Per la Critica dell’Economia Politica Karl Marx (1859)

MIA – Marx: Per la Critica dell’Economia Politica (1859

Tutte le epoche della produzione hanno certe caratteristiche comuni, certe comuni determinazioni. La produzione in generale è sì un’astrazione, ma un’astrazione sensata ( – n 18), nella misura in cui mette effettivamente in evidenza ciò che è comune, lo fissa e ci risparmia ripetizioni. Poiché questo che di generale o comune, isolato mediante raffronto, è esso stesso variamente articolato e si snoda in diverse determinazioni, ne consegue che alcune appartengono a tutte le epoche, altre son comuni solo ad alcune, altre ancora appartengono sia all’epoca più moderna che alla più antica. Non c’è produzione che possa esser pensata senza di esse; ma se le lingue più sviluppate hanno leggi e determinazioni che le accomunano a quelle meno sviluppate, proprio ciò che definisce il loro sviluppo -dunque, la differenza (Unterschied) da quel generale o comune, da quelle determinazioni, che valgono per la produzione in generale- deve essere distinta, in modo che, per l’unità -che deriva dal fatto che il soggetto [della produzione], cioè l’umanità, e l’oggetto [della stessa], cioè la natura, restan gli stessi- non venga dimenticata l’essenziale diversità (Verschiedenheit) ( – n 19). In tale dimenticanza, ad es., consiste l’intera saggezza dei moderni economisti, che vogliono dimostrare l’eternità e l’armonia dei rapporti sociali esistenti ( – n 20).

Ad es., nessuna produzione è possibile in mancanza di una strumento di produzione, fosse pure la nuda mano ( – n 21). Né alcuna produzione è possibile senza lavoro passato ed accumulato, si riduca pur esso alla semplice abilità che, attraverso l’uso ripetuto, si è andata depositando nella mano del selvaggio. Il capitale, tra l’altro, è anche uno strumento di produzione, anche lavoro passato ed obiettivato. Dunque, il capitale è un generale, eterno rapporto (Verhältnis) naturale; cioè, (a tale conclusione arrivo,) se trascuro che cosa rende capitale uno “strumento di produzione, un “lavoro accumulato”. Conseguentemente, l’intera storia dei rapporti di produzione si presenta in Carey come una falsificazione malignamente organizzata dai governi.

Se manca ogni produzione in generale, allora manca, pure, ogni produzione generale. La produzione è, sempre, un particolare ramo della produzione -ad es., agricoltura, allevamento del bestiame, manifattura, ecc.-; ovvero, essa è la totalità (Totalität) ( – n 22). Il rapporto (Verhältnis), ad un livello sociale dato, fra determinazioni generali della produzione e particolari forme della produzione va svolto altrove (successivamente) ( – n 23). Infine, la produzione non è solo particolare. Al contrario, essa è sempre un certo corpo sociale, un soggetto sociale, che è attivo mediante una totalità, più o meno grande, di rami produttivi ( – n 24). Il rapporto, che l’esposizione (Darstellung) scientifica ha col movimento reale, comunque, non ha qui il suo luogo adeguato. Produzione in generale. Particolari rami della produzione. Totalità della produzione.

E’ una moda far precedere l’economia da una parte generale -appunto quella, che va sotto il titolo di Produzione (per es., cf. J.St. Mill)-, in cui vengono trattate le condizioni generali di ogni produzione. Questa parte generale consiste o si pretende debba consistere:

·                    1) nelle condizioni, senza le quali non è possibile produzione alcuna. Cioè, nella realtà deve dare null’altro che i momenti essenziali di ogni produzione. Ma tutto ciò, come vedremo, si riduce ad alcune determinazioni molto semplici, che vengono diluite in piatte tautologie.

·                    2) nelle condizioni, che favoriscono più o meno la produzione: in Adam Smith, ad es., la situazione sociale in sviluppo o stagnante. Per dare a ciò -che in A. Smith ha, solo, il valore di un aperçu– un effettivo significato scientifico, sarebbero necessarie ricerche sui periodi dei gradi della produttività nello sviluppo dei singoli popoli -ma questa è una ricerca, che va oltre i limiti del nostro argomento e, nella misura in cui ne fa invece parte, andrebbe svolta insieme allo sviluppo della concorrenza, dell’accumulazione, ecc. da un punto di vista generale, la risposta si riduce a dire che un popolo industriale raggiunge il punto più alto della sua produzione, nel momento in cui raggiunge il suo punto storico più alto. In fact. Il vertice industriale di un popolo, finché la sua preoccupazione maggiore non è il guadagnato, ma sì il guadagnare. In questo gli yankees superiori agli inglesi. Oppure: ad es., che certe razze, certe condizioni, certi climi ed equilibri naturali -quali la vicinanza del mare, la fertilità del suolo, ecc.- sono più favorevoli di altre per la produzione. Ricade di nuovo nella tautologia che la produzione di ricchezza sia più facile, nella misura in cui son presenti in grado più alto i suoi elementi soggettivi ed oggettivi.

