L’immagine svela il reale ? – da Jean-Jacques Wunenburger, Philosophie des images ; ocio all’occhio …

Filosofia. L’immagine svela il reale

 

Filosofia. L’immagine svela il reale

di Elio Franzini, Professore di Estetica all’Università degli Studi di Milano

10 ottobre 2012

La rappresentazione del mondo è tutt’altro che una mera ripresentazione del reale. Ne afferra invece il valore espressivo e diventa capacità di ordinare il visibile e organizzare l’esperienza.

È indubitabile, e forse del tutto banale, partire dal presupposto che il rapporto tra l’occhio e l’immagine abbia una storia ed ogni epoca, di conseguenza, un concetto teorico di immagine, con le sue molteplici valorizzazioni mitiche, magiche, culturali, religiose o artistiche, diverso da tutte le altre.

Ugualmente vero, ed ugualmente banale, che il senso dell’immagine, e il nostro rapporto sia ottico sia spirituale con essa, con la sua “visibilità” e con i suoi substrati “invisibili”, si sia modificato nel tempo, subendo tutte le conseguenze delle molteplici e successive scoperte tecnologiche: la velocità di un treno, un obbiettivo fotografico, la visione dall’alto da un aereo, le immagini cinematografiche, il colore di Cézanne o i bianchi di Mallarmé, l’orgia visuale dei nostri tempi massmediatici hanno modificato, probabilmente arricchito, le nostre possibilità visive, ne hanno a volte sviluppato le potenzialità qualitative. Definire l’immagine in modo generico, come segno delle cose che può conservarsi senza la loro presenza, ha dunque poco senso se non si connette tale definizione alle tradizioni di pensiero nelle quali si è articolata: da Aristotele a Tommaso d’Aquino, da Kant ai Romantici sino a Hegel e alla nostra contemporaneità, l’immagine, e la sua facoltà produttiva, cioè l’immaginazione, giocano sempre sul piano di questa presenza-assenza, che può aprire illimitate prospettive.

“L’immagine nasce radicandosi nella nostra memoria, nell’esperienza stessa della nostra vita quando affronta il problema della assenza”

La storia filosofica dell’immagine deve dunque sempre confrontarsi con la consapevolezza che l’esperienza del mondo, ai suoi vari gradi, si articola in modalità che possono venire descritte senza cedere al relativismo storico, muovendosi piuttosto verso la consapevolezza che la variazione ha spessore e senso filosofico se, e solo se, ha come sfondo una identità comune. Le immagini con cui il mondo ci appare, e con cui disegniamo la nostra storia, non sono né configurazioni che agiscono in base a immutabili principi né un fluire di contingenze che hanno senso solo all’interno di specifiche “contestualizzazioni”: lo sguardo che descrive ha un senso strutturale che articola la sua forma essenziale in atti correlati alle caratteristiche intrinseche, alle qualità e ai valori, che gli oggetti e le epoche sanno dispiegare. In queste differenze storiche, si può dunque individuare un filo rosso teorico, che coglie nell’immagine non semplicemente una “riproduzione” del reale, bensì una rappresentazione che ne afferra il valore espressivo: immagine, cose e sguardo non sono variabili impazzite bensì, nel loro coordinarsi percettivo, un modo privilegiato per comprendere la fenomenicità del reale, il suo essere per noi.

Originano un sapere in cui l’immagine non è la ripetizione delle cose ma il luogo, e il tempo, in cui ne manifesta il senso espressivo, liberandolo, come scrive Cassirer, da tutte le determinazioni semplicemente fortuite e accidentali, afferrandone così il punto focale. L’immagine, dunque, non solo non è una derealizzazione, bensì si pone come punto di avvio per esibire il senso simbolico, espressivo e spirituale della percezione, per comprendere, infine, che dietro di essa si cela un potere che in vari modi media la relazione conoscitiva tra uno sguardo che afferra e un insieme di qualità oggettuali che vengono apprese. Si tratta infatti di svelare quella che Kant chiamava “arte nascosta” nelle pieghe del più profondo animo umano, in virtù della quale le immagini si trasformano in schemi e simboli del nostro conoscere, in funzioni di sapere che, pur attraverso rappresentazioni, ma, per così dire, “al di là” di esse, sono il loro “non so che”, capace di superarne i limiti mimetici e memorativi.

