“Ti con zero” e l’infinito di Calvino

“Ti con zero” e l’infinito di Calvino

Nei miei post precedenti ho citato più volte Italo Calvino, per una serie di ragioni diverse: per una mia personale predilezione per le opere del grande narratore, per una ricorrente vicinanza delle stesse con le tematiche scientifiche, e, perché no, per una impalpabile affinità che trae origine dal nome di questo stesso blog.
Ricordo che quando avevo circa vent’anni mi ero ammalato di una specie di “calvinite” acuta: continuavo a comprare libri di Calvino, perché dovevo continuare a leggerne. Tra i volumi che acquistai in quel periodo c’era “Ti con zero”, la raccolta di racconti pubblicata nel 1967, quasi come prosecuzione ideale delle “Cosmicomiche” del 1965.
“Ti con zero” non è una lettura facile, per così dire, da ombrellone. Il libro è suddiviso in tre parti, ciascuna formata da alcuni racconti. La prima parte si riallaccia alle atmosfere delle “Cosmicomiche”, recuperando il protagonista Qfwfq, palindromo narratore vecchio come l’Universo, che racconta le sue vicende senza tempo e senza spazio. Gli scenari cosmogonici che fanno da sfondo alle avventure di Qfwfq evidenziano il gusto di Calvino per le tematiche scientifiche, in particolare astronomiche e cosmologiche. 
Se la prima parte culmina con la morte di Qfwfq, la sezione centrale del libro è invece una lunga e complessa riflessione sulla vita, affrontata con la prospettiva e il linguaggio della biologia. Il trittico, intitolato “Priscilla”, è costituito dai racconti “Mitosi”, “Meiosi” e “Morte”, e curiosamente introdotto da sette lunghe citazioni, di sapore scientifico (tra biologia, filosofia, cibernetica e cosmologia). Le ultime due sono forse le più sorprendenti: rispettivamente tratte da “The general and logical theory of automata” di John von Neumann e dal “Dialogo sopra i due massimi sistemi” di Galileo Galilei.
Ricordo che quando lessi per la prima volta “Ti con zero” provai piacere misto a sorpresa nel leggere la frase di von Neumann usata per introdurre dei racconti. Mi sembrava insolito e meraviglioso che un discorso letterario potesse accogliere in sé anche il linguaggio matematico e considerazioni sulla teoria della complessità e sugli automi cellulari. In fondo mi possedeva la stessa fissazione che ho oggi: l’urgenza di mescolare prospettive diverse, letterarie e scientifiche.
Nella terza e ultima parte Calvino cambia nuovamente registro: i quattro racconti che concludono la raccolta sono storie paradossali, elucubrazioni filosofiche che sviluppano spunti narrativi minimi e apparentemente insignificanti. Molta matematica si nasconde tra le pieghe di questi racconti: in particolare analisi matematica, se è vero che il concetto che si agita dietro le riflessioni di Calvino è il concetto di infinito.
Nel racconto che dà il nome al libro, il protagonista si trova nell’atto di scagliare una freccia verso un leone pronto a balzargli addosso, e compie una articolata serie di riflessioni che si concentrano temporalmente in un unico, lunghissimo, istante. Calvino stesso, a proposito di questo celebre racconto, affermò:
“In ‘Ti con zero’ cerco di vedere il tempo con la concretezza con cui si vede lo spazio. Nel racconto, ogni secondo, ogni frazione di tempo è un universo. Ho abolito tutto il prima e il dopo fissandomi così sull’istante nel tentativo di scoprirne l’infinita ricchezza. Vivere il tempo come tempo, il secondo per quello che è, rappresenta il tentativo di sfuggire alla drammaticità del divenire. Quello che riusciamo a vivere nel secondo è sempre qualcosa di particolarmente intenso, che prescinde dall’aspettativa del futuro e dal ricordo del passato, finalmente liberato dalla continua presenza della memoria. ‘Ti con zero’ contiene l’affermazione del valore assoluto in un singolo segmento del vissuto staccato da tutto il resto.”
Anche gli altri tre racconti di questa sezione finale del libro, “L’inseguimento”, “Il guidatore notturno” e “Il Conte di Montecristo” insistono sulle stesse tematiche: il tempo, lo spazio, l’infinito, la causalità, la contrapposizione tra il tutto e le parti.
Nelle “Lezioni americane”, Calvino afferma:
“Studiare le zone di confine dell’opera letteraria è osservare i modi in cui l’operazione letteraria comporta riflessioni che vanno al di là della letteratura ma che solo la letteratura può esprimere”
Bè, in “Ti con zero” queste zone di confine vengono studiate, eccome. Calvino, unico letterato di una famiglia di scienziati, attinge a piene mani dalle tematiche scientifiche, e sembra arrivare ad una conclusione, per così dire, gödeliana: non è possibile comprendere a fondo la realtà, cioè formulare un modello completo del mondo, senza uscire da esso, adottando un punto di vista metafisico e astratto.
Qualcuno ha fatto notare che nel racconto “Il conte di Montecristo” i due protagonisti adottano due strategie opposte nel rapportarsi con il mondo: Faria si ostina a scavare gallerie nel tentativo di fuggire dalla prigione dell’isola d’If, mentre il conte di Montecristo osserva gli inutili sforzi dell’abate e si raffigura nella sua testa i mille possibili modi per uscire dalla fortezza, senza metterne in atto alcuno:
“Lavorando di ipotesi riesco alle volte a costruirmi un’immagine della fortezza talmente persuasiva e minuziosa da potermici muovere a tutto mio agio col pensiero; mentre gli elementi che ricavo da ciò che vedo e ciò che sento sono disordinati, lacunosi e sempre più contraddittori.”

