Shining Stanley Kubrick : Shining e il Perturbante freudiano – il labirinto , il minotauro

Shining e il Perturbante freudiano

Nel 1980 il pubblico cinematografico di mezzo mondo fu scosso da un film che si rivelò subito un notevole successo critico ed economico e che entrò immediatamente e di diritto nella storia del cinema come uno dei più grandi film di sempre: si tratta di Shining (The Shining, letteralmente “la luccicanza”), undicesimo film del grande regista statunitense Stanley Kubrick. Il film è basato sul romanzo omonimo del 1977 di Stephen King e narra della vicenda della famiglia Torrance, che trascorre il periodo invernale nell’Overlook Hotel, disperso sulle Montagne Rocciose, dove il capofamiglia Jack ha accettato l’incarico di guardiano per i cinque mesi freddi. L’influenza negativa dell’albergo e della sua storia (il precedente guariano ha ucciso le due piccole figlie e la moglie, per poi uccidersi a sua volta) porta Jack verso una progressiva, schizofrenica follia che lo spinge a minacciare di morte la sua famiglia.

Molto interessante è evidenziare quegli elementi che legano la trasposizione cinematografica di quest’opera e un breve saggio del 1919 di Sigmund Freud, Il Perturbante, considerato dal regista “il massimo discorso fatto dalla cultura occidentale sul tema della paura” (1). In questo saggio l’autore cerca di spiegare il perturbante, un sentimento spaventoso che trae origine da ciò che non è noto e familiare ma, soprattutto, da ciò che è inconsueto. Nel saggio Freud elenca una serie di elementi che possono causare il sentimento del perturbante, ed è interessante notare come essi siano tutti presenti in Shining, come se Kubrick avesse utilizzato questo breve testo come guida per spaventare e turbare l’inconscio degli spettatori. La parola che in tedesco significa “perturbante” è unheimlich, antitesi di heimlich, che vuol dire “confortevole”, “tranquillo”, e di heimisch, che significa “patrio”, “nativo” e quindi familiare, abituale. A questo bisogna aggiungere il senso di incertezza: “tanto più un uomo si orienta nel mondo che lo circonda, tanto meno facilmente riceverà un’impressione di turbamento [unheimlichkeit] da cose o eventi”. Ma, come nota Freud, la cosa veramente interessante del termine è che la parola heimlich mostra, tra le sfumature del suo significato, una in cui coincide con il suo contrario unheimlich, questo perché il termine heimlich appartiene a due cerchie di rappresentazioni estranee l’una all’altra: quella della familiarità, dell’agio, e quella del nascondere, del tenere celato. Secondo una definizione di Schelling, l’unheimlich è ciò che avrebbe dovuto rimanere segreto, nascosto, e che invece è affiorato. Il sentimento del perturbante è caratterizzato, fin dalla sua trascrizione letterale, da un contrasto tra ciò che sembra sicuro e ciò che non lo è, magari contemporaneamente, magari senza che ci si riesca a raccapezzare: è da una simile imprevedibilità e ribaltamento inspiegabile che dipende la paura. Ed è con questo genere di sensazioni che Kubrick si diverte a stimolare e a turbare il suo pubblico. Lo psicoanalista austriaco riconosce allo studioso Ernst Jentsch il merito di aver introdotto per primo in psicologia il concetto di perturbante definendolo come l’incertezza intellettuale derivante dal dubbio che un essere apparentemente animato sia vivo davvero e, viceversa, che un oggetto privo di vita non sia per caso animato (si pensi, ad esempio, a cera, pupazzi, automi).

A tal proposito, una scena chiave del film è quella in cui, dopo aver accusato Wendy (sua moglie) di rovinare sempre i suoi progetti, Jack cammina per i corridoi fino a quando è attratto da una musica proveniente dalla golden room: c’è una festa. All’interno un cameriere gli rovescia dei bicchieri addosso e poi lo accompagna nel bagno per cercare di ripulirlo. E in questo contesto che il cameriere dice di chiamarsi Grady Delbert. Jack lo riconosce: è il vecchio custode dell’albergo, quello legato alla tragica morte di moglie e figlie. Quest’ultimo gli racconta di aver punito le sue figlie perché volevano dar fuoco all’hotel e quando la moglie si è messa in mezzo ha punito anche lei. Ancora una volta, sembrerebbe di esser di fronte alla pura fantasia di un uomo ormai impazzito. Ma poco dopo arriva il punto di svolta: dopo che Wendy ha colpito Jack con una mazza e lo ha rinchiuso dall’esterno nello sgabuzzino delle conserve di cibo, arriva Grady che apre la porta: ecco che si rompe il confine tra fantasia e realtà. Come può una visione, una presenza frutto dell’immaginazione del folle Jack aprire una porta chiusa con un chiavistello dall’esterno? E’ in questo momento che Kubrick sfida davvero lo spettatore facendogli crollare tutte quelle che erano state le convinzioni accumulatesi nel corso del film, in un climax che raggiunge l’apice alla fine del film, nell’ultima scena, in cui si vedono delle foto appese alle pareti: una di queste è una foto di gruppo scattata durante un ricevimento, al cui centro compare il faccione di Jack in primo piano. La foto è targata: “Overlook Hotel, july 4th Ball, 1921”

