CELESTE di Rosetta Savelli

CELESTE di Rosetta Savelli

Rosetta Savelli

Da qui a Hollywood la strada è breve pag. 9 – 10 – 11 – 12 – 13

“Celeste si ritrovò accanto la madre e lontano il padre. Questa dissociazione pesò enormemente su di lei e rese il suo arrivo ancora più gravoso.
Ora sua madre doveva pensare a lei da sola, completamente da sola.
Accanto a Celeste c’era però un sogno a tenerle compagnia, proprio lì vicino a casa sua. La madre pur avendo vissuto sempre in un modo distaccato dal paese, rimasta senza di lui, non si si era sentita di lasciare quel luogo che per lei significava conservare l’amore della sua vita. Non voleva ritornare nella Capitale e neppure nella sua terra d’origine, la lontana e pur sempre amata Danimarca. Per necessità e per provvedere al mantenimento della piccola figlia aveva investito tutto quello che possedeva in danaro, nell’acquisto di un piccolo cinema. Il suo impiego e la sua vita poi si erano piano piano trasferiti all’interno di questo locale, del quale lei si ritrovava ad essere l’indiscussa padrona. Il cinema era quello di altri tempi, di tempi più lontani. Era un luogo di svago ma anche di incontro e di ritrovo.
Il cinema di quei tempi assomigliava un po’ ad una chiesa: entrarvici comportava l’assunzione di un sentimento intimo, contenuto, quasi sacro.
Dentro la sala, spesso piccola e raccolta, si potevano vedere e ammirare cose mai viste e scoprire veramente mondi nuovi e sogni nuovi. Era un luogo all’oscuro con un grande sole dentro, appartato, quasi un’oasi nel deserto della ripetitività e della monotonia quotidiana.
Era un luogo a parte, una sorta di “buco nero“, dentro il quale si scopriva tutto e ci si dimenticava di tutto e dove si poteva sconvolgere e sovvertire tutto.
Questo era anche il luogo dei primi incontri o dei primi scontri, dove le mani si cercavano, a volte si trovavano e a volte si perdevano . Era il luogo dove le labbra si schiudevano, si cercavano e a volte si trovavano e a volte si perdevano.
Nel buio tutto è possibile, tutto è più facile, tutto è più a portata di mano. Un primo bacio dato e rubato che altrove sarebbe stato vietato e censurato, qui trovava il suo terreno più fertile per prendere vita. Anche le mani, grandi esploratrici prima e predatrici dopo che altrove sarebbero state vietate o censurate, qui trovavano il loro terreno più fertile per prendere vita. Si aggrovigliavano e si intrecciavano in modi e luoghi che solo lì, dentro quella piccola sala buia, diventavano reali e possibili.
La madre di Celeste lavorava in questa piccola nicchia quasi sacra e comunque magica, così intimamente celata nella sua oscurità. Avendo la piccola figlia da crescere e da accudire e non potendola lasciare da sola, la portava con sé , dentro a quella esclusiva e preziosa scatola magica.
In definitiva è proprio qui dentro che Celeste trovò la sua prima casa, proprio qui dentro ad un sogno nato insieme a lei, trovò terreno fertile per prendere vita e capace poi di condurla lontano. Celeste era cresciuta fra persone e situazioni impossibili ma che ai suoi occhi apparivano quanto mai possibili, avendoli lì davanti a lei e sotto ai suoi occhi, come se fossero veri più che mai. Potere del cinema ma ancora di più potere dell’emozione, della fantasia e del sogno, tutte realtà queste che possono essere più vere e più intense della realtà stessa. ​
Celeste che era cresciuta senza troppe certezze, trovava compensazione di amore e di certezze proprio lì dentro, dentro a quelle immagini, rese ancora più gigantesche e vere dal contesto di oscurità nelle quali erano poste e dal quale prendevano vita, dentro a quella piccola sala buia. La medesima emozione era condivisa anche da tutte le altre persone lì dentro, dal pubblico, come se lì fossero tutti uniti, tenuti insieme da un sentimento forte di amore per qualcuno o per qualcosa
