Giordano Bruno la nolana filosofia ; il candelaio testo completo

Giordano Bruno

by gabriella

brunoCi sono infiniti mondi, dunque l’universo è senza centro, senza gerarchia. L’uomo non è il fine del creato, non essendo diverso dagli altri viventi, se non per la mano e per la sua libertà. Le ragioni del rogo del 17 febbraio 1600.

L’8 Febbraio 1600, dinanzi ai Cardinali inquisitori ed ai consultori Benedetto Mandina, Francesco Pietrasanta e Pietro Millini, Giordano Bruno fu costretto ad ascoltare in ginocchio la sentenza di condanna a morte. Alzatosi, indirizzò agli inquisitori l’ultima ammonizione:

Maiori forsan cum timore sententiam in me fertis quam ego accidia [Forse tremate più voi nel pronunciare questa sentenza di me nell’ascoltarla]

Dopo aver rifiutato i conforti religiosi e il Crocefisso, il 17 Febbraio, con la lingua in giova – inchiodata ad una tavoletta di legno – perché non potesse accusare i suoi carnefici, fu condotto in Campo de’ Fiori, denudato, legato a un palo e arso vivo; le sue ceneri gettate nel Tevere

1593-1594: Bruno e Campanella vengono rinchiusi nel carcere del Sant’Uffizio

In poco più di un anno, tra il febbraio 1593 e l’autunno 1594, due dei più grandi filosofi del rinascimento vengono rinchiusi nel carcere romano del Sant’Uffizio: Giordano Bruno e Tommaso Campanella. Entrambi originari del regno di Napoli, entrambi nati da famiglie del popolo, potranno studiare solo vestendo l’abito domenicano. Bruno e Campanella subiranno una lunghissima carcerazione – quasi trent’anni il filosofo calabrese, nove anni il nolano – ma, pur tra terribili sofferenze, si manterranno fedeli al loro pensiero e all’esigenza di cambiamento che la nolana filosofia e la visione della città del sole già intravedevano.

Vita di frate Giordano

Nel 1593, quando viene rinchiuso nel carcere romano dove passerà gli ultimi sette anni della sua vita, Bruno è ormai un uomo nel pieno della maturità. Era nato, infatti, a Nola nel 1548, da una famiglia di modeste condizioni – il padre era un uomo d’arme – che gli impose il nome di Filippo. Per poter continuare gli studi, entra diciassettenne nell’ordine domenicano assumendo il nome di Giordano ma, già come novizio, è orientato su posizioni che mal si conciliano con l’ortodossia cattolica, poiché contesta la dottrina della Trinità da posizioni vicine all’arianesimo. Studia intensamente Aristotele e Tommaso d’Aquino, ma anche autori estranei al suo curricolo, come Erasmo, al quale presto ispira la propria spiritualità, destando i primi sospetti tra i confratelli.

A ventisei anni lascia il convento di Napoli inseguito dalla prima accusa di eresia e si reca a Roma, dove viene accusato ingiustamente di un delitto ed é costretto a fuggire nuovamente. Sveste l’abito domenicano e inizia le sue peregrinazioni che lo porteranno a percorrere l’intera Europa alla ricerca di sostegno e ascolto: si avvicina, poi fugge, dai calvinisti a Ginevra, si circonda di ammirazione alla corte francese di Enrico III – al quale dedica l’opera di mnemotecnica e di gnoseologia platonizzante De umbris idearum – quindi si reca in Inghilterra, dove solleva contro di sé l’intero collegio di Oxford, incapace di tollerare la sua polemica antipedantesca – l’esegesi letterale della Bibbia è il terreno su cui si esercita la pedanteria degli accademici di Oxford – e il suo eliocentrismo.

Le tesi che lo opponevano agli accademici di Oxford erano intanto confluite nel primo dialogo pubblicato in Inghilterra, la Cena delle ceneri (1584) nel quale il nolano critica le premesse del geocentrismo – prendendo di mira i capisaldi della filosofia peripatetica – e perviene a una prima intuizione dei principi della nuova fisica, il principio di inerzia e di relatività.

A differenza di Copernico e Galilei – per non dire di KepleroBruno non mira tanto a sostituire alla posizione centrale della terra la nuova centralità del sole, quando ad abolire la nozione stessa di centro, cioè l’idea del cosmo aristotelico, finito e gerarchicamente ordinato che lascia il posto a un universo privo di distinzioni gerarchiche, composto di infiniti mondi e quindi – in quanto infinito – privo di centro (De l’infinito universo et mondi, 1584). Non sfuggono le implicazioni non solo teologiche, ma anche politiche, della nuova cosmologica bruniana, di cui il filosofo offre la fondazione ontologica – una sostanziale anticipazione del monismo panteista di Spinoza – nel De la causa, principio et uno (1584).

Poco dopo la Cena e il De la causa, Bruno pubblica, ancora in Inghilterra, lo Spaccio della bestia trionfanteuno dei suoi testi fondamentali e decisivo anche in rapporto alla  drammatica fine della sua vicenda esistenziale – al quale il filosofo affida la propria antropologia dell’operosità intellettuale e manuale che permette all’uomo di farsi co-artefice della realtà – di “indiarsi”, dice Bruno – contro l’ozio e la rassegnazione religiosi che rendono l’uomo simile ai bruti. L’operosità umana è così la prima virtù umana, che scaccia – “spaccia” –  i mali –  la “bestia” – dal mondo.

Secondo il filosofo, la storia umana è sottoposta a “contrarietà”, a fasi prospere e a periodi funesti in cui avvizzisce – inequivocabile il giudizio sul suo tempo, il ’500, che definisce “il secolo triste” – snodandosi tra periodi di fioritura e decadenza. Nella descrizione di queste fasi, Bruno riporta quasi integralmente un testo ermetico, il Lamento di Asclepio, in cui l’antico Egitto è presentato come l’epoca più prospera e felice della civiltà umana. Vi regnava, infatti, la giustizia, perché tutti i cittadini attendevano operosamente alle loro ocupazioni, agevolati da una religione che non pretendeva la rinuncia a quanto di più proprio abbia l’uomo, ma valorizzava le opere della mano e dell’ingegno. 

Considerando i temi violentemente anticristiani dello Spaccio e l’insistenza sul valore delle opere – sul terreno della salvezza dell’anima, uno dei temi su cui la teologia protestante del sola fide e sola gratia si era scontrata con quella cattolica – che inclinava Bruno a pensare che il protestantesimo fosse l’ultima e peggiorativa espressione di una fede decadente – la “santa asinità” dell’ascolto passivo della parola contro l’azione della mano – che inaugura un ciclo negativo della civiltà, si comprende l’ostilità di cui l’opera di Bruno si circonda rapidamente in Inghilterra.

Pubblicati gli Eroici furori (1585), splendido dialogo che può essere considerato una riflessione, in gran parte autobiografica, sull’esperienza conoscitiva del fondamento unitario della molteplicità degli enti, Bruno torna a Parigi che lo
accoglie nel nuovo clima politico determinato dalla vittoria dei cattolici – i quali sono riusciti ad imporre ad Enrico III la revoca degli editti di pacificazione e a prendere posizione contro l’ugonotto re di Navarra, il futuro Enrico IV – e che non si riconosce nelle tesi del filosofo, come appare evidente nella disputa filosofica alla Sorbona che oppone Bruno ad un giovane esponente dei politiques che in tale occasione sposa la conservazione peripatetica. L’episodio, rivelatore della sua incompatibilità ambientale, spinge Bruno a lasciare precipitosamente Parigi e a dirigersi verso la Germania, dove cerca senza successo un principe che lo assuma al suo servizio o un’università che gli garantisca una “lettura”.

Nel 1591, a Francoforte, pubblica i tre importanti poemi latini, De triplici minimo et mensuraDe monade, numero et figura, e De innumerabilibus, immenso et infigurabili, ed é là che lo raggiunge il fatale invito del nobile veneziano Giovanni Moncenigo di recarsi preso di lui per insegnargli l’arte della menmotecnica. Bruno prende così la catastrofica decisione di rientrare in Italia. Dopo qualche mese passato a Padova, durante i quali tiene lezioni private, mentre cerca di ottenere la cattedra vacante di matematica che l’anno seguente sarà assegnata a Galilei, si stabilisce a Venezia presso Moncenigo. Durante il soggiorno veneziano mostra di apprezzare il clima culturalmente vivace e di relativa libertà – se confrontato con quello della controriforma che avvolge il resto d’Italia – che si respira nella città veneta e al “Morosini” partecipa a conversazioni che lo espongono sul piano politico, accademico, religioso. Denunciato per eresia da Moncenigo, viene arrestato dall’Inquisitore veneto (1592).

Sottoposto ad interrogatorio, Bruno sviluppa la sua autodifesa dichiarando di aver nutrito dubbi su dottrine controverse della Chiesa, insistendo sul fatto che essa stessa manca di una posizione univoca e tacendo invece sulle dottrine contenute nei dialoghi pubblicati in Inghilterra. Estradato a Roma (febbraio 1593) viene rinchiuso nel carcere romano del Sant’Uffizio.

Nei sette anni successivi, il procedimento giudiziario nei confronti del nolano conosce fasi alterne. L’inquisitore é prudente, riflette, stenta a decidere, mentre Bruno, sottoposto a interrogatorio si dichiara disposto ad ammettere i propri errori in campo religioso (ad esempio, accettando di riconoscere il dogma della Trinità), ma rifiuta di rinnegare la propria filosofia. Nell’agosto 1599, ricevuta una memoria scritta in cui il filosofo si dice disposto ad abiurare alcune tra le opinioni incriminate, il cardinale Bellarmino – che diciassette anni dopo avrebbe “ammonito” Galilei afferma, di fronte ai membri della Congregazione del sant’Uffizio, che Bruno gli sembra sinceramente ravveduto, così che quando, all’inizio di settembre, i giudici del Tribunale vorrebbero sottoporlo a tortura per ottenerne una confessione piena e completa, il papa Clemente VIII non accoglie la richiesta, decidendo che al nolano sia imposto di rinunciare soltanto alle proposizioni che la chiesa abbia condannato come inoppugnabilmente eretiche. Bruno ribadisce la propria disponibilità ad abiurare le tesi effettivamente condannate come eretiche, in una fase in cui la vicenda appare aperta ad una conclusione non traumatica.

La svolta decisiva si verifica tuttavia alla fine di ottobre: il Tribunale decide di fissare il termine perentorio per l’abiura. Ciò che ha determinato l’irrigidimento dei giudici é l’aquisizione di informazioni riguardanti lo Spaccio della bestia trionfante. Le autorità sono ora al corrente dei contenuti anticristiani dell’opera e ciò determina il collasso della linea difensiva tenuta dal filosofo: consapevole di non poter più dissimulare il progetto della riforma “egizia” della religione e indisponibile a rinnegare un aspetto così fondamentale del proprio pensiero, Bruno si risolve ad affrontare la morte.

campo-de-fioriIl 21 dicembre, alla scadenza del termine stabilito, rifiuta di abiurare e dichiara che “non deve né vuole ravvedersi; né ha materia su cui ravvedersi”. Un mese dopo, il 20 gennaio 1600, é dichiarato dal papa “eretico formale, impenitente, pertinace”. Il Tribunale condanna il filosofo alla pena capitale, alla degradazione dagli ordini sacerdotali e alla distruzione in piazza san Pietro dei suoi scritti che vengono immediatamente messi all’Indice.

Il 17 febbraio 1600 Bruno é condotto al supplizio in Campo de’ fiori, dove oggi sorge la statua che lo raffigura filosofo viandante, il volto coperto da un cappuccio immerso nella visione della nolana filosofia.

http://gabriellagiudici.it/17-febbraio-1600-il-rogo-di-bruno/#comment-3527

Il Candelaio è una commedia teatrale di Giordano Bruno, pubblicata a Parigi nel 1582.

Sebbene scritta in italiano, ha una complessità di linguaggio non indifferente, composto da un insieme di latino, di toscano e di napoletano. Nella commedia si rappresenta un mondo assurdo, violento e corrotto, rappresentato con amara comicità, dove gli eventi si succedono in una trasformazione continua: «il tempo tutto toglie e tutto dà; ogni cosa si muta, nulla s’annichila; è un solo che non può mutarsi, un solo è eterno, e può perseverare eternamente uno, simile e medesimo. Con questa filosofia l’animo mi si aggrandisce, e me si magnifica l’intelletto» e nulla è «di sicuro, ma assai di negocio, difetto a bastanza, poco di bello e nulla di buono».

Nel titolo della commedia Bruno definisce se stesso un accademico di nessuna accademia, ilare nella tristezza e triste nell’ilarità e si fa una sorta di autoritratto: «par che sempre sii in contemplazione delle pene dell’inferno […] un che ride solo per far come fan gli altri: per lo più lo vedrete fastidito, restio e bizarro: non si contenta di nulla, ritroso come un vecchio d’ottant’anni, fantastico com’un cane ch’ha ricevuto mille spellicciate, pasciuto di cipolla».

La commedia è ambientata nella Napoli-metropoli del secondo Cinquecento, di cui abbiamo, come rileva Pasquale Sabbatino, il ritratto cartografico disegnato da Du Pérac e stampato da Antoine Lafréry a Roma nel 1566 e la descrizione di Giovanni Tarcagnota, Del sito, et lodi della città di Napoli, apparsa a Napoli, nello stesso anno, presso Scotto.

La trama si basa su tre storie parallele. Il candelaio Bonifacio, pur sposato con la bella Carubina, corteggia la cortigiana Vittoria, l’alchimista Bartolomeo si ostina a cercare inutilmente di trasformare i metalli in oro, il grammatico Manfurio si esprime in un linguaggio incomprensibile e il pittore Gioan Bernardo, insieme con una corte di servi e malfattori, si fa beffe di tutti e conquista Carubina.

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Sonetto proemiale

Il libro

A gli abbeverati nel Fonte Caballino.

Voi che tettate di muse da mamma,

E che natate su lor grassa broda

Col musso, l’eccellenza vostra m’oda,

Si fed’e caritad’il cuor v’infiamma.

Piango, chiedo, mendico un epigramma,

Un sonetto, un encomio, un inno, un’oda

Che mi sii posta in poppa over in proda,

Per farmene gir lieto a tata e mamma

Eimè ch’in van d’andar vestito bramo

Oimè ch’i’ men vo nudo com’un Bia,

E peggio: converrà forse a me gramo

Monstrar scuoperto alla Signora mia

Il zero e menchia, com’il padre Adamo,

Quand’era buono dentro sua badia.

Una pezzentaria

Di braghe mentre chiedo, da le valli

Veggio montar gran furia di cavalli.

Candelaio – Letteratura Italiana

i lumi stanti – e que’ ch’errando vanno ; DE LA PARRA/ Mahler, Symphony No. 2 – I. Allegro Maestoso

De l’infinito, universo e mondi , Dagli infiniti mondi di Giordano Bruno agli universi paralleli della fisica moderna : l’universo elegante

Le vite di Giordano Bruno e Tommaso Campanella

Giordano Bruno incontra Galileo | controappuntoblog.org

L A C A B A L A DEL CAVALLO PEGASO

http://www.controappuntoblog.org/2012/02/17/l-a-c-a-b-a-l-a-del-cavallo-pegaso/

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