Un altro caso di perturbante è rappresentato dal motivo del sosia, che Freud definisce come “la comparsa di personaggi che, presentandosi con il medesimo aspetto, debbono venire considerati identici; l’accentuazione di questo rapporto mediante la trasmissione immediata di processi psichici dall’una all’altra di queste persone – fenomeno che noi chiameremmo telepatia – così che l’una è compartecipe della conoscenza, dei sentimenti e delle esperienze dell’altra; l’identificazione del soggetto con un’altra persona sì che egli dubita del proprio Io o lo sostituisce con quello della persona estranea; un raddoppiamento dell’Io, quindi, una suddivisione dell’Io, una permuta dell’Io” (2). Il motivo del sosia che prima di tutti balza agli occhi in Shining è rappresentato dalle gemelle, le figlie di Grady assassinate dal loro padre, minaccia per il piccolo Danny (il figlioletto di Jack e Wendy dotato del potere dello “shining” che gli permette di vedere quello che gli altri non vedono e di comunicare telepaticamente con chi condivide lo stesso potere) che potrebbe fare la loro stessa fine.  Inoltre, basandoci sulla riflessione freudiana, si potrebbe considerare come sosia di Danny il signor Hallorann (il capocuoco dell’albergo che condivide i poteri di Danny), proprio perché i due sono connessi telepaticamente, si identificano l’un l’altro. Un’altra importante identificazione è quella tra Jack e Grady, l’Io di Jack è perso e confuso, sdoppiato: sta seguendo gli ordini dell’antico custode oppure quest’ultimo non è altro che lo stesso Jack?

Un motivo simile è quello “del perpetuo ritorno dell’uguale, la ripetizione degli stessi tratti del volto, degli stessi caratteri, degli stessi destini, delle stesse imprese delittuose e perfino degli stessi nomi attraverso generazioni che si susseguono” (3). Il ritorno non intenzionale provoca sentimento di impotenza e turbamento. Quando, il primo giorno, il capocuoco mostra a Wendy l’immensa cucina lei dice: “E’ un enorme labirinto, mi dovrò riempire le tasche di briciole di pane altrimenti mi ci perdo qui”. Ed è proprio il labirinto un elemento centrale di questa riflessione: un giardino-labirinto, infatti, è posto all’esterno dell’hotel e pare sempre al confine tra l’essere innocuo e inquietante, tra essere mezzo di salvezza o di distruzione. Il labirinto compare per la prima volta quando Wendy e Danny vi entrano per giocare mentre Jack tenta di trovare concentrazione per scrivere lanciando una palla da baseball contro il muro. Il labirinto compare anche nella fase finale del film, quando Jack rincorre il piccolo Danny per ucciderlo: la furbizia del bambino riuscirà a salvarlo, a farlo venir fuori, al contrario di Jack che, non riuscendo a trovare fiato per continuare, dopo la rincorsa, morirà congelato. E ancora, il ritorno dell’uguale c’è quando Wendy cercando Jack, poco prima della fase finale del film, si avvicina alla macchina da scrivere e trova pagine e pagine che riportano tutte la stessa scritta: All work and no play make Jack a dull boy (tradotto in italiano, secondo la volontà dello stesso regista, “il mattino ha l’oro in bocca”) .

L’analisi dei casi in cui compare l’elemento perturbante riconduce all’antica concezione del mondo propria dell’animismo. “Tale concezione era caratterizzata dagli spiriti umani che popolavano il mondo, dalla sopravvalutazione narcisistica dei propri processi psichici, dall’onnipotenza dei pensieri e dalla tecnica della magia che su questa onnipotenza era costituita, dall’attribuzione di poteri magici accuratamente graduati a persone e cose estranee (mana), nonché da tutte le creazioni con le quali il narcisismo illimitato di quella fase dell’evoluzione si opponeva alle esigenze irrecusabili della realtà” (4). Animismo, primitivi e vita tribale. Nel film viene toccato l’argomento quando la famiglia Torrance si sta dirigendo verso l’albergo e Wendy chiede a Jack se proprio in quella zona la Spedizione Donner fu sepolta dalla neve. Il bambino chiede spiegazioni: si tratta di una spedizione di pionieri sui carri coperti ai tempi delle traversate che si sono trovati bloccati in inverno sulla neve di quelle montagne e perciò hanno dovuto ricorrere al cannibalismo per riuscire a cavarsela. Un altro elemento viene dal fatto che l’albergo è stato costruito su un antico cimitero indiano e, secondo quanto detto dal direttore, mentre lo stavano costruendo tra il 1907 e il 1909 gli operai hanno subito attacchi proprio dagli indiani. “A molti uomini appare in sommo grado perturbante ciò che ha rapporto con la morte, con i cadaveri e con il ritorno dei morti, con spiriti e spettri. (…). Probabilmente questo timore ha ancora il significato antico secondo cui il morto è diventato nemico dei sopravvissuti e mira a prenderli con sé come compagni della sua nuova esistenza” (5). Il film è costellato dalla presenza incombente di morti: si tratta della famiglia Grady che, a quanto pare, vuole proprio che la Torrance faccia la stessa fine.

In conclusione, è possibile evidenziare come la riflessione, la ricerca e la testimonianza freudiana abbia permesso al grande regista Stanley Kubrick di realizzare un film horror assolutamente convincente, terrificante, capace di far risuonare l’inconscio e di far crollare qualsiasi certezza dello spettatore, attingendo a un archivio di impressioni, sentimenti e sensazioni vasto e misterioso quanto la storia umana.

