Simenon patologia di uno scrittore ; Maigret e l’ispettore sfortunato (1968) – Maigret Un Natale Di Maigret s1e3 1965 – Mouloudji : J’ai le mal de Paris.

 

Simenon patologia di uno scrittore

Parigi, 11 dicembre 1922: Alla Gare du Nord, un giovane alto, scarno, non ancora ventenne, scende dal treno proveniente da Liegi. Indossa un impermeabile di qualità scadente, le scarpe sono logore. Tiene in mano una valigia di materiale sintetico chiusa da una cinghia. I capelli biondi piuttosto lunghi, il cappello nero a tesa larga e la cravatta a fiocco annodata con disinvoltura, gli conferiscono un’ aria bohemien… Quel giovanotto dall’ aspetto così ingenuamente “artistico” è Georges Simenon. Arriva a Parigi, lo dirà più tardi, deciso a trovare il modo di mantenersi, di guadagnarsi la vita, non importa come, mangiando più o meno tutti i giorni. In pochi anni, scrivendo con rapidità stupefacente articoli di giornale, racconti e romanzi popolari, risolve il problema del pane quotidiano. Nel 1932 pubblica una serie di romanzi polizieschi di cui è protagonista un commissario di polizia destinato come lui alla celebrità: Jules Maigret. Il mito di Simenon è nato, continuerà fino alla morte (4 settembre 1989) dopo 418 libri, migliaia di racconti, articoli, saggi, confidenze personali di ogni genere, comprese le più imbarazzanti: affettive e sessuali. In questi giorni Simenon torna con una nuova biografia di Stanley G. Eskin: Georges Simenon, alla scoperta di un protagonista del Novecento (Marsilio, pagg. 454, lire 58.000. Notevole apparato bibliografico, elenco completo delle opere). Curatore è Gianni Da Campo, uno dei maggiori studiosi di Simenon, autore di un commento importante per le ragioni che più avanti cercherò di dire. C’ era già stata nel 1992 la biografia di Pierre Assouline (ne ha parlato La Repubblica, il 17 settembre del 1992), oggi arriva quella di Eskin. Due opere in certo modo complementari. Assouline puntava le sue 750 pagine sulla vita, Eskin centra le sue 450 soprattutto sui libri, come del resto denuncia il titolo originale Simenon, a critical biography (editore Mc Farland & Co.). Cerchiamo di vedere con quali risultati. L’ idea-chiave credo d’ averla trovata a pagina 331, là dove scrive: “In un certo senso, Simenon non è un artista”. Affermazione che può far sobbalzare se si pensa all’ uomo che ha scritto centinaia e centinaia di volumi alcuni dei quali sono senza discussione dei capolavori. Devo ammettere però che le motivazioni di Eskin, basate sia su note autobiografiche dirette che sull’ analisi delle opere, risultano abbastanza convincenti. Simenon appare effettivamente piuttosto disinteressato nei confronti dell’ arte. Ad esempio, niente di più lontano da uno come Flaubert, capace di tormentarsi per giorni per trovare un aggettivo appropriato. Simenon scrive in stato di semitrance e mostra in più di un’ occasione come riscontrando un’ incompatibilità tra l’ arte e la vita, sceglie categoricamente quest’ ultima. Ammetterà egli stesso: “Notavo che esistono verità crude, ingranaggi segreti, che è preferibile ignorare se si vuole conservare un’ integrità fisica o morale”. E’ forse la confessione più “borghese” che uno scrittore abbia mai fatto soprattutto se si pensa che altri “artisti” sono ricorsi a misure estreme come allucinazioni e droghe, proprio nel tentativo di raggiungere quegli ingranaggi segreti che Simenon in partenza si nega. Approfondendo la sua analisi, Eskin nota però che il maggiore problema posto da Simenon ai suoi studiosi non è nemmeno la prodigiosa velocità alla quale stende, di getto, la prima stesura, quanto il rifiuto di leggere il testo in funzione di successive revisioni. L’ idea del biografo è che sia la