La tradizione filosofica insegna dunque che il processo che produce le immagini è un percorso complesso, sempre connesso all’attività del nostro sguardo: guardare non è passiva ricettività, bensì capacità di ordinare il visibile e organizzare l’esperienza. L’immagine nasce radicandosi nella nostra memoria, nell’esperienza stessa della nostra vita quando affronta il problema della “assenza”. L’imago, infatti, è nell’antichità la maschera funebre: e questo suo legame con la morte trapassa dalla classicità al mondo cristiano, contribuendo in modo rilevante al determinarsi della sua natura concettuale. Difendere la morte attraverso le immagini significa voler preservare la memoria, dunque un’identità storica e culturale, in virtù della quale si cercano modi figurali per intrappolare il tempo nello spazio, nella forma definita di un’immagine rappresentata.

La rappresentazione è allora il tempo-spazio grazie al quale si rende presente l’assente: non sul piano magico dell’evocazione, ma su quello della vera e propria sostituzione oggettuale. In questo modo le immagini, sin dall’origine del pensiero occidentale, nel loro porsi come rappresentazioni che ondeggiano tra morte e memoria, assumono un decisivo valore simbolico: perché la rappresentazione, lungi dall’esaurirsi in una mera ripresentazione del reale, rivela pieghe e allusioni immaginative che si sono articolate e realizzate in forme diverse, artistiche o meno.

Le immagini, simboli ontologici o simulacri che siano, portano così non su orizzonti assoluti bensì sui processi stessi che le generano: le ipotesi e le soluzioni che si delineano in questi percorsi sono forse equivalenti sul piano antropologico poiché tutti quanti manifestano e attestano il “bisogno di immagini” che lega la vita e la morte. Ma al loro interno si rivela anche un compito teorico da svolgere, salvaguardare cioè il senso estetico, sensibile, simbolico dell’immagine e, con esso, il percorso formale e formativo che rende l’immagine un contenuto di senso, la traccia visibile di un’attività spirituale, energetica, passionale, di una temporalità che non perde il proprio senso storico e produttivo traducendosi in porzioni finite di spazio.

Quando si parla di immagine, immaginazione o fantasia si incrociano dunque vari sensi stratificati nella storia del pensiero: il ruolo conoscitivo dell’immagine rappresentativa, degli oggetti iconici, delle immagini mentali (e via discorrendo), delle immagini che circondano e integrano gli atti della percezione e del ricordo si accosta o sovrappone a significati simbolici, metaforici, allegorici, radicati nei miti, nei riti, nei meandri delle manifestazioni del sacro.

L’immagine può dunque essere, al tempo stesso, la traccia mimetica di un ricordo o di una percezione, l’indeterminazione temporale di una fiaba o la concretizzazione di uno sguardo che induce a muoversi verso le prospettive di utopia, verso i misteri e i tesori di mondi possibili.

Approfondimenti
Virtuale e reale

Nel linguaggio corrente, almeno fino a non molti anni fa, il termine virtuale veniva utilizzato in opposizione al termine reale, ad indicare qualcosa che si collocava a mezza strada fra il falso e l’immaginario, l’illusorio. A partire dalla fine degli anni 80 tuttavia, con la comparsa dell’era digitale, il suo valore semantico ha subito una rotazione, fino a mutare il proprio senso e a qualificare una realtà certamente esistente anche se immateriale, priva di una concreta consistenza, come per esempio lo spazio del videogioco o la comunità di un blog.

Si tratta di una drastica correzione di rotta, sulla quale si è aperto un accesissimo dibattito che può essere interessante conoscere se non altro nelle linee generali. Segnaliamo due testi non recenti che hanno però il pregio di far riflettere, mettendo a fuoco la problematicità di questa parola-concetto e svelando salutarmente – in una lettura parallela – i punti deboli delle posizioni antagoniste.

Ne Il virtuale (Raffaello Cortina editore, 1997), Pierre Levy, filosofo e studioso di tecnologie informatiche, sostiene che il processo della virtualizzazione è il processo creativo per eccellenza, attraverso cui si è evoluta e continuamente si evolve la specie umana e che la digitalizzazione ne è la modalità attuale.

