Clash! La disfatta di Kiev accelera l’escalation In evidenza
E’ una sonfitta davvero cocente per i tracotanti nazionalisti saliti al potere a Kiev grazie ad un golpe neanche troppo soft quella che i media di tutto il mondo sono costretti a raccontare in queste ore. I proclami altisonanti del presidente ad interim Turchinov e del ministro Arsen Avakov avevano venduto, poche ore prima, la versione del rapido e travolgente intervento dell’esercito in alcune località dell’est del paese strappato ai ribelli secessionisti e riconsegnato all’ordine e alla legalità.
Ma la travolgente avanzata tale non era e si è presto trasformata in una nuova disfatta. Carri armati che si impantanano o che vengono bloccati da folle di abitanti inferociti, altri che sul più bello cambiano bandiera e innalzano quella russa, centinaia di militari – molti dei quali giovanissimi cadetti appena usciti dall’Accademia – che passano con gli insorti. Il resto della truppa che non sembra per niente entusiasta di sparare ai propri fratelli o di sparare in generale. Doveva essere una dimostrazione di forza e si è rivelata una ennesima dimostrazione di debolezza quella di un regime che – ormai è evidente – non è in grado di mantenere le promesse fatte all’Ue e agli Stati Uniti in cambio del sostegno al regime change andato in scena a Kiev nei mesi scorsi. Che il nuovo esecutivo fosse poco credibile e incapace di gestire la situazione lo si era visto già con l’ammutinamento della Crimea, passata senza colpo sparare dall’Ucraina alla Russia nel giro di pochi giorni: migliaia di soldati avevano dismesso le insegne di Kiev ed avevano giurato fedeltà alla Repubblica ‘indipendente’ in attesa di annessione a Mosca. La “Crimea fa storia a sé”, in fondo non ha mai cessato di essere parte integrante della Russia pur se intrappolata in Ucraina per uno scherzo del destino – e qualche bicchiere bevuto di troppo di Nikita Kruscev.
Ma nei giorni scorsi, quando le popolose città dell’oriente e del meridione ucraino erano insorte e avevano proclamato l’indipendenza della rispettive ‘repubbliche popolari’ impossessandosi dei palazzi del potere e delle caserme della polizia, molti dei reparti speciali della polizia e del ministero degli interni inviati a sedare l’insurrezione erano passati dalla parte dei rivoltosi, unendosi a coloro che armi alla mano non hanno nessuna intenzione di essere coinvolti in una guerra civile senza senso e dagli esiti tragici. Ed ora anche parte della truppa, inviata come ultima risorsa dal governo ultranazionalista per cercare di riprendersi metà del paese, rivela quantomeno di non ritenere credibili e autorevoli i nuovi governanti. Ci sarà pure lo zampino di Mosca in ciò che sta accadendo a Kharkov, a Lugansk, a Donetsk e nel resto dell’oriente ucraino. L’ascesa di un potere nazionalista, sciovinista e xenofobo a Kiev si è manifestato immediatamente come un pericolo per i diritti culturali e politici di milioni di ucraini russi e russofoni. Il nuovo regime di Kiev, prima ancora di riuscire a mettere veramente le mani sulla macchina statale – per altro pignorata in tempi record dal Fondo Monetario e dall’Unione Europea – ha chiarito agli ucraini non nazionalisti che sono un corpo estraneo, un nemico interno; l’abolizione del bilinguismo e la creazione di un corpo di sicurezza infarcito di miliziani nazisti – la ‘Guardia Nazionale’ – hanno trasformato in un incubo immediatamente percepibile un cambiamento di classe politica che, se gestito in maniera più appropriata, avrebbe generato sicuramente meno reazioni nelle città che oggi si preparano a difendere, armi alla mano, i referendum dell’11 maggio sull’autodeterminazione. Se è vero che il nazionalismo pan russo di Putin vede i consensi aumentare sia in patria che all’estero, si assiste sia in Russia che nelle regioni insubordinate dell’Ucraina ad un inaspettato rinascere di manifestazioni “pro sovietiche” o comunque improntate ad un nazionalismo ‘progressista’ e antifascista. Anche se non è detto che allo sventolio di bandiere rosse e di cimeli sovietici non corrisponderà più in là un rafforzamento delle correnti scioviniste e militariste, alimentate da un’aggressività occidentale che non può che generare una reazione eguale e contraria.