Note:
(1) Dalla rivista Positif n. 238
(2) S. Freud, Il Perturbante (1919)

http://www.youngandinnocent.eu/de/articles/2012/deep/shining-e-il-perturbante-freudiano

Shining, Borges e il labirinto

«Sotto alberi inglesi meditai su quel labirinto perduto: lo immaginai inviolato e perfetto sulla cima segreta d’una montagna. Pensai a un labirinto di labirinti, a un labirinto sinuoso e crescente che abbracciasse il passato e l’avvenire, e che implicasse in qualche modo anche gli astri»
(J.L. Borges – Il giardino dei sentieri che si biforcano)

Ci sono dei film che rimangono impressi per sempre dentro di noi, lasciano una traccia duratura, modificano il nostro modo di vedere e interpretare la realtà, continuano ad agire nell’inconscio in modo latente con la potenza delle loro immagini.

Shining (1980) di Stanley Kubrick è per me uno di questi film. Lo vidi la prima volta a quattordici anni, e costituì per me un’esperienza indimenticabile. Da allora l’ho rivisto decine di altre volte, e ogni visione è stata sempre un’esperienza diversa: è uno di quei film che non mi stancherei mai di rivedere e di cui avevo parlato a suo tempo nel mio post I dieci film della mia vita.

Esistono centinaia di saggi e articoli, in rete e nella carta stampata, dedicati all’analisi di Shining. Quello che segue vuole essere un tentativo di delineare un punto di vista interpretativo nuovo e più ampio a partire da certe affinità tematiche riscontrate fra l’opera di Kubrick e quella di Borges.

«Sotto alberi inglesi meditai su quel labirinto perduto: lo immaginai inviolato e perfetto sulla cima segreta d’una montagna. Pensai a un labirinto di labirinti, a un labirinto sinuoso e crescente che abbracciasse il passato e l’avvenire, e che implicasse in qualche modo anche gli astri».

Queste parole non sono state rilasciate da Kubrick in qualche intervista sulla genesi e la realizzazione di Shining, ma sono tratte da un famoso racconto del grande scrittore argentino Jorge Luis Borges, Il giardino dei sentieri che si biforcano, in cui si narra l’enigmatica storia di un antico ed erudito governatore cinese, poeta dotto e scacchista infallibile ossessionato «dall’abissale problema del tempo», che a un certo punto abbandonò ogni carica e potere per dedicarsi fino alla morte a scrivere un romanzo «ancora più popoloso del Hung Lu Meng» e costruire un labirinto «in cui ogni uomo si perdesse».

Alla fine del racconto si scopre che il romanzo – apparentemente un inspiegabile groviglio di varianti illogiche e contraddittorie – e il labirinto, sempre cercato e mai scoperto, erano in realtà la stessa cosa: il romanzo era un grandioso e labirintico indovinello sul tempo, concepito non in modo lineare e assoluto, ma come una «rete crescente e vertiginosa di tempi divergenti, convergenti e paralleli, che s’accostano, si biforcano, si tagliano» fra di loro.

La precisione dei riscontri fra il racconto di Borges e il film di Kubrick è tale da far pensare a più di una semplice coincidenza.

Si sarebbe quasi portati a credere che Kubrick, oltre che all’omonimo romanzo di Stephen King da cui è tratto il film e al celebre saggio di Sigmund Freud su Il perturbante (Das Unheimlich), si sia ispirato proprio a questo racconto per la realizzazione del film.

D’altronde la complessità dell’organizzazione testuale di Shining, la sua straordinaria ricchezza figurativa e la molteplicità di approcci e di letture possibili che offre sono tali che risulta praticamente impossibile ed estremamente riduttivo limitarsi ad una sola interpretazione.

Ma c’è veramente un senso che emerge tra tutti gli altri, più degli altri, nel labirinto di sensi e interpretazioni che è Shining? A quale labirinto si allude realmente nel film? E perché la cifra dell’opera è proprio il labirinto?

Il termine originario labirinto (dal greco labýrinthos) si riferisce al mitico palazzo costruito a Creta per tenervi segregato il Minotauro, il leggendario mostro dalla duplice natura (umana e ferina) poi ucciso dalla scure (làbrys in greco) di Teseo e dalla quale avrebbe poi preso il nome. L’etimologia della parola labirinto deriverebbe quindi dalla stessa radice della parola che indicava l’ascia a due lame, simbolo del potere reale a Creta.

E non si può qui non ricordare il fatto che nelle sequenze finali del film il protagonista Jack Torrance (Jack Nicholson), ormai sprofondato nei gorghi della follia, vaghi per i corridoi dell’Overlook Hotel armato di una terribile ascia.

Overlook Hotel - Shining    Tappeto labirinto - Shining    Jack Torrance ascia - Shining

Nelle culture più diverse il labirinto è un modello iniziatico legato all’idea della morte e soprattutto all’idea del passaggio a un nuovo stato.
Superare il labirinto, raggiungerne il centro e poi trovare la via d’uscita, indica allegoricamente il passaggio a un’altra dimensione, e per questo veniva impiegato anche come modello magico nelle dottrine esoteriche e misteriche.
Il labirinto in generale può essere visto come metafora della ricostituzione dell’ordine perduto, e di conseguenza come metafora del pensiero umano, della psiche e della della sua struttura, per l’appunto, labirintica.