Paul Virilio, anch’egli filosofo e urbanista, autore de La bomba informatica (Raffaello Cortina editore, 2000), mette invece in luce le conseguenze potenzialmente catastrofiche della rivoluzione telematica, conducendo una feroce requisitoria contro la perdita di soggettività, di punti di riferimento nello spazio reale, e la minaccia all’identità personale che essa è in grado di generare per il suo potere di suggestione e condizionamento. (MLR).

http://is.pearson.it/magazine/filosofia-limmagine-svela-il-reale/

da Jean-Jacques Wunenburger, Philosophie des images, Paris, Presses Universitaires de France, 1997 (tr. it. Filosofia delle immagini, Torino, Einaudi, 1999)

Parte prima. Il mondo delle immagini

Capitolo primo. Tipologia delle immagini

7 l’unicità del termine suggerisce una unità categoriale che in realtà non esiste
7 la diversità delle immagini dipende dal corpo e dalle sue differenti traiettorie senso-motorie
8 le immagini si diversificano anche in relazione al loro supporto
8 le lingue, il corpo proprio e il continuum psicofisico del reale costituiscono luoghi d’indagine significativi della tipologia delle immagini

I. FLUTTUAZIONI SEMANTICHE

8 eikon (icona) nel senso di immagine, rappresentazione, dalla radice *weik-, che esprime l’idea di somiglianza
8 da Omero in poi eikon discende da un orizzonte di esperienze di tipo ottico e rimanda a una rappresentazione che sia un offrirsi alla vista, capace di riprodurre verosimilmente una realtà.
8 P. Chantraine (Dictionnaire étymologique de la langue greque, Paris, Klincksieck, 1968, I 355) segnala che questo senso fisico, imperniato sulle idee di somiglianza e di concordanza, ha prodotto anche un «gruppo semantico relativo al mondo intellettuale e morale» attorno all’idea di conformità normativa (essere a immagine di, conforme, raccordato a)
9 eikon si applica tanto a rappresentazioni mentali (immagine di una cosa, visione onirica, ecc.) quanto a rappresentazioni materiali di realtà psichiche (ritratto, statua).
9 eidolon, nel senso di immagine, significa «aspetto, forma», dalla radice *weid-, «vedere», ampiamente attestata nelle lingue indoeuropee. Eidolon ha una sua contiguità con la nozione di irrealtà, nel senso di riflesso, e lo troviamo associato all’idea di menzogna, semanticamente vicino a phantasma, «visione, sogno o fantasia», da una radice che significa «far brillare» e quindi «render visibile» (vedi il verbo phaino).
9 Dunque il termine eikon è generalmente vicino ai termini eidos e eidolon, a cui è accostabile il termine idea: aspetto manifestato da una realtà nel momento della sua apparizione. Sono rappresentazioni che rimandano a forme immanenti, mentali o materiali: morphe (statua, ordine apparente), schema (modo in cui una cosa si presenta), typos (segno o impronta lasciati da un colpo).
9 L’immagine appare come una forma visibile che si rapporta a un’esperienza passata, presente o a venire.
9 Imago ha in sé tutti i significati di «immagine», fino al più astratto, e si avvicina a species e simulacrum, che traducono eidolon e si oppongono a res, la cosa reale.
10 a imago sono spesso associati forma (cornice rigida in grado di accogliere materia grezza, forma del corpo umano) e figura (aspetto di una materia lavorata, modellamento).
10 lo stesso lessico è stato riutilizzato per il vocabolario retorico: eikon appartiene alla lingua letteraria da Aristofane fino al IV secolo e Aristotele lo assocerà a metaphora. Nella lingua latina «Immagine, metafora, allegoria, enigma sono praticamente tutti ricondotti al procedimento più comune che consiste nel dire una cosa per significarne un’altra» (J. Pépin, Mythe et allégorie, Paris, Aubier, 1958, p. 90). I termini fabula, fictio, figmentum, significatio, similitudo, figura sono sotto molti aspetti dei sinonimi.
11 L’immagine dunque si sposta su un registro semantico che oscilla tra l’idea di forma visibile (imago è forma, figura, corpo, come in tedesco Bild e Gestalt, in inglese picture, figure, pattern, frame, shape) e l’idea di contenuto irreale, fittizio, prodotto di ciò che non è (in greco eidolon, in tedesco Schattenbild, in inglese phantom). In questo caso l’immagine non è tanto un’emanazione del reale oggettivo, quanto il prodotto di un’attività di eidolopoietike (Platone), la fictio, connessa con l’immaginazione, il phantastikon, che genera phantasmata, cose che in rapporto al reale sono solo apparenza.
11 Tre tipi di uso possibile:
11 a) immagine come rappresentazione sensibile che ingloba tutte le impressioni percettive. C’è immagine nel momento in cui si trascende il dato inerte del reale, la semplice presenza delle cose. Così nelle teorie della percezione, a partire dagli stoici (M. Denis, Image et cognition, Paris, Puf, 1989), fino alla psicologia sperimentale contemporanea. L’immagine-impressione è dunque una rappresentazione che trasmette un contenuto oggettivo allo spirito.
12 b) Nella tradizione empirista, che presuppone che tutti i contenuti intellettuali derivino dall’esperienza empirica, immagine tende a comprendere anche le rappresentazioni, più astratte, delle idee. I due termini di immagine e idea sono spesso intercambiabili nell’empirismo del XVIII secolo. Dal momento che si rifiuta il principio di rappresentazioni del tutto astratte, l’immagine finisce per comprendere l’insieme dei contenuti intellettuali
12 c) immagine come idea di rappresentazione la cui percezione perduri in assenza d’intuizione e dia luogo a procedimente mnesici, per fissarla con la memoria, o immaginativi, per rielaborarla con l’immaginazione. Per la psicologia cognitiva contemporanea l’immagine è una modalità di rappresentazione mentale che ha come caratteristica quella di conservare l’informazione percettiva sotto una forma che mantiene una notevole somiglianza strutturale con la percezione (E. Fulchignoni, La civilation de l’image, Paris, Payot, 1969).
14 Nelle concezioni filosofiche della conoscenza sussistono da un lato la realtà oggettiva delle cose così come ci viene presentata mediante l’intuizione sensibile e dall’altro un livello d’informazione astratta, concetto o idea, mediante il quale noi ci dotiamo di oggetti di pensiero indipendentemente dalla loro configurazione empirica.