http://misterpalomar.blogspot.it/2012/01/ti-con-zero-e-linfinito-di-calvino.html

Il conte di Montecristo

Dalla mia cella, posso dire di com’è fatto questo castello d’If in cui mi trovo da tanti anni imprigionato. [�]

Le immagini che uno si fa stando rinchiuso si susseguono e non s’escludono a vicenda [�] Tendo l’orecchio: i suoni descrivono attorno a me forme e spazi variabili e sfrangiati. Dallo scalpiccio dei carcerati cerco di stabilire il reticolo dei corridoi, le svolte, gli slarghi, i rettilinei interrotti dallo strisciare del fondo della marmitta alla soglia d’ogni cella e dal cigolio dei chiavistelli: arrivo solamente a fissare una successione di punti nel tempo, senza rispondenza nello spazio. [�]

Non so quante volte l’Abate Faria abbia tentato l’evasione: ogni volta ha lavorato per mesi facendo leva sotto le lastre di pietra [�]. A ogni impresa fallita, ricomincia a correggere i disegni e le formule di cui ha istoriato le pareti della sua cella; [�].

Al modo d’evadere ho pensato e penso molto anch’io; anzi ho fatto tante supposizioni sulla topografia della fortezza, sulla via più breve e più sicura per raggiungere il bastione esterno e tuffarmi in mare, che non so più distinguere tra le mie congetture e i dati che si fondano sull’esperienza. Lavorando di ipotesi riesco alle volte a costruirmi un’immagine della fortezza talmente persuasiva e minuziosa da potermici muovere a tutto mi agio col pensiero; mentre gli elementi che ricavo da ciò che vedo e ciò che sento sono disordinati, lacunosi e sempre più contradditori.

[�] di tutte le immagini conservate nella memoria, che adesso continuo a scomporre e ricomporre nelle mie congetture, nessuna combacia con l’altre, nessuna m’aiuta a spiegare quale forma ha la fortezza e in che punto il mi trovo. [�] Ora che, passati gli anni, ho smesso d’arrovellarmi sulla catena d’infamie e di fatalità che ha provocato la mia detenzione, una cosa ho compreso: che l’unico modo di sfuggire alla condizione di prigioniero è capire come è fatta la prigione.

Se non sento il desiderio d’imitare Faria, è perché mi basta sapere che qualcuno sta cercando una via d’uscita per convincermi che una tale via esiste; o che almeno, che ci si può porre il problema di cercarla. [�] le sole informazioni di cui dispongo sul luogo dove mi trovo mi sono date dalla successione dei suoi errori.

[�]

I diagrammi che io e Faria tracciamo sulle pareti della prigione assomigliano a quelli che Dumas verga sulle sue cartelle per fissare l’ordine delle varianti prescelte.

[�]

Così continuiamo a fare i conti con la fortezza. Faria sondando i punti deboli della muraglia e scontrandosi con nuove resistenze, io riflettendo sui suoi tentativi falliti per congetturare nuovi tracciati di muraglie da aggiungere alla pianta della mia fortezza-congettura.

Se riuscirò col pensiero a costruire una fortezza da cui è impossibile fuggire, questa fortezza pensata o sarà uguale alla vera [�] o sarà una fortezza dalla quale è ancora più impossibile che di qui � e allora è segno che qui una possibilità di fuga esiste: basterà individuare il punto in cui la fortezza pensata non coincide con quella vera per trovarla �.

http://matematica-old.unibocconi.it/interventi/BischiLetter/bischilettcalvino3.htm

Calvino nel caso del Conte di Montecristo

capovolge il metodo delle CosmiComiche

poiché invece di trasformare in favole le ipotesi scientifiche, qui crea

postulati scientifici da un racconto romantico: dall’ipotesi astronomica dell’Uni-erso in espansione nasce l’immagine del carcere in espansione.