La “macchina da guerra” di Kiev si è rivelata un’armata Brancaleone, e ai rissosi oligarchi che governano appena metà del paese non rimangono che le milizie di Settore Destro o, peggio, i mercenari stranieri della (fu) Blackwater. Un incontrovertibile manifestazione della sudditanza delle ‘istituzioni rivoluzionarie’ a potenze e poteri stranieri. Un disvelamento della reale natura del nuovo regime solo ai ‘russi’, ma anche ad una popolazione che finora ha sostenuto o almeno tollerato, nelle regioni occidentali, l’avventura golpista ma che di fronte alla disfatta sul piano militare, e presto anche su quello economico, non necessariamente continuerà a spalleggiare gli oligarchi filoccidentali. Anche le stesse elezioni presidenziali indette per il 25 maggio, che nelle intenzioni dei nuovi padroni avrebbero dovuto legittimare il ‘regime change’ agli occhi della propria opinione pubblica e del mondo, sono un ‘no sense’ in un paese spaccato anche militarmente in due mentre alcuni dei candidati vengono picchiati per la strada dalle squadracce neonaziste.
Il fallimento del piano occidentale – utilizzare le marionette ucraine per il gioco sporco e limitare il proprio intervento alle sanzioni contro Mosca e all’accerchiamento militare della Nato – però sembra a questo punto foriero di una nuova pericolosa escalation. È pensabile che gli apprendisti stregoni dell’Alleanza Atlantica, di Washington e di Bruxelles prendano atto dell’inservibilità della propria creatura – l’Ucraina conquistata ai valori occidentali – e decidano di venire a patti con Mosca? Tutto è possibile. Sicuramente sarebbe nell’interesse di una Unione Europea che si è spinta troppo in là nello scontro con la Russia e che, a scapito dei propri obiettivi strategici – subisce ora gli invadenti condizionamenti da parte degli Stati Uniti sulla questione dell’indipendenza energetica e sul piano militare.
Ma allo stato sembra di capire che le onde generate dal sasso lanciato nello stagno continueranno a correre, e veloci. La Nato – e gli Stati Uniti, anche autonomamente – ha di fatto ordinato una ‘mobilitazione’ delle sue truppe, per mare, per terra e per cielo, senza precedenti, inviando navi da guerra nel Mediterraneo Orientale e nel Baltico, aumentando lo schieramento militare ai confini con la Russia e potenziando squadriglie di caccia che si spingono sempre più lontano. Di fronte a questa crescente militarizzazione dell’Europea Orientale e Settentrionali le ingiunzioni a Mosca da parte della Casa Bianca e di Angela Merkel affinché allontani le proprie truppe dai confini appaiono da questo punto di vista davvero ridicole.
Qualcuno ha parlato, per descrivere lo scenario scaturito dall’intervento occidentale a Kiev, di una nuova ‘Guerra Fredda’. Ci sembra un paragone poco calzante. Il mondo non è diviso in due blocchi più o meno equivalenti dal punto di vista militare e tenuti in equilibrio dalla reciproca dissuasione nucleare. I blocchi in contrapposizione oggi sono molteplici, e tutti equamente affamati di mercati, di corridoi energetici, di risorse naturali, di ‘spazio vitale’. E l’equilibrio tra i vari soggetti della competizione globale appare assai precario e instabile, per niente incline quindi ad una stabilizzazione durevole. In questo quadro ognuno degli attori sarà in qualche modo obbligato a mostrare i muscoli se non vorrà perdere una partita i cui esiti disegneranno gli equilibri internazionali dei prossimi anni e, forse dei prossimi decenni. E la possibilità che l’incidente non voluto, il casus belli non cercato trascini tutti in una guerra inaspettata e devastante è sempre lì, ineliminabile.