Ma questo non esaurisce tutto ciò di cui si occupano gli economisti nella parte generale. La produzione piuttosto, concepita nella sua differenza dalla distribuzione ecc., deve essere esposta come soggetta a leggi naturali eterne ed indipendenti dalla storia (cf. Mill per es.); con la quale operazione si introducono di soppiatto i rapporti borghesi come imprescindibili leggi naturali della società in abstracto. Questo è, più o meno consapevolmente, l’intero scopo di tutta l’operazione. Rispetto alla distribuzione, invece, gli uomini dobbono essersi concessi il pieno arbitrio. Facendo del tutto astrazione dalla rozza separazione tra produzione e distribuzione e da quello che è, invece, il loro reale rapporto, va subito chiarito che, per quante diverse forme di distribuzione possano esservi a diversi gradi della società, anche per essa -come per la produzione- deve, comunque, esser possibile ricavare determinazioni comuni e, quindi, annullare tutte le differenze storiche o risolverle in generali leggi umane. Ad es., lo schiavo, il servo della gleba, il lavoratore salariato ricevono, tutti, un certo quanto di nutrizione, che consente loro di esistere, rispettivamente, come schiavo, servo della gleba e lavoratore salariato. Il conquistatore vive dei tributi, il funzionario delle imposte, il proprietario fondiario della rendita o il monaco delle elemosine, il levita delle decime, come che sia, tutti vivono di un quanto della produzione sociale, che è determinato da leggi diverse da quelle, che valgono per lo schiavo, ecc. I due punti fondamentali, che tutti gli economisti inseriscono in questa rubrica sono: 1) proprietà; 2) sicurezza di essa mediante giustizia, polizia, ecc. E’, dunque, molto facile replicare:

·                    ad 1). Ogni produzione è appropriazione della natura da parte dell’individuo, all’interno e mediante una determinata forma sociale. In questo senso è tautologico dire che la proprietà (l’appropriazione) è una condizione della produzione. Tuttavia, è del tutto risibile saltare da qui ad una forma determinata di proprietà, ad es., la proprietà privata ( – n 25). (Tale proprietà presuppone come sua condizione anche una forma opposta, ovvero, la nonproprietà). La storia mostra, piuttosto, (ad es., presso gli Indiani, gli Slavi, gli antichi celti, ecc.) la proprietà comune come la forma originaria, la quale forma continua a giocare un ruolo significativo in quanto proprietà della comunità. Riguardo alla questione se la ricchezza si sviluppi meglio con l’una o con l’altra forma di proprietà, non è ancora il momento di parlarne. Ma affermare che non si può parlare di produzione -e, dunque, di società- laddove non esiste forma alcuna di proprietà, questa è una tautologia. Un’appropriazione, che non si appropri di nulla, è una contradictio in subjecto.

·                    A 2). Render sicuri i beni acquisiti ecc. Quando tali trivialità vengono ridotte al loro effettivo contenuto, allora finiscono col dire molto più di quanto credano i loro predicatori. Esattamente che ogni forma della produzione produce i propri rapporti giuridici, le proprie forme di governo, ecc. La rozzezza e la mancanza di conoscenza concettuale (Begriffslosigkeit) consiste, appunto, in questo – nel collegare casualmente (zufällig) ciò che, invece, è organicamente collegato, nel ridurlo ad una mèra connessione della riflessione (Reflexionszusammenhang) ( – n 26). Allo sguardo degli economisti borghesi si impone il fatto che con la moderna amministrazione pubblica (Polizei) si produce meglio che, per es., con il mèro diritto del più forte. Quello che gli economisti dimenticano è, solo, che anche il diritto del più forte è, comunque, un diritto e che, sia pure in altre forme, esso sopravvive addirittura nel loro “Stato di diritto”.

Quando compaiono o, al contrario, scompaiono condizioni sociali corrispondenti ad un determinato livello della produzione, allora si presentano naturalmente perturbazioni della produzione, per quanto con gradi e con effetti diversi.

Per riassumere. Vi sono determinazioni comuni a tutti i livelli della produzione, che il pensiero fissa come determinazioni generali; ma le cosi dette condizioni generali di ogni produzione non son altro che momenti astratti, con il cui ausilio non si comprende concettualmente (begreifen) nessun livello della produzione, storicamente effettivo.

Per la Critica dell’Economia Politica

Karl Marx (1859)


La presente traduzione italiana è condotta sul testo dell’edizione Dietz (Berlino), che si fonda sull’edizione del 1859 e tiene conto delle correzioni e delle note segnate da Marx sulla sua copia personale, nonché delle correzioni ritrovate in una copia dedicata da Marx a Wilhelm Wolff, che sono scritte da Wolff ma risalgono certamente a Marx, come prova il fatto che Engels ne tiene conto quando cita la Critica nel III libro del Capitale. Le fotocopie dei volumi annotati si trovano nell’archivio dell’Istituto per il marxismo-leninismo di Mosca.
L’edizione del 1859 non portava l’Introduzione redatta fra l’agosto e il settembre 1857, che era stata soppressa da Marx e uscì per la prima volta a cura di K. Kautsky nella Neue Zeit, XXI, 1, 1903. La traduzione compresa nel presente volume è condotta anch’essa sul testo Dietz, nel volume citato, che risale al manoscritto originale; essa è già apparsa in volume separato: K. Marx, Introduzione alla critica dell’economia politica, Roma, Edizioni Rinascita, 1954 (traduzione di Lucio Colletti) che contiene anche le lettere di Marx a Emgels, Lassalle e Weydemeyer qui riprodotte.
Abbiamo aggiunto inoltre la recensione di Engels (una delle pochissime apparse, mentre la stampa tedesca accoglieva la Critica con un silenzio quasi generale) che uscì sul giornale Das Volk del 6 e 20 agosto 1859.
Le note con asterisco sono redazionali, le altre sono di Marx.

Trascritta per Internet da Ivan A., Ottobre 1999


 

Capitolo primo. La merce:

La merce

 

Capitolo secondo. Il denaro ossia la circolazione semplice:

I. Misura dei valori

II. Mezzi di circolazione

III. Denaro

IV. I metalli nobili

 

Lettere a proposito di “Per la Critica dell’Economia Politica”

 

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