 Naturalmente l’associazione di idee tra i due concetti non è casuale. Calvino con la metafora del carcere voleva rappresentare il mondo caotico, la cui cognizione oggettiva,

analogamente a quella del carcere d’If, risulta impossibile ai singoli individui.

In Calvino la conoscenza del mondo è fin dal principio un obiettivo inattuabile

perché l’essere umano, che è un sistema operazionalmente chiuso, non ha accesso diretto alla realtà.

 La sua conoscenza è indiretta e si realizza attraverso le interpretazioni fornite dagli organi di senso.

La percezione sensitiva che, per sua natura, non ha la capacità di rispecchiare l’intera realtà,

nell’atto della comprensione svolge una funzione costruttiva. Di conseguenza la concezione del mondo diventa sempre solamente una versione possibile della realtà.

Da questo risulta che tutto è relativo, anche il significato della realtà, il quale non è, però, la caratteristica della realtà stessa, non è qualcosa che esiste “lì fuori”,ma viene prodotto nella coscienza dell’essere umano attraverso le sue relazioni con la realtà.

Il mondo così perde la sua oggettività e acquista la forma multipla delle possibili

interpretazioni individuali. Calvino con l’immagine del carcere in eterno cambiamento voleva rappresentare la pluralità delle possibili realtà che si alternano secondo la nozione dell’interprete.

La percezione sensitiva, per il fatto che rende plurale la realtà, svolge anche

una altra funzione: ostacola la formazione di una concezione coerente e unitaria

del mondo. Questo è il motivo per cui né Faria né Dantes riescono a costruire la

mappa della prigione. Nel loro ragionamento, che si basa sull’interpretazione

personale dei fatti, il carcere si moltiplica secondo le diverse realtà sperimentate. Il loro problema nasce dal fatto che essi «non producono Leggi […] semplicemente ne traggono le conseguenze e le generalizzano».

 Faria «procede dal semplice al complesso, poiché deve comprendere ogni imprevisto che incontra nel suo cammino, Dantés invece, parte dal disordine dei dati e cerca di comporre la semplicità di un disegno che non perde nulla della complessità delproblema».

L’impossibilità dell’evasione deve essere attribuita proprio ai loro metodi

sbagliati, poiché né quello induttivo (il tentativo di rinvenire una Legge da una

serie di prove consecutive) né quello deduttivo (la verifica di una Legge formulata in precedenza attraverso esperimenti successivi)

possono rendere un’indagine efficace

il labirinto della letteratura nel Conte di Montecristo di Calvi

L’inseguimento

“Devo affrettarmi a trovare una soluzione e siccome l’unico campo che mi sia aperto è quello della teoria, non mi resta che continuare ad approfondire la conoscenza teorica della situazione. La realtà, bella o brutta che sia non mi è dato cambiarla”

L’inseguimento  è un problema di spazio e un problema di tempo : poiché si racconta di una gara di velocità, si tratta di un problema di rapporto tra le due grandezze

“Quello che i nostri calcoli hanno certamente in comune è che in essi gli elementi che determinano il moto individuale delle nostre macchine – potenza dei rispettivi motori e abilità dei piloti – non contano quasi più niente, e ciò che decide tutto è il moto generale della colonna, o meglio il moto combinato delle varie colonne che s’incrociano nella città”

 la situazione nel tempo-spazio  permette  all’inseguito e  all’inseguitore  solo l’azione  di continuare a procedere entrambi nella stessa direzione, incastrati come sono nella colonna di automobili.  L’unico valore reale e realizzato  è la posizione reciproca delle due auto, e cioè che  uno dei due è il perseguito dell’altro

“Il Tempo in pezzi, frantumato, logoro:

d’ansie che stride e s’impiglia:

ecco svanisce. S’apre una vertigine,

vola dalle mie ciglia alle tue ciglia,

il tempo che conoscono le palpebre

al battito d’uno sguardo che brilla,

tra le tue mani e la tua pelle in brivido,

le labbra, i denti, l’unghia che ti artiglia:

ecco abitiamo il tempo delle origini,

degli oceani, con la conchiglia,

il vulcano, le foglie, le meteore,

mentre il tempo fuori è una poltiglia

nel groviglio dei secoli.”

Italo Calvino (Turi, 2003: 9)

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