“WANDERER FANTASIE” OP. 15, D 760 DI FRANZ SCHUBERT – Sviatoslav Richter plays Schubert Sonata in C major, D. 840 “Reliquie” (1/6)

A proposito della Wandererfantasie può d’altronde essere interessante applicare la discussa psicologia delle tonalità. Il do maggiore ha qui lo stesso significato che ha nella grande Sinfonia in do maggiore e in molte altre grandi opere in do maggiore: è la tonalità aperta, bianca, raggiante, ed è per questo che l’opera (come la Sinfonia in do maggiore) si conclude in tono raggiante e positivo. Schubert supera il dolore in modo quasi beethoveniano (ricordiamo che anche la Quinta si conclude in do maggiore), ma nel frattempo hanno trovato posto quasi tutti i «colori»…
Riflettiamo ancora un po’ su questa tonalità di do maggiore; apparentemente facile, quasi «incolore», essa possiede grandi pregi: ad esempio è situata per così dire esattamente nel mezzo fra le tonalità dei bemolli, che appaiono più scure e ombrose, pervase di spirito «romantico», tanto amate da Chopin e da Schumann, e le tonalità dei diesis, preferite da Franck e da Wagner, ma anche da Mozart, che irradiano luce. Giusto nel mezzo sta la tonalità di do maggiore.
Il secondo movimento in do diesis minore è quasi irreale: un semitono sopra e in minore: dal doloroso do diesis minore non pare esistere una via d’uscita… eppure do diesis minore ha come tonalità parallela quella meravigliosa di mi maggiore, olezzante del profumo di tiglio: e infatti l’intero Adagio oscilla fra mi maggiore e do diesis minore!
Per quanto riguarda la tonalità di la bemolle maggiore del terzo movimento pensiamo alle tonalità delle tre ultime sonate di Beethoven: do minore-maggiore nell’op. 111, la bemolle maggiore (la «mediante» inferiore) nell’op. 110 e mi maggiore (la «mediante» superiore) nell’op. 109. Quanta luce nel primo movimento dell’op. 109: anche se modula in molte tonalità, non c’è un solo bemolle, nemmeno davanti alla nota più insignificante; anche quando in realtà va in «mi bemolle maggiore», Beethoven scrive in «re# maggiore» (con nove diesis…).
Le cose sono molto simili in Schubert, che appunto predilige anche lui queste «medianti». Ho già parlato del ricco mi maggiore, ed eccoci al la bemolle maggiore del terzo movimento, lo Scherzo (e al re bemolle maggiore del «celestiale» Trio, che – come dice Robert Schumann con una bellissima espressione – si libra al di sopra del «reale» do maggiore all’altezza di un fiore…).
Dobbiamo ancora parlare del ritmo. Il dattilo, da solo, sarebbe troppo uniforme. Nel Lied Der Tod und das Mädchen i passi «dattilici» della Morte hanno un carattere di pura tragicità, ma per un brano così lungo e multiforme diventerebbero insopportabilmente monotoni. Il dattilo (e anche l’anapesto) dovevano dunque essere «variati». Questa forma variata, puntata, del dattilo compare già nello Scherzo della Nona, ma a quell’epoca Schubert non poteva ancora conoscerla. E così pure non poteva conoscere le tre citazioni tematiche del Finale: la Nona Sinfonia era certo già presente nella mente di Beethoven, ma sarebbe stata eseguita solo tre anni dopo. Solo allora Schubert potrà riconoscere nello Scherzo della Nona lo stesso ritmo ch’egli aveva utilizzato nello Scherzo della Wandererfantasie qualche anno prima: il «dattilo puntato», (purtroppo non ha un suo nome proprio…).
L’anapesto ritorna nel «secondo tema secondario» del primo movimento nella tonalità di mi bemolle maggiore (ossia la «mediante minore» di do maggiore), dove sembra passeggiare lungo un amabile ruscelletto: la figurazione della mano sinistra «dipinge» il ruscello in tutta evidenza. Per noi pianisti è una cosa molto bella: in Beethoven, in Mozart non sempre possiamo dire con precisione quale sia il preciso significato della «parola musicale», del motivo: non esiste infatti un «vocabolario» dei motivi beethoveniani.
Invece per Schubert tale vocabolario esiste, perché quasi tutti i motivi di Schubert sono collegati alle parole nei suoi seicento Lieder. Quando lo stesso passaggio, quasi identico (come nel secondo movimento della Wandererfantasie), si trova anche in un Lied (in questo caso in Der Neugierige: Sag, Bächlein, liebt sie mich? [Dimmi, ruscelletto: lei mi ama?]), in tal caso si può capire che gli scorrevoli sedicesimi sono il ruscelletto «interrogato» e partecipe, la melodia sono io stesso, è il viandante, è il curioso, è Schubert.