In quel mondo ovattato ed inverosimile, calore, colore, fantasia e amore erano un tutt’uno. Celeste trovava certezze in quei volti, in quegli occhi, in quei baci e in quegli abbracci. Aveva amore davanti a sé, anche se era amore ricreato, copiato ed inventato. Per lei era amore e solo amore da imitare, da inseguire e da prendere.
Questo era un amore pieno e completo, intercalato e intrigato con il dolore, la rabbia, la paura e il timore. Tutte le figure e le emozioni intense che le passano davanti riempivano la sua piccola vita e le facevano dimenticare la lontananza del padre e le difficoltà della madre. Era per lei un mondo immenso, capace di regalarle giochi, attenzioni e in qualche modo anche serenità.
Erano tempi lontani quelli, tempi in cui non avere una famiglia unita o non avere in casa un padre, per un bambino era un terribile segno di distinzione, una vera macchia nera, un’offesa mortificante, un segno indelebile. Invece è la vita che spesso sceglie per ciascuno di noi, la strada da intraprendere ed è sempre la vita che sceglie per noi i compagni di viaggio. Ma purtroppo un bambino non può capire tutto ciò.
Infatti sia il padre che la madre amavano profondamente Celeste anche se si erano ritrovati obbligati a separare le loro strade di vita. Celeste comprenderà meglio questo profondo amore dei suoi genitori da grande, aiutata e sorretta però dal proprio carattere gioioso, giocoso, allegro e morbido e proprio questo suo bel carattere l’aiutò a non impietrirsi e a non incattivirsi, anzi l’aiutò a crescere comunque bene e semmai con un estro in più.
Nel profondo del suo cuore c’erano una luce ed un fuoco sempre accesi e pronti a generare e ad espandere calore attorno a sé.
Era questa la magia di Celeste, lei era nata con questa magia e in seguito, dentro a quella preziosa nicchia oscura, non aveva potuto fare altro che raffinarla e coltivarla al meglio .
Celeste cresceva con accanto l’amorevole cura della madre, anche se l’assenza del padre le pesava, come una grande privazione e seppure non avesse mai avuto modo di conoscerlo. A lei dei suoi genitori mancava la completezza e soprattutto l’unità.
Anche se entrambi l’amavano, ciascuno secondo le proprie possibilità e la propria natura, a lei mancava lo stare insieme, uniti in un unico luogo e in un unico tempo.
Di nuovo una bambina non può capire tutto ciò,può solo subire tutto ciò, nell’unico tentativo di non rimanerne schiacciata per sempre.
Il dolore più atroce, per la piccola bambina, era tutto in quella divisione che lei viveva e percepiva come ingombrante e soffocante.
Celeste era nata però con un angelo accanto che avrebbe avuto il compito di proteggerla, lungo i percorsi bui della vita. ​
Infatti fu il parroco del paese a divenire il suo punto di riferimento e di conforto, il suo punto di congiunzione fra le due rive del fiume. Fu lui a spiegarle che non sempre nella vita noi scegliamo, anzi spesso subiamo, ma possiamo comunque e sempre essere noi i protagonisti della nostra vita.
Fu proprio lui a dare a Celeste quella forza in più per riuscire a sorreggere un peso più gravoso di lei. In questo specifico frangente il suo angelo era vestito di nero, racchiuso dentro una lunga tonaca scura, ma ugualmente capace di infonderle un profondo raggio di calore e di amore dentro al cuore.
Gli angeli saranno sempre presenti nella vita di Celeste, vestiti di mille colori e trasfigurati in svariate fattezze ma comunque sempre e sempre presenti accanto a lei, lungo i sentieri della sua vita.
In un certo qual senso anche il cinema fu per Celeste come la proiezione di una figura d’angelo, posta accanto a lei, come presenza amorevole di gioia e di emozione.
