicure mani della redenzione. Chi è così attaccato alla pellicola, non può non sperare di entrarci. E Truffaut, ormai troppo cresciuto (del resto la fiction non può essere cronaca in tempo reale, ma esige una certa distanza tra l’artista e il proprio passato), aprirà la porta della cinepresa a Jean-Pierre Leaud per il quale aveva avuto un colpo di fulmine (cinematografico, s’intende). Questa stessa cinepresa non si staccherà mai dal piccolo miston seguendolo in tutte le sue disavventure e “costringendo” la nostra affezione. Lo spettatore non può fare a meno di indignarsi di fronte all’incomprensione del mondo adulto, alla sua incapacità di amare un ragazzino vispo e intelligente; non può fare a meno di provar tenerezza ritrovandolo a sonnecchiare in una tipografia abbandonata (il Doinel adulto dell’ultimo film del ciclo lavorerà proprio in una tipografia e avrà scritto un libro sulla sua vita) o a rubare una bottiglia di latte per la troppa fame. Antoine Doinel diventa il simbolo di un’infanzia tradita, della crudeltà di una maturità cinica che schiaccia la curiosità infantile a cui Truffaut cerca di dar voce. Il regista, infatti, all’epoca dell’uscita del film lamentava la mancanza di opere che parlassero dei bambini, dei loro sentimenti, delle loro passioni. I suoi due unici riferimenti durante la costruzione della storia erano stati Zero in Condotta di Jean Vigo e Germania Anno Zero del tanto amato Rossellini (Antoine che gira solitario e sofferente per la città ricorda vagamente l’opera del regista italiano che, però, ha un’atmosfera più cupa e tragica). Questi sono gli unici due film che secondo il regista francese erano stati capaci di cogliere il mondo infantile, di rappresentarlo senza artifici. Dopo 48 anni dal successo de “I 400 colpi” il cinema mondiale ha visto moltiplicarsi le storie sui bambini, spesso molto belli e verosimiglianti. Tuttavia, dobbiamo dire che il film di Truffaut conserva inalterato il suo fascino perché ha messo perfettamente in forma l’inevitabile trauma che il mondo infantile subisce al contatto col mondo adulto. Il monello che diventa tale in quanto non capito, non ascoltato in una società che esige una produttività immediata, si fonde completamente col personaggio di Antoine Doinel facendo de “I 400 colpi” un archetipo della nostra civiltà cinematografica. Nessun film meglio di questo ci porta a “compatire” la solitudine del pre-adolescente che cerca di difendere i suoi sogni dalla cruda realtà. Mai come dopo aver visto questo film desideriamo con tutta forza un mondo a misura di enfant o perlomeno la soppressione istantanea del tragico passaggio al mondo adulto ma, soprattutto, speriamo ardentemente in un mondo in cui qualsiasi bambino possa riavere quel calor umano dal quale è stato strappato (della fase pre-parto). “I 400 colpi”, premiato al festival di Cannes e esaltato dai Cahiers du Cinéma, è un vero e proprio atto d’amore al cinema, alla vita – che in Truffaut, come abbiamo già visto, coincidono – e, soprattutto, l’affermazione forte e originale di un grande regista. Il film esce nel ’59 e subito dopo, nel ’60, ci sarà un altro esordio importante: A Bout de Souffle di Jean-Luc Godard (sceneggiato dallo stesso Truffaut). Entrambi i film finiscono con due lunghi carrelli che inseguono i protagonisti: nel primo Antoine Doinel che scappa dal riformatorio e corre fino al mare che non aveva mai visto mentre nel secondo è Michel Poiccard (Jean-Paul Belmondo) che, dopo esser stato colpito a morte dalla polizia, scappa fino ad accasciarsi sull’asfalto. “I 400 colpi” si conceda con lo sguardo intenso di Antoine rivolto alla cinepresa (che ricorda Monica e il desiderio di Bergman) come a prometterci che lo rivedremo sperando in un futuro più raggiante; più amaro il finale del film di Godard dove il ladro-gentiluomo Michel muore (significativo il fatto che il finale è stato cambiato da Godard – nella sceneggiatura di Truffaut il protagonista si salvava – ; prefigurazione della rottura post-68?) dopo esser stato tradito dalla donna che ama. È la nascita di due importanti autori che, come i loro protagonisti, corrono per conquistare un posto nel tempio del Cinema. È la nascita della Nouvelle Vague. E I 400 colpi è il primo di una lunga serie di capolavori. Lo era IERI, lo è OGGI e lo sarà DOMANI

http://www.cinema4stelle.it/i_quattrocento_colpi_ieri.html

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http://www.controappuntoblog.org/2012/07/17/les-400-coups-scene-finale-il-meglio-piano-sequenza-al-mondo/

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