rapidità di composizione che il patologico rifiuto di rivedere il testo derivano dalla stessa ragione: la sua curiosità nei confronti della vicenda che ha immaginato, dei protagonisti che l’ hanno per dir così animata, di colpo, si spegne: a un certo punto del racconto ritiene di saperne a sufficienza e l’ interesse si esaurisce. In uno dei più bei capitoli del libro (“L’ arte e la vita”) Eskin tenta un bilancio critico di questo pazzesco modo di scrivere mostrando tutta una serie di problemi sia di struttura che di scrittura. Riporto un paio di esempi, il primo è da La vieille: “La sera in cui mia madre ha avuto una sincope mi trovavo sola con lei. Sono corsa per le strade, senza fiato, e rivedo ancora le due grandi finestre con le tende color écru dietro le quali s’ indovinava una vita misteriosa”. Per Eskin è altamente improbabile che una donna che corre angosciata nella notte arrivi a notare particolari come il colore delle tende nelle finestre illuminate. Colpa della fretta, conclude. In altre occasioni però, la fretta non impedisce a Simenon i più alti livelli espressivi. In Bergelon la disperazione del giovane Cosson si rispecchia in questo scenario domestico fatto di dettagli pieni di pathos: “La cosa più sconcertante era quella macchia azzurra su una sedia nella penombra, la presenza immobile di Cécile e, sulla tela incerata della tavola, quei resti di salame in un pezzo di carta, un fondo di vino rosso in un bicchiere, delle briciole di pane…”. Magistrale naturalismo. La biografia di Eskin ci conduce insomma quanto più profondamente possibile dentro il mistero compositivo dello scrittore franco-belga che, com’ è noto, è doppio riguardando sia l’ opera che la vita. Ecco perché si rivelano preziose le note di Gianni Da Campo che in particolare chiarisce o approfondisce i molti passaggi scabrosi della vita di Simenon. Uno dei più sinistri è probabilmente il suo giovanile antisemitismo. A 18 anni Simenon, che collaborava alla Gazette de Liège, redige (firmandosi Georges Sim) una serie di 17 articoli tutti intitolati Il pericolo ebraico. La prima guerra mondiale è finita da poco, lui scrive: “Si può affermare, senza tema di esagerazioni, che se gli ebrei non sono stati i fautori della guerra, sono sicuramente stati coloro che ne hanno approfittato”. Oppure: “Il ruolo degli ebrei nella finanza internazionale non è un’ im- maginazione. La verità è che il pericolo giudaico esiste e le forze nazionali e soprattutto quelle cattoliche devono combatterlo”. E via di questo passo. La Gazette era un quotidiano che parlava degli ebrei come dei peggiori e maledetti nemici del Cristo e Simenon doveva mangiare più o meno tutti i giorni. Circostanze che, ovviamente, non lo scusano. Molti anni dopo, nel 1985, in una lettera al giornalista belga Jean-Christophe Camus, che aveva scritto un saggio su di lui, Simenon corregge sulla bozza alcune sviste senza importanza e, tra l’ altro, precisa: “Le segnalo anche una cosa di importanza un po’ maggiore. Si tratta di due o tre articoli che ho scritto sui Savi di Sion che non rispecchiano le mie idee di allora e nemmeno quelle di oggi. Il direttore mi chiese di scriverli e io li ho scritti”. Gli articoli non erano solo “due o tre” e non erano sui Savi di Sion. Minimizzando a questo modo, Simenon dimostra di non voler riflettere seriamente su quell’ errore di gioventù. A dispetto di ogni ricerca, anche se ottima come in questo caso, resta a mio parere misterioso come un uomo tanto sgradevole sia riuscito a creare uno dei personaggi letterari più simpatici del mondo. Aveva probabilmente ragione Proust affermando, contro Saint-Beuve, che sono molto scarsi i legami tra un autore e la sua opera. – (10 dicembre 1996)