http://contropiano.org/internazionale/item/23461-clash-la-disfatta-di-kiev-accelera-l-escalation
Pro-Russians take control of Ukrainian troop carriers
By Thomas Grove and Gabriela Baczynska
SLAVIANSK/KRAMATORSK, Ukraine (Reuters) – Armored personal carriers driven into the eastern Ukrainian city of Slaviansk had been under the control of Ukrainian armed forces earlier on Wednesday, pictures taken by Reuters photographers showed.
A soldier guarding one of six troop carriers now under the control of pro-Russian separatists told Reuters he was a member of Ukraine’s 25th paratrooper division from Dnipropetrovsk.
“All the soldiers and the officers are here. We are all boys who won’t shoot our own people,” said the soldier, whose uniform did not have any identifying markings on it.
“They haven’t fed us for three days on our base. They’re feeding us here. Who do you think we are going to fight for?,” he said.
Armored personnel carriers marked with the numbers 815, 842 and 847 were among six under Ukrainian control in the center of Kramatorsk early on Wednesday. They were seen under the control of pro-Russian separatists in the center of Slaviansk later.
Ukrainian soldiers with the vehicles in Kramatorsk on Wednesday morning identified themselves as members of the 25th paratrooper division.
Some Kramatorsk locals gave tea and food to the Ukrainian soldiers, who appeared dirty and tired and said they had been on “exercises” for four days.
A civilian in Kramatorsk who identified himself as Felix told Reuters he had seen Ukrainian forces give up their vehicles to armed pro-Russian separatists.
A YouTube video showing vehicles with the same markings appeared to show Ukrainian troops peacefully abandoning their vehicles to heavily armed pro-Russian separatists.
A spokesman for the pro-Russian separatists in Slaviansk said the Ukrainians had given up after talks. It was not clear whether there was any threat of force.
Ukraine’s defense minister, Myhailo Koval, was travelling to the Donetsk region to establish what is happening, deputy prime minister Vitaly Yarema told journalists in Kiev.
“At the start there was information that the armored personnel carriers entered the town within the framework of the counter-terrorist operation, but their subsequent fate …” Yarema said without finishing his sentence.
(Additional reporting by Gabriela Baczynska in Kramatorsk; Alessandra Prentice in Moscow; Pavel Polityuk and Conor Humphries in Kiev; Writing by Conor Humphries; Editing by Giles Elgood
http://news.yahoo.com/pro-russians-control-ukrainian-troop-carriers-witnesses-101031589.html
Le imprese europee parteggiano per la Russia
Chi segue il loro esempio, dato che la cooperazione economica tra la Russia e l’Occidente cresce ? Per esempio, la fornitura di gas nel Regno Unito è aumentata del 40%. Chi trionferà in questa battaglia: i politici o le imprese? Chi è disposto a mostrare chi governa realmente il mondo ?
Con tribuni politici europei si scrive un discorso minaccioso, ma l’Europa è coinvolta con un enorme numero di obblighi finanziari russi e di interessi commerciali, quantificabile in centinaia di miliardi di euro. L’Europa non può rompere questi legami, dice il presidente del Center for Strategic Communications Dmitry Abzalov:
Il mercato russo è uno dei più grandi e di più rapida crescita in Europa. I giocatori europei, principalmente italiani, tedeschi, francesi, aziende olandesi non intendono abbandonare il mercato russo. Solo i contratti militari con la Francia rappresentano un prezzo troppo alto ed è chiaro che, se non con la Federazione Russa, l’Europa con chi dovrebbe concludere i contratti militari. Perché sicuramente la Cina è per le armi russe, l’India lavora con la Federazione russa e gli Stati Uniti. L’Europa dovrà negoziare. Inoltre, il mercato russo ha aziende che operano in ingegneria – la stessa “Volkswagen”, “Siemens”, “Phillips” e l’intera industria automobilistica tedesca, lavorando sulle attrezzature ad alta tecnologia; nel settore energetico – Eni, Gaz de France e molte altre aziende europee. Nessuno vuole ridurre al minimo le sue attività principali dovute a iniziative politiche. La maggior parte della popolazione dei Paesi non supporta il confronto con la Federazione russa, in particolare sulla questione dell’Ucraina.