Il labirinto è anche un simbolo del mondo, i cui schemi e la cui logica sono oscuri e incomprensibili all’uomo, ma chiari a colui che ne è l’architetto e l’artefice, e come tale esso è fonte di stupore e perplessità, quel genere di stupore (thaumàzein in greco) che secondo Aristotele è stato la causa principale e fondamentale della nascita della filosofia («Gli uomini hanno cominciato a filosofare, ora come in origine, a causa della meraviglia», Aristotele, Metafisica, I, 2, 982 b.)

Il labirinto è il luogo in cui la soluzione deve essere tentata ad ogni svolta, senza occhi e senza memoria: è il simbolo della ricerca istintiva, anteriore alla ragione e alla scienza.

La sua struttura complessa – frutto dell’elaborazione di una mente intelligente – è finalizzata a sconfiggere un’altra intelligenza, quella di chi si avventura dentro il labirinto.
Al suo interno la ragione non è più in grado di risolvere da sola il problema e la soluzione deve essere tentata istintivamente, ad ogni nuova svolta, affidandosi all’intuito e alla buona sorte, allo stratagemma e all’astuzia.

Il concetto di labirinto racchiude così in sé una duplice, se non addirittura contraddittoria, valenza simbolica.

Da un lato simboleggia il trionfo della ragione, la costruzione razionale perfetta costituita da un unico modulo compositivo elementare ripetuto potenzialmente all’infinito; dall’altro lato allude inevitabilmente alla sconfitta della ragione stessa e delle sue armi dialettiche che si rivelano inefficaci a districarsi in un contesto in cui la parzialità della visione, la completa ignoranza della propria posizione nello spazio e la conseguente incapacità di orientarsi impediscono l’elaborazione di una strategia razionale e vincente.

Il labirinto è quindi il luogo costruito dalla ragione per annientare e mettere in scacco se stessa; è lo spazio simbolico, l’arena in cui si consuma il dramma della ragione che per salvarsi è costretta a negare se stessa, a ridursi furbizia e puro istinto animale.

Nel centro del labirinto – che simbolicamente è anche il Centro del mondo, lo spazio sacro dove convergono tutte le serie infinite di piani spaziali e temporali – si confrontano i due volti della natura umana: quello solare, “umano”, razionale e creativo contro quello oscuro, bestiale, irrazionale e distruttivo.

Il labirinto, con la sua simbologia e la sua intricata struttura che ricorda le impenetrabili circonvoluzioni del cervello, rinvia così inevitabilmente ai grovigli della psiche, ai mostri inquietanti che si nascondono al suo interno, agli enigmi che celano verità terribili e spaventose.

In Shining Kubrick ha rappresentato l’energia distruttrice, il furore primigenio e l’istinto di morte che si annidano all’interno della cellula fondamentale della società, la famiglia. Ma l’enorme ricchezza e complessità del film non si riduce soltanto alla messa in scena didascalica di teorie psicoanalitiche e antichi miti.

Con Shining Kubrick  ha costruito un testo dalla superficie lucida, luccicante (come suggerisce il significato del titolo in inglese), apparentemente inattaccabile, impenetrabile.
Ha costruito il suo labirinto perfetto in cui facilmente ci si smarrisce, in cui il centro – ammesso che esista – e il senso del testo sembrano sfuggirci di continuo nell’inestricabile stratificazione di sensi, in un vertiginoso gioco di interpretazioni.

L’enigma, come in un altro famoso film, Quarto Potere (1941) di Orson Welles, rimane indecifrato, senza soluzione, e si finisce a vagare incessantemente da un capo all’altro del testo-labirinto alla ricerca di un significato e di una risposta soddisfacente che non arriva mai, per poi tornare al punto di partenza con un percorso perfettamente circolare, in un processo ermeneutico infinito.

La struttura e la forma di Shining hanno chiaramente molti aspetti in comune con Quarto Potere, a cominciare dall’epilogo, in cui – come scrive T. A. Nelson  – “memore del viaggio wellesiano nell’incendio di Xanadu e del significato di Rosebud, la macchina da presa di Kubrick riafferma la sua onniscienza e la sua libertà, la sua indipendenza muovendosi attraverso lo spazio con una sicurezza e una risolutezza prima intraviste nella sequenza dei titoli di testa”.

Tutte vere per questo le interpretazioni, come tutti veri i sensi dell’Overlook Hotel“, scrive Enrico Ghezzi a proposito dell’inesauribile ricchezza visiva e concettuale di questo film.

Il personaggio di Jack Torrance sarebbe così un vero e proprio doppio dell’autore Kubrick, un’immagine riflessa da uno specchio impietosamente deformante che mostra il modo in cui il regista vede e percepisce se stesso: un artista isolato e in crisi, ossessionato – come l’erudito governatore cinese giocatore di scacchi e costruttore di enigmatici testi-labirinto del racconto di Borges – dall’abissale problema del tempo, più a suo agio con i fantasmi della sua immaginazione che con gli esseri umani reali, incantato e attratto in modo inspiegabile dalla struttura del labirinto e dalla possibilità (o dall’illusione) di trovarne il Centro.

Shining oltre a tutti i vari sensi che la critica ha già messo in luce, sarebbe così una sorta di enorme e vertiginoso indovinello-labirinto sulla personalità e l’inconscio del suo autore, sui fantasmi della sua immaginazione e le sue ossessioni: un’originale ed inquietante riflessione sulla genesi e il significato dell’opera d’arte, sul rapporto tra l’artista e la sua creazione, tra l’uomo e il mondo.