II. IL CORPO E IL SUO IMMAGINARIO

15 ogni immagine artificialmente prodotta o riprodotta composta la preesistenza mentale della sua rappresentazione. E c’è immagine per un soggetto solo se si è formata in lui a partire da una percezione
15 Il numero e la varietà delle immagini dipendono dunque dal corpo proprio, dai suoi mediatori sensorî (i cinque sensi) e motorî (gesto, voce), che partecipano alla formazione delle rappresentazioni sensibili e concrete.

I. L’atlante delle immagini

15 Le attività sensorie sembrano tutte presiedere alla nascita delle immagini: vista, udito, olfatto, gusto, tatto; la sinestesia corporea interna, l’immagine formata dalla mimica gestuale e la creazione specifica di immagini mediante la voce nell’espressione linguistica (>il complesso problema dei rapporti tra vista e voce)

I.I. L’immagine visiva

16 La vista è al primo posto nella scala d’interessi della psicologia cognitiva. L’elaborazione della visione da parte del cervello perviene a una modellizzazione dei dati esterni, il cui risultato corrisponde all’oggetto pur senza esserne strettamente la copia.
17 a) rappresentazione sensoriale immediata; b) forme secondarie (I. Meyerson, Les Images, in G. Dumas, Traité de psychologie, II, Paris, Alcan, 1934): immagine residua, che prolunga la sensazione dopo la stimolazione; immagine consecutiva della retina, che attesta una persistenza sensoriale; immagine «immediata», che si produce in rapida successione rispetto alla percezione; immagine eidetica o quadro intuitivo; immagini ipnagogiche (prodotte a partire dall’assopimento); fantasticheria vigile, ipnosi, sogno, allucinazioni patologiche: numerosi tipi di reviviscenze visive costituiscono altrettante modalità di trattamento dei contenuti percettivi e hanno dato origine a trascrizioni letterarie, teatrali, cinematografiche (l’immaginario del doppio: O. Rank, Don Juan. Une étude sur le Double, Paris, Denoël, 1932).