I grandi giocatori non sono interessati ad una complicazione delle relazioni con la Russia, ha detto. Dopo tutto, la Russia fornisce fino al 30% dell’energia dell’UE. L’Europa non è interessata al dispiegarsi del vettore russo in Oriente. Perché in questo caso gli Stati Uniti e l’Europa avranno un potente blocco economico. Oltre al fatto che il gas russo è l’unica fonte di energia. Ciò “riguarda” l’Europa orientale, dove la quota di gas russo è dal 60 al 90 per cento, ricorda Dmitry Abzalov:
Nonostante tutte le dichiarazioni, gravi sanzioni non sono ancora intervenute. Abbattere i prezzi del gas è un suicidio politico in questa fase, non può essere fatto sotto il modello finanziario corrente. Pertanto, l’UE agirà con la massima attenzione qui. Mi sembra che dopo una certa reazione iniziale sull’aspetto politico, le relazioni economiche filano lisce.
La situazione più difficile resterà fino alle elezioni presidenziali in Ucraina, dice Dmitry Abzalov, poi il pathos diminuirà:
Ora c’è un tentativo di pressione da parte di Washington. La pratica dimostra che è possibile, ma la lunga distanza non aiuta. Ne è un esempio la Georgia. Nel prossimo futuro, un mese prima delle elezioni presidenziali, la situazione diverrà abbastanza complicata. Ma poi non saranno imposte serie iniziative e sanzioni paralizzanti contro la Federazione russa.
È anche importante la posizione diffusa tra le imprese europee e la società civile in Europa. E i politici non sempre pensano a quello che dicono, ritiene Dmitry Abzalov:
Va notato che esiste anche una posizione civica. In realtà le aziende si oppongono qualcosa di molto difficile. Inoltre, nonostante le dure dichiarazioni del Cancelliere Angela Merkel, una che ha avviato “Nord Stream” e “South Stream”, ha discusso questi progetti tramite la Commissione europea. Pertanto, possiamo dire che le imprese oggi sono un partner della Federazione russa con un forte impatto politico e pubblico.
Gli affari sono strettamente intrecciati alla politica. In questi casi le limitazioni parziali che hanno interessato due banche russe circa i circuiti Visa e Mastercard hanno confermato che anche sotto la pressione politica la reazione del business non può essere rigida. Pertanto gli slogan politici potranno vivere la loro vita, ma la realtà resterà la stessa.
Per saperne di più: http://italian.ruvr.ru/2014_04_16/Le-imprese-europee-parteggiano-per-la-Russia-4223/
China, Russia Seek ‘Enhanced Mutual Political Support’
Il ministro degli Esteri russo, Sergey Lavrov, era in Cina Martedì. Durante la sua visita, Lavrov si è incontrato con il ministro degli Esteri cinese Wang Yi così come il presidente Xi Jinping. Secondo un portavoce del ministero degli Esteri cinese , la visita di Lavrov è stata progettato principalmente per “gettare le basi” per la prevista visita del presidente Vladimir Putin in Cina nel mese di maggio. Oltre a questa visita ufficiale di Stato, Putin parteciperà anche ala quadriennale Conferenza sull’interazione e le misure di rafforzamento della fiducia in Asia (CICA) Summit, che si terrà a Shanghai.