Un’opera di straordinaria bellezza e di grande lucidità espressiva che, come in un labirintico gioco di specchi o in una infinita serie di scatole cinesi, racconta di un autore in crisi creativa e di un’opera che non riesce a venire alla luce.

Un indovinello-labirinto che sembra avvertirci ancora una volta che non c’è nessuna verità da cercare, nessun senso o soluzione da trovare, nessun simbolico centro da raggiungere.

Nel centro del labirinto c’è solo posto per la follia, il ghiaccio della morte, l’immobilità perfetta del non-essere.

E l’enigma rimane…

http://www.turicampo.it/2011/03/02/shining-borges-e-il-labirinto-12/

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Soggetto: da un reportage fotografico di Stanley Kubrick su “Look”
Regia: Stanley Kubrick
Sceneggiatura, Fotografia, Suono: Stanley Kubrick
Commento: Robert Rein
Musica: Gerald Fried
Montaggio: Julian Bergman
Assistenza alla regia: Alexander Singer
Interpreti: Walter Cartier (il pugile protagonista del documentario), Vincent Cartier, Nate Fleischer
Narratore: Douglas Edwards
Produttore: Jay Bonafield
Produzione: Stanley Kubrick R.K.O. Radio
Durata: 16 minuti
Bianco&Nero

Documentario di 16 minuti che racconta la giornata del boxer Walter Cartier (già soggetto in una sua foto per “Look”) e del suo “doppio”, infatti, il pugile ha un fratello identico che lo segue tutta la giornata in ogni suo spostamento fino al ring. Kubrick oltre che regista e produttore fa da operatore cinematografico, tecnico del montaggio e del sonoro. Fu acquistato dalla RKO per la sua serie “This is America” e venne rappresentato al Paramount Theatre in New York, rendendo al givane Kubrick uno scarso profitto.

La sfida e il ring
di Francesco Patrizi

L’interesse per l’opera prima di Kubrick è suscitato non tanto dalla tecnica narrativa o di ripresa, ma dalla presenza della figura principale che domina tutto il cinema futuro dell’autore, una figura che potremmo definire labirinto (e che nel corto prende corpo nel ring). L’idea di labirinto porta con sé diverse accezioni che sarebbe lungo analizzare. Diciamo che in Kubrick l’idea “visiva” e il concetto di labirinto alludono alla figura mitologica del luogo chiuso all’interno del quale si svolge una sfida tra un eroe che “deve crescere”, che deve superare delle prove, e un avversario oscuro; all’interno di questo mondo/labirinto, si attuano delle strategie di movimento, si calcolano le possibilità, si moltiplicano le azioni, le congetture, nulla è come appare, tutto è ostile. Concetti che si addicono ad una ben più profonda riflessione e che Kubrick mette a fuoco nella filmografia della maturità, ma che comunque, sin dagli esordi, trovano una larvale e primigenia messa in forma. Infatti, già in questo primo cortometraggio la storia verte intorno ad una sfida inevitabile, in un luogo circoscritto (il ring), sfida dalla quale solo uno uscirà vincitore.
Inoltre la boxe, di per sé, si presenta come azione simulata (boxe come sport e quindi come rito che sospende l’atto dalla “realtà”). Ci sono, insomma, gli elementi principali del pensiero di Kubrick.
Il labirinto, simbolicamente, è da intendersi come luogo chiuso, governato da un Tempo e da una Regola sui generis. Soprattutto luogo da cui uscire superando una prova (Teseo contro il Minotauro).
Il cinema di Kubrick è pervaso da mondi/labirinto chiusi; vedi l’Overlook Hotel di Shining, o la caserma di Full Metal Jacket, luogo “chiuso” da cui si uscirà soltanto dopo aver assistito alla sfida finale tra Palla di Lardo e il Sergente. Altro mondo/labirinto da cui uscire tramite una sfida è l’astronave di 2001 e la sfida è la partita a scacchi giocata tra l’astronauta che morirà e Hal; l’altra sfida, tutta verbale, viene vinta invece dall’astronauta Bowman. La sfida/duello è inoltre la figura chiave di Barry Lyndon, il film si apre con un duello simbolico (la morte del padre), e segna i momenti più importanti della storia, riportando la sfida al suo valore simbolico archetipico, quello tra padri e figli (così come la “sfida” simbolica tra il protagonista di Shining e suo figlio!).
Tornando indietro nella filmografia del regista, è interessante notare come l’idea di labirinto e l’idea di sfida reggano l’impalcatura narrativa (ma non ancora visiva) de Il bacio dell’assassino e di Rapina a mano armata.
Le idee di labirinto, di luogo circoscritto segnato da regole, di sfida, trovano indubbiamente l’origine nella passione che Kubrick ha sempre nutrito per gli scacchi.
Scacchiera e labirinto, di fatti, sono figure che spesso si rincorrono nella messa in scena dell’immaginario del regista delineando i tratti espressivi di una poetica incentrata su una visione del mondo dove tutto è logica, calcolo, prevenzione, azzardo e dove la volontà di Azione, soprattutto, è continuamente frustrata, sconfitta, messa in scacco, e la cosa non deve sorprendere: dal ring del primo corto esce un vincitore, così come il boxeur de Il Bacio dell’assassino riesce a salvare la ragazza districandosi in un labirinto/magazzino, ma nelle opere successive i tentativi di “azione”, finalizzati ad una rapina o alla fuga con una quattordicenne, saranno inutili, i personaggi saranno costretti a ripetere quello che hanno già fatto, a tornare sui propri passi, e finiranno con l’intricarsi in falsi movimenti. Si pensi, inoltre, all’ultimo film, Eyes Wide Shut, dove si ritrovano la sfida (di Bill contro la moglie e non solo…), il labirinto (Bill si aggira per la città e in casa come un topo in trappola, controllato…), l’azione frustrata e così via.