http://www.nwo.it/patologia-simenon.html

Georges Simenon
Romanziere belga di lingua  francese (Liegi, 1903 – Losanna, 1989).

In virtù di  un’alta ingegneria dell’intreccio romanzesco ed un senso acuto della psicologia dei personaggi – doti che gli hanno consentito  di costruire un universo narrativo che supera il mero genere poliziesco – il creatore del leggendario commissario Maigret si è affermato come il più fertile degli scrittori di lingua  francese dai tempi  di Balzac: decine di opere apparse sotto 17 pseudonimi e circa 220 romanzi firmati col  suo nome hanno totalizzato più di 550 milioni di copie,  tradotte in una sessantina di lingue ed hanno fornito al grande ed al piccolo schermo una manna inesauribile.

Al pari della sua opera, la vita di Simenon pullula  di personaggi ed abbonda di cambi di scena. La persona che dà spessore psicologico al suo ispettore famoso con Le memorie di Maigret (1951) è la stessa che narra del proprio passato, sia in tentativi autobiografici espliciti – I miei  ricordi (1945), Quando ero vecchio (1970) o Memorie intime (1981) -, sia creando romanzi a partire da episodi della propria vita: così un  contesto coniugale penoso gli ispira Il  gatto.


Da Georges  Sim a Simenon
Simenon nacque  il 13 febbraio 1903 a Liegi, in Belgio. Nelle memorie che – credendosi in punto di morte – redasse  durante la seconda guerra mondiale  evocò i suoi anni giovanili. Una galleria di ritratti e di scene dove molti membri della sua famiglia somigliano ai futuri personaggi dei suoi romanzi: la zia Anna, che gestisce un bar per marinai; lo zio Jean, droghiere arricchito e brutale; la madre, ossessionata  dal timore di morire. Gli avventori che sfilano davanti agli  esercizi commerciali sono  dei campioni d’umanità destinati a popolare  un po’ alla volta tutta l’opera del romanziere. Le  memorie abbondano in descrizioni: Liegi sotto la nebbia o la neve, l’odore dei caffè, l’attività delle chiuse o l’atmosfera di un retro-negozio. Nei suoi primi anni, l’autore si è approvvigionato di una vera galleria di ritratti e di quadri viventi, e si capisce bene perché il giovane diventato uomo deciderà di  non cedere mai alla meschineria piccolo-borghese dei propri  genitori, cosa che spiega forse anche la sua prolificità e la sua futura fortuna, che si affiancherà  ad un  rapporto col denaro molto particolare.

Dal reporter allo scrittore
Interrompe gli  studi alla fine della guerra e lavoricchia  in piccoli impieghi  prima di entrare alla Gazzette de Liège. Inizialmente reporter, compie  il proprio apprendistato seguendo  la cronaca nera, che gli permette  di scoprire i tipi umani e le motivazioni più stupefacenti, di cui saprà presto trarre profitto. A diciannove anni è  a Parigi, corrispondente  per un giornale; scrive bene  e rapidamente una quantità notevole di romanzi d’appendice e novelle che appariranno in diverse pubblicazioni. A venticinque anni, lo scrittore ha già immaginato 1.200 intrighi, firmati coi  diversi pseudonimi. Il suo nom de plume  più frequente – e il più trasparente – è Georges Sim. Può fin d’ora vivere dei suoi scritti e ne approfitta per viaggiare, ampliando così  la sua già ingente galleria di
paesaggi e situazioni. Prova per i fiumi e per gli oceani una predilezione che lo condurrà  nei mari del Sud.

Entra in scena  Maigret
Ha appena  trent’ anni quando crea il personaggio del commissario Maigret, che gli merita immediatamente, e per sempre, una notorietà universale e dei cospicui  diritti d’autore. È nel frattempo reporter a Paris-Soir, cosa che gli permette di viaggiare per  il mondo intero e di incontrare personalità alla ribalta dell’attualità.

Le traduzioni nelle lingue straniere si moltiplicano. Il cinema trova nei suoi romanzi un serbatoio inesauribile di soggetti ed acquista i diritti dei suoi libri man mano che  escono. Paradossalmente, Simenon, che ha sempre rifiutato di scrivere per lo schermo, è il più grande fornitore di storie per il cinema e ben presto per la televisione. Ormai ricco conduce un tenore di vita dispendioso: vaste proprietà, grand hotel, costose automobili, autisti e cuochi al proprio servizio. La sua esistenza prende la piega di un lussuoso seminomadismo. A secondo delle occasioni e a proprio signorile piacimento va a vivere con la famiglia in vari posti del globo: in Vandea prima e durante la seconda guerra mondiale, negli Stati Uniti alla liberazione, in Svizzera a partire dal 1959. L’elenco completo delle sue residenze successive occuperebbe due pagine. La sua vita coniugale non è priva di complicazioni. Più volte sposato, Simenon è un grande dongiovanni, la fedeltà non è il suo forte, ed i biografi dovranno rinunciare a registrare le sue conquiste tanto esse sono numerose. Sembra che abbia avuto la stessa energia ad  amare che a scrivere.