Russia’s Foreign Minister, Sergey Lavrov, was in China Tuesday. During his visit, Lavrov held meetings with Chinese Foreign Minister Wang Yi as well as President Xi Jinping. According to a Chinese Foreign Ministry spokesperson, Lavrov’s visit was primarily designed to “lay the groundwork” for President Vladimir Putin’s scheduled visit to China in May. In addition to paying an official state visit, Putin will also attend the quadrennial Conference on Interaction and Confidence Building Measures in Asia (CICA) Summit, to be held in Shanghai.
China and Russia have been working hard to tighten their relationship, especially since Xi Jinping assumed the presidency in March 2013. Since then, Xi has visited Russia three times, most recently to attend the opening ceremony of the Sochi Olympics. Russia was, in fact, the destination chosen for Xi’s very first trip abroad, symbolizing the importance Xi and China’s government place on ties with Moscow.
During his meeting with Lavrov, Xi Jinping said that relations between China and Russia “are at their best” and have played “an irreplaceable role in maintaining world peace and stability.” China’s Foreign Ministry dubbed China-Russia ties the “major-country relationship that boasts the richest contents, the highest level and the greatest strategic significance.” Of course, China’s other main “major-country relationship” is with the United States—spokesperson Hua Chunying was implicitly contrasting the progress in China-Russia relations with recent tensions in the China-U.S. relationship.
In terms of moving the relationship forward, Xi called for “enhanced political mutual support” between China and Russia. Lavrov responded that China and Russia’s “bilateral strategic partnership of coordination has global influence.” Many analysts have theorized that China backs Russia on controversial international issues (such as blocking UN Security Council resolutions dealing with the Syrian civil war) in hopes of gaining similar Russian support for problems of deep concern to China. Xi and Lavrov’s words hint at this give-and-take relationship, which keeps either country from being isolated in the face of opposition from the West.
However, China-Russia relations are not simply mercenary tit-for-tat diplomatic transactions. Russia and China also share a philosophical distaste for Western doctrines that imply a ‘global policeman’ function. One such example is “responsibility to protect,” which calls on the world to interfere in specific countries to prevent a humanitarian crisis. Both Russia and China (frequently targets of human rights criticisms themselves) reject the West’s emphasis on human rights and have a vested interest in keeping such principles out of the international governance system. In general, China and Russia seek to forestall most international actions targeting a specific state, whether that involves military intervention, economic sanctions, or simply a strongly worded verbal reprimand by the UN.
Long term, Beijing and Moscow also seek to foster a global order that has room for more than one superpower. In fact, opposition to a U.S.-dominated world order seems to be a major factor uniting China and Russia, as both seek world recognition as great powers with the accompanying global clout.
Accordingly, China and Russia have jointly emphasized several regional organizations, including CICA as well as the Shanghai Cooperation Organization (SCO), which Beijing and Moscow hope can play defining roles in Asian multilateral governance. Tying Putin’s first state visit to China with the 2014 CICA summit (held only once every four years) underlines this gathering’s importance for China-Russia relations. CICA especially will allow China and Russia, the two dominant regional powers, to shape an agenda for dealing with Asian security issues.
The timing for the upcoming CICA summit is especially poignant, as most Western countries want nothing to do with Putin these days, due to outrage over the annexation of Crimea. For example, a G8 meeting scheduled to be held in Sochi has been cancelled, to be replaced by a G7 meeting in Brussels that Russia is not invited to attend. CICA, however, will continue as planned with Russian participation.