Sicuramente la messa in scena di Day of fight risente di un’impostazione scolastica e del mestiere di fotografo (vedi l’inquadratura da sotto lo sgabello del boxeur sul ring o lo stagliarsi dei corpi contro il muro bianco nello spogliatoio, tagli di natura fotogenica non certo funzionali alla diegesi del film), ma l’immaginario e l’impalcatura teorica sono già quelli del cinema di Kubrick.

http://www.cineforum.bz.it/pellicola/archivio/registi/StanleyKubrick/films/fight/

“The Shining”: la reiterazione dello schema cannibale, il labirinto e foto finale

Creato il 25 marzo 2013 da Bruno

“E’ un enorme labirinto, mi dovrò riempire le tasche di briciole di pane altrimenti mi ci perdo qui” …
E’ la frase pronunciata da Wendy, già nelle scene iniziali del film, al cuoco nero Halloran che le mostra la cucina e le dispense dell’ Overloock; labirinto che viene riproposto in vario modo e con varie scene sia durante il film, che nella decisiva scena finale; labirinto fin dall’ inizio strettamente connesso sia con un’ idea di “reiterazione”, che con quella di “cibo”. Labirinto dunque che diventa il simbolo della “reiterazione di uno schema cannibale“: un cannibalismo cui si accenna già durante il viaggio che porta la famiglia Torrance verso l’ hotel-sistema ( spontaneo e interessante fare un parallelo in tal senso con il “palazzo” di Rosemary’s Baby ); un cannibalismo strettamente connesso con l’ idea di cibo/cucina quale cuore del sistema e motore dello stesso, un cannibalismo sociale che si esplica prosaicamente nella ripetizione storica dell’ eccidio di giovani generazioni ( le gemelline, Danny ) in quella “guerra” che altro non è che l’ esito conclusivo del ciclo e delle fasi economiche del modello borghese-capitalista ( vedi quanto già detto in precedenza ).
Link per la visione in streaming:
http://www.cineblog01.org/shining-1980/
“Schema cannibale” elevato quindi a logica intrinseca del sistema ( Hal 9000 di Odissea ); schema continuamente riproposto come “trappola logica reiterativa” dal sistema stesso ( il gioco degli scacchi tra Hal e l’ astronauta ); schema cannibale che richiama volutamente il Minotauro del Labirinto di Cnosso; schema che ha il suo momento culminante in quel “bagno di sangue” che costituisce l’ altro pilastro interpretativo del film. Ma anche “labirinto” inteso in senso lato, come percorso-trappola forzato, quello in cui oggi ci ritroviamo sia storicamente, che culturalmente, che mentalmente parlando. Labirinto dunque che diventa anche sinonimo di “dinamica indotta” tout-court.
Ma andiamo con calma …
Riprendo quindi quanto già detto a suo tempo su “Shining” e le sue possibili interpretazioni in chiave metastorica; ribadisco inoltre che la “densità onirica” dei film di Kubrick arriva a tali e tanti livelli di interconnessione e sovrapposizione di più chiavi interpretative che non si finisce più … su una sola scena si potrebbero scrivere pagine: mi limito quindi qui ad una sola chiave di lettura, introducendo alcuni elementi allora lasciati in sospeso e che oggi assumono una straordinaria attualità. Ma ricordando ancora che non c’è l’ interpretazione univoca, e che ogni scena diventa una sorta di “portale” che apre a più direzioni, la cui vastità e complessità aumenta più si rivede ed analizzano i film, più si chiariscono e delineano precedenti significati iconografici, più si è in grado di “spaziare tridimensionalmente” all’ interno dell’ opera stessa. “Tridimensionalità” e presenza contemporanea di diverse direzioni interpretative che si perde dovendo scriverne con un approccio forzatamente “rettilineo”, ma che a tale complessità contestuale va idealmente riportato … Esattamente come succede quando ci troviamo di fronte ad un contesto onirico: tanto apparentemente indecifrabile, ambiguo e sibillino quanto più vasto e “denso” sarà il sottostante contenuto che si cela dietro la “rappresentazione” manifesta.
( Una doverosa parentesi:  lettura quindi che va sempre fatta “lasciandosi trasportare” attraverso la libera associazione di contenuti e immagini risvegliate, non con l’ IMBECILLE approccio che solitamente vedo utilizzare sul web, teso alla spasmodica ricerca del “simbolo”, della chiave “unica” interpretativa, della investigativa “caccia al segno” come se si trattasse di un cifrario da decrittare … può starci anche quello, ma comprendere un significato vuole appunto dire ragionare in termini sempre “olistici”, che tengano innanzitutto conto dell’ intero contesto, soprattutto emotivo e non-verbale, appunto … altrimenti si va a caccia di lucciole, scambiandole per lanterne ).  
  
