investire oggi News: sofferenza banche: dalla cina , germania alla norvegia,Pimco,canone rai, Pensione quota 96 e Castelli da favola!

I BTp hanno spiazzato i prestiti. Si aggravano le sofferenze bancarie

A novembre, le sofferenze bancarie sono cresciute a quasi 150 miliardi, mentre i prestiti a famiglie e imprese sono crollati su base annua di 66 miliardi.

 

Allarme “credit crunch” e sullo stato di salute dell’Italia, che continua a mostrare segnali di peggioramento. Secondo i calcoli del Centro studi di Confindustria (CsC), a novembre del 2013, le sofferenze bancarie sono arrivate a 149,5 miliardi, il 22,76% in più dello stesso mese del 2012, quando si attestavano a 121,8 miliardi.

Nel dettaglio, i crediti in sofferenza verso le imprese sono saliti da 81,6 a 103,1 miliardi (+26,31%), quelli verso le famiglie da 27,5 a 31,5 miliardi (+14,34%). Le altre sofferenze (PA, fondi, assicurazioni, onlus) da 1,4 a 2 miliardi (+39,42%).

E cresce anche l’incidenza delle sofferenze sui prestiti totali, passando dall’8,20% del novembre 2012 al 10,54% del novembre 2013.

Il confronto con tre anni prima è inquietante. Si è passati dai 77,8 miliardi di fine 2010 ai 149,5 miliardi di due mesi fa, per un aumento percentuale del 92,15%, pari a +71,7 miliardi.

E se i crediti dubbi crescono, i prestiti delle banche diminuiscono. In un anno sono scesi di 66,2 miliardi, passando dai 1.485,2 miliardi del novembre 2012 ai 1.419 miliardi del novembre 2013, per un calo percentuale del 4,46%. Esso ha riguardato sia le famiglie (-9,1 miliardi), sia le imprese (-57 miliardi).

Verso queste ultime sono diminuiti i prestiti di ogni tipologia di durata. Quelli brevi (fino a un anno) sono scesi del del 9,85% (-32,9 miliardi) a 301,9 miliardi; quelli di medio termine (fino a 5 anni) sono calati del 3,97% (-5 miliardi) a 124,8 miliardi; quelli a lungo termine sono scesi del 4,63% (-18,9 miliardi) a 390,2 miliardi.

Stesso discorso per le famiglie: -1,3 miliardi per il credito al consumo (-2,28%) a 58,4 miliardi, -3,6 miliardi (-1,97%) per i prestiti personali a 181,6 miliardi e -4 miliardi per i mutui casa (-1,12%) a 361,8 miliardi.

In definitiva, alle imprese sono arrivati 57 miliardi in meno di finanziamenti (-6,53%) e alle famiglie 9,1 miliardi in meno (-1,49%).

Dunque, nell’ultimo anno i prestiti al settore privato sono diminuiti al ritmo medio di 5,5 miliardi al mese. Allo stesso tempo, le banche italiane possedevano a novembre lo stock massimo di titoli di stato italiani, saliti a 402,9 miliardi dai 399,5 del mese precedente. Ciò significa che lo stato ha spiazzato famiglie e imprese, avendo raddoppiato l’importo assoluto di titoli del debito pubblico piazzati in capo agli istituti italiani. Infatti, la finanza si è ripresa, l’economia no.

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La Cina inietta maxi-liquidità contro il rischio default delle banche

La Cina ha pompato liquidità alle banche per contrastare il rischio crescente di crac finanziario.

 

La People’s Bank of China (PBoC), la banca centrale cinese, ha iniettato 255 miliardi di yuan di liquidità (42 miliardi di dollari) nel sistema bancario, per contrastare la tendenza all’aumento del costo del denaro e il rischio di “credit crunch”, come hanno dimostrato le recenti tensioni sul mercato interbancario dei tassi. Al contempo, le banche di medio-piccole dimensioni potranno ottenere liquidità fino a due settimane anche ricorrendo allo strumento dello Standing Lending Facility.