As for the Ukraine issue itself, Xinhua included a mention only as an afterthought at the very end of the article: “During the meeting, Lavrov briefed with Xi about Russia’s stance on the Ukraine issue. Xi also elaborated on China’s position on the issue.” For China, the less said about Ukraine, the better
http://thediplomat.com/2014/04/china-russia-seek-enhanced-mutual-political-support/
Ucraina: tre morti a est, oltre dieci feriti e numerosi arresti
Lo scrive il ministro dell’Interno su Facebook. A Ginevra vertice Usa, Ue, Russia e Ucraina
– 17 aprile 2014 08:15
La Serbia nella morsa della crisi ucraina
ita bhs
“Detto metaforicamente, un elefante è entrato in soggiorno e non si può far finta di niente”. Sempre più difficile per la Serbia mettere in pratica la sua politica volta ad avvicinarsi a Bruxelles senza però mai scontentare Mosca. Un’analisi
L’accelerazione subita dalla crisi in Ucraina ha bruscamente messo in questione la strategia di politica estera della Serbia, basata sul desiderio di entrare a far parte dell’Unione europea pur mantenendo buone relazioni con Mosca.
Con la crisi in Ucraina l’UE è arrivata infatti ad un duro confronto con la Russia e questo spinge inesorabilmente la Serbia a doversi esprimere sull’Ucraina con la stessa voce di Bruxelles o quanto meno con parole simili. Una mossa diversa non danneggerebbe in modo irreparabile il processo di euro-integrazione, ma di sicuro lo renderebbe più lento e faticoso.
Osservata dal punto di vista formale, per la Serbia la questione centrale collegata all’Ucraina è quella del Kosovo. Belgrado avrebbe in questo senso interesse a sostenere l’Ucraina e a contrastare la separazione della Crimea. Tuttavia ciò facendo entrerebbe in netto contrasto con la Russia. La Russia a sua volta è sempre stata contraria all’indipendenza del Kosovo ed ha sempre appoggiato la Serbia al Consiglio di Sicurezza dell’ONU, ma poi in Ucraina ha agito seguendo altri principi.
Sia la Russia che l’Occidente, ognuno con le proprie argomentazioni, affermano che il Kosovo e la Crimea non sono la stessa cosa. Alla Serbia aggrada però di più il punto di vista di Mosca secondo il quale il Kosovo non ha il diritto di separarsi dalla Serbia. In Occidente invece si riconosce il diritto all’autodeterminazione del Kosovo ma non quello della Crimea.
Da che parte stare?
La Serbia si trova ora a dover dichiarare apertamente da che parte sta. Appartiene all’Europa solo geograficamente oppure condivide il progetto politico europeo senza riserve? Una questione difficile da dirimere per il governo in cui domina il Partito progressista serbo (SNS) del premier in pectore Aleksandar Vučić, soprattutto se si tiene presente che oltre la metà degli elettori di questo partito non è incline ad accettare le richieste di Bruxelles rispetto all’Ucraina, mentre coltiva evidenti simpatie per la Russia e il popolo russo.
Detto in modo esplicito: sul piano della politica interna non è ancora stato preparato il terreno per modificare la politica estera della Serbia e questo è un notevole fattore di limitazione per Vučić. Oltre a ciò, la Russia è un importante partner economico della Serbia e le aziende russe possiedono praticamente il monopolio del gas e del petrolio nel paese. Sono tutti elementi a cui Belgrado deve prestare attenzione se vuole limitare i danni di un possibile “tsunami politico” portato dai lampi della crisi ucraina.
In Serbia continua ad essere tacitamente in vigore quindi la posizione secondo la quale sul fronte internazionale non si deve fare nulla che possa essere interpretato come una mossa contro la Russia, ma Belgrado, nonostante la situazione critica, ha oggettivamente ancora un po’ di spazio di manovra. Perché partendo dalla frontiera con l’Ucraina sino a Londra la Serbia è l’unico potenziale amico su cui la Russia può contare, cosa che può essere sfruttata come vantaggio strategico. Mosca cerca un “sostegno attivo”, mentre la Serbia per ora offre solo un atteggiamento passivo con uno sporadico e tiepido sostegno della posizione russa. E potrebbe andare avanti così, a meno che Vučić e il suo partito non decidano di fare un ulteriore passo verso Bruxelles.