 IL LABIRINTO
Richiamo al “labirinto” dunque che compare più volte nel film, a partire dalla visita iniziale in cui il cuoco nero mostra a Wendy le cucine e le dispense: l’ accumulo è il fine concettuale, la cucina la macchina da guerra, l’ uccisione il mezzo. Stanze che il nero passa in rassegna quasi fosse un generale orgoglioso del suo esercito: ecco ancora una bella condensazione iconica del PARADOSSO per cui una “vittima storica” di quella stessa “cucina” ( gli schiavi afro-americani ) non solo ne diventa “capo macchinista” ( Halloran è il capo-cuoco ), ma mostra la macchina bellica con ostentato orgoglio a quella che è un’ altra icona di vittima storica ( Wendy è icona degli indiani d’ America, come già detto in altro post ) …
( E notate la curiosità: oggi tale “paradosso” è teatralizzato nella realtà attraverso un presidente nero: l’ icona storica della “vittima” posta a “capo-macchinista” della stessa macchina che si pose a carnefice … ecco ancora il procedere del sistema, che prima usa, e poi denuncia ( mediaticamente, simbolicamente, ecc, vedi lo stesso utilizzo del web ), le sue stesse malefatte
… Ed ecco che Halloran alla fine “giustamente” soccombe: leggiamolo in senso “catartico-teatrale” per cui tale “tradimento” viene punito da un superiore assunto di giustizia. E viene colpito al cuore, perchè egli stesso era diventato “cuore” della macchina-sistema; viene punito per non aver saputo ascoltare lo “shining” datogli dall’ esperienza diretta delle precedenti generazioni -“in casa io e mio nonno ci parliamo semplicemente guardandoci” dice a Danny-, che anzi sostanzialmente NEGA, dicendo sempre a Danny che “sono solo ombre del passato, non possono farti niente, sono come immagini di un libro”, ma è ovvio che stia mentendo quando, subito dopo e con fare minaccioso, gli intima di “star distante dalla camera 237” … ABBANDONA IL CUORE PER FARSI A SUA VOLTA CANNIBALE: ecco perchè la scure di Jack lo colpirà proprio al cuore, in un’ ottica di superiore catarsi. ).
Labirinto in cui Wendy riesce a rinchiudere il Minotauro/Jack, poi liberato dall’ intervento surreale ( il passato che si concretizza ) del precedente custode Grady; labirinto che compare una prima volta nel gioco familiare tra Wendy e Danny, devolvendo l’ atmosfera rilassata e tranquilla verso un palpabilissimo presentimento di inquietudine; labirinto che Jack osserva dall’ alto nella stanza d’ albergo, schema tattico predisposto e anticipazione di un ripetuto finale sacrificale, quale generale che osservi con distacco una mappa di battaglia.
Lo schema tattico è quello già predisposto dall’ èlite fantasma, ( esplicito richiamo al mondo della finanza, ai “ruggenti anni 20”, la festosa atmosfera della Gold Room ) che porterà a quella disastrosa crisi di Wall Street del 1929 che a sua volta richiederà il “bagno di sangue” ( red-rum ) delle due gemelline, ossia le due conseguenti guerre mondiali. Quel bagno di sangue che così insistentemente si presenta attraverso lo “shining” a Danny, ad anticipargli la stessa futura, possibile fine.
E nient’ altro che questo è il “compito” che l’ Overloock-sistema si aspetta ora da Jack, come già dal precedente custode Grady che nel bagno ( abbiamo già visto perchè proprio nel bagno ) ora passa a lui le consegne.
( Leggi: è ancora lo stesso meccanismo di allora che si ripropone inalterato oggi, e che porterà -salvo varianti- a chiedere inevitabilmente il terzo sacrificio ).
( Altra parentesi: noi che siamo adulti e vaccinati abbiamo già ampiamente mostrato nel corso del blog come in realtà il tutto sia artificiosamente montato proprio per condurre all’ esito finale bellico, vera “fase utile” che il sistema utilizza per esportarsi … ma ora poniamoci nell’ ottica generale –noi qui siamo troooppo oltre, parbleu, rispetto al complottismo-mainstream del web !- e quindi leggiamolo in senso “tradizionale”: capitalismo >> crisi >> guerra … Poi per fortuna tra pochi post chiuderò anche ‘sto maledetto blog, perchè questo continuo duplice approccio esplorativo-espositivo mi sta facendo ormai rischiare la schizofrenia … )
Richiamo al Minotauro
L’ esplicito richiamo alla figura mitologica del Minotauro è dato anche figurativamente dal modo in cui Kubrick riprende Jack nella scena finale del labirinto: il suo procedere non eretto e zoppicante, la figura protesa in avanti, i primissimi piani del viso in cui guarda dal sotto in sù, lo rendono visivamente simile più ad una bestia che carica che ad un uomo. E bestia in effetti ormai è, avendo abbandonato ogni ragionevolezza ed essendo agito dal puro istinto ( processo che è “ipnoticamente indotto”, come Kubrick stesso sottolinea, dall’ hotel-struttura-sistema … lo ricordo ancora una volta ai fanatici di Hobbes ! )
Ora, il Minotauro è nella mitologia figlio di una donna e di un toro: ecco che ancora abbiamo il concetto già espresso per cui un assunto DISUMANO ingravida la natura UMANA, il grembo femminile; il “patto satanico” con cui l’ espediente finanziario ingravida l’ economia reale; il Minotauro, figlio del processo di “finanziarizzazione dell’ economia” ( e il simbolo di Wall Street non è proprio un toro ? ), ora non può che avanzare bestialmente verso la fase successiva: la guerra, lo spargimento di sangue … e Jack deve ora “dare in pasto al sistema” il figlio Danny ( la popolazione in metafora ), esattamente come il Minotauro richiede periodicamente di nutrirsi di giovani fanciulli e fanciulle.
Ma così come la mitologia ci narra che, proprio alla terza richiesta di sangue del Minotauro, il giovane Teseo riuscirà ad uccidere il mostro e ad uscire dal labirinto di Cnosso, così nel film è proprio in vista di una possibile terza guerra che il giovane Danny riuscirà, anteponendo il pensiero critico al puro istinto di fuga ( ossia operando alla fine una “scelta consapevole” favorita dallo shining ), a gabbare l’ infuriato Jack. Il quale finirà per perdersi a sua volta sul suo stesso campo di battaglia, morendo “congelato” ( un’ allusione sulla possibile sorte da riservare al debito ? ) …