Ma anche sul piano formale ci sono grandi innovazioni, addirittura rivoluzionarie. Dal tematismo ciclico deriva infatti una forma ciclica, che richiede una grandiosa concezione. Vediamo qui – probabilmente per la prima volta nella storia della musica – una grande composizione in quattro movimenti i cui primi tre non sono conclusi: il primo, il secondo e il terzo sono infatti lasciati del tutto «aperti» alla fine, e addirittura non concludono nella rispettiva tonalità di partenza. Solo il F&Mac245;nale riprende la tonalità di do maggiore del primo movimento e appare perciò in un certo senso la ripresa e la stretta culminante di un tempo di sonata davvero ciclopico, il cui sviluppo sarebbe dunque costituito dall’Adagio e dal Presto (nelle tonalità delle due medianti), mentre il primo movimento sarebbe per così dire l’esposizione. Ciclo significa anche «cerchio» e il cerchio di questo gigantesco tempo di sonata si conclude dunque solo con l’ultimo accordo!
Il Finale inizia con un fugato: ci si aspetta dunque una gigantesca fuga, che faccia saltare tutte le dimensioni della musica pianistica. Ma l’appassionato creatore scrive il tema già in ottave: e poiché noi poveri mortali abbiamo solo due mani la «gigantesca fuga», muore di morte naturale subito dopo la prima esposizione… Quando, ancora ragazzo, mi misi a studiare questa Fantasia e dopo questo passaggio, girato pagina, mi trovai improvvisamente di fronte a una figurazione completamente diversa, «pianistica», non più polifonica, pensai in un primo momento che nella mia edizione, vecchia e rovinata, mancassero un paio di pagine… Solo più tardi mi venne il sospetto che Schubert, contrappuntisticamente ancora inesperto, avesse per così dire «lasciato perdere» la fuga. Più avanti si trovano soltanto un paio di passaggi contrappuntistico – imitativi: ma sembrano quasi «abbozzi» sparsi inseriti in un secondo tempo.
Se dunque l’elaborazione di una «fuga» è in un certo senso fallita, il tema in sé è peraltro incredibilmente incisivo: tutto qui richiama ancora una volta l’idea di una sinfonia, anzi addirittura di una sinfonia con coro. È possibile che a Vienna fosse già circolata la voce che il sordo signor van Beethoven stava lavorando a una gigantesca sinfonia con coro? Alla base di un tale finale sinfonico-corale avremmo dovuto certo trovare parole davvero lapidarie per un lapidario ritmo dattilo- dattilo-trocheo: Wir, die wir gehen und wandern… (Noi che camminiamo e girovaghiamo…).
Pensare e sentire un testo latente mi sembra un grande aiuto per cogliere la declamazione delle opere schubertiane: provate a pensare un testo le cui sillabe corrispondano ai giusti battere e levare e che sia correttamente rimato sui finali dei «versetti». La rima è dopotutto qualcosa che suona…
Dunque con «rime sonoramente musicali», con le sillabe correttamente disposte su battere e levare, ma soprattutto con un contenuto che corrisponda al signif&Mac245;cato spirituale individuato nella musica, magari utilizzando parole che nei Lieder di Schubert siano chiaramente «identificate», come ad esempio «primavera», «stormire di foglie», «fruscii del bosco», «cascata»; ma anche: «A cavallo!», «Buona notte», «Alla luna», «Tu non mi ami»; tutto ciò lo possiamo trovare nei suoi Lieder. Perciò anche gli accompagnamenti pianistici dei Lieder di Schubert sono una fonte inesauribile per ogni interprete schubertiano: quante idee di fraseggio, di colori e addirittura di «registri» mi sono venute solo accompagnando; la giusta accentuazione e declamazione, i piccoli ma significativi allargamenti a sottolineare parole importanti, ma soprattutto il naturale respiro!
Chi sa respirare con Schubert saprà certo – dopo essersi amorevolmente immerso nello studio – anche suonarlo nel modo «giusto». . .
Sì: suonarlo nel modo giusto: eppure proprio lo Scherzo della Wandererfantasie viene per lo più suonato in modo sostanzialmente sbagliato (anche da esecutori «di prima scelta», da nomi altisonanti). Leggiamo Presto, ma viene precipitato in un Prestissimo, «brillantissimo», senza minimamente interrogarsi sul contenuto. Inoltre questo Scherzo in 3/4 è, come tanti altri Scherzi di Schubert, un vero e proprio valzer, e non un valzer lento, ma in tempo presto (eilig). Un Valzer Viennese veloce deve diffondere gioia di vivere e serena leggerezza. Ma come trovarla, dopo gli spaventevoli «abissi» toccati alla fine dell’Adagio:

Im Getsterhauch tönt’s mir zurück:
«Dort, wo du nicht bist, dort ist das Glück!»

