Duchamp Verso il “Grande vetro”- Duchamp and Entr’acte e altri video

 

Verso il “Grande vetro”. Duchamp, la poetica del caso e del concetto

Nel 1915 Duchamp inizia a lavorare al Grande Vetro (1915-23), avvalendosi delle tecniche del disegno meccanico (mutuate dall’ambito industriale e ingegneristico), anche in nome della concezione organica della macchina descritta, in quello stesso anno, dal poeta P. Haviland:

viviamo nell’era delle macchine. L’uomo ha creato le macchine a sua immagine e somiglianza. Le membra si muovono, i polmoni respirano, il cuore batte, il sistema nervoso è attraversato da impulsi elettrici. Il grammofono imita la sua voce, la macchina fotografica imita i suoi occhi. La macchina è partenogenesi dell’uomo.

Il testo viene pubblicato sulla rivista 291 fondata, anch’essa nel 1915, dal fotografo newyorchese Stieglitz. È la stagione del dada americano che vede in primo piano Francis Picabia, Man Ray e, appunto, Marcel Duchamp.

Picabia comincia ad inserire elementi meccanici già in alcuni dipinti riconducibili all’esperienza cubista del 1913-14 (v. Rivedo nel ricordo la mia cara Udnie). L’interesse per i congegni meccanici in Duchamp si fa evidente proprio in concomitanza con i soggiorni newyorchesi di Picabia (che realizza opere come Ecco questo è Stieglitz/Fede e amore,1915 e Parade Amoureus, 1917). All’Armory Show del 1913 Duchamp partecipa con il suo Nudo che scende le scale n.2 (terminato l’anno precedente) che segna il superamento dei modi cubisti in chiave futurista, ma con esiti fortemente personali: nel suo caso, l’elemento dinamico è funzionale allo studio e alla comprensione della meccanica interna della figura in movimento. È questo aspetto che diversifica il suo approccio rispetto allo slancio vitalistico e dirompente dei futuristi.

nudo n.2

Il tema del Nudo apre la strada in una direzione nuova e in qualche misura irreversibile. Ma è la Sposa (Mariée) a costituire un presupposto fondamentale del Grande vetro: è l’ultimo olio su tela eseguito dall’artista nel 1912, in un contesto interessante benché ancora pittorico: da un lato il dipinto chiude la serie dei disegni monacensi che si era aperta con Vergine n.1 (1912), dall’altro costituisce la testimonianza di un cambio di rotta rispetto al Nudo. Tre opere dello stesso anno, il 1912.

vergine

I disegni monacensi attestano la fase embrionale delle idee alla base del Grande vetro: le forme infatti, pur mantenendo epidermicamente un’eco sfaccettata di matrice cubista, mostrano l’avvenuta interazione tra componenti umane e meccaniche. In Mariée, rispetto al Nudo, si respirano un’atmosfera ben più statica e una pacatezza formale molto diversa; il tratto segmentato e la tavolozza accesa del Nudo cedono il passo ad una purezza chiara e lineare che si colora di tinte che spaziano dal brunito al grigio (colori ancora vicini al cubismo analitico), assumendo però delle calde sfumature pastello decisamente più morbide e tattili. Ma soprattutto in Mariée emergono interessanti tendenze all’astrazione in una direzione diversa: è piuttosto evidente il richiamo alla pittura metafisica, alle forme dei manichini dechirichiani calati entro atmosfere stranianti e atemporali.

mariee

Quello stesso interesse per l’ingranaggio, per il congegno meccanico, presente anche in Mariée (sebbene declinato diversamente), ritorna nel Grande Vetro, inteso come un elemento della realtà indagato nelle sue componenti strutturali intrinseche. È lo stesso spirito dei primi ready made che, lontani dalla pretesa di avere una valenza estetica, si pongono dichiaratamente al di fuori di tale criterio, secondo un’impostazione del tutto indifferente a questa prospettiva, rappresentando loro stessi. Alla luce di questo, si comprende perché il grande dipinto su lastra di vetro venga dichiarato non finito dal suo autore nel 1923: l’artisticità si svincola dal concetto di compiutezza e questo fa sì che l’accidentale rottura dell’opera venga considerata da Duchamp come un’ulteriore conferma del ruolo giocato dal caso in tale processo e quindi anche dell’impossibilità di intervenire sul fluire di esso. La rottura non danneggia né depaupera l’opera proprio perché la casualità appartiene alla realtà, esattamente come l’arte.

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Stilisticamente l’opera è una summa di spunti ed elementi ripresi dichiaratamente da opere precedenti (come Macinatrice di cioccolato, Slitta, Nove stampi maschi). Sul piano del significato in fondo, quindi, vale lo stesso: esso va colto nell’assemblaggio dei pezzi della sua produzione. L’opera, nota anche come La Sposa messa a nudo dai sui Scapoli, anche, non va cercata tanto nel titolo che gioca sulla difficoltà di una lettura iconografica puntuale. Il vero significato, quello che scava nei meandri più profondi della percezione, è nella sua indecifrabilità: “considero quella mia grande pittura su vetro qualcosa che non è necessario guardare per apprezzarla. Questa è una delle idee [che stavano] alla sua base”, dichiara l’artista in un’intervista del ‘64. In qualche modo, Duchamp demanda all’osservatore la possibilità di dare all’opera l’interpretazione che preferisce, dal momento che essa non si presta in alcun modo, volutamente, ad una lettura univoca e universale.

L’arte in Duchamp è operazione concettuale. Risale proprio al 1923 il progressivo interesse per il gioco degli scacchi che diventa prioritario anche rispetto alla sua attività propriamente artistica: gli scacchi rappresentano “un’altra faccia della stessa espressione mentale” da indagare nei suoi meccanismi intuitivi e dunque, ancora una volta, mentali.

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Portrait de joueurs d’échecs (1911)

La partita a scacchi tra Marcel Duchamp (a sinistra) e John Cage sotto gli occhi della moglie dell’artista francese, Teeny.



 

John Cage e Marcel Duchamp | controappuntoblog.org

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