L’infinita scrittura
Ma la sua produzione non è rallentata né dai suoi spostamenti né dalle necessità derivanti dall’allevamento dei figli. Il commissario Maigret, che era stato  “licenziato” nel 1934, viene richiamato in servizio, a furor di pubblico. L’ispettore Torrence, un assistente imprudentemente fatto morire nel primo volume della serie, viene resuscitato. Simenon   raccontò in seguito che per comporre i suoi romanzi in pochi giorni gli bastava chiudersi in una stanza  in cui nessuno lo disturbasse. Prendeva anche la precauzione di sottoporsi a  una visita medica prima di scrivere per avere una certa garanzia di  continuità nel lavoro. Si contano all’incirca quasi  settanta “Maigret”, tacendo delle  altre serie (le Petit Docteur, les Dossiers de l’agence O) o dei romanzi cosiddetti “psicologici”, senza personaggio ricorrente.

I “dettati”
Nel 1972, lo scrittore rinuncia al progetto di un  nuovo romanzo e anzi annuncia che non ne scriverà più.  Ma continua a vergare le sue memorie, che chiama i suoi “dettati”. Il resto del  tempo è dedicato alle pratiche relative ai  diritti d’autore ed ai suoi assegni alimentari, ma anche alle passeggiate, alla lettura ed alla televisione. I suoi ultimi anni sono rattristati dal suicidio della figlia Marie-Jo, così spesso evocata nelle Memorie intime.

Universalmente celebre, membro dell’Accademia reale del Belgio, Simenon fu  anche in odore di premio Nobel per la  letteratura, che non ottenne. Muore vicino a Losanna nel 1989. Le sue opere,  costantemente ristampate ed adattate per altri media, non hanno finito di suscitare interesse e consensi.

Un pittore dell’umanità ordinaria
La maggior parte dei racconti  di Simenon appartiene al genere poliziesco e non priva il lettore del piacere dell’enigma risolto. Un delitto, degli interrogatori, la scoperta di un  colpevole sono  il percorso obbligato. Ma grazie al metodo intuitivo di Maigret, l’avanzamento logico ed un po’ freddo delle indagini classiche è sostituito da un’atmosfera e da una tessitura di  relazioni umane che costituiscono il  vero centro del romanzo. E allora mette di più conto cogliere il segreto di un criminale che smascherarlo: la scoperta del colpevole diventa pretesto per la pittura di un ambiente o di  un’analisi psicologica. Mentre il romanzo poliziesco tradizionale utilizza personaggi  convenzionali  per complicare una storia, moltiplicare gli indizi e preparare una conclusione inattesa, un romanzo di Simenon sfrutta una situazione semplice ma potente per fare evolvere personaggi complessi. Basterebbe fare scomparire il personaggio del commissario in uno dei suoi drammi criminali perché un romanzo poliziesco diventi un romanzo tout court. Il creatore di Maigret riuscirà del resto a fare a meno delle convenzioni del genere in romanzi senza indagine e senza delitti.

I personaggi
Benché i personaggi siano spesso individui piatti, ingessati nelle loro abitudini, ossessionati dalla sensazione del loro  fallimento o della loro mediocrità, pure possono provare passioni violente e compiere atti estremi. In situazioni gravi, al centro di conflitti o di sfide intense, non esitano ad andare fino alla fine di se stessi. Gli individui più grigi diventano allora veri personaggi, e molti meritano di incarnare un tipo umano. Con il loro numero e la loro varietà, formano tutto un  microcosmo allo stesso tempo immaginario e vero. La situazione in cui sono colti, e come ristretti, è già una prigione  o un destino. È volendo fuggirsene che arrivano ad uccidere. La loro aspirazione alla libertà li conduce dunque verso un’altra prigione, reale questa volta. Alla fine di un romanzo di Simenon, si ha di rado l’impressione di un trionfo, ma piuttosto di un scoramento.