Un sussurro di spiriti mi risponde:
«Là dovc tu non sei, là è la felicità!».

Come mai, dunque, questo valzer suona tanto rozzo, come suonato da una banda, quasi «ordinario», con quel tema secondario del tutto spensierato e quasi «allegro» – ma già Schubert aveva detto: «Può mai esistere una musica allegra?» Ho trovato la chiave di questo paradosso apparentemente insolubile proprio in alcuni Lieder di Schubert, ma soprattutto di Robert Schumann. Qua e là troviamo infatti valzer demoniaci, quasi brutti: ad esempio quando sentiamo una rustica musica nuziale che accompagna il matrimonio dell’amata con un altro (Das ist ein Flöten und Geigen, Der Spielmann, Der arme Peter).
Qui Schubert ha fatto qualcosa di assolutamente «romantico», ma anche già quasi «moderno», ossia una musica «felice» che esprime però qualcosa di terribilmente infelice. Ciò si manifesta in modo del tutto evidente nel Trio, dove il Wanderer, dunque l’«Io», si distoglie da questa terribile e ordinaria musica di banda, da quel valzer insopportabilmente danzante, e sembra chiedere consiglio al ruscello: «Dimmi, ruscello: sono perduto? ci potrà mai essere ancora felicità per me?». E per altri suggerimenti rivolgiamoci da ultimo, ma primo per importanza, al testo del Wanderer, alla poesia di Schmidt von Lübeck che ispirò il diciannovenne Schubert alla composizione di quella che fino a quel momento (nonostante Erlkönig e Gretchen am Spinnrade) è la sua opera più alta sul piano dell’anima e dello spirito. Potrà dare una risposta a tutti i quesiti irrisolti che ci ha posto la Wandererfantasie…

Ich komme vom Gebirge her,
Es dampft das Tal, es braust das Meer.
Ich wandle still, bin wenig froh,
Und immer fragt der Seufzer: wo?
Immer wo?

Die Sonne dünkt mich hier so kalt,
Die Blüte welk das Leben alt,
Und was sie reden, leerer Schall,
Ich bin ein Fremdling überall.

Wo bist du, mein geliebtes Land?
Gesucht, geahnt und nie gekannt!
Das Land, das Land, so hoffnungsgrün,
Das Land wo meine Rosen blühn,

Wo meine Freunde wandeln gehn,
Wo meine Toten auferstehn,
Das Land, das meine Sprache spricht,
O Land, wo bist Du?

Ich wandle still, bin wenig froh,
Und immer fragt der Seufzer: wo?
Immer wo?

Im Geisterhauch tönt’s mir zurück:
«Dort, wo du nicht bist, dort ist das Glück!»

  Scendo dalla montagna,
la valle è nebbiosa, il mare ribolle,
cammino in silenzio, scontento,
e sempre sospirando chiedo: dove?
Sempre: dove?
qui il sole mi sembra tanto freddo,
il fiore appassito, la vita ormai passata,
e ciò ch’essi dicono mi sembra vuoto rumore,
io sono straniero ovunqueDove sei, amata terra mia?
Cercata, presagita, e mai conosciuta!
La terra, la terra verde di speranze,
la terra dove fioriscono le mie rose,Dove i miei amici vanno girovagando,
dove i miei morti risorgono,
la terra che parla la mia lingua,
terra mia, dove sei tu?Cammino in silenzio, scontento,
e sempre sospirando chiedo: dove?
Sempre: dove?

Un Sussurro di spiriti mi risponde:
«Là dove tu non sei, là è la felicità»

© Jörg Demus – Accademia Bartolomeo Cristofori, Firenze, 2000

http://www.classicaonline.com/musicologia/saggi/20-11-04.html


 

La vita oscilla Eugenio Montale – Carlos Kleiber “Symphony No 8″ Schubert (2. Mov.)

Contralto Eula Beal sings Bach’s “Erbarme Dich” – “Erlkoenig” – “None but the lonely heart”

Ian Bostridge, Schubert Du Bist die Ruh

La vita di Schubert? Un’incompiuta ; Symphony no. 8 in B minor D 759 “Unfinished” (KARAJAN – Philarmonia Orchestra)

Schubert – Der Erlkönig [魔王] (complete version.) – Hilary Hahn plays Ernst’ s Grand Caprice on Schubert’s Der Erlkönig, Op. 26

An die Musik” von Schubert | controappuntoblog.org

Seconda elegia a Duino – (Agli angeli) – Schubert: String Quintet in C

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Winterreise è la rappresentazione di un teatro tanto estremo che…

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Claudio Arrau plays Schubert Sonata D.894

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Sinfonia n. 9 in do maggiore “La grande” D. 944

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Schwanengesang (in italiano Il canto del cigno)

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Shubert DIE HIRTEN AUF DEM FELSEN

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