 La strana foto finale
Danny riesce a ricongiungersi con la mamma ( ecco ancora quel concetto di ritorno al femminile, al grembo, alla terra, all’ autenticità già variamente visto ), mentre la scena successiva ci mostra un Jack ormai cadavere, parzialmente ricoperto di neve.
Stranamente la ripresa ora ci riporta ancora dentro l’ Overloock.
La colonna sonora in sottofondo diffonde ancora il tema “Mezzanotte, le stelle e tu”; l’ hotel ora è tranquillo, vi si respira adesso un’ atmosfera finalmente accogliente, familiare, rilassata, e non c’è più alcuna traccia dell’ èlite fantasma. La macchina da presa carrella fino a soffermarsi su una foto d’ epoca dei convitati alla festa da ballo, tra i quali ora compare anche Jack, anche lui contento, finalmente rilassato e sorridente.
Il che avrebbe anche una sua logica figurativa se avesse portato a buon fine il compito affidatogli; ma perchè compare sorridente tra l’ èlite se ha sostanzialmente fallito il compito da lei assegnatogli ??
Perchè appare contento ??  e perchè guarda verso l’ alto ?? E chi sta salutando in modo tanto familiare, parbleu … ??
Sembrerebbe quasi si stia rivolgendo a qualcun altro di ben conosciuto … una qualche altra presenza, un’ entità ancora superiore alla stessa potentissima èlite finanziaria fantasma ??
Beh, non c’è rimasto che l’ Overloock ormai vuoto, non c’è rimasta che la struttura, il “sistema” ormai vuoto … che si stia quindi rivolgendo proprio alla struttura, all’ architettura ?? … Che stia quindi rivolgendosi idealmente proprio agli architetti, e che sia contento della diversa svolta assunta dai fatti, in quanto proprio questo in realtà si voleva da lui …? Che stia rivolgendosi direttamente a NOI ??

http://it.paperblog.com/the-shining-la-reiterazione-dello-schema-cannibale-il-labirinto-e-foto-finale-1716227/

LE TECNICHE

Con Kubrick, la steadicam, inventata pochi anni prima, entra a pieno titolo nella storia del linguaggio cinematografico.

L’incombenza del pericolo rappresentata dall’albergo, dall’entità Overlook, viene messa in scena attraverso i movimenti della macchina da presa, che acquista evidenti proprietà drammaturgiche.

La steady camera fu messa a punto negli anni sessanta da Garret Brown, non è altro che un’intelaiatura, indossata dall’operatore, dotata di un sistema di ammortizzatori su cui viene fissata la macchina da presa. Ci si può muovere negli spazi più ristretti, in condizioni di difficile equilibrio oppure correndo, ma l’immagine rimane sempre stabile.

Le qualità di questo nuovo strumento furono immediatamente recepite dal regista di Shining, che fece come “precipitare” la potenzialità insita nella steadicam, tra i labirintici corridoi dell’albergo.

I percorsi del piccolo Danny a bordo del suo triciclo tra le inquietanti pareti dell’Overlook vengono seguiti da vicino dalla cinepresa, come se qualcuno stesse braccandolo, trasmettendo quindi allo spettatore un sentimento d’inquietudine che proviene dal non visto, dal fuori campo, dal celato ai nostri occhi che disturba e suscita tensione più di qualsiasi mostr

o. Accanto al visivo, in una dialettica a rincorrersi tra filmico e profilmico mediata dalla steadicam, si affianca il sonoro che nell’alternanza di rumori tra moquette, parquet e piastrelle, accresce il sentimento di paura e di minaccia dietro l’angolo o meglio dietro la camera, sia steady che numerica…la 237.

La stessa tecnica di ripresa, Kubrick, la utilizzerà nel finale per la sequenza del labirinto, “dove il pericolo si è fatto concreto ed è rappresentato dal padre”.

“È come un tappeto volante. Qui movimenti rapidi e fluttuanti della macchina da presa nel labirinto sarebbero stati impossibili da realizzare senza la Steadicam”.

(S. Kubrick, intervista di Michael Ciment)

http://www.cisi.unito.it/progetti/shining/film/making.html

 

 


Il perturbante (Das Unheimliche) Freud pdf – Maddalena …

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