Le sfide della Serbia
L’SNS e il futuro premier Vučić saranno in grado di vincere questa sfida? La risposta è semplice: la vinceranno se riusciranno a seguire la strategia di Bruxelles anche nel momento in cui non saranno completamente d’accordo con essa. In caso contrario, la Serbia resterà una sorta di isola circondata da membri dell’UE e della NATO. È del tutto possibile che l’SNS e Vučić siano realmente intenzionati a cambiare le cose, ma ancora non riescano a distanziarsi nettamente dalla retorica populista basata sull’”amicizia con tutti”, dietro la quale non c’è alcun piano chiaro ed elaborato, né tanto meno una stima reale delle sue possibili conseguenze.
La posizione in cui la Serbia si è trovata con la crisi ucraina sarebbe complicata anche per uno stato molto più grande e con maggiore stabilità economica. Detto metaforicamente, un elefante è entrato in soggiorno e non si può far finta di niente. Belgrado per ora si comporta come se non vedesse l’elefante, continuando a ripetere che desidera buone relazioni con tutti e che spera che questo atteggiamento venga compreso da Bruxelles, Washington e Mosca.
La prima dura prova per la Serbia è stata la votazione, la scorsa settimana, di una risoluzione con cui l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa (CoE) ha tolto il diritto ai deputati russi di votare presso il CoE e di operare nei suoi organi dirigenti fino alla fine della sessione 2014, cioè fino alla fine dell’anno. Il governo serbo, almeno a giudicare da quanto riportato dai media, non ha dato un’indicazione chiara ai deputati serbi presso il Parlamento del CoE su come votare, e questi lo hanno fatto in modo vario, in base agli orientamenti propri o del partito di appartenenza.
Due deputate del partito di opposizione DS (Partito democratico), Nataša Vučković e Vesna Marjanović, così come il deputato del partito Unione delle regioni serbe (URS) Vladimir Ilić, hanno appoggiato la risoluzione, mentre i deputati degli altri partiti serbi hanno votato contro o si sono astenuti. Il voto di tre deputati a favore della risoluzione contro la Russia ha sollevato una piccola bufera politica in Serbia. Nataša Vučković ha risposto affermando di non aver adottato una posizione anti russa ma bensì una posizione filo serba e che sia lei che la Marjanović hanno tenuto conto del fatto che la Serbia debba tutelare il principio dell’integrità territoriale.
I media vicini al potere hanno criticato i tre deputati e lo stesso hanno fatto la maggior parte dei partiti politici. Da notare però che nei loro confronti non si è scatenata alcuna campagna stampa dei media vicini al governo e questo porta alla conclusione che Aleksandar Vučić si trattenga dal suscitare l’insoddisfazione di Bruxelles e che, almeno per ora, non ritiene che il comportamento delle due deputate vada bollato come tradimento degli interessi nazionali.
Un nuovo concetto di politica estera
La votazione all’Assemblea parlamentare del CoE ha fatto emergere una questione che la politica serba evidentemente non ha ancora metabolizzato. Le due deputate del DS, in sostanza, hanno appoggiato la posizione di Bruxelles ritenendo che la Serbia appartenga all’Europa e che debba seguire gli orientamenti generali di Bruxelles se desidera diventare davvero membro dell’UE. La loro spiegazione ufficiale sulla necessità di difendere il principio dell’integrità territoriale della Serbia sembra, in questo contesto è dettato più dal doversi difendere dall’opinione pubblica che da vero convincimento.
I primi spunti per l’inevitabile cambio di rotta nella politica estera serba sembrano quindi arrivare dal Partito democratico, ora all’opposizione. Ma anche all’interno di quest’ultimo il voto di Vučković e Marjanović ha causato un acceso dibattito. Molti tra i funzionari del partito lo hanno ritenuto avventato ed hanno sottolineato che la Serbia dovrebbe adottare una posizione univoca pur sottolineando ormai la necessità di cambiare rotta nella politica estera.
http://www.balcanicaucaso.org/aree/Serbia/La-Serbia-nella-morsa-della-crisi-ucraina-150779