Il China Securities Journal aveva avvertito poche ore prima sul rischio crescente di default tra le aziende, a causa del costo del denaro in aumento. Lo stesso organo ufficiale di stampa aveva invitato il governo a fare qualcosa per ridurre i rischi sistemici finanziari.

La misura non è del tutto nuova in Cina, perché coincide con la chiusura dell’esercizio, quando le banche devono dichiarare quanto siano eventualmente illiquide. E dopo un anno turbolento, com’è stato il 2013, i risultati potrebbero essere abbastanza allarmanti.

La vera novità, però, di quest’anno è che solo rispetto a dodici mesi fa si ha un mercato monetario a breve di dimensioni triple.

Al momento, la maxi-liquidità fornita dalla PBoC ha ottenuto un primo risultato d’impatto. I tassi a un giorno sono diminuiti di 85 punti base al 3,48%, quelli a una settimana di ben 135 punti a, 5,25%, mentre i tassi a due settimane sono scesi di 34 punti al 5,57%.

Ma il provvedimento della banca centrale di Pechino ha anche un altro effetto: avere confermato i dubbi sulla tenuta del sistema bancario e finanziario cinese. In particolare, si rischia il default dello “shadow banking”, le banche-ombra, sfuggite alle regole del mercato tradizionale. E se per un pò i tassi scenderanno per tutti, resta il fatto che le banche più a rischio hanno visto impennare il costo del denaro preso in prestito nel breve e brevissimo termine anche oltre il 10% e la tendenza non potrà che proseguire.

Il caso CEQ1

Il rischio default coinvolge, ad esempio, CEQ1, un fondo di investimento cinese, che oggi presenta una leva di 43, simile a quella che travolse Lehman Brothers nel 2008. Ossia, su un euro raccolto ne ha investiti 43. E il fondo vale qualcosa come 3 miliardi di yuan. CEQ1 è considerato ad altissima probabilità di fallimento.

Ridicolo battersi il petto per il rallentamento della crescita del pil cinese al +7,7% nell’ultimo trimestre del 2013, quando il vero pericolo a Pechino si chiama crac finanziario. E se viene giù la seconda economia del pianeta saranno dolori anche per un Occidente non ancora ripresosi dalla crisi di cinque anni fa.

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Germania, il mistero dell’oro sparito dalla Fed. Rimpatriate solo 5 tonnellate

Dalla Federal Reserve sono state rimpatriate solo 5 tonnellate di oro tedesco in un anno. Dubbi sull’effettivo possesso dei lingotti a Fort Knox.

 

La Germania ha rimpatriato nel 2013 dalla Federal Reserve e dalla Banca Centrale Francese 37 tonnellate di oro. Si tratta solo del 5% delle 674 tonnellate custodite presso i forzieri stranieri. E quel che crea più malumori a Berlino è che solo 5 sono state quelle rimpatriate da Fort Knox, il resto è arrivato dalla vicina Francia. I lingotti provenienti dall’America sono stati fusi a Londra, mentre quelli custoditi da Parigi sono rimasti inalterati.

La notizia è stata data ieri dal quotidiano Die Welt e confermerebbe i timori che dell’oro tedesco espatriato all’estero dopo la Seconda Guerra Mondiale per metterlo in sicurezza da una possibile invasione sovietica potrebbe essere rimasto poco o molto meno delle attese.

Agli inizi del 2012, il governatore della Bundesbank, Jens Weidmann, aveva chiesto il rimpatrio di tutto l’oro di proprietà della sua banca centrale, ma che si trova all’estero. L’obiettivo sarebbe di far tornare in patria tutti i lingotti entro il 2020 a un ritmo di oltre 80 tonnellate all’anno. Secondo il World Gold Council, la Germania detiene le più grandi riserve di oro al mondo dopo gli USA, con 3.387,10 tonnellate.

Ma non solo nel 2013 siamo a meno della metà di oro rimpatriato rispetto alla tabella di marcia, ma si è anche appreso che anche quest’anno non dovrebbe tornare indietro più di 30-50 tonnellate.