I luoghi
Benché gli intrecci  possano svolgersi in grandi città come in giungle tropicali, il paesaggio-tipo resta il porto, la città di provincia, i canali e le chiuse, la strada, con i suoi caffè ed i suoi alberghetti. L’ambientazione, così presente, così penetrante, non funge da pretesto a descrizioni compiacenti e calligrafiche. Essa ha  un cuore, è soprattutto un’atmosfera, e contribuisce altrettanto – o più che il  personaggio –  alla riuscita dell’insieme. Come un solo dettaglio, vivido e naturale, nel tratteggio di un personaggio basta a dargli vita, Simenon eccelle a comporre un quadro, creare un’atmosfera, con due o tre elementi: la  nebbiolina, lo stridore di una puleggia, il passo di un viandante. In alcune parole, tutto un mondo diventa reale, prende senso e materia. Quest’economia dei mezzi narrativi permette al lettore di completare il personaggio o l’ ambientazione, riempire i vuoti con il suo immaginario. Una poesia particolare può allora sorgere dalla più disperante piattezza. Simenon ha deliberatamente scelto lo stile più neutrale e più efficace, meno infastidito da  effetti letterari. Senza artifici, perfettamente accordata al mezzo ed agli attori del dramma, questa scrittura è già un’espressione della solitudine e della banalità da cui il tragico non è assente. In effetti, più di un personaggio si trova  agito da una situazione inestricabile,  la cui sola uscita è il crimine o la morte.


Una potenza creatrice
Dinanzi a tanta materia e a tale  facilità di scrittura, si è parlato di “caso” o di “fenomeno” Simenon. Infatti, si resta spiazzati dalla potenza creatrice di un uomo capace di scrivere un romanzo in una settimana («Sono passato poco a poco da 12 giorni ad 11, a 10, a 9. Ma ecco che per la prima volta sono giunto alla cifra 7, che è diventato come lo stampo definitivo nel quale saranno colati ormai i miei romanzi»), e di scriverne centinaia senza che la sua ispirazione si indebolisca, come pure dalla ricchezza di un universo romanzesco abitato da personaggi ad  un tempo bigi e fantastici. Quest’opera ricca  di uomini, di paesaggi e di passioni somiglia ad una commedia umana, che  talora è stata accostata  a quella di Balzac. Il suo successo è immenso e duraturo, ed è stata oggetto di traduzione in tutte le lingue. Non   stupisce dunque che il cinema se ne sia impadronito. Il testo, dove i dialoghi occupano un grande posto, reclama le immagini. Quasi tutti i romanzi sono stati ridotti in pellicola, ed alcuni più  volte. Se così  ricca è la sostanza dei temi che ciascuno vi può prendere ciò che vuole, farne ciò che più gli aggrada, ben  pochi  riescono tuttavia a rendere la complessità del libro.

Un autore popolare
Accostato ai più grandi  scrittori, Simenon è tutto sommato un autore popolare, facile da leggere, che non si è preoccupato né di questioni formali né stilistiche. Non è né Proust né Dostoevskij. Ciononostante, grazie alla sicurezza della sua arte ed ai poteri della sua immaginazione, ha strappato l’ammirazione di tutti gli scrittori. Roger Nimier, Max Jacob, Marcel Aymé, François Mauriac, e molti altri, hanno lodato le qualità di quello che André Gide considera come «il più grande romanziere di tutti, il  più vero romanziere che abbiamo in letteratura».

Le opere

Simenon si presta male ad una selezione bibliografica, tanto è sterminata la sua produzione. Citiamo dunque – un po’ arbitrariamente – l’Aîné des Ferchaux (1945), Trois Chambres à Manhattan (1946), le Fils (1957), Le Testament Donadieu (1937), Le Voyageur de la Toussaint (1941)   e Je me souviens (1945), On dit que j’ai soixante-quinze ans (1980) (autobiografie).

http://lafrusta.homestead.com/pro_simenon.html


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