Gli attori che vivevano, amavano ed anche morivano nel grande schermo erano lì per lei, per insegnarle la vita ed anche la via. Erano uniti, tutti loro e fra di loro, insieme per lei, erano una conferma dell’esistenza di unità in qualche modo ed in qualche luogo. Per la piccola bimba questa fu la prima grande scuola, il primo ed il più prezioso degli insegnamenti.
Proprio come lei stessa aveva avuto modo di scoprire e di vedere nel film diretto da Wim Wenders “Il cielo sopra Berlino“ (Der Himmel über Berlin) del 1987.
Le poesie di Rainer Maria Rilke avevano in parte ispirato il film, come lo stesso Wenders aveva dichiarato, affermando che gli angeli vivono nelle poesie di Rilke.
Il regista chiese la collaborazione di Peter Handke per scrivere molti dei dialoghi, ed infatti nel film ricorre spesso la poesia “Lied vom Kindsein“.
Il film fu poi presentato in concorso al 40º Festival di Cannes e vinse il premio per la migliore regia.
Successivamente il film ha avuto un sequel: “Così lontano, così vicino “ nel 1993 e un remake: “La città degli angeli“ nel 1998.
Il film venne progettato da Wenders dopo il suo ritorno in Germania. Il regista infatti aveva trascorso otto anni negli Stati Uniti dove aveva girato quattro film in inglese. Decise così di realizzare un lungometraggio veloce e spontaneo, nella sua lingua di origine, che lo riavvicinasse alla sua essenza di tedesco e alla sua infanzia.
Fu così che decise quindi di ambientarlo a Berlino. ​
Appena ritornato a Berlino, Wenders vagò inizialmente per la città annotando sul suo taccuino ciò che vedeva e lo colpiva, cercando ispirazione dalla città. Durante le sue passeggiate notò che erano presenti molte raffigurazioni di angeli. In quel periodo stava anche leggendo le poesie di Rilke che spesso evocano angeli. Poco alla volta il regista cominciò a prendere seriamente in considerazione l’idea di un film che avesse angeli custodi come protagonisti. Discusse dell’idea con Peter Handke, il quale la considerò interessante ma si rifiutò di aiutarlo a scrivere per esteso la sceneggiatura. Infatti lo scrittore aveva appena finito di scrivere un libro. ​
Le scene più costose furono quelle realizzate vicino al Muro e all’interno della terra di nessuno tra Berlino est e Berlino ovest, dove non era possibile ottenere il permesso di girare, anche perché la terra di nessuno era minata all’epoca e quindi il regista fece necessariamente ricostruire in uno spiazzo aperto 150 metri di Muro, in modo da poter girare le scene.
Inoltre gli angeli di Wenders indossavano anche abiti umani.
Celeste cresceva anche lei in mezzo a questi tanti personaggi e creature, continuamente in bilico..”

Sinossi

La narrazione è un mix tra romanzo e documentario, dove la protagonista Celeste che è un personaggio non reale, si muove ed esplora mondi reali, quali quello delle discoteche, del cinema, della musica, della moda, della droga e dei sogni negli anni’80.

Il suo sogno principale è quello del cinema che la condurrà per tutta la narrazione e che la porterà ad arrivare fino ad Hollywood, partendo da un piccolo paese della provincia italiana.

Al lettore potrà sembrare quasi di intrattenere una lunga conversazione con Celeste.

Una conversazione che a volte è triste, a volte è allegra e altre volte ancora è riflessiva, ma che comunque conduce e coinvolge il lettore sempre in profondità, fino a toccare sensazioni, emozioni e stati d’animo.

I luoghi e le ambientazioni sono reali e anche il mondo della droga è narrato con verosimile realtà.

Qui gli anni’80 rappresentano la giovinezza che trova la sua perfetta coincidenza nel sogno dorato ed eterno del cinema hollywoodiano che come tutti i sogni è destinato a non tramontare mai.

 

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