I.2. Il caleidoscopio dei sensi

18 L’udito percepisce i suoni esterni dando vita a un’immagine acustica, essa stessa legata a un’immagine corporea, della quale la musica, ad esempio, fa un largo uso estetico.
18 La voce che parla mette in gioco, col cambio di frequenza delle onde prodotte, schemi verbo motori a dimensione spaziale; all’ascolto, il fenomeno di ricezione acustica agisce parallelamente sull’intero corpo attraverso una proiezione spaziale della mimica laringea (I. Fónagy, Le lettere vive. Scritti di semantica dei mutamenti linguistici, Bari, Dedalo, 1993; P. Zumthor, Introduction à la poésie orale, Paris, Seuil, 1983 (tr. it. La presenza della voce. Introduzione alla poesia orale, Bologna, Il Mulino, 1984)
19 Sul ritmo come struttura percettiva in musica (una semi-rappresentazione, una sorta di schema o canovaccio che agevoli la registrazione complessiva, assicurandone il continuum e dando al piacere dell’ascolto l’opportunità di una migliore interiorizzazione psicocorporea): Les rythmes. Lectures et théories (sotto la direzione di J.-J. Wunenburger), Paris, L’Harmattan, 1992.
19 T. Ribot (Essai sur l’imagination créatrice, Paris, Alcan, 1900, pp. 177 sgg.) ha distinto questo tipo d’immagine, che traspone i contenuti dell’esperienza in forme sonore, dall’immagine visiva ispirata dalla musica per via associativa o analogica.
19 Il senso del tatto è stato a lungo al centro di un vasto dibattito filosofico, suscitato nel XVIII secolo dal caso del cieco dalla nascita (J.-B. Mérian, Sur le problème de Molyneux, a cura di F. Markovits, Paris, Flammarion, 1984) che, privo delle immagini visive attuali o passate, si rivela tuttavia in grado, grazie all’analisi tattile, rafforzata dal bagaglio di informazioni trasmesse dalle impressioni auditive e motorie, di costituire una rappresentazione spaziale degli oggetti.
20 La percezione olfattiva, oltre a svilupparsi su una varietà di connotazioni che consentono di dare un significato alle sensazioni, ove reminiscenze, immagini culturali e simboli giocano un proprio ruolo, sembra originariamente collegata a una schematizzazione ritmica che partecipa al suo riconoscimento.
20 Il gusto è in stretto rapporto con un’esperienza nella quale le sensazioni proprie delle papille della lingua e del palato vanno ben oltre l’analisi delle sostanze ingerite. La rappresentazione cosciente dei sapori fa parte di un procedimento complesso in cui l’intervento dell’immaginazione, inseparabile dal ricordo, si mescola intimamente al vissuto gustativo.

I.3 L’immagine senso-motoria

20 Il corpo, strumento di ricettività sensoriale ma anche, innanzitutto, fulcro dell’attività motoria, sviluppa un immaginario, sia interno e funzionale, come nello schema corporeo, sia esterno, attraverso le sue manifestazioni mimiche e gestuali, involontarie o controllate.
21 L’immagine corporea sembra costituire un intermediario psicofisico che assicura il buon esito degli atteggiamenti, dei gesti e dei comportamenti (M. Jousse, Le style oral rythmique et mnémotechnique, Paris, G. Baron, 1970: l’attività mimetica, verbale e mnesica si fonda su una funzione motoria di «ri-gioco» del corpo ritmico).
21 L’immaginario del corpo proprio è essenziale nella percezione del sé grazie allo «schema corporeo» e nel riconoscimento del sé grazie alla mediazione di una «immagine speculare». Tali immagini obbediscono, nelle situazioni di adattamento o estetiche, a una padronanza del corpo proprio che organizza la coordinazione e il controllo dello svolgimento delle sequenze muscolari. L’immagine dello schema corporeo fonda dunque la possibilità di un’immagine di sé che condiziona l’esecuzione dei movimenti e partecipa all’equilibrio d’insieme del corpo. La percezione corretta del corpo (come confermano i casi patologici, evidenziati a partire dalla metà del XIX secolo, di pazienti con arti amputati o paralizzati) esige la costituzione di un’organizzazione sintetica di immagini visive e spaziali che, non mimetiche né coscienti, si limitano piuttosto a schemi (J. Corraze, Schéma corporale et image du corps, Paris, Privat, 1973)
22-23 Tutte le attività fisiche sembrano condizionate da un immaginario che ne assicura uno svolgimento adeguato e armonico. Sviluppare un movimento richiede una sintesi dinamica di informazioni relative tanto alla percezione quanto all’esecuzione e che si richiamano a una sorta di figurazione (Gestaltung). L’immagine diventa una specie di medium che assicura il legame fra la struttura, che controlla le fasi dello svolgimento motorio, e la variabilità, che rende possibile una reinvenzione continua a fluida del movimento (F. Buytendijk, Attitudes et mouvements. Etude fonctionelle du mouvement humain, Bruges, Desclée de Brouwer, 1957).
23 Inoltre il corpo consente di produrre immagini specifiche, mimiche e gestuali, in funzione dimostrativa, espressiva o destinata alla comunicazione in codice

2. Dall’occhio alla voce: la bipolarità ottica e retorica

27 In numerosi dibattiti contemporanei tra fenomenologia, filosofia analitica del linguaggio e scienze cognitive si tratta di determinare se l’attività rappresentativa dello spirito si fonda, dal punto di vista del suo «formato», sull’egemonia di una funzione descrittiva, operante per mezzo di proposizioni linguistiche, o presuppone una dualità irriducibile tra rappresentazione logico-linguistica, di tipo funzionale, e rappresentazione «pittorialista», di tipo analogico, fondata sull’intuizione sensoriale della cosa.

2.I. Il clivaggio del visivo e del verbale.

27 Sul piano neurobiologico teorie recenti tendono a confermare una bipolarità, nell’attività mentale, tra le funzioni linguistiche, che dipendono da una funzione analitica astratta (attribuita all’emisfero sinistro del cervello), e la visualizzazione, che obbedirebbe piuttosto a stimoli intuitivi (collegati all’emisfero destro). Su un piano psicologico pare altrettanto verosimile che la competenza pratica e le affinità estetiche, legata all’esperienza soggettiva del sentire, si indirizzino prevalentemente verso l’uno o l’altro dei due modelli d’esperienza.

2.2 L’alleanza verbo-iconica

33 Questo antagonismo strutturale e funzionale fra i due registri anatomo-comportamentali delle immagini non possono però essere rigidi e precostituiti. Sotto molti aspetti siamo in presenza di una continuità, di una complementarietà.
33 La scrittura, in particolare, funge da tessuto connettivo tra la voce e lo sguardo.
34 Molte tecniche di comunicazione, espressione o creazione non esitano a coniugare immagine visiva e linguaggio, com’è ampiamente testimoniato dalla religione e dalle arti.
34 La storia dell’arte occidentale rappresenta il terreno d’incontro privilegiato tra arti visive e arti testuali, in particolare tra pittura e poesia.
35 Nel XVIII secolo, ad esempio, il problema della raffigurazione della sofferenza, suggerito dalla riscoperta del gruppo marmoreo del Laocoonte, vede rinnovarsi il confronto tra le rispettive proprietà della pittura e della poesia (J.J. Winckelmann, Storia dell’arte nell’antichità (1764), Milano, SE, 1990; G.E. Lessing, Laocoonte ovvero sui limiti della pittura e della poesia (1766), Milano, Rizzoli, 1997).
35 Per Aristotele la retorica ha il compito di rendere vivi i pensieri descrivendo le azioni proprio come se le dipingesse: «Io dico che le parole dipingono, quando significano le cose in atto» (Retorica, III, II, I4I2a3). La tecnica dell’ekphrasis rappresenta a sua volta un perfetto artificio retorico che si prefigge di restituire la vita stessa di un quadro, sul celebre esempio di Longo: «fui preso dal desiderio di fare una trascrizione letteraria di quel dipinto» (Longo Sofista, Dafni e Cloe, Proemio, 2, tr. di R. Di Virgilio, Milano, Mondadori, 1991; G. Mathieu-Castellani, L’illusion de l’ekphrasis, in La pensée de l’image. Signification et figuration dans e texte et la peinture, Paris, Presses Universitaires de Vincennes, 1994)
36 L’abbinamento di parole e immagini visive costituisce una tecnica frequente nelle attività sintetiche, artistiche e, oggi, pubblicitarie.

http://www3.unisi.it/lettura.scrittura/manuale/wunenburger.html

The Devil’s Eye Bergman Ingmar : ocio allocchio

 


L’image, cet intermédiaire entre les choses et leurs concepts, n’a cessé de susciter, au cours de l’histoire, des attitudes tranchées et opposées, de condamnation par divers iconoclasmes ou de consécration jubilatoire par l’art ou la rhétorique. La philosophie, quant à elle, n’a pas toujours pris soin d’en décrire les formes disparates, d’en approfondir les fondements – inséparables de spéculations théologiques -, d’en évaluer les fonctions complexes dans l’ordre de la connaissance ou de l’action. A l’heure où la civilisation des images se pose des problèmes épistémologiques et éthiques inédits, cet ouvrage se propose de rassembler les matériaux et les références nécessaires pour penser philosophiquement l’iconosphère qui encadre de plus en plus notre vie.

http://www.decitre.fr/livres/philosophie-des-images-9782130482574.html

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