Come mai tutto questo tempo? E perché la Fed è riuscita a consegnare ai tedeschi solo 5 tonnellate di oro in un anno?

A Berlino è polemica, perché in molti iniziano seriamente a ipotizzare che la Fed non abbia più l’oro che aveva ricevuto in custodia, avendolo probabilmente ceduto materialmente ad altre banche centrali o a privati con contratti di affitto o forse anche di vendita vera e propria. In ogni caso, potrebbero servire anni, prima che fisicamente l’oro sarà nuovamente disponibile ai legittimi proprietari e non è detto che tutto quanto sarà restituito alla Germania.

Lo stesso fatto che la Bundesbank abbia chiesto indietro i lingotti ha impensierito gli investitori e la stampa, in quanto confermerebbe i dubbi che la Fed non dispone di tutto l’oro ufficialmente registrato presso i suoi forzieri e che la Germania non si fidi più dell’alleato americano

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Pimco, sei ragioni per stare in allerta nel 2014

Tutti i dubbi di Pimco sul 2014, anche se il clima sui mercati sembra improntato a un deciso ottimismo.

Mohamed El-Erian, ad e co-responsabile per gli investimenti di Pimco, fondo obbligazionario numero uno al mondo, ritiene che il 2014 sia l’anno migliore dal 2008 da un punto di vista finanziario. Le economie avanzate si stanno riprendendo, quelle emergenti sembrano essersi stabilizzate, la disoccupazione sembra iniziare a scendere, anche se non in Italia e in altri Piigs, mentre i maggiori controlli e le nuove regole finanziarie introdotte in questi ultimi tempi stanno contribuendo a ridurre fortemente i rischi sui mercati.

Tuttavia, per il manager esisterebbero almeno sei ragioni per indurre alla prudenza, nonostante il clima in sé positivo.

1) La ripresa non sembrerebbe così robusta da determinare un calo soddisfacente del tasso di disoccupazione e, in particolare, di quella giovanile;

2) La Federal Reserve si trova nella non facile fase di transizione, dovendo ridurre gli stimoli monetari (QE);

3) Alcune delle economie emergenti, come Brasile e Turchia, già colpite dall’annuncio del “tapering” dello scorso anno, dimostrano di non essere ancora stabili;

4) Gli USA non sarebbero in grado di sostenere la crescita con azioni mirate di politica economica, a causa dei dissidi tra Congresso e Casa Bianca;

5) Il restringimento degli spread nell’Eurozona deve ancora realizzarsi anche nell’economia reale. In più, il 2014 potrebbe essere un anno di tensioni sui mercati valutari, con il rafforzamento dell’euro, specie contro lo yen, che potrebbe creare turbolenze anche in Germania;

6) L’Eurozona continuerà a mostrarsi incapace di superare le differenze e incoerenze tra gli stati membri, a causa di carenze strutturali.

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Bolla immobiliare in Norvegia. Allarme FMI e Fed

Scoppia l’allarme sul possibile scoppio della bolla immobiliare in Norvegia. Prezzi delle case esplosi del 250% dal 2000.

 

Anche la Norvegia potrebbe avere il suo bel da fare con una bolla immobiliare. Lo sostiene il Fondo Monetario Internazionale, che ha avvertito il governo di Oslo di porre un freno alla spesa, per evitare di alimentare un settore, quello immobiliare, esposto al rischio di esplosione della bolla.

Dal 2008 ad oggi, i prezzi delle case sono cresciuti nel paese del 30%, calcolano due economisti della Federal Reserve, Marius Jurgilas e Kevin J.Lansing. E se il reddito disponibile delle famiglie norvegesi è aumentato solo del 3,8% tra il 2008 e il 2012, i prezzi delle case sono cresciuti del 6% al netto dell’inflazione solo tra il 2010 e il 2012. Secondo la Fed, gli immobili in Norvegia sarebbero sopravvalutati del 15-20%.

Ma come mai quest’impennata dei prezzi, pur negli anni della crisi finanziaria mondiale? La risposta la da l’agenzia di rating Fitch, che spiega come alla base vi sia la fuga dei capitali dall’Eurozona verso stati dalle finanze pubbliche più solide. E nel solo 2013, le esposizioni dei fondi verso la Norvegia sono cresciuti del 53%. Il guaio è che questa tendenza non sembra scemare, nonostante un recupero di fiducia dei mercati verso l’Area Euro. Anche se la bolla non è iniziata esattamente in questi anni, ma esisteva già quando esplose la crisi mondiale nel 2008 e negli anni Novanta si era andati vicini a uno scoppio.

La conseguenza è che secondo la Real Estate Association norvegese, se nel 2000 un metro quadrato di un immobile costava mediamente 13.000 corone, oggi ne vale 31.600, circa 4.200 euro. Da qui l’esplosione dell’indebitamento delle famiglie, stimato in 120 miliardi di euro.

Il ministro delle Finanze, Sigbjorn Johnsen, cerca di rassicurare, sostenendo che l’elevata ricchezza delle famiglie e la solidità delle finanze norvegesi (il debito pubblico del paese, al netto del fondo sovrano, è inesistente) dovrebbero far dormire sonni tranquilli. A ciò si aggiungono una bassissima disoccupazione, una solidità politica e una coesione sociale invidiabili altrove e una crescita annua del pil del 3%, trainata dall’export del petrolio.

Ma basteranno a schivare una possibile crisi da scoppio della bolla immobiliare? Il governo conservatore di Erna Solberg sta aumentando la spesa pubblica per infrastrutture e sicurezza (+19% il budget complessivo), così come aveva promesso in campagna elettorale. Proprio questo tipo di politica, tuttavia, potrebbe alimentare ancora di più la corsa dei prezzi delle case, tramite un aumento del reddito disponibile delle famiglie.

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Esonero canone Rai 2014, ecco chi non lo paga

Ecco chi sono i soggetti tenuti all’esonero dal pagamento del canone Rai 2014 in vista della scadenza del 31 gennaio

 

Scade il 31 gennaio 2014 il termine per il pagamento del canone Rai ma alcuni soggetti non lo pagano. Vediamo chi sono.

 Scadenza canone Rai 2014

In scadenza il 31 gennaio 2014 il termine per il pagamento del canone Rai 2014 di 113,50 euro ( si veda il nostro articolo Canone Rai 2014, ecco l’importo e la scadenza). Ma chi non deve pagare il canone Rai 2014?

 Esonero canone Rai 2014

L’esonero dal canone Rai 2014 è previsto per:

  •  i militari delle forze armate italiane, e quindi ospedali militari, Case del soldato e Sale convegno dei militari delle Forze armate ( La detenzione del televisore all’interno di un alloggio privato, anche se situato dentro le strutture militari, non esonera comunque dal pagamento del canone Rai)
  •  agenti diplomatici e consolari stranieri accreditati in Italia sono esonerati dall’obbligo di corrispondere il canone tv a condizione che nel paese da loro rappresentato pure i nostri rappresentanti diplomatici ivi accreditati godano di uguale trattamento.
  •  le imprese che esercitano l’attività di riparazione o commercializzazione di apparecchiature di ricezione radio televisiva. Per regolarizzare la propria posizione la Rai ha provveduto nell’anno 2003 ad inviare agli interessati un questionario da compilare e restituire alla sede Rai di competenza.

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Esonero canone Rai 75enni

L’esonero dal canone Rai 2014 è previsto per soggetti  di età  pari o superiore a 75 anni. In particolare per avere diritto all’esenzione canone Rai 2014 occorre:

  • aver compiuto 75 anni di età entro il termine di pagamento del canone;
  • non convivere con altri soggetti diversi dal coniuge titolari di reddito proprio;
  • possedere un reddito che unitamente a quello del proprio coniuge convivente, non sia superiore complessivamente ad euro 516,46 per tredici mensilità (euro 6.713,98 annui).

Si precisa che per reddito del contribuente si deve intendere la somma del reddito imponibile che risulta dalla dichiarazione dei redditi presentata per l’anno precedente, quindi per il 2013 e per coloro che sono esonerati dalla presentazione della dichiarazione, si assume a riferimento il reddito indicato nel modello CUD 2013. Si escludono dal calcolo del reddito imponibile i redditi esenti da Irpef (ad esempio pensioni di guerra, rendite INAIL, pensioni erogate ad invalidi civili), il reddito dell’abitazione principale e relative pertinenze, i trattamenti di fine rapporto e relative anticipazioni e altri redditi assoggettati a tassazione separata.

http://www.investireoggi.it/fisco/esonero-canone-rai-2014-ecco-chi-non-lo-paga/

Pensione quota 96, ultimi aggiornamenti 2014

Dopo il caso esodati, la riforma pensioni Fornero ha creato il caso dei quota 96, l’accesso alla pensione per gli insegnanti. Ultimi aggiornamenti 2014

Cosa significa quota 96 in tema di pensione, di cosa si tratta e perché è nato un caso. Se ne parla molto negli ultimi giorni ed è bene chiarire alcuni concetti fondamentali insieme agli ultimi aggiornamenti dopo la legge di stabilità 2014.

 Quota 96 pensioni: cosa significa

Soprattutto gli insegnanti potevano, prima della riforma pensioni Fornero contenuta nella manovra salva Italia, accedere al trattamento previdenziale sulla base della cosiddetta “quota 96”, intendendo per tale l’accesso alla pensione con 61 anni di età e 35 anni di servizio oppure 60 anni di età e 36 anni di servizio. Pensione quota 96 quindi per gli insegnanti, ma sempre se i requisiti anagrafici e contributivi previsti, venivano maturati entro la data perentoria del 31/12/2011.

 Pensione quota 96 nella riforma Fornero

Ebbene la riforma pensioni Fornero ha modificato tutto, creando un caso, molto simile a quello degli esodati ma con un eco meno forte rispetto a questi ultimi, forse perché si parla per la quota 96 di numeri meno alti rispetto ai 65000,55000,10.130 prima e ora altri 6500 esodati. In totale sembrerebbero 9mila le persone interessate dalla quota 96 per l’accesso alla pensione , per lo più insegnanti.  In base al Decreto legge n. 201/11 convertito in legge 214/2011, la manovra salva Italia dal 1 gennaio 2012, spariscono le quote per l’accesso alla pensione e sparisce anche la quota 96 per la pensione insegnanti. Di conseguenza non era più possibile, per chi ha 60 anni andare in pensione con 36 anni di contribuzione ovvero per chi ha  61 anni di età e 35 di contribuzione.

L’ennesimo pasticciaccio della Fornero

Un vero e proprio errore nato con la riforma pensioni Fornero per cui si cerca una soluzione che verte per lo più sull’accesso alla pensione con le vecchie regole, quindi sul ripristino della quota 96 che deve essere raggiunta in modo pieno per accedere al trattamento previdenziale.

Quota 96 pensioni: problema copertura finanziaria

“Per risolvere il problema degli insegnanti che pur avendo i requisiti non riescono ad andare in pensione, per la cosiddetta “quota 96” il governo è “al lavoro in queste ore per trovare le coperture” – ha detto il ministro dell’Istruzione Maria Chiara Carrozza. Ma il problema principale per permettere l’accesso alla pensione di chi farebbe parte della quota 96, è sempre la copertura finanziaria. Inoltre si attendeva la risoluzione della questione nel prossimo decreto scuola, ma finora non v’è traccia.

Pensione quota 96: ultimi aggiornamenti

La soluzione della pensione quota 96 nopn è stata trovata neanche per via giudiziaria, e per ora si attendono gli emendamenti al decreto milleproroghe.

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Castello di Neuschwanstein, Germania

Chateau